La postura, 2
di
Digge
genere
etero
La postura, parte 2
Il giorno dopo ripresi i miei esercizi vocali e quelli di respirazione. Mi sentii rinascere. Vidi la mamma felice e mi fece piacere, l’avevo vista molto preoccupata per me in quei brutti giorni. Un giorno, mentre eravamo a tavola mangiando, sentii il bisogno di aprirmi con lei e così le raccontai tutta la storia. Rimase assorta ad ascoltarmi e non fece alcun commento. Si limitò a dire che era stato un bene che me ne fossi accorta così presto e che queste esperienze nella vita servono.
Fu allora che decisi di contattare il maestro Arnaldi. Con l’ultima insegnante che avevo avuto mi ero definitivamente sputtanata. Era ormai assurdo pensare di poter riprendere contatto con lei. Quando telefonai al Maestro e mi presentai lui mi disse che voleva vedermi prima di poter dire qualcosa. Mi diede un appuntamento.
Confesso che ero piuttosto ansiosa mentre voltavo l’ultimo angolo della strada. Tra un attimo avrei raggiunto il portone. Ero un po’ stanca ma la lunga passeggiata mi aveva fatto bene.
Salii i due piani di scala e trovai subito la porta. Sulla targhetta c’era solo scritto Arnaldi. Stavo per suonare il campanello quando la porta improvvisamente si aprì e dall’uscio apparve un ragazzo tutto arruffato che si affrettò ad uscire senza neppure degnarmi di uno sguardo. Così mi trovai improvvisamente dentro la casa del Maestro ma di lui non si vedeva l’ombra. Mi tolsi l’impermeabile, lasciai l’ombrello aperto vicino alla porta d’entrata, mi diedi una lisciata ai capelli e lentamente mi diressi all’interno guidata dalle luci che vedevo. Chiesi sommessamente permesso. Vidi un pianoforte in una stanza. Entrai, mi guardai attorno e decisi di restare in piedi ad attendere.
”E lei chi è”, disse improvvisamente una voce che veniva da dietro le mie spalle.
Mi voltai e vidi un bell’uomo che aveva passato i quaranta, piuttosto alto e robusto, con una capigliatura folta e scura, leggermente brizzolata sulle tempie. Era entrato così improvvisamente che ebbi un sobbalzo. Mi passò accanto dirigendosi a passi svelti verso il piano senza neppure guardarmi. Un buon profumo di acqua di colonia si diffuse nella stanza. Posate della carte su un tavolino si voltò a guardarmi in silenzio.
”Sono Grazia Morandi, Maestro, ci dovevamo vedere oggi” dissi.
”Ah, si, signorina, ora ricordo.” Rimase un istante senza parlare. Mi scrutava con due occhi scuri sul suo bel volto. Tutto in lui sprigionava energia. Rimasi impressionata. Gli guardai le mani che erano robuste ma ben fatte. Non portava anelli. Mi mise addosso una sensazione che era un misto di timore e rispetto. Era tempo che non vedevo uomini. Lui ne era davvero un bell’esemplare. Ne fui colpita.
”Dunque, signorina, oggi ho poco tempo per lei. Le dico subito che io non scelgo mai allievi per telefono. Debbo prima vederli.” Lì fece una breve pausa, poi guardandomi con un po’ di sorpresa negli occhi mi disse: ”Ma lei che età ha? Ha davvero vent’anni? Acconciata in quel modo e con quei capelli lei ha l’aspetto di una vecchia zitella”, mi disse senza alcun imbarazzo.
Mi sentii gelare. Certo, come non averci pensato. Che stupida. Gli balbettai le prime parole che mi vennero in mente:
”Ha ragione, Maestro, mi deve scusare ma sono stata ammalata. Come le dicevo per telefono è un po’ che non prendo lezioni e poi con la vecchia insegnante non importava molto l’abbigliamento che portavo”.
Mi rispose subito piuttosto seccato: ”Signorina, si ricordi che chi canta di professione non lo fa per ascoltare se stessa. Lo fa per il suo pubblico. Sempre. Anche qui da me o da quella sua vecchia insegnante. Il canto non è aprire la bocca e produrre dei suoni. Il canto è il complesso di tutte quelle componenti che formano quel fantastico strumento che è il corpo umano. Voglio essere gentile con lei e non le chiedo di tornare vestita come si deve. Mi faccia quindi sentire la sua voce. Si tolga quel maglione e si metta lì”. Mi indicò un punto a fianco del piano e lui si sedette per suonare. Mi chiese cosa volevo cantare.
