2. Memorie di una segretaria

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2. MEMORIE DI UNA SEGRETARIA



I giorni si susseguivano e per ogni giorno che passava io sentivo sempre maggiore dimestichezza con il mio lavoro. Ero già stata alcune volte in missione assieme al Direttore, un paio di volte anche all’estero. In alcuni casi me l’ero pure cavata da sola. Insomma, andava tutto a gonfie vele, anche se in certi periodi passavo più ore in ufficio che a casa. Ma in banca in compenso avevo adesso un bel conticino. E con i soldi mi ero fatto una bella casa, dove il guardaroba, pur capiente com’era, cominciava a farsi stretto. Se per alcuni anni avevo fatto vita quasi da eremita in campagna, ora avevo sempre gente tra i piedi ed ero stata perfino costretta a razionare gli incontri.

Il mio problema esistenziale era stato nel frattempo risolto. Come mi aspettavo, con Mario non c’era stata neppure una discussione. Da tempo l’aveva capita anche lui. Tra l’altro al suo ristorante figurava ora un nuovo personaggio, una donna che, entrata come cameriera, ora faceva quasi tutto, ed era diventata anche la fidanzata del mio ex. Tutti felici e contenti quindi, tranne i miei nonni, a cui questa mia nuova vita non era mai piaciuta, malgrado piacesse molto a me e malgrado anche il nuovo rango che avevo assunto e le soddisfazioni che mi stavo prendendo. Ma li avevo perdonati, dopo quanto avevano fatto per me.

Questa nuova vita aveva portato con sé una conseguenza che, non mi sarei mai aspettata solo un paio di anni prima. Il mio appetito per il sesso era tornato a fiorire e io non ne ero affatto preoccupata. Ero contenta della mia relazione con Nicole, che continuava ad andare alla perfezione. Ci eravamo adattate l’una all’altra come una mano al guanto e la cosa aveva dato ottimi risultati anche dal punto di vista del lavoro. Il Direttore era quindi arcisoddisfatto. Tanto che, essendo venuto a sapere del mio divorzio, era stato lui a trovarmi casa a condizioni molto vantaggiose, nella stessa zona dove abitava Nicole.

Da tempo nella Società avevo iniziato a far parte di alcuni gruppi di lavoro. Uno di questi era quello che riguardava la produzione. Ne faceva parte, oltre al Direttore, anche la stilista e la responsabile del laboratorio. Spesso, quando venivano elaborati i nuovi modelli e si dovevano provarli, con le sole spille a tenerli assieme, ero io a farlo, cosa che si era rivelata molto più funzionale rispetto al semplice manichino. Ormai mi ero avvezzata a indossarli e mi spogliavo lì davanti a tutti, incurante della presenza del Direttore, che era comunque l’unico uomo presente. Ma lui sembrava non farci neppure caso, come del resto avevo capito fin dal primo giorno. Per i capi di abbigliamento maschili venivano invece chiamati talvolta modelli dall’esterno.

I modelli maschili erano per lo più bei fusti, ma quasi tutti gay. Un giorno si presentò invece per la prima volta un uomo di colore, che alla sua entrata rese tutti attoniti. Era di una bellezza scultorea. Era abbastanza alto e aveva un corpo snello e muscoloso. Aveva per di più un volto piacevole. Si chiamava Robin ed era inglese. Io rimasi stordita e non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Fui io a parlargli, dal momento che ero l’unica a parlare l’inglese, e ricordo che mentre gli stavano mettendo addosso gli abiti da provare non resistetti a mettergli anch’io le mani addosso, e rabbrividii a sentire il suo torso muscoloso.

Ricordo quando uscì dal camerino alla prima prova. Con quel suo corpo e quelle sue movenze aveva in sé qualcosa di selvaggio che mi fece venire l’acquolina in bocca. Quando poi provò un paio di pantaloni estivi vidi che aveva un grosso gonfiore tra le gambe. Io avevo sentito parlare delle misure del sesso degli uomini di colore, e questo mi mise dentro un’eccitazione che non mi riusciva di calmare. Provai perfino ad immaginarmelo, lungo e grosso come doveva essere. Provai ad immaginarmelo in mano, oddio, e tra le labbra?! E averlo dentro?! No, basta, cercai di non pensarci e di vedere la cosa solo per quello che era, nient‘altro che lavoro.

Arrivammo alla fine delle prove e si era fatto un po’ tardino. Robin era venuto in taxi e quel giorno pioveva a catinelle e fu impossibile trovare una macchina. Il Direttore si rivolse allora a me chiedendomi se potevo essere io a riportarlo al centro. Io sentii un groppo alla gola quando risposi di si.

Poco dopo mi trovai fuori dell’ufficio correndo sotto la pioggia verso la macchina, agganciata stretta al bel Robin che reggeva l’ombrello. Appena seduti in macchina mi rivolsi a lui e gli chiesi dove voleva che lo portassi. Lui mi guardò con un sorriso sornione e mi rispose che per lui io potevo portarlo dove volevo. Io capii naturalmente cosa intendeva e la cosa mi mise in agitazione. Feci però finta di non capire e lui disse allora che gli era venuta una gran fame e se volevo potevo quindi portarlo a un ristorante dove se volevo potevamo mangiare insieme. Il mio cuore fece un balzo, ma io finsi di pensarci su e con la scusa che mi faceva piacere parlare l’inglese gli dissi che per me andava bene. Rimanemmo in silenzio mentre io guidavo e intanto pensavo a dove portarlo. Mi dissi che non volevo andare in uno dei ristoranti dove ero conosciuta, così gli chiesi dove abitava per orientarmi. Quando me lo disse seppi subito dove portarlo, non lontano da casa sua.

Ci sedemmo in un angolo della sala dove non c’era molta luce e dove ci potevamo sentire indisturbati. Ordinammo da mangiare. Io ero stata spesso in Inghilterra e anche in Scozia, ai tempi del lavoro con i nonni, e quindi trovammo subito cose in comune di cui parlare mentre aspettavamo di essere serviti. Quando ebbi il piatto davanti stentai però quasi a mangiare. Mi sentivo bloccata, ero agitata, avevo infradiciato le mutande e mentre balbettavo banalità sulla metro di Londra o sui laghi in Scozia, non pensavo ad altro che a scoparlo, il più presto possibile. Tenevo nervosamente le cosce ben strette e con una mano stavo lì a toccarmi tutto il tempo un bottone della blusa. Lui sembrava non far caso al mio nervosismo, mangiava lentamente e se la prendeva con comodo. Avevo quasi l’impressione che mi stesse deridendo.

