Grimilde
di
SleepLover
genere
saffico
[Genere: Saffico, Incosciente. Lettura: 14 minuti]
ATTENZIONE: CONTIENE SCENE DI SESSO NON CONSENSUALE
Grimilde aveva avuto dalla vita tutto ciò che si potesse desiderare. Era la potente regina di un piccolo, ma prospero regno. Era ricca. E bella, molto bella: anche se non era più nel fiore degli anni, il tempo era stato galantuomo con lei, lasciando intatto il suo fisico slanciato ed i suoi lunghi capelli corvini. Ma, nonostante questo, già quando era ragazza Grimilde aveva capito che non avrebbe mai potuto essere veramente felice, perché non le sarebbe stato consentito di vivere la vita che voleva. Perché lei non era come tutte le altre.
Ormai da anni viveva con questo rimorso, che giorno dopo giorno tormentava la sua mente; l’invidia per la felicità altrui l’aveva resa una persona fredda, ed una sovrana dura ed inflessibile: erano lontani i tempi in cui era una ragazza allegra e gentile.
“Specchio, servo delle mie brame… Chi è la più bella del reame?” scandì, osservando il riflesso della sua immagine asciutta, ben fasciata in un elegante veste. Lo specchio fatato della sua stanza vibrò inizialmente di una luce lattiginosa; poi il riflesso si sfocò e, pian piano, apparve l’immagine di una giovane contadina dai capelli neri come l’ebano e dalla pelle bianca come il latte che, china sul lavatoio in cortile, strofinava con la cenere un paio di pantaloni presi da una grossa pila di indumenti sporchi. Grimilde osservava con desiderio quella giovane ormai da settimane e, piano piano, si stava facendo strada nella sua mente l’idea di usare il suo potere per prendersi, se non altro, un piccolo, posticcio pezzetto della felicità che le era dovuta. Quando Grimilde vide la giovane che, una volta finito di fare il bucato, si toglieva i vestiti per darsi una rinfrescata nell’acqua della fontana, sentì un piacevole brivido nel basso ventre, e decise che era arrivato il tempo di agire.
Molti dei suoi sudditi la ritenevano una strega, per via delle proprietà magiche del suo specchio e a causa degli sguardi che Grimilde lanciava alle altre fanciulle. In realtà, era solo molto istruita, e molto ricca. Nei giorni successivi preparò tutto con dovizia; i collaboratori a cui aveva assegnato i vari incarichi le avevano procurato il materiale che aveva richiesto, senza fare nessuna domanda. Le avevano portato un naso finto ed un vecchio vestito: con trucchi adeguati, Grimilde era riuscita a camuffare il suo aspetto fino a sembrare una vecchia con profonde occhiaie o, almeno, così appariva nella penombra. E l’infuso di belladonna, dopo qualche giorno di macerazione in acqua tiepida e miele, era ormai pronto per essere usato, mescolato con del cibo.
Quella notte, come troppo spesso accadeva, fu costretta ad accogliere dentro di sé il membro nodoso dell’uomo che era stata costretta a sposare ma, mentre lui sbuffava e si contorceva sopra di lei, Grimilde sorrideva pensando al dolce piacere che avrebbe finalmente conosciuto il giorno successivo.
Biancaneve, come tutte le volte in cui il sole splendeva, dopo un pranzo leggero abbandonò la sua abitazione in mezzo ai prati per fare due passi. Aveva bisogno di approfittare delle ore del giorno per sentirsi libera, almeno un po’. La vita con lei non era stata tenera; dopo aver perso i genitori, per tirare avanti era stata costretta ad accettare un lavoro da domestica. Non poteva dire di essere felice; da piccola aveva tutt’altre speranze, ma la vita l’aveva costretta a fare da balia a quei minatori pelosi, originari di un’isola in mezzo al mar Mediterraneo. Ora che era cresciuta, e che le sue forme erano sbocciate, sentiva su di sé i loro sguardi viscidi e, sempre più spesso, era costretta a sopportare le loro mani ruvide che la sfioravano “inavvertitamente”. Sapeva che tutti, tranne forse il più piccolo, avrebbero voluto godere del suo corpo, e da quando ne aveva scoperto uno che la sbirciava di nascosto durante il bagno, aveva cominciato a lavarsi e cambiarsi d’abito solo mentre loro erano al lavoro. Del resto, anche quando si recava in paese per fare degli acquisti, gli uomini la guardavano ingolositi, mentre le donne la squadravano invidiandone il profilo. Le giovani forme erano piene, ma sode; i lunghi capelli neri incorniciavano il suo viso dallo sguardo dolce e dal sorriso luminoso, nonostante le difficoltà della vita.
Percorreva con tranquillità il solito percorso lungo il bosco, godendosi il profumo umido dell’aria autunnale, quando vide una figura avvolta in un vestito liso dal tempo. Una vecchia signora era a terra, carponi, mentre raccoglieva dei funghi caduti a terra; probabilmente era inciampata. “Lasci che la aiuti”, disse Biancaneve. “Grazie, signorina, grazie mille” rispose la donna. Aveva una voce un po’ sforzata, e si copriva il volto con il cappuccio. Inoltre, la penombra del fitto bosco impediva a Biancaneve di vederla bene in viso. “Sono inciampata, dovevo fare più attenzione… ti ringrazio per l’aiuto che hai dato ad una povera vecchia, accetta in dono questa mela!” Biancaneve rifiutò con garbo. “Ti prego, accetta la mia offerta! Ne sarei felice”, disse la donna. Biancaneve allora accettò, anche se un po’ a disagio, in quanto la donna continuava a distogliere lo sguardo e a coprirsi il volto con il cappuccio.
“Ti auguro una buona giornata, ragazzina! Tante cose buone”, disse la donna.
“Si figuri, è stato un piacere. Buona giornata a lei, e grazie per il suo gentile regalo!” disse Biancaneve. Era un po’ imbarazzata: aveva la mela in mano e non poteva riporla da nessuna parte. Mentre si allontanava, non sentendosi di gettare il regalo di quella gentile vecchietta, la morse. Aveva un sapore stranamente dolce, come se fosse stata immersa nel miele, ma un retrogusto amaro. Si guardò alle spalle: la donna stava proseguendo nella sua stessa direzione, e sarebbe stato sgarbato buttare a terra la mela. Diede allora un altro morso.
Subito dopo, inciampò, rischiando di cadere. Ebbe la strana sensazione che il sentiero fosse instabile sotto i suoi piedi. Si appoggiò al tronco di un albero. Anche quello, assieme a tutto il bosco, cominciò a girare attorno a lei. Sentì alle sue spalle la voce della vecchia: “Tutto bene, ragazzina?” Biancaneve cominciava a sentirsi confusa, ma si rese conto che quella voce era diversa da prima, sembrava quella di una donna più giovane. “Io… sì grazie, sto benissimo”, rispose. Ma in quello le gambe le cedettero, e cadde in ginocchio. La vista le si offuscò. Vacillò all’indietro, ma non cadde: delle braccia la stavano sostenendo. La sua mente era ora completamente annebbiata, non capiva cosa stesse succedendo, percepiva solo luci, suoni e vertigini. Era troppo confusa per provare paura e, seppure desiderasse divincolarsi, i suoi muscoli erano intorpiditi e si mosse debolmente. Si rese conto che il suo corpo veniva trascinato in un luogo più luminoso, ed adagiato sul morbido. Era supina sull’erba, in una piccola radura. Un’ombra, forse la vecchia di prima, si sporse su di lei; stava parlando, ma Biancaneve non capiva cosa dicesse. Provò a parlare, ma dalla sua bocca uscirono solo dei mugolii strozzati. Percepì una sensazione delicata, forse delle mani, che accarezzavano le sue gambe; all’inizio la sfioravano, ma dopo pochi secondi sentì dei delicati pizzicotti, che piano piano salivano lungo l’interno della coscia. Poi sentì del solletico sulla pancia, e poi ebbe una sensazione di fresco. Si rese conto che quelle mani la stavano spogliando; si chiese se avesse dovuto opporsi, ma la risposta non era importante, in quanto le sue membra erano completamente prive di forze. Agitò inutilmente un braccio, mentre vedeva l’ombra danzare sopra di sé; da scura che era, la figura divenne rosa, e le parlava. “…bella… morbida… mia” furono le prime parole che Biancaneve riuscì a comprendere. Mosse piano le mani e si toccò; le erano rimaste addosso le mutandine, per il resto era distesa, nuda, sull’erba. Un po’ alla volta cominciò a vedere meglio: la donna, ora completamente nuda, le si era messa a cavalcioni e le toccava voluttuosamente il seno. La figura sopra di lei era diversa dalla vecchia vista poco prima; il naso era molto più proporzionato, mentre erano rimasti dei segni neri a simulare delle occhiaie. “Mia cara”, disse la donna, “dopo tanto tempo potremo stare un po’ assieme. Ti piacerà…”
(continua...)
ATTENZIONE: CONTIENE SCENE DI SESSO NON CONSENSUALE
Grimilde aveva avuto dalla vita tutto ciò che si potesse desiderare. Era la potente regina di un piccolo, ma prospero regno. Era ricca. E bella, molto bella: anche se non era più nel fiore degli anni, il tempo era stato galantuomo con lei, lasciando intatto il suo fisico slanciato ed i suoi lunghi capelli corvini. Ma, nonostante questo, già quando era ragazza Grimilde aveva capito che non avrebbe mai potuto essere veramente felice, perché non le sarebbe stato consentito di vivere la vita che voleva. Perché lei non era come tutte le altre.
Ormai da anni viveva con questo rimorso, che giorno dopo giorno tormentava la sua mente; l’invidia per la felicità altrui l’aveva resa una persona fredda, ed una sovrana dura ed inflessibile: erano lontani i tempi in cui era una ragazza allegra e gentile.
“Specchio, servo delle mie brame… Chi è la più bella del reame?” scandì, osservando il riflesso della sua immagine asciutta, ben fasciata in un elegante veste. Lo specchio fatato della sua stanza vibrò inizialmente di una luce lattiginosa; poi il riflesso si sfocò e, pian piano, apparve l’immagine di una giovane contadina dai capelli neri come l’ebano e dalla pelle bianca come il latte che, china sul lavatoio in cortile, strofinava con la cenere un paio di pantaloni presi da una grossa pila di indumenti sporchi. Grimilde osservava con desiderio quella giovane ormai da settimane e, piano piano, si stava facendo strada nella sua mente l’idea di usare il suo potere per prendersi, se non altro, un piccolo, posticcio pezzetto della felicità che le era dovuta. Quando Grimilde vide la giovane che, una volta finito di fare il bucato, si toglieva i vestiti per darsi una rinfrescata nell’acqua della fontana, sentì un piacevole brivido nel basso ventre, e decise che era arrivato il tempo di agire.
Molti dei suoi sudditi la ritenevano una strega, per via delle proprietà magiche del suo specchio e a causa degli sguardi che Grimilde lanciava alle altre fanciulle. In realtà, era solo molto istruita, e molto ricca. Nei giorni successivi preparò tutto con dovizia; i collaboratori a cui aveva assegnato i vari incarichi le avevano procurato il materiale che aveva richiesto, senza fare nessuna domanda. Le avevano portato un naso finto ed un vecchio vestito: con trucchi adeguati, Grimilde era riuscita a camuffare il suo aspetto fino a sembrare una vecchia con profonde occhiaie o, almeno, così appariva nella penombra. E l’infuso di belladonna, dopo qualche giorno di macerazione in acqua tiepida e miele, era ormai pronto per essere usato, mescolato con del cibo.
Quella notte, come troppo spesso accadeva, fu costretta ad accogliere dentro di sé il membro nodoso dell’uomo che era stata costretta a sposare ma, mentre lui sbuffava e si contorceva sopra di lei, Grimilde sorrideva pensando al dolce piacere che avrebbe finalmente conosciuto il giorno successivo.
Biancaneve, come tutte le volte in cui il sole splendeva, dopo un pranzo leggero abbandonò la sua abitazione in mezzo ai prati per fare due passi. Aveva bisogno di approfittare delle ore del giorno per sentirsi libera, almeno un po’. La vita con lei non era stata tenera; dopo aver perso i genitori, per tirare avanti era stata costretta ad accettare un lavoro da domestica. Non poteva dire di essere felice; da piccola aveva tutt’altre speranze, ma la vita l’aveva costretta a fare da balia a quei minatori pelosi, originari di un’isola in mezzo al mar Mediterraneo. Ora che era cresciuta, e che le sue forme erano sbocciate, sentiva su di sé i loro sguardi viscidi e, sempre più spesso, era costretta a sopportare le loro mani ruvide che la sfioravano “inavvertitamente”. Sapeva che tutti, tranne forse il più piccolo, avrebbero voluto godere del suo corpo, e da quando ne aveva scoperto uno che la sbirciava di nascosto durante il bagno, aveva cominciato a lavarsi e cambiarsi d’abito solo mentre loro erano al lavoro. Del resto, anche quando si recava in paese per fare degli acquisti, gli uomini la guardavano ingolositi, mentre le donne la squadravano invidiandone il profilo. Le giovani forme erano piene, ma sode; i lunghi capelli neri incorniciavano il suo viso dallo sguardo dolce e dal sorriso luminoso, nonostante le difficoltà della vita.
Percorreva con tranquillità il solito percorso lungo il bosco, godendosi il profumo umido dell’aria autunnale, quando vide una figura avvolta in un vestito liso dal tempo. Una vecchia signora era a terra, carponi, mentre raccoglieva dei funghi caduti a terra; probabilmente era inciampata. “Lasci che la aiuti”, disse Biancaneve. “Grazie, signorina, grazie mille” rispose la donna. Aveva una voce un po’ sforzata, e si copriva il volto con il cappuccio. Inoltre, la penombra del fitto bosco impediva a Biancaneve di vederla bene in viso. “Sono inciampata, dovevo fare più attenzione… ti ringrazio per l’aiuto che hai dato ad una povera vecchia, accetta in dono questa mela!” Biancaneve rifiutò con garbo. “Ti prego, accetta la mia offerta! Ne sarei felice”, disse la donna. Biancaneve allora accettò, anche se un po’ a disagio, in quanto la donna continuava a distogliere lo sguardo e a coprirsi il volto con il cappuccio.
“Ti auguro una buona giornata, ragazzina! Tante cose buone”, disse la donna.
“Si figuri, è stato un piacere. Buona giornata a lei, e grazie per il suo gentile regalo!” disse Biancaneve. Era un po’ imbarazzata: aveva la mela in mano e non poteva riporla da nessuna parte. Mentre si allontanava, non sentendosi di gettare il regalo di quella gentile vecchietta, la morse. Aveva un sapore stranamente dolce, come se fosse stata immersa nel miele, ma un retrogusto amaro. Si guardò alle spalle: la donna stava proseguendo nella sua stessa direzione, e sarebbe stato sgarbato buttare a terra la mela. Diede allora un altro morso.
Subito dopo, inciampò, rischiando di cadere. Ebbe la strana sensazione che il sentiero fosse instabile sotto i suoi piedi. Si appoggiò al tronco di un albero. Anche quello, assieme a tutto il bosco, cominciò a girare attorno a lei. Sentì alle sue spalle la voce della vecchia: “Tutto bene, ragazzina?” Biancaneve cominciava a sentirsi confusa, ma si rese conto che quella voce era diversa da prima, sembrava quella di una donna più giovane. “Io… sì grazie, sto benissimo”, rispose. Ma in quello le gambe le cedettero, e cadde in ginocchio. La vista le si offuscò. Vacillò all’indietro, ma non cadde: delle braccia la stavano sostenendo. La sua mente era ora completamente annebbiata, non capiva cosa stesse succedendo, percepiva solo luci, suoni e vertigini. Era troppo confusa per provare paura e, seppure desiderasse divincolarsi, i suoi muscoli erano intorpiditi e si mosse debolmente. Si rese conto che il suo corpo veniva trascinato in un luogo più luminoso, ed adagiato sul morbido. Era supina sull’erba, in una piccola radura. Un’ombra, forse la vecchia di prima, si sporse su di lei; stava parlando, ma Biancaneve non capiva cosa dicesse. Provò a parlare, ma dalla sua bocca uscirono solo dei mugolii strozzati. Percepì una sensazione delicata, forse delle mani, che accarezzavano le sue gambe; all’inizio la sfioravano, ma dopo pochi secondi sentì dei delicati pizzicotti, che piano piano salivano lungo l’interno della coscia. Poi sentì del solletico sulla pancia, e poi ebbe una sensazione di fresco. Si rese conto che quelle mani la stavano spogliando; si chiese se avesse dovuto opporsi, ma la risposta non era importante, in quanto le sue membra erano completamente prive di forze. Agitò inutilmente un braccio, mentre vedeva l’ombra danzare sopra di sé; da scura che era, la figura divenne rosa, e le parlava. “…bella… morbida… mia” furono le prime parole che Biancaneve riuscì a comprendere. Mosse piano le mani e si toccò; le erano rimaste addosso le mutandine, per il resto era distesa, nuda, sull’erba. Un po’ alla volta cominciò a vedere meglio: la donna, ora completamente nuda, le si era messa a cavalcioni e le toccava voluttuosamente il seno. La figura sopra di lei era diversa dalla vecchia vista poco prima; il naso era molto più proporzionato, mentre erano rimasti dei segni neri a simulare delle occhiaie. “Mia cara”, disse la donna, “dopo tanto tempo potremo stare un po’ assieme. Ti piacerà…”
(continua...)
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