Io rimasi in piedi un attimo sorpresa. Lo guardai incredula. Dovevo togliermi il maglione e io sotto avevo solo una leggera maglietta. Mi sarei sentita nuda. Rimasi così un attimo interdetta.
”Senta, signorina, non mi interessa quello che c’è sotto quel maglione. A me interessa lo strumento. Lo voglio vedere da vicino, studiarne la forma, vedere se è in grado di produrre dei suoni decenti. E’ così che io lavoro. Se le va, bene, altrimenti se ne può andare”. Così disse senza aggiungere altro. Io senza indugio mi tolsi il maglione. In fondo mi ero spogliata davanti a un uomo milioni di volte in quegli anni, anche se era passato un po’ di tempo da allora. Farlo ora non mi mise affatto a disagio. Rimasi ferma davanti a lui con le tette bene in vista sotto il sottile tessuto della maglietta. Mi ricordai di aver fatto cose ben peggiori in passato.
Lui accennò subito alcuni accordi sul piano e io iniziai a cantare. Mi sentii subito sicura e le note mi vennero tutte bene senza alcun problema. Mentre cantavo ad un tratto lui si alzò e cominciò a girarmi attorno. Guardava attentamente il mio corpo. Poi mi si mise accanto e mentre io continuavo a cantare pose una mano sul ventre e l’altra dietro la schiena, come per sentirne le vibrazioni. Mai mi era successo prima. Mi fece uno strano effetto. Da dietro mi prese poi le spalle e le fece ruotare un attimo avanti e indietro, mentre io continuavo a cantare. Tornò poi al suo posto sullo sgabello, chiuse lo spartito e mi disse di smettere. Sembrava soddisfatto.
Si alzò poi subito e mi venne incontro guardandomi dritto negli occhi.
”Signorina” mi disse ”La sua voce mi piace e lo strumento che c’è in lei mi intriga molto. Ho l’impressione che ci sia un problema di postura e ci vorrà del tempo e molto lavoro per risolverlo. C’è un concorso presto a Parma che io penso lei possa affrontare. Abbiamo alcuni mesi a disposizione. Se lei viene tre volte alla settimana facciamo forse in tempo a presentarci con buone probabilità. Ho con me altri due allievi. Se le sta bene mi deve dare il suo più completo consenso. Ci sarà molto da lavorare. Cosa ne dice?
Rimasi un attimo inebetita dallo stupore, dall’entusiasmo che provavo, poi balbettai: ”Certo, Maestro, fantastico. Non vedo l’ora di cominciare.
Mi diede i giorni e l’orario e poi, senza aggiungere altro, si allontanò senza neanche salutarmi. Io mi rivestii in fretta. Indossai l’impermeabile, presi l’ombrello e uscii da quella casa. Pioveva ancora e io mi rimisi sotto l’ombrello. Decisi però questa volta di prendere l’autobus. Mi sentivo improvvisamente rinata.
Tornata a casa corsi a raccontare alla mamma del Maestro, del concorso, insomma le dissi che ero felice. Lei rimase un attimo sconcertata. ”Ma il maestro Arnaldi è quello che ha quella brutta fama, ma perché sei andata da lui e non sei tornata dalla Fontana? Figurati se lei non ti avrebbe ripreso subito?!”, mi disse. Io le risposi che avevo bisogno di cambiare e che il maestro Arnaldi mi aveva fatto un grande impressione. Esagerai un po’, ma volevo tagliare corto. ”E poi, mamma,” dissi, ”il concorso a Parma! Se sfondo lì il mio avvenire è assicurato!”. La mamma non seppe cosa rispondere. Aveva sofferto per me, si arrese al mio entusiasmo e mi abbracciò felice. Decidemmo che dovevamo celebrare l’avvenimento e che saremmo andate a mangiare al ristorante.
In camera mi guardai allo specchio. Era molto tempo che non lo facevo, dal fattaccio che mi aveva ridotto a uno straccio e mi aveva fatto odiare il mio corpo. Era ancora tutto lí intatto. Forse ero un po’ dimagrita, ma così le mie tette erano ancora più provocanti. Erano i capelli che avevano urgente bisogno di cure. Decisi che per andare al ristorante potevo tirarmeli su, ma appena possibile, prima di rivedere il Maestro, dovevo andare dal parrucchiere.
Quella sera mi vestii come ai vecchi tempi e mi misi un po’ di trucco sul viso. Volevo sentire di nuovo gli occhi dei maschi su di me. Mi era tornata la voglia di provocare!
Quando la mamma mi vide prima di uscire rimase un attimo a guardarmi, poi ridendo mi disse ”Guarda che stai uscendo con la mamma, non per rimorchiare un maschione!”. La mamma aveva seguito la mia crescita senza stupide inibizioni. Una volta mi aveva confessato che non voleva dare a me l’educazione che lei aveva avuto da sua madre. Così lei aveva tollerato le mie intemperanze da ragazzina, certo senza sapere tutte le marachelle che facevo, altrimenti me lo avrebbe fatto pagare. Io però ero così cresciuta responsabile e indipendente.
Entrammo ambedue allegre nel piccolo ristorante dove io ero andata con delle amiche alcune volte. C’erano alcuni tavoli nella saletta dove si entrava e poi con una scaletta si saliva al piano superiore. Portai la mamma di sopra, dove si stava meglio. Non c’era molta gente. Vidi subito il vecchio proprietario, che mi riconobbe e vidi un nuovo cameriere che mi piacque subito, un bel fusto alto e ben fatto con l’aspetto disinvolto che piace a me.
Ci dirigemmo verso la scaletta e vidi che il cameriere ci seguiva con lo sguardo. Salendo sentii i suoi occhi entrarmi sotto la gonna. Io non feci niente per impedirglielo. Al tavolo venne dopo alcuni istanti il cameriere a chiedere le ordinazioni. I nostri sguardi si incontrarono. Riconobbi subito i segnali.
Servendoci, ogni volta che il cameriere mi si avvicinava faceva in modo di strusciarsi con qualche parte del mio corpo. La mamma si accorse ad un tratto che le mie tette erano un po’ troppo in vista. Me lo fece notare e io un po’ di malavoglia allacciai un bottone.
Il ristorante faceva cose semplici ma molto saporite. Avevano poi un buon assortimento di salumi, formaggi e conserve di loro produzione, che erano anche in vendita. Noi mangiammo e bevemmo e io cominciai dopo un po’ a sentire l’effetto del vino. Era molto che non bevevo, non ero sbronza ma mi sentivo piuttosto allegra.
Fu la mamma a suggerire di comprare del formaggio e qualche conserva. Le dissi che ci avrei pensato io. Sapevo che tutto era conservato in un magazzino in cantina. Scesi così le scale e andai prima in toilette. Feci la pipì e mi tolsi le mutandine, che misi nella borsa.
Uscendo incontrai gli occhi del cameriere. Ci sorridemmo. Mi avvicinai e gli dissi che volevo fare acquisti. Lui prese le chiavi e si avviò giù per le scale. Io lo seguii. Entrammo nel magazzino, una stanza lunga solo illuminata da una piccola finestra in alto su una parete. Lui accese la lampadina che pendeva dal soffitto. Ci addentrammo nella stanza. In fondo, su un tavolo, erano allineate alcune forme di formaggio. Mi chiese quale volevo, poi decise di farmene assaggiare alcuni. Non li volevo molto stagionati, gli dissi. Con un coltello ne tagliò una fettina che mi porse con la mano. Io gli presi la mano e me la portai alla bocca, con il formaggio e le sue dita che gli succhiai. Un istante dopo eravamo avvinghiati l’un l’altro. Ci scopammo con violenza, io aggrappata a uno scaffale, attenta a tenere i miei gemiti sotto controllo e lui dietro di me con i calzoni appena slacciati. Quando stava per venire io mi staccai da lui, mi chinai e glielo presi in bocca. Esplose tra le mie labbra.
Riallacciandosi i pantaloni il cameriere mi chiese ridendo se mi era piaciuto il formaggio. Gli risposi di si e che forse sarei tornata qualche volta a comprarne ancora.
Quando la mamma mi vide tornare mi diede una guardata strana. ”Quanto tempo ci hai messo”, mi disse. Mentii dicendo che avevo dovuto aspettare che il cameriere finisse di servire dei clienti. La mamma per fortuna non mi fece altre domande. Tornammo a casa e io mi chiusi in camera a pensare.
Ero sconcertata dalla naturalezza con cui mi ero comportata. Non mi ero neppure preoccupata della presenza della mamma! Come mai riuscivo ad essere così disinibita, mi domandavo. Non avevo una risposta a quella domanda, ma mi dissi che quella era una dote che mi poteva giovare nel canto. Perché io non avevo alcuna paura di stare sulla scena. Ora che la brutta crisi era dietro le spalle mi sentivo nuovamente spavalda. Ero guarita!
Il prossimo passo in quello che io dentro di me cominciai a chiamare la mia resurrezione fu una bella visita al parrucchiere. Negli ultimi tempi mi ero sempre servita di un giovane parrucchiere non lontano da casa. Mi diede subito appuntamento. I miei erano capelli senza problemi. Erano piuttosto ricciuti, neri e spessi, di quelli da tagliare con l’accetta. Nessuna messa in piega, solo il bisogno di un taglio decente. Per fortuna ho un volto regolare, i capelli fanno solo da cornice. In questo il mio parrucchiere, che era un gay simpatico e piuttosto allegro, era bravo. Quando ero stata da lui mi sentivo sempre pulita e ordinata. Ero io a fare il resto per rendermi bella.
Quando mi presentai la prossima volta alla porta del Maestro e suonai il campanello ero molto curiosa della reazione che avrebbe avuto vedendomi nella mia nuova versione aggiornata e corretta, ma ne fui delusa perché di reazione non ce ne fu alcuna. Non mi guardò neppure.
Ne rimasi naturalmente un po’ delusa ma non ebbi neppure il tempo di pensarci perché lui mi prese per un braccio e mi portò vicino al pianoforte. Avevo già avuto dalle mie altre insegnanti varie spiegazioni su come nasce il suono e quanto importante fosse il nostro lavoro per farlo bello. Il Maestro invece mi mise più o meno sull’attenti e poggiando le mani sulle mie spalle cominciò una complicatissima disquisizione sul mio corpo/strumento.
”Il suono proviene dall’aria che passa attraverso le nostre corde vocali e esce dalla bocca”, ”La forza, l’estensione, il sostegno del suono noi la regoliamo con i nostri muscoli e soprattutto con quelli dell’addome e del perineo. Il perineo forse lei lo sa è quella parte del corpo che lei mette sul sellino quando va in bicicletta”. Così cominciò a parlare mentre le mani scivolavano lungo il mio corpo. Ero come un violino in mano a un liutaio che lo liscia e ne illustra tutte le virtù all’acquirente. Alle parole perineo e pavimento pelvico una mano andò giù ad appoggiarsi sul sedere e l’altra sull’addome. Fece tutto tranquillamente e con la massima disinvoltura, senza una sola ombra di spudoratezza. Mi spiegò che quella del perineo era una zona del corpo ancora poco esplorata, piena di parti sensibili e molto importante da molti punti di vista, quindi anche da quello vocale. Aggiunse poi che soprattutto per la donna era una zona importante dal momento che sesso, gravidanza e parto gravavano tutti su quella zona. Mi fece poi improvvisamente alquanto trasalire quando accennò al sesso anale come una pratica da evitare per il rischio di danneggiare muscoli e altre parti importanti per l’elaborazione del suono. Per fortuna, mi dissi, non l’ho mai fatto.
Per la postura mi ripetette che ci sarebbe stato da lavorare.
Quel giorno ebbe così inizio una terribile, faticosissima serie di lezioni e di esercizi che mi lasciarono ogni volta affranta. La sera a casa non avevo la forza di far niente e il più delle volte dopo mangiato salutavo la mamma e andavo a letto. Anche nel mio tempo libero e i fine settimana facevo sempre tutti gli esercizi che lui mi diceva di fare. Il suo coinvolgimento con me era tale che aveva finito col coinvolgere allo stesso modo anche me.
La cosa buffa era però che mentre io cantavo o facevo i miei esercizi lui era continuamente con le sue mani sul mio corpo e io mi ero quindi presto abituata a questa sua costante presenza fisica su di me. Anche se era più vecchio ed avrebbe potuto essere mio padre, era davvero ancora un bell’uomo, e dovevo confessarmi che cominciavo a sentire una crescente attrazione fisica verso di lui. Al tempo stesso però mi sembrava irraggiungibile, come se io e lui fossimo in qualche modo incompatibili.
Quello che invece era strano era che tutto l’impegno che avevo messo nel canto e in tutte le convulse lezioni cui mi sottoponeva il Maestro mi avevano fatto passare la mia abituale libidine. Non mi masturbavo la sera a letto perché allora volevo solo dormire e non avevo alcun pensiero di trasgressioni di alcun genere. Il Maestro, il canto e il concorso in quel momento erano tutto per me.
Un giorno, alla fine della lezione, il Maestro mi chiese di parlarmi. Mi fece molti elogi per la serietà e l’assiduità che mettevo nel lavoro. Mi disse che avevo fatto molti progressi e aggiunse una cosa che mi fece sobbalzare sulla sedia.
Mi disse che non gli erano sfuggite le mie provocazioni all’inizio. Chissà perché me lo disse, mi domandai. L’avrei capito più tardi.
Aggiunse che però era rimasto molto colpito da questo mio atteggiamento, che secondo lui era segno di un carattere che sulla scena mi sarebbe stato di enorme utilità. Io lo guardai e non potei fare altro che accennare un mezzo sorriso inebetito. Cominciavo però a pensare che dietro la facciata così perfetta di quell’uomo, con quel volto, quel corpo e tutta la sua accuratezza nel vestire, nel muoversi e nel gestire i suoi rapporti con me non si celasse una sua inclinazione omosessuale. Si, insomma, mi dissi, sta a vedere che il Maestro Arnaldi è gay. Meglio così, mi dissi ancora.
Passò poi del tempo e lui sembrava essere sempre più soddisfatto del nostro lavoro. Era allegro quando arrivavo e avevamo già ripetuto quasi tutto il repertorio che dovevo preparare per il concorso. Restava un ultimo pezzo che aveva delle parti difficili che cominciammo a ripetere. Io provavo e riprovavo, ma lui non era mai contento e si arrabbiava. Un giorno, ad un tratto si allontanò dalla stanza delle prove.
Quando tornò aveva con se una boccetta e in una mano aveva indossato un guanto di gomma. Lo guardai sorpresa. ”Non sono ancora soddisfatto della sua postura, signorina. Ho deciso quindi di ricorrere a un metodo empirico che consiste nel verificare la tensione dei muscoli del perineo che regolano il sostegno della voce. Sarà per lei come andare dal ginecologo, signorina, non si preoccupi. Entrerò solo con due dita. E’ un esperimento iniziato all’estero a seguito di studi fatti di recente. Io ho iniziato a farlo da poco. Non tutti lo accettano di farlo, per ragioni che rispetto, ed è un peccato perchè io ci credo molto. Se lei mi vuole seguire e mi lascia fare credo che le gioverà molto. Lo dovremo fare poi ogni giorno finché non saremo riusciti a sensibilizzare quei muscoli.
Io rimasi sconcertata. Non sapevo cosa dire. Non avevo mai sentito parlare di strani stratagemmi come questo nell’insegnamento del canto. Lo guardai perplessa. Dovetti ripetermi più volte in testa che il Maestro mi stava dicendo che mi avrebbe messo due dita nel culo per sensibilizzare il mio perineo. Lui continuava a guardarmi in attesa. Mi dissi alla fine che non potevo fare altro che fidarmi. E poi, mi dissi ancora, se questa è trasgressione io sono sempre stata un po’ trasgressiva. ”Va bene”, gli dissi con una piccola smorfia.
”Le chiedo ora solo di rilassarsi e provare a cantare come se niente fosse. Si abituerà molto presto, vedrà”, mi disse. Poi non fece altro che bagnare due dita con il liquido della boccetta, mi sollevò poi la gonna e abbassò le mutandine. Un attimo dopo sentivo le sue dita vestite dal guanto che con grande cura mi penetravano dal di dietro. Istintivamente feci resistenza, ma lui insistette ed un attimo dopo si era infilato dentro con ambedue le dita per fermarsi in quella posizione.
Fu strano cantare con la sensazione di due dita a frugare dentro di me. Due dita che tra l’altro non stavano mai ferme, perché lui era lì a saggiare, a premere, a tastare, esortandomi a volte a spingere la voce di più o di meno, a sostenere maggiormente, a sostenere più a lungo. Io in tutto quel trastullare non potevo restare del tutto indifferente. Così mentre cantavo sentivo lampi di eccitazione che mi venivano dalle parti intime. Riuscii però a farmi forza e a domare gli istinti. Dovevo solo pensare alla voce.
Lo ripetemmo poi ogni giorno quell’esercizio e alla fine io ci feci l’abitudine. Lo strano effetto era però che dopo un po’ di tempo cominciai per così dire a ”sentire” le sue dita quando cantavo anche quando non c’erano. Il Maestro mi spiegò che era l’effetto desiderato. Mi aveva sensibilizzato il perineo e la postura ora era perfetta. Così mi disse e io ne rimasi molto contenta anche se non capivo. Quella sera quando tornai a casa la mamma mi vide contenta e mi chiese perché. Non le spiegai la ragione per non spaventarla.
Mancava ormai solo una settimana al concorso e un giorno quando arrivai lui volle che mi sedessi. Mi disse che dovevo pensare all’abbigliamento che avrei portato con me al concorso. Gli risposi che avevo a casa alcuni abiti eleganti. Mi disse di portarli con me la prossima volta e quando lo feci volle che li provassi. Mi guardò attentamente e poi mi disse di no. Nessuno di quegli abiti gli sembravano adatti. Mi disse che lui conosceva una ditta che li dava in affitto. Ci saremmo trovati lì il giorno dopo e lui mi avrebbe aiutato a scegliere
Fu strano vederlo improvvisamente fuori dal suo guscio, in una sala con un grande specchio e armadi pieni di abiti per uomo e per donna. Io cominciai a guardarmi in giro e vidi che anche lui lo faceva da un’altra parte. Ad un tratto mi chiamò. ”Provi questi”, mi disse in tono perentorio.
Si diresse con due capi che teneva in braccio verso un camerino. Mi fece entrare e lui mi venne dietro. Mi porse il primo, rosso scarlatto. Io rimasi incerta un attimo. Aspettavo che lui mi lasciasse sola, ma lui non accennava a muoversi. Mi resi subito conto che dopo tutto il lavoro che avevamo fatto insieme per aggiustare la postura, potevo anche restare nuda con lui. Sembrava indifferente. Ma seppi come già detto più tardi perché.
Indossai l’abito e mi guardai allo specchio. Era un bell’abito e il rosso mi stava molto bene. Il Maestro si allontanò alcuni passi. Stette un bel po’ a studiarmi e mi disse poi di indossare l’altro, di un bel colore bianco antico.
Quando fui pronta lui mi guardò. ”Si tolga il reggiseno” mi disse. ”Con questo abito non ci sta”. Mi guardò ancora. Mi disse di camminare in avanti, come se mi presentassi in scena. Provai a farlo.
”Rimetta il rosso adesso”. Lo guardai ma lui sembrava irremovibile. Cambiai l’abito e rifeci la stessa cosa. Erano tutti e due molto belli e mi stavano bene addosso, ma il bianco aveva una scollatura diversa che dava forse maggiore risalto alle mie forme.
”Le sta meglio il bianco”, mi disse. ”Il colore rosso le sta benissimo, ma è troppo impegnativo. Per il concorso il bianco è perfetto.”
Qualche giorno dopo eravamo in macchina, io seduta davanti a fianco del Maestro e gli altri due miei compagni d’avventura seduti dietro. Un ragazzone alto e robusto, con una bella voce di baritono e una ragazza abbastanza giovane ma corpulenta che prometteva bene come contralto ma secondo il Maestro doveva ancora maturare.
Avremmo alloggiato una notte in albergo. Eravamo arrivati il giorno prima del concorso e l’albergo non si trovava lontano dal teatro. Il Maestro ci aveva dato libertà la mattina. Aveva saputo che c’era molta concorrenza, anche dall’estero. Ci aveva raccomandato di dormire più a lungo possibile, di fare i nostri consueti esercizi e ci saremmo poi ritrovati nella sala da pranzo dell’albergo per fare un pranzo leggero. Nel pomeriggio riposo fino al momento di lasciare l’albergo.
Entrai in scena con tutta me stessa. Mi sentivo bella nel mio abito bianco, che seguiva tutte le curve del mio corpo e sul davanti l’ampia scollatura faceva intravedere le mie belle tette quel tanto che bastava per rendermi sexy senza essere oscena. Sapevo che sarei piaciuta per la mia figura ma era la mia voce che doveva sfondare e io mi sentivo in forma e sentivo addosso quella spregiudicatezza che mi aveva seguita fin da piccola.
Cantai i miei tre pezzi e dovetti cantare un bis. Scrosciarono gli applausi ed io dovetti rientrare in scena più volte. Un successo. Ero felice
Uscita infine dalla scena vidi il Maestro venirmi incontro. Non l’avevo mai visto così. Era commosso, l’uomo che mi aveva strigliato, che si era dimostrato indifferente durante tutto il lungo percorso, era ora commosso! Fu un abbraccio forte, quello con il quale mi accolse. Piansi anch’io mentre lui mi teneva tra le braccia. ”Vieni ora”, disse il Maestro poi, staccandosi da me.
Mentre andavamo ai nostri posti in teatro per seguire gli altri partecipanti ebbi un sacco di complimenti da parte di sconosciuti che mi passavano accanto e tutti si voltavano a guardarmi. Mi sentivo confusa e mi sembrava tutto irreale. Sentii il bisogno di andare in bagno. Mi sentivo accaldata e quasi ubriaca da tutti i complimenti che mi arrivavano. Mi diedi una rinfrescata e mi guardai allo specchio. Ce l’avevo fatta, mi dissi.
Dovemmo aspettare ancora del tempo prima di avere i risultati. Le giurie si riunivano generalmente subito dopo ogni interprete e, tranne quando c’erano disparità di valutazione, il risultato si conosceva abbastanza presto.
Eravamo seduti sulle nostre poltrone ormai da quasi una mezz’ora, quando fui chiamata ad andare dietro la scena. Mi ritrovai con un piccolo gruppo di concorrenti. Quasi non ci credevo ma la realtà era lì davanti ai miei occhi. Eravamo i vincitori delle diverse categorie.
Emozionati, stavamo in piedi in attesa della chiamata. Sentimmo una voce che scandiva le parole. ”Vincitore della classe….” e via via venivano detti i nomi di ciascuno di noi, che dovevamo entrare in scena per ricevere il diploma. Quando venne nominato il mio nome io quasi corsi sulla scena accolta da un boato di applausi. Finita la premiazione dei vincitori, si sentì d’un tratto la stessa voce annunciare: ”La giuria ha deciso all’unanimità di assegnare alla soprano Grazia Morandi un premio speciale come giovane promessa del canto italiano”. Tutti mi guardarono. Io rimasi ferma un attimo incredula e poi mi precipitai di nuovo sulla scena dove un uragano di applausi mi accolse.
Qualcuno mi offrì dei fiori, qualcun altro venne a congratularsi. Tutti a stringermi la mano. Qualcuno addirittura venne ad abbracciarmi. Tutti perfetti sconosciuti. Quando tutto finì mi ritrovai nella sala delle cerimonie su una poltrona e tutt’attorno era un pandemonio di gente che si abbracciava, alcuni piangevano, altri ridevano, Vicino a me sedeva il Maestro e attorno a lui altra gente mai vista.
Mentre piano piano i rumori tutt’attorno scemavano, la gente lasciava il teatro e tornava la calma, un desiderio impellente fece capolino nella mia mente, quello di andare in albergo, farmi una bella doccia e stare sola. Godermi sola quel momento di successo che mi aveva completamente stordita, telefonare alla mamma, stendermi sul letto e riposare un attimo. Non vidi più il Maestro, ma eravamo d’accordo che ci saremmo rivisti in albergo, per fare le valigie e fare ritorno a casa. Avremmo fatto tardi, ma non faceva niente, così come erano andate le cose, anche per i miei due colleghi, