Escape Room - 2/3 - L'incontro
di
SleepLover
genere
etero
[Genere: Softcore, Thriller - Lettura: 8+8+8 minuti]
FRANCESCA
Francesca era la sorella minore di Valentina. Frequentava il primo anno di scienze motorie. Le due avevano un rapporto abbastanza freddo, soprattutto da quando, anni prima, Valentina si era dimostrata interessata al primo ragazzo della sorella. Ma, ora che Valentina era andata a studiare fuori sede, i motivi di attrito erano diminuiti e le ragazze stavano cercando di ricomporre il loro rapporto.
Francesca si muoveva nervosamente nella stanza, cercando di controllare la tensione.
Per arrivare fin lì aveva bruciato la sua maglietta, e poi aveva sacrificato i leggins per appendere le scarpe ad un gancio sul soffitto, ed ora le rimaneva addosso solo la biancheria. Cosa ci faceva lì? Il timore le attanagliava lo stomaco, e lei faticava a mantenere la lucidità.
Osservò il congegno sul soffitto per capire come attivarlo: un gancio era collegato ad una corda, che probabilmente avrebbe aperto la porta. Purtroppo, il gancio era troppo alto per essere raggiunto. Immaginava di dover usare il reggiseno ma, sentendosi osservata dalla telecamera, percepiva paura e disagio. Lo tolse, cercando inizialmente di coprirsi il seno sodo e le areole scure con i lunghi capelli castano chiaro. Lanciando una spallina del reggiseno, riuscì a raggiungere il gancio che effettivamente faceva scorrere la porta, che si apriva su un corridoio scuro, ma che poi si richiudeva di scatto appena Francesca lasciava la presa. Nella stanza vi era anche uno stretto cilindro metallico, alto circa un metro e mezzo, con uno sportello sulla sommità. Quando Francesca lo aprì, intravvide un oggetto in fondo ad esso, che però non riusciva a raggiungere con la mano. Andò quindi a recuperare il reggiseno appeso, e aiutandosi con esso riuscì a raggiungere l’oggetto, agganciandolo con una spallina. Lo tirò fuori. Era un semplice peso metallico con un gancetto, evidentemente adatto ai suoi bisogni. Cercò di fissare direttamente il peso alla corda, ma neanche abbassandola con il reggiseno riusciva a raggiungere il gancio con la mano. Dopo aver tentato invano, più volte, di appendere la massa al gancio lanciandola, si rassegnò ad appenderla al reggiseno, tenendo così in tensione il meccanismo. La porta rimase aperta sul corridoio misterioso. Francesca indossava solo le mutandine bianche: il suo corpo atletico e tonico era illuminato dalla fioca luce al neon, che brillava sulla sua pelle abbronzata. Nervosamente, si addentrò nel corridoio. Quando la porta si chiuse dietro di lei, si sentì schiacciata dall’oscurità.
Dopo pochi metri il corridoio finiva, e la porta si aprì con una semplice spinta. Era in una nuova stanza. Al centro c’era un materasso, e sulla parete una leva, oltre allo specchio ed alla telecamera. Provò a tirare la leva: vide che, a pochi passi da lei, si apriva un piccolo sportello che dava su una nicchia. Non poteva però raggiungerlo, né vedere cosa ci fosse all’interno. Come sempre, lasciando la leva lo sportello si richiuse. Non c’era modo di ingannare il meccanismo. Si guardò allo specchio: sotto la pancia piatta aveva ancora le mutandine, ma non voleva togliersele, soprattutto non sotto l’occhio della telecamera. E poi, non sapeva come avrebbe potuto usarle.
Trasalì, sentendo dei rumori. Venivano da fuori. Si accucciò alla parete opposta, respirando forte. La porta si aprì.
“Vale?” disse, sbalordita.
“Franci!” gridò Valentina. Anche lei era seminuda, la pelle chiara contrastava con i capelli neri. Indossava ancora le mutandine nere. Le due sorelle si abbracciarono forte.
Per diversi secondi non si dissero niente, tenendosi strette, confortate dall’inusuale contatto pelle contro pelle.
“Dove siamo?” chiese Francesca.
“Non lo so. Io ricordo di essere andata a casa di un tizio che ho conosciuto qualche giorno fa, ad una festa. Non ricordo altro”.
“Può essere stato lui a farci questo? E’ uno che conosco?”
“Non credo”, disse Valentina. “Si chiama Fabio, non so il cognome. Tu cosa ricordi?”
“Stavo correndo al parco. Ero sola. Ho sentito un dolore alla coscia, come una puntura. Poi mi sono svegliata in questo posto. Ho dovuto usare i miei vestiti per arrivare fin qui.”
Valentina annuì. “Francesca, non so cosa ci stia succedendo. Mi spiace che tu sia coinvolta in tutto questo, ma insieme ne usciremo.”
“Vale, perchè ci siamo dovute spogliare?”
“Non voglio pensarci. Ora dobbiamo trovare un modo per uscire da qui. Fin’ora abbiamo seguito le regole di chi ci ha rapito, immagino. Dobbiamo trovare un modo per uscirne a modo nostro, altrimenti non so come potrà finire.”
Avevano il cuore più leggero, ora: potevano mettere da parte i loro banali dissapori, e farsi coraggio l’una con l’altra.
“Mi devo riprendere un attimo”, disse Francesca, sedendosi sul letto.
Il suo peso leggero fece scattare un meccanismo. Si aprì una piccola finestra. Entrò molta luce ed una leggera brezza. Valentina gridò, Francesca si alzò di scatto; la finestra si chiuse. Era quella la via di uscita dall’incubo. Si abbracciarono nuovamente. Francesca sentiva il seno florido di Valentina premere sul suo petto: glielo aveva sempre invidiato.
“Falla aprire ancora, guardo di fuori” disse Valentina. Francesca si sedette, e la finestra si aprì nuovamente.
La finestra era piccola, e in alto. Valentina doveva mettersi in punta di piedi per guardare fuori. “Non vedo bene, ma ci sono le punte di alcuni alberi. E’ giorno.”
“Cosa facciamo?”
“Senti Franci, abbiamo capito come funziona qui. Non abbiamo nulla per tenere bloccata questa finestra. Posso uscire e andare a chiamare aiuto”.
Francesca si alzò, facendo richiudere la finestra. “Posso andare io, uscirei più facilmente. Sono più alta e più agile”. In verità, non era sicura di potersi fidare della sorella.
Valentina, indispettiva dal paragone con il corpo atletico di Francesca, si incupì. “No, aspetta. Così facciamo il suo gioco. Lui, chiunque sia, con questo trucco vuole dividerci.” Neanche lei si fidava molto. “Cerchiamo meglio nella stanza, troveremo una soluzione migliore.”
Francesca indicò la leva. “Con quella si apre uno sportello. Questa stanza sembra fatta apposta per essere affrontata in coppia. Prova a tirarla, vado a vedere cosa c’è nella nicchia.” Valentina andò a tirare la leva e, come previsto, si aprì lo sportello. Francesca guardò dentro. C’era una bottiglietta. Leggendo l’etichetta, strabuzzò gli occhi. Mille pensieri le vorticavano nella mente. Guardò Valentina. “Allora?” Le stava chiedendo. Francesca deglutì, e si tolse le mutandine.
Il gioco doveva finire, e ci sarebbe stata una vincitrice ed una perdente.
FRANCESCA
Francesca era la sorella minore di Valentina. Frequentava il primo anno di scienze motorie. Le due avevano un rapporto abbastanza freddo, soprattutto da quando, anni prima, Valentina si era dimostrata interessata al primo ragazzo della sorella. Ma, ora che Valentina era andata a studiare fuori sede, i motivi di attrito erano diminuiti e le ragazze stavano cercando di ricomporre il loro rapporto.
Francesca si muoveva nervosamente nella stanza, cercando di controllare la tensione.
Per arrivare fin lì aveva bruciato la sua maglietta, e poi aveva sacrificato i leggins per appendere le scarpe ad un gancio sul soffitto, ed ora le rimaneva addosso solo la biancheria. Cosa ci faceva lì? Il timore le attanagliava lo stomaco, e lei faticava a mantenere la lucidità.
Osservò il congegno sul soffitto per capire come attivarlo: un gancio era collegato ad una corda, che probabilmente avrebbe aperto la porta. Purtroppo, il gancio era troppo alto per essere raggiunto. Immaginava di dover usare il reggiseno ma, sentendosi osservata dalla telecamera, percepiva paura e disagio. Lo tolse, cercando inizialmente di coprirsi il seno sodo e le areole scure con i lunghi capelli castano chiaro. Lanciando una spallina del reggiseno, riuscì a raggiungere il gancio che effettivamente faceva scorrere la porta, che si apriva su un corridoio scuro, ma che poi si richiudeva di scatto appena Francesca lasciava la presa. Nella stanza vi era anche uno stretto cilindro metallico, alto circa un metro e mezzo, con uno sportello sulla sommità. Quando Francesca lo aprì, intravvide un oggetto in fondo ad esso, che però non riusciva a raggiungere con la mano. Andò quindi a recuperare il reggiseno appeso, e aiutandosi con esso riuscì a raggiungere l’oggetto, agganciandolo con una spallina. Lo tirò fuori. Era un semplice peso metallico con un gancetto, evidentemente adatto ai suoi bisogni. Cercò di fissare direttamente il peso alla corda, ma neanche abbassandola con il reggiseno riusciva a raggiungere il gancio con la mano. Dopo aver tentato invano, più volte, di appendere la massa al gancio lanciandola, si rassegnò ad appenderla al reggiseno, tenendo così in tensione il meccanismo. La porta rimase aperta sul corridoio misterioso. Francesca indossava solo le mutandine bianche: il suo corpo atletico e tonico era illuminato dalla fioca luce al neon, che brillava sulla sua pelle abbronzata. Nervosamente, si addentrò nel corridoio. Quando la porta si chiuse dietro di lei, si sentì schiacciata dall’oscurità.
Dopo pochi metri il corridoio finiva, e la porta si aprì con una semplice spinta. Era in una nuova stanza. Al centro c’era un materasso, e sulla parete una leva, oltre allo specchio ed alla telecamera. Provò a tirare la leva: vide che, a pochi passi da lei, si apriva un piccolo sportello che dava su una nicchia. Non poteva però raggiungerlo, né vedere cosa ci fosse all’interno. Come sempre, lasciando la leva lo sportello si richiuse. Non c’era modo di ingannare il meccanismo. Si guardò allo specchio: sotto la pancia piatta aveva ancora le mutandine, ma non voleva togliersele, soprattutto non sotto l’occhio della telecamera. E poi, non sapeva come avrebbe potuto usarle.
Trasalì, sentendo dei rumori. Venivano da fuori. Si accucciò alla parete opposta, respirando forte. La porta si aprì.
“Vale?” disse, sbalordita.
“Franci!” gridò Valentina. Anche lei era seminuda, la pelle chiara contrastava con i capelli neri. Indossava ancora le mutandine nere. Le due sorelle si abbracciarono forte.
Per diversi secondi non si dissero niente, tenendosi strette, confortate dall’inusuale contatto pelle contro pelle.
“Dove siamo?” chiese Francesca.
“Non lo so. Io ricordo di essere andata a casa di un tizio che ho conosciuto qualche giorno fa, ad una festa. Non ricordo altro”.
“Può essere stato lui a farci questo? E’ uno che conosco?”
“Non credo”, disse Valentina. “Si chiama Fabio, non so il cognome. Tu cosa ricordi?”
“Stavo correndo al parco. Ero sola. Ho sentito un dolore alla coscia, come una puntura. Poi mi sono svegliata in questo posto. Ho dovuto usare i miei vestiti per arrivare fin qui.”
Valentina annuì. “Francesca, non so cosa ci stia succedendo. Mi spiace che tu sia coinvolta in tutto questo, ma insieme ne usciremo.”
“Vale, perchè ci siamo dovute spogliare?”
“Non voglio pensarci. Ora dobbiamo trovare un modo per uscire da qui. Fin’ora abbiamo seguito le regole di chi ci ha rapito, immagino. Dobbiamo trovare un modo per uscirne a modo nostro, altrimenti non so come potrà finire.”
Avevano il cuore più leggero, ora: potevano mettere da parte i loro banali dissapori, e farsi coraggio l’una con l’altra.
“Mi devo riprendere un attimo”, disse Francesca, sedendosi sul letto.
Il suo peso leggero fece scattare un meccanismo. Si aprì una piccola finestra. Entrò molta luce ed una leggera brezza. Valentina gridò, Francesca si alzò di scatto; la finestra si chiuse. Era quella la via di uscita dall’incubo. Si abbracciarono nuovamente. Francesca sentiva il seno florido di Valentina premere sul suo petto: glielo aveva sempre invidiato.
“Falla aprire ancora, guardo di fuori” disse Valentina. Francesca si sedette, e la finestra si aprì nuovamente.
La finestra era piccola, e in alto. Valentina doveva mettersi in punta di piedi per guardare fuori. “Non vedo bene, ma ci sono le punte di alcuni alberi. E’ giorno.”
“Cosa facciamo?”
“Senti Franci, abbiamo capito come funziona qui. Non abbiamo nulla per tenere bloccata questa finestra. Posso uscire e andare a chiamare aiuto”.
Francesca si alzò, facendo richiudere la finestra. “Posso andare io, uscirei più facilmente. Sono più alta e più agile”. In verità, non era sicura di potersi fidare della sorella.
Valentina, indispettiva dal paragone con il corpo atletico di Francesca, si incupì. “No, aspetta. Così facciamo il suo gioco. Lui, chiunque sia, con questo trucco vuole dividerci.” Neanche lei si fidava molto. “Cerchiamo meglio nella stanza, troveremo una soluzione migliore.”
Francesca indicò la leva. “Con quella si apre uno sportello. Questa stanza sembra fatta apposta per essere affrontata in coppia. Prova a tirarla, vado a vedere cosa c’è nella nicchia.” Valentina andò a tirare la leva e, come previsto, si aprì lo sportello. Francesca guardò dentro. C’era una bottiglietta. Leggendo l’etichetta, strabuzzò gli occhi. Mille pensieri le vorticavano nella mente. Guardò Valentina. “Allora?” Le stava chiedendo. Francesca deglutì, e si tolse le mutandine.
Il gioco doveva finire, e ci sarebbe stata una vincitrice ed una perdente.
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