Finito finalmente di mangiare e pagato il conto ci alzammo e uscimmo in strada. Aveva finito di piovere. Io con le gambe un po’ malferme mi diressi verso la macchina. Robin mi seguiva a pochi passi, ma arrivati alla macchina mi raggiunse e con un braccio mi afferrò. Ci baciammo come forsennati finché non fu lui a riportarmi ridendo alla realtà. Rientrammo in macchina ed in un attimo eravamo arrivati sotto la sua casa.

Robin abitava al primo piano. Non ci volle molto quindi per arrivare alla porta del suo appartamento. Io salendo le scale mi sentivo tremare le gambe e il cuore era in tumulto. Appena entrati in casa lui, chiusa la porta, mi agguantò, mi spinse contro la parete, mi sollevò da sotto e poi, slacciati i suoi jeans con una mano, sfoderò la sua mazza e me la infilò dentro di prepotenza. Io vissi quei pochi istanti come in trance. In un attimo mi ero trovata con la schiena contro il muro, sollevata in aria dalle sue mani robuste, e lui che mi scopava come una furia. Non era solo quel coso enorme che mi aveva riempita tutta e mi stava sfondando, ma era la sua forza che mi lasciava inebetita. Sentivo la mia voce gemere, o forse urlavo, non lo so. Ma era solo l’inizio. Un attimo dopo, in un istante, mi aveva gettato su un letto, lì mi aveva voltato, aveva sollevato la gonna, tirato giù le mutande e così, spingendomi con forza sul letto aveva cominciato a scoparmi con la stessa veemenza. Io, la bocca contro il cuscino, ora grugnivo dal piacere. Lui mi scopava, io ero inerte. Per la prima volta nella mia vita mi sentivo realmente e fisicamente posseduta. Non so quanto tempo continuò a sbattermi, ma ad un tratto si rialzò e si spostò sul mio volto. Io aprii le labbra e glielo presi appena in tempo per sentirlo esplodere nella mia bocca.

Rimanemmo alcuni istanti immobili. Fu lui a parlare per primo. Mi chiese se era stato troppo violento. Mi disse che da quando io l’avevo visto non avevo fatto che provocarlo con i miei sguardi. Io lo guardai sorridendo, ancora stordita, senza rispondere. L’avevo desiderato dal primo momento e ora che mi aveva scopata l’avrei fatto ancora non so quante volte, allo stesso modo, con quella sua violenza selvaggia. Avevo goduto come un’ossessa e non ero ancora sazia. Ne volevo ancora e glielo dissi. Quindi mi alzai, mi riassettai i vestiti, andai un attimo in bagno a guardarmi allo specchio. Poi lo salutai e me ne andai.

In macchina tornando a casa ero ancora scossa. L’incontro con Robin mi aveva letteralmente annientata. Sin dal momento in cui l’avevo avuto vicino a me in macchina sentivo di aver perso completamente il controllo di me stessa. Non mi era mai capitato di sentirmi così dominata con un uomo come era stato con lui. Ora sentivo però di volerlo ancora e ora che la pazza frenesia che mi aveva così sconvolta si era un po’ calmata, potevo forse goderlo meglio, con maggiore distanza. L’avrei ancora fattoma non a lungo. Sentivo comunque di volerne parlare con Nicole.

Un giorno, dopo un estenuante seduta di lavoro, decidemmo di andare nuovamente da lei. Mentre mangiavamo le raccontai dell’avventura con Robin. Scoppiò a ridere e mi disse che era proprio questo che lei amava in me. La spontaneità dei miei sensi. Così disse. Quando poi avevamo finito di mangiare, improvvisamente stette un attimo a pensare e poi corse via un momento. Quando ritornò aveva un sacchetto con sé. Mi disse perentoriamente di seguirla in camera e una volta lì mi ordinò di spogliarmi. Io tutta emozionata lo feci. Mi disse di mettermi sul letto a quattro zampe ed a quel punto mi mise una benda nera sugli occhi e mi disse di non muovermi. Io ubbidii senza fiatare. Fremente di impazienza mi domandai cosa stesse facendo. Stetti in sospeso alcuni secondi mentre la sentivo maneggiare, poi sentii che mi prendeva un braccio e che lo agganciava a una manetta. Quando sentii il suono di una catenella capii che mi stava legando alla testiera del letto. Io tutta eccitata la lasciavo fare. In ultimo mi legò i piedi allo stesso modo. Mi ordinò di aspettare così senza muovermi.

Quando d’improvviso mi arrivò la sculacciata a mano aperta sul sedere mi fece male e urlai. Alla seconda e alla terza urlai ancora più forte. Ma subito mi arrivò la sua lingua dove più la desideravo. Nicole aveva una lingua pazzesca. Non solo era lunga e bagnata come tutte le lingue, ma era anche vellutata e sapeva essere rigida e flessibile, tenera e forte allo stesso tempo. Con quell’arnese lei era capace di farmi cose che mi mandavano in delirio. Continuò così per un bel po’ a maltrattarmi con vigore per poi subito dopo darmi il sollievo della sua deliziosa lingua, mentre io urlavo e gemevo allo stesso tempo, tra un orgasmo e l’altro. Avevo del tutto confuso la percezione del dolore con quella del piacere. Ero affranta quando a un certo punto Nicole si gettò sul letto accanto a me, mi abbracciò e mi riempì la faccia di baci.

Quando ci fummo calmate ci parlammo a lungo. Le chiesi perché lo aveva voluto fare. Lei, sorpresa, mi chiese se non mi era piaciuto. Le risposi di si, era stato fantastico e avevo goduto un sacco, ma la sorpresa e tutte le sensazioni che avevo provato mi avevano stravolta. Avrebbe dovuto avvertirmi, le dissi. Lei si mise a ridere e mi spiegò che la sorpresa faceva parte del gioco. Perchè sennò bendarmi, aggiunse. Rimanemmo ancora un po’ abbracciate sul letto, poi lei si staccò da me, allargò le sue lunghe gambe e iniziò a masturbarsi come sempre faceva dopo i nostri giochi. Ma questa volta il suo orgasmo fu più intenso del solito.

Passò del tempo e la mia vita continuò ad essere intensa, ricca di impegni, di viaggi, di incontri. Avevo da tempo smesso di incontrare Robin, che tra l’altro penso avesse lasciato l’Italia. Mi sentivo ora sempre più padrona del mio ruolo nella Società. I miei rapporti con il Direttore erano ottimi e lui era sempre molto generoso nell’elargire elogi e incoraggiamenti, tanto che cominciavo a provare affetto per lui. In Società ora ero vista con rispetto ed anche nell’ambiente della moda si cominciava a parlare di me. Avevo già partecipato al lancio dei modelli primaverili e di quelli invernali ed avevo visitato ormai tutte le principali manifestazioni di moda in Europa.

Anche come donna ero molto cresciuta e di questo avevo ora piena coscienza. Il Direttore mi dava sempre maggiore fiducia ed ormai non c’era più alcun problema per il quale non fosse sentito anche il mio parere.

Venne il giorno in cui si presentò per me il maggiore di tutti gli impegni che finora avevo affrontato. Si sarebbe presto aperto il Salone della Moda a Los Angeles, che era forse il più importante nell’America del Nord. La nostra Società vendeva in America, ma non aveva mai raggiunto un volume di affari soddisfacente e il Direttore vedeva in quella manifestazione un’occasione per rilanciarsi in quel grande mercato. Los Angeles era poi importante per essere la capitale mondiale dello spettacolo. Hollywood, il mondo del cinema, la ricchezza straripante di quella città. Riuscire a Los Angeles sarebbe stato un bel colpo. Il Direttore aveva perciò da tempo messo tutta la Società sotto pressione e aveva anche cercato nuove consulenze stilistiche da cui si aspettava un arricchimento dell’intera collezione.

Nel grande albergo di Los Angeles il giorno dell’arrivo erano presenti un gran numero delle maggiori Società della moda europea con le loro staff e i loro stilisti. Io non aveva mai visto concentrati in una sola manifestazione tanti volti noti. La sera nei saloni dell’albergo avrebbe avuto luogo la cena di gala e io ero seduta elegantissima a un tavolo assieme agli altri rappresentanti della Società. Avevamo quasi finito di mangiare, quando su un vassoio con un cameriere mi arrivò una grossa busta chiusa. Nel chiasso generale nessun altro lo notò. Solo Nicole, che mi sedeva vicino, mi guardò incuriosita. Io aprii la busta da cui uscì una carta pergamena stampata elegantemente su cui era scritto questo testo: “La Signoria Vostra è invitata al Pranzo sexy che verrà servito nella nostra abitazione di Beverly Park domani alle ore 13,00.
L’invito è strettamente personale e non può essere ceduto a terzi. Per favore rispondere in giornata, entro le ore 24,00, al seguente indirizzo elettronico:…………….”
Lorena & John Harrison

Io porsi subito la carta a Nicole, che la lesse e con gli occhi stralunati mi disse che gli Harrison, erano i padroni della maggiore catena di magazzini dell’intero Nord America. Poi rimase un attimo assorta in silenzio, così io mi preoccupai e le chiesi che c’era che non andava. Nicole mi guardò negli occhi e poi mi disse che non sapeva da dove cominciare, ma lei aveva saputo che gli Harrison erano una coppia giovane e molto nota nell’ambiente del jet set di Los Angeles. Erano miliardari ed erano noti per i loro pranzi di cui non si sapeva molto più del fatto che fossero prelibati, ma piuttosto spregiudicati, disinibiti. I pranzi si svolgevano solitamente con un numero limitato di persone, tutte giovani, dai 20 ai 40, e tutte belle, a cominciare dalla moglie Lorena, che era brasiliana, da tutti considerata un vero splendore di donna. Si diceva che non si faceva uso di droghe, perlomeno pubblicamente, ma d’altra parte il nome che gli Harrison si erano procurati era di grande prestigio e senza alcuna macchia di nessun genere. Insomma, per me ricevere quell’invito dovevo considerarlo una vera bomba. Le chiesi perché e cosa intendeva con pranzi spregiudicati. La risposta di Nicole fu perentoria. Il pranzo era una scusa per scopare e questi avevano invitato bella gente per divertirsi e perché si scopassero l’uno con l’altro. Tanto per dirla in parole povere, mi disse. La bomba è il fatto che si tratta degli Harrison. aggiunse, e se facevo centro in quella casa poteva scapparci un bell’ordine. A quel punto mi guardò diritta negli occhi. Avevo capito?

Io continuavo a non capire. Perché invitare me, e come facevano a conoscermi e poi cosa, scopare, mica ti possono costringere, se non ti piace, le dissi. La situazione mi sembrava piuttosto irreale e io mi sentivo piuttosto incerta. E se non ci andavo che succedeva? Le domandai. Nicole attese un momento prima di parlarmi e quando lo fece aveva quel tono sicuro che le era abituale quando si parlava di lavoro.

Quanto al fatto che mi fosse giunto quell’invito bastava che mi guardassi allo specchio per avere una risposta, mi disse guardandomi con aria ironica. Ormai facevo parte di quel mondo e quell’invito non ne era altro che la consacrazione. Dovevo esserne orgogliosa. Per quanto riguardava il resto mi disse che secondo lei dietro gli inviti c’era sicuramente stata una breve ricerca che seguiva un semplice copione: belli, giovani e etero. Persone che corrispondevano a quei requisiti, nel mondo del business e della moda nello specifico, per di più in una città come Los Angeles, erano di sicuro esperti cultori del sesso. Metterli assieme e far sesso era come mettere assieme giocatori di calcio e dire loro di giocare. Se la festa era ben fatta, e su questo non aveva un solo dubbio, mi disse Nicole con enfasi, ci sarebbe stato da divertirsi. Ne era certa. Mi ricordò poi che il nome Harrison voleva dire i maggiori Grandi Magazzini del Nord America. Se mi comportavo bene e riuscivo a farmi apprezzare, prima di tornare in Italia mi mettevano in mano un bel contratto. Aggiunse poi che quello che avrei fatto lì sarebbe rimasto tra quelle mura e nessun altro al di fuori ne sarebbe mai venuto a sapere qualcosa. Se tutto andava bene mi sarei divertita, avrei mangiato in modo straordinario e avrei poi avuto qualcosa da raccontarle, che l’avrebbe forse perfino costretta ad invidiarmi. A quel punto Nicole rise.

Dovevo dirlo al Direttore, chiesi ancora a Nicole, e lei mi rispose che avrei potuto dirglielo, se volevo, se riuscivo a piazzare un bell’ordine. E non avevo alcun bisogno di dargli dettagli. A quel punto era rimasta ancora una cosa che non mi convinceva e gliela volli dire, anche se in fondo non mi importava granché. Mi rendevo conto che se lì a quel pranzo con diversi invitati si faceva sesso, erano allora tutti lì a guardare. Era come farlo in pubblico. Nicole mi diede la risposta che già conoscevo. Era come andare in un campo di nudisti. A un certo punto non ci si fa più caso. Appena una si toglie le mutandine le altre le vanno dietro. Non parliamo degli uomini. A quelli gli si rizza appena entrano, mutande o non mutande. Mi venne poi in mente un’ultima cosa e lì le andai più vicino e a un orecchio le bisbigliai che io in culo non l’avevo mai preso. Come potevo fare a rifiutarmi in un’occasione come questa. Avrei fatto la figura da bigotta, se le altre lo facevano e io no.

Nicole rise e mi rispose che lei non aveva esperienza a quel riguardo ma ne aveva parlato con diverse amiche che lo avevano provato e a nessuna di loro era dispiaciuto. Anzi. Ma bisognava farlo con un partner bravo. E poi bisognava essere bene lubrificate. La prima volta poteva sembrare stretto, ma una volta dentro era bello. Una le aveva detto di non aver mai goduto tanto come quando lo aveva fatto mentre con la mano si masturbava. Nicole mi guardò e poi disse tranquillamente che potevo portarmi dietro del lubrificante, poi andavo in bagno e me lo mettevo, così ero già pronta. Poi in fondo non era detto che sarebbe davvero successo, aggiunse.

Quella sera, dalla stanza dell’albergo, mandai un messaggio all’indirizzo della cartolina. Poco dopo mi arrivava un’informazione che una macchina mi avrebbe prelevata in albergo alle 12,30.

Ero nervosa quando uscii dall’albergo. Vidi subito un macchina che mi attendeva con l’autista e il mio nome stampato su un cartello. L’autista mi aprì la porta e io entrai e mi sedetti. Sentii subito il fresco della pelle del sedile sul sedere, perché mi ero messa un abito molto corto. Sotto avevo solo un tanga molto elegante, chiuso sul davanti da un bel medaglione. Non avevo reggiseno ma la scollatura era di quelle profonde ma strette. Avevo impresso in mente la raccomandazione di Nicole. Dovevo comportarmi bene ed avevo pensato di cominciare dalla parte giusta, coprendomi il meno possibile, ma senza eccedere. Avevo comunque con me un altro abito meno audace, nel caso ce ne fosse stato il bisogno.

La strada era stupenda, lungo il mare e ovunque si vedevano ville, giardini, palme a non finire. Io però non potevo fare a meno di pensare alla bizzarria della situazione in cui mi trovavo. Ero in macchina con un autista diretta in un posto dove avrei fatto sesso con gente che non avevo mai visto prima. Scelte da un certo Harrison di cui io non avevo mai sentito parlare! Aveva risposto di si a un invito di quel genere. Cose da pazzi, pensavo mentre guardavo fuori dal finestrino.

Il viaggio terminò finalmente sotto un’enorme villa di due piani costruita su un roccione a picco sull’oceano. Attorno alla villa un parco, con palme e altre piante esotiche, su un lato una piscina e sotto la villa una piccola insenatura e una grossa barca a vela attraccata al molo. Una porta a vetri si aprì e una cameriera mi accolse e mi prese la borsa, che mise subito in un armadio. C’era tramestio in giro perché altri erano arrivati contemporaneamente a me. Con la mia borsetta a tracollo mi avviai nella stessa direzione degli altri per entrare in un enorme sala illuminata da un finestrone sul soffitto. Fu allora che vidi gli Harrison.

John era un bell’uomo, alto e elegante e Lorena era davvero splendida, in un abito che non nascondeva nulla, ma con eleganza. Brasiliana, aveva il colore un po’ scuro della mulatta, un corpo magro e flessuoso con una vita stretta che si apriva su dei larghi fianchi. Aveva una schiena sinuosa stupenda e un fondoschiena muscoloso, ben tornito su due gambe lunghe e ben fatte. Era una donna da capogiro che avrebbe fatto impazzire Nicole, pensai. I capelli erano lisci e neri, che lei aveva raccolti sulla nuca.

Quando venne il mio turno di salutare John mi chiamò per nome. Sapeva già chi ero. Aveva visto una mia foto? Probabilmente non lo saprò mai. Ma mi prese la mano e me la baciò, da vero gentiluomo e la cosa mi rasserenò subito. Lorena invece mi abbracciò come se ci fossimo conosciute da un’epoca. Alcuni camerieri distribuivano intanto in giro coppe di champagne. Ne presi una e intanto mi guardai in giro. Tutta bella gente, proprio come mi aveva detto Nicole. Mi trovai in un istante circondata da altri invitati. Tra poco ci saremmo forse visti nudi, pensai, mi accorsi di essere emozionata, ma il nervosismo che ancora avevo addosso mi impediva di essere eccitata. Parlavano tutti inglese, ma mi resi subito conto che io ero quella degli ospiti presenti che lo parlavo meglio. Mentre assorbivo un goccio di Champagne vidi che c’erano in tutto una decina di persone compreso i padroni di casa. Quattro erano le donne, tutte belle, eleganti, ben vestite, anche loro in modo piuttosto audace. Non mi sentii più a disagio. Eravamo ad armi pari. Gli uomini erano anche loro quattro, tutti bei fusti, un paio davvero molto sexy, uno aveva l’aria di un giornalista o scrittore, con gli occhiali, e l’altro era anglosassone. Gli uomini erano tutti interessanti, chi in un modo, chi in un altro. Delle donne, una, bruna, le parve europea dell’est e l’altra era senza dubbio cinese, almeno di origine. Delle altre tre non sapeva cosa dire, ma erano tutte certamente bene attrezzate, a giudicare da quanto si vedeva.

Ad un tratto fecero entrata due nuovi ospiti, un uomo e una donna, che vennero subito accolti dagli Harrison. Ora eravamo in tutto dodici, sei uomini e sei donne. Mi domandai se mancava ancora qualcuno ma ebbi presto la risposta, perchè John in quel momento fece cenno a tutti di seguirlo.

Ci fece entrare in una sala rettangolare che sembrava essere stata ricavata nella roccia, perché tre lati erano senza finestre, mentre un altro era interamente coperto da una lastra di cristallo, dietro alla quale c’era lo spettacolo dell’oceano, la scogliera che si perdeva all’orizzonte, le palme, il cielo e le nuvole bianche. Era una vista spettacolare che lasciò tutti col fiato sospeso. Le altre pareti erano ricoperte di pannelli antisonori, ai quali erano appesi quadri e rilievi di grande pregio. Il pavimento era interamente coperto di una moquette materassata, così che i nostri passi, le nostre voci, tutti i suoni erano attutiti. Si, insomma, c’era un’atmosfera gradevole, lì dentro. In fondo alla sala c’era una scala che portava ad un soppalco, con una porta che chiudeva l’accesso alla piscina, come ebbi modo di vedere più tardi. Sull’altro lato troneggiava invece un gran tavolo rotondo già allestito per il pranzo.

John ci disse di accomodarci al tavolo. Avremmo trovato i nostri nomi al posto dove sederci. Vidi che sul retro di ogni poltrona c’era un numero, ma notai soprattutto che le elegantissime poltrone stranamente avevano una foggia che ricordava quella dei dentisti ed erano fissate al pavimento. A terra sotto ogni poltrona si vedeva una rotaia che scorreva in senso perpendicolare rispetto al tavolo. Trovai il mio posto e mi sedetti. Automaticamente la poltrona si adattò al tavolo spostandosi di alcuni centimetri in avanti. Vidi sul bracciolo un bottone che serviva per tornare indietro. Avevo intanto annotato mentalmente che avevo il numero due. Presto ne avrei capito il significato.

Eravamo ancora tutti un po’ irrigiditi, malgrado lo champagne. Notai però con piacere, guardandomi attorno, che gli invitati, oltre a essere belli, giovani e etero, come aveva previsto Nicole, erano anche simpatici. Cominciai a sentirmi a mio agio. Mi domandai con chi avrei voluto scopare per primo, ma trovai tutti i maschi attraenti, compreso il padrone di casa. Cominciai a parlare un po’ con il mio vicino, un americano che si chiamava Dan, simpatico e elegante, con gli occhiali su due occhi scuri e rassicuranti.

Fu in quel momento che John si alzò per darci il benvenuto e io capii all'istante che eravamo in buone mani. Disse subito che si rendeva conto che probabilmente avevamo trovato l’invito insolito se non strano. Non era però la prima volta che quella sala ospitava sei uomini e sei donne, tutti decisamente belli. E ogni volta era andato tutto perfettamente e tutti si erano divertiti. Disse anche che lui e la moglie Lorena amavano la bellezza in tutte le sue forme e odiavano l’ipocrisia. Il pranzo era sexy, come scritto nell’invito, nel senso pieno della parola, la parola sesso. Aggiunse che fare sesso con una persona attraente era come per un violinista suonare su uno Stradivarius. Disse poi che era stato dato incarico come sempre a una ditta specializzata per la scelta di 10 uomini e dieci donne. Quindici avevano risposto di voler venire e quindi a cinque di loro era stato detto che non c’era più posto. Terminò dicendo che non dovevamo preoccuparci di come tutto sarebbe iniziato perché ci avrebbero pensato loro. Avremmo visto presto in che modo, non certo con una pistola come una gara da 100 metri, aggiunse ridendo.

Io cominciavo ad avere fame a quel punto e mi domandavo dove fossero i camerieri, ma non ebbi tempo di pensarci oltre, perché improvvisamente suonò un campanello e dal tavolo spuntarono 12 vassoi con un grande piatto e cibo di ogni genere, da mille e una notte. Rimanemmo tutti a bocca aperta. John ci disse che alla fine avremmo dovuto riporre il piatto sulla stessa piattaforma da dove era venuto. Ci spiegò che sotto alla nostra sala c’era la cucina e le gambe del tavolo fungevano da collegamento. Mi resi conto del perché non si sapesse molto in giro di questi pranzi, se tutto avveniva senza la presenza di estranei.

A un certo punto si udì il suono di un gong. Musica psichedelica cominciò a diffondersi nell’aria e dal pavimento in fondo alla sala si vide salire una specie di ascensore, dal quale balzarono fuori due uomini e una donna a passo di danza. Fece colpo questa loro improvvisa entrata. La donna, che era nera come il carbone, sembrava una silfide, con quel costume bianco che le copriva parte del corpo. I due uomini avevano invece l’aspetto di antichi guerrieri, uno con un costume tutto nero e l’altro tutto rosso. Ambedue avevano sul sesso un lungo cappuccio ricurvo e appuntito. Avanzarono al rallentatore seguendo in perfetta armonia il ritmo della musica. I due uomini avevano la stessa statura. Il primo, apparentemente latino, con i suoi capelli neri e arruffati, aveva un corpo agile, longilineo, l’altro era più robusto, le spalle larghe e dei capelli lunghi colorati di blu. Arrivati in mezzo alla sala si fermarono e con movimenti acrobatici cominciarono uno spogliarello per fermarsi ad un tratto all’unisono, completamente nudi, intrecciati tra di loro. A quel punto iniziò uno spettacolo indescrivibile. I loro movimenti, le posizioni, il ritmo, tutto avveniva in perfetto sincronismo e in modo da creare il massimo effetto erotico. I tre erano eccezionali ballerini e bravi acrobati e lei, con quel suo corpo nero e sinuoso e con le sue movenze feline aveva in sé un’incredibile carica erotica. Il punto d’incontro dei loro giochi era naturalmente lei e tutti i movimenti erano stati studiati alla perfezione in modo da giungere all’amplesso sempre in perfetto sincronismo. Legati poi nell’atto sessuale era lei a stabilire il ritmo. Con la bocca su l’uno e con l’altra parte del corpo sull’altro. Il ritmo seguiva naturalmente la musica, ma lei riusciva a volte a dare ai due movimenti due ritmi diversi, sempre però in completa armonia. Io rimasi stregata e quando alla fine i tre corpi si riunirono in una doppia penetrazione l’effetto su tutti noi fu travolgente. Finì tutto in un doppio orgasmo, anche quello in perfetta sincronia e per noi in un urlo collettivo e uno scrosciante applauso. Ora eravamo certamente tutti carichi.

John portò altre bottiglie di champagne sul tavolo. Ne avevamo bisogno, perché avevamo capito che ora era arrivato il momento anche per noi. Mentre mangiavo ancora un boccone di quello che era rimasto nel piatto sentii la sua voce che ci chiese ammiccando se eravamo pronti. Ci spiegò che adesso dovevamo fare conoscenza con le nostre poltrone. Sarebbero state loro a indicarci cosa fare e con l’aiuto della sorte accompagnare i nostri giochi. Ci diede poi un foglio di carta e aggiunse che ognuno di noi avrebbe dato un giudizio da uno a cinque sulle sei performance alle quali avremmo assistito. La migliore avrebbe ricevuto un bel premio. Mentre parlava le 12 poltrone si ritrassero indietro alla posizione iniziale. A quel punto lui ci mostrò due sottili mazzi di carte, uno nero e uno rosso, ognuno con sei carte con i numeri da uno a sei. Nero per gli uomini e rosso per le donne. Avrebbe estratto sempre prima una carta rossa, per sei donne diverse.

Fu il tre ad uscire per primo, la poltrona della mia vicina ebbe un lieve sobbalzo, fece un’inversione di 180 gradi, poi dal dietro dello schienale comparve un largo braccio materassato che si avvolse attorno al corpo di Lena, l’ungherese bionda e allegra che era lì seduta. A quel punto la poltrona si capovolse. Vidi le gambe di Lena sgambettare in aria mentre lei rideva divertita, poi vidi la parte di sotto della poltrona che si ritraeva dietro lo schienale. Il culo di Lena, sorretta ora solo dal braccio sotto il suo ventre, era ora in piena mostra. John prese ora una carta nera e a voce alta disse che il prescelto per questo gioco era il cinque. Era un simpatico scozzese, alto e piuttosto magro. Si alzò ridendo e si diresse verso Lena senza spogliarsi. Lei aveva ora aperto bene le cosce. La vedevo vicino a me e io mi domandai in quale dei due punti il bel scozzese si sarebbe soffermato. Lui si chinò in ginocchio, gli vedevo il cazzo ben ritto fuori dai pantaloni non lontano da me. Si chinò verso di lei e cominciò di lingua, su e giù, dentro e fuori. Lena cominciò a gemere e con le braccia si strinse a lui. Dopo un po’ lui si alzò, le si avvicinò e si piegò sulle gambe per raggiungerla. Lei ebbe un fremito e gemette più forte. La scena era piuttosto eccitante ma non ci fu altro. Quando fu il momento di venire, uscì da lei e lo spruzzo di sperma le uscì sul sedere. Lui prese un tovagliolo e la asciugò. Come inizio non fu granché, ma forse lo scozzese era emozionato.

La seconda poltrona scelse di allungarsi, a mo’ di lettino e i braccioli scomparvero, così la bella Lee, di origine cinese, che la abitava, si potè allungare in attesa del partner. Era elegante, Lee, e quando tirò su le gambe si vide che sotto l’abito portava delle leggere mutandine di seta. Le spostò un tantino per entrare con la sua lingua, il bel canadese che ebbe la sorta di incontrarla quel giorno. Poi decise di volerle presentare il suo cazzo. Si piegò quindi su di lei e alzandole la testa con ambo le mani si fece fare un pompino quel tanto che bastava, perché aveva deciso di prenderla da dietro. Quindi la fece rivoltare e si gettò con forza su di lei mentre con le mani si aggrappava alle sue belle grosse tette. Venne dentro di lei e si fece sentire da tutti.

Ancora presa dallo spettacolo a cui avevo appena assistito non feci caso a quando John pronunciò il mio numero. Avevo avuto il batticuore le due volte precedenti e ora venni invece presa di sorpresa. Sussultai quando mi sentii alzare dalla poltrona, che ora si comportò come la prima volta. Girò di 180 gradi per poi capovolgersi. Poi i braccioli sparirono e comparve il braccio materassato ad abbracciarmi sotto la mia pancia. Un attimo dopo ero a culo in aria, mentre il sedile spariva da sotto il sedere. Ebbi però il riflesso di tenere le gambe bene unite mentre andavo a testa in giù. Quando la poltrona si fermò allargai quindi le mie gambe a squadra. Volevo fare bella figura. Non udii il numero del mio partner, ma da sotto vidi la figura di John che avanzava verso di me. Oddio, pensai. Quando mi fu vicino e vidi il suo cazzo decisi improvvisamente di prenderlo di sorpresa. Alzai le braccia e con le mani, in acrobazia, lo agguantai alle gambe. Mi alzai così con la testa quel tanto che bastava per prenderglielo in bocca. Lui rimase sorpreso e dovette spostarsi un po’ indietro per facilitarmi il compito. Io glielo agguantai con una mano in modo da tenerlo in posizione e poi cominciai il pompino. Con la testa al contrario non l’avevo mai fatto, ma mi piacque e penso che piacque molto anche a lui. Dopo un istante volle prendere lui l’iniziativa, così si piegò verso di me per soddisfarmi con la sua lingua. Cercai di aprirmi il più possibile. Mi piaceva sentire la lingua infilarsi dentro di me e quella posizione era perfetta. Cominciai a gemere e lasciai la mia presa. Vidi allora che lui armeggiava con una mano nella tasca. Trasse fuori una fiaschetta e si bagnò bene le mani e poi se le spalmò in abbondanza. Capii allora cosa stava per fare. Riuscii a bisbigliare di fare attenzione perché non l’avevo mai fatto. Penso che mi sentì perché lo vidi prendere la fiaschetta nuovamente e ne versò anche su di me. Con le dita poi andò leggermente tutto attorno all’orifizio. Sentii poi un paio di dita che entravano dentro e mi ungevano. Poi avvertii la pressione su di me. Istintivamente io mi chiusi, ma fu solo un attimo. Riuscii a rilassarmi e sentii allora che mi scivolava dentro bello caldo. Un attimo dopo era tutto dentro. Restò un attimo fermo, per poi cominciare lentamente a muoversi dentro di me. Io mi misi due dita sul clitoride e cominciai a masturbarmi, come mi era stato detto. Penso che anche lui si accorse che stavo godendo come una matta perché aumentò subito il ritmo. Non sentivo affatto dolore, era solo una delizia e credo che lo feci sentire anche agli altri che ci guardavano. Fu molto bello quando lo sentii venire dentro. Ero appagata quando mi rimisi in ordine sulla mia poltrona, che ora aveva ripreso la sua posizione originale.

A quel punto si sentì nuovamente il campanello e una nuova portata di cibo spuntò fuori sul tavolo. C’era di tutto, io riuscii solo a riconoscere prosciutto, avocado, salmone, caviale, grosse ostriche e, naturalmente aragosta e poi una quantità di frutta esotica. Quella non poteva mancare. Ci versammo ancora champagne. Io adoro lo champagne. Intanto pensavo a quelle poltrone e all’idea di usarle per far sesso. Era piuttosto stravagante, ma aveva innegabilmente un effetto eccitante, soprattutto in una situazione come questa, dove nessuno si conosceva. Senza le poltrone, e chiamare poi per sorteggio due persone a far sesso sul tappeto, no, non sarebbe stato bello. L’alternativa poteva essere quella di mangiare e poi fare liberi tutti. Ma allora sarebbe stato difficile da controllare e sarebbe stata anche poco elegante. No, l’idea della poltrona, tutto considerato, mi persuadeva, era molto originale. Ma quelle posizioni? Finora ne avevamo viste solo due. Ce n’erano altre?

Erano ora rimaste tre carte dei rispettivi mazzi. Venne ora sorteggiata Lorena, la bellissima Lorena moglie di John, che non mi stancavo mai di guardare. La sua poltrona indietreggiò alcuni centimetri, i braccioli scomparvero e lo schienale si declinò di un tantino. Vidi Lorena immediatamente alzarsi e mettersi in ginocchio a cosce spalancate. Non aveva mutandine e il suo culo sporgeva indietro appena coperto da un lembo del suo abito bianco. Chi glielo avrebbe preso? Lo vidi contento il ricciuto francese che sarebbe piaciuto anche a me di conoscere meglio. Si alzò dal tavolo e si tolse in un attimo gli abiti. Quando le fu vicino si inginocchiò e fece un atto di riverenza a mani congiunte, come si fa davanti a un altare. Fu un gesto elegante e al tempo stesso divertente. Ma il culo di Lorena era veramente da venerare! Passò molto tempo a curarlo, quel capolavoro, con la lingua e con le mani e l’arnese se lo preparò a puntino con lubrificante a piene mani. Infine decise di alzare la poltrona quel tanto che bastava per essere in posizione. C’era solo da pigiare un bottone. Piegò le gambe un poco e le andò dentro adagio adagio, con calma. Poi le appoggiò le mani sulla schiena che accarezzò come fosse una gatta. Non aveva fretta il francesino, voleva godersela per bene, il birbaccione. Fu solo dopo un attimo, quando era entrato tutto dentro, che iniziò il suo ritmo cadenzato, avanti e indietro. Vedevo lei che lo accompagnava andandogli ad ogni colpo incontro, mentre con una mano si stava masturbando. Fui stupita quando vidi che lui ora la colpiva con quella veemenza, le mani strette ai suoi fianchi. Pensavo che metterlo in quel posto richiedesse maggiore riguardo, ma evidentemente non era così, perchè Lorena era in completa estasi. Fu bravo il francese a durare piuttosto a lungo e fu d’effetto il finale, con un ultimo colpo e il suo corpo che si allungava esausto su quello di Lorena.

Mi piacque molto quel bell’amplesso, così denso di sensualità, e d’incanto mi tornò addosso l’appetito. Mentre il francese tornava al suo posto i nostri sguardi si incontrarono. Io gli sorrisi, lui mi rispose.

Ora mancavano solo due performance. Delle donne c’era rimasta la bella spagnola, Isabel, piccolina, ma che corpo! E apparentemente molto caliente, con i suoi occhi grandi, scuri, vivaci. E poi l’altrettanto bella messicana, Gaby, la più procace di tutte, che aveva addosso tutte le curve del mondo. Gli uomini invece erano il lungo svedese Peter e un altro americano, che si chiamava Fred. Dopo il bel numero del francese con Lorena si sperava di vederne altri altrettanto belli.

La spagnola venne chiamata e la sua poltrona prese la posizione orizzontale. Isabel si tolse le scarpe, sollevò le sue gambe da terra ed ora sedeva su quello che era divenuto un lettino in attesa di conoscere il suo partner. Aveva le tette in esposizione e tra le cosce si intravedevano mutandine rosse. Voleva essere seducente e c’era riuscita. Fu Peter lo svedese il sorteggiato, che anziché andare subito a riverire la sua partner, preferì spogliarsi tranquillamente, per poi dirigersi con le sue lunghe gambe verso Isabel. Indugiò poi un attimo prima di andare con il volto a cercare Isabel tra le cosce. Trovate le mutandine le sfilò con calma e si mise al lavoro con la lingua. Lo fece a lungo prima di sollevarsi e di scegliere la classica posizione del missionario. Aveva un bel corpo muscoloso in tutta la sua lunghezza lo svedesone, ma era freddino nel suo modo di esprimersi e la calda Isabel a un certo punto cominciò a schiaffeggiarlo sulla schiena. Per tutta risposta Peter aumentò il suo ritmo, ma a Isabel non bastava, cosi cominciò lei a darsi da fare da sotto. Poi a un certo punto si stufò, si sciolse da lui, lo fece rivoltare e gli montò sopra. E poi si mise a scoparlo come un’ossessa. Era un vero spettacolo. Con le mani ben strette ai due lati del lettino il suo culo si agitava come uno stantuffo sul corpo dello svedese. Era instancabile, la spagnola, e lo svedese non aveva alcuna premura di venirsene. Nella sala si sentiva ora il battito cadenzato del culo di Isabel sul corpo di Peter e quell’urletto selvaggio, che lei emetteva ad ogni colpo. Alla fine Isabel si alzò, si mise in ginocchio accanto al lettino, glielo prese in bocca e gli fece un pompino che non finiva più. Quando si udì un grugnito capimmo tutti che lui, bontà sua, ce l’aveva fatta e Isabel era sfinita. La vidi riempirsi il bicchiere e bersi lo champagne di un fiato. Peter rimase composto e tranquillamente se ne tornò al suo posto dove altrettanto tranquillamente si rivestì.

L’incontro tra Fred e la messicana non ebbe invece lunga durata. Lei l’avrebbe voluto far durare a lungo. Si era spogliata subito e si era allungata sulla poltrona che aveva solo reclinato lo schienale e i braccioli. Fred stranamente si era gettato subito tra le gambe di Gabriela e vi indugiò a lungo. La messicana aveva un bel boschetto nero sul pube che lui lisciava continuamente con una mano mentre lavorava freneticamente di lingua. In sala si sentiva che a Gabriela piaceva. Dopo un po’ Fred decise che era ora di voltar pagina. Si abbassò allora i pantaloni e le mutande. A quel punto volle che lei si mettesse in ginocchio sulla poltrona per prenderla dal di dietro. Si capì subito dove voleva arrivare perché aveva subito preso la fiaschetta. Quando fu pronto le si appoggiò contro e dopo un attimo era in movimento. Lui avrebbe forse voluto lavorare al suo ritmo, ma a lei evidentemente non bastava, perché fu lei a cambiarlo, a premersi contro di lui con maggiore veemenza. E lui non resse. Dopo un attimo, un sussulto e più nulla. Si era scaricato.

La voce di John gli venne in aiuto rompendo il silenzio che si era fatto dopo il piccolo fallimento del buon Fred. Potevamo ora rifocillarci mentre lui controllava il risultato del voto. Non ci volle però molto tempo. Un istante dopo si schiarì la voce e poi a voce alta disse che i vincitori erano stati, con un solo punto a favore, “Gaia, la bella italiana, e il sottoscritto”, così disse testualmente. Poi diede a me un piccolo astuccio. Sopra c’era scritto Cartier. Lo aprii, era uno di quei piccoli gioielli di orologio che solo Cartier sapeva fare. Quando lo presi in mano vidi che sul retro c’era la data di oggi. L’altro astuccio John lo porse a Jean, così si chiamava il francese, dicendogli che lo cedeva volentieri a lui che era stato così bravo con la moglie Lorena. Tutti risero. A quel punto però si udirono proteste e una voce disse che i vincitori dovevano fare il bis. Io e John ci guardammo. Perchè no, pensai io.

In un attimo John si era liberato dei vestiti, aveva sistemato la sua poltrona a mo’ di lettino e ci si era steso sopra. Vidi che era già pronto e che si stava già preparando. Mi spogliai subito anch’io, ma lì decisi di fare un piccolo numero. Arrivata ai piedi del lettino afferrai il bordo con le mani e mi alzai in verticale, come avevo già fatto tante volte da giovane, e di lì mi abbassai in modo da arrivare con i piedi ai due lati del corpo disteso di John. A quel punto, con un twerking rallentato, mi abbassai lentamente fino a giungere su di lui. Rimasi un attimo ferma e poi mi immersi. Arrivai quasi fino in fondo e lì fu lui a venirmi incontro. Ci incontrammo a metà strada e continuammo a sbatterci finché lui non ce la fece più. E io mi masturbai fino alle lacrime.

John annunciò subito dopo che era venuto il momento di andare a bagnarsi in piscina. La piscina era un piccolo lago artificiale, con ruscelli, cascatell e piccole insenature. John ci mostrò il bar. Eravamo ora tutti nudi e in un attimo eravamo in acqua. A me era sempre piaciuto nuotare e mi diressi subito verso un’altra zona della piscina, fuori dagli altri sguardi. Speravo che il francese mi seguisse ed infatti lo vidi avvicinarsi a lunghe bracciate. Sapevamo entrambi cosa volevamo fare e nuotammo più lontano. Trovammo un lettino abbandonato sull’erba e li ci facemmo una scopata fantastica. Ora mi sentivo sazia.

Al bar c’erano asciugamani in abbondanza. Scendemmo nuovamente in sala, dove John ci aspettava. Ci ricordò che il tempo purtroppo passava anche lì e che le stesse macchine ci avrebbero riaccompagnato in albergo. Sembrò sincero quando disse che lui e Lorena si erano divertiti e che sperava che noi non fossimo rimasti delusi. Io non lo ero stata di certo. Era stata una giornata memorabile, da tutti i punti di vista.

Quando ci salutammo John e Lorena promisero che alla prossima visita in Italia si sarebbero fatti vivi. All’uscita venne Jean da me e propose di fare il viaggio di ritorno assieme. Abitava in un albergo non lontano dal mio. Non gli dissi di no. In macchina c’era un vetro che ci separava dall’autista, con una tendina nera. Con uno solo sguardo io e Jean decidemmo che non avremmo guardato il panorama durante il viaggio e tirammo giù la tendina. Facemmo quasi tutto e non mi pento di averlo fatto perché Jean mi piaceva.

In albergo andai subito in camera e mi feci una doccia. Quella sera non avrei mangiato. Ero molto stanca, così mi misi sul letto e mi addormentai quasi subito. Fui svegliata dal telefono. Era Nicole che voleva sapere. Le dissi di venire ida me. Le raccontai tutto e le dissi che ero rimasta entusiasta della via secondaria. Lei rise, ma poi si rabbuiò e mi disse che questo mi aveva ancora di più allontanata da lei. La abbracciai e le dissi che no, lei sarebbe sempre rimasta nel mio cuore, ma in un altro modo.

Ci ritrovammo tutti la mattina dopo a colazione. Mentre bevevo, ad un tratto vidi la responsabile delle vendite prendere il suo cellulare dal tavolo. La vidi molto sorpresa. Tutti la guardarono. Lasciato il cellulare esclamò tutta emozionata che i Grandi Magazzini Harrison volevano un incontro nei loro uffici in mattinata. Si affrettò a rispondere che potevamo essere lì entro un’ora. Il Direttore disse che bastava se andavamo in due. Quando tornammo in albergo avevamo un ordine di svariati milioni che riguardava tutte le stagioni per i prossimi tre anni.

La sera a cena festeggiammo. Il Direttore fece un bel discorsetto. Quello era uno dei più bei giorni della sua vita, disse. Sottolineò che era molto riconoscente con tutti noi per l’ottimo lavoro che avevamo fatto. Io dentro di me ridendo avrei voluto raccontargli del mio, di lavoro, ma preferii evitarlo. Perchè forse chissà, pensai, dipendeva solo dal fatto che facevamo dei begli abiti.

Agli altri tavoli attorno a noi c’erano altri gruppi di società della moda, alcuni dei quali erano nostri concorrenti. Molti di loro li conoscevamo bene e il Direttore aveva tra loro diverse conoscenze personali. Fu da uno di quei tavoli che io vidi ad un certo punto arrivare su gambe piuttosto instabili uno dei suoi vecchi conoscenti. Quando fu vicino al Direttore gli diede una pacca sulla schiena e gli fece i complimenti per il successo con la Harrison. Io stavo bevendo e il vino mi andò di traverso quando lui disse: “Complimenti, avete fatto un bel colpo. Certo siete bravi, però c'avete proprio un gran culo!

CONTINUA? CHISSA'
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2022-07-15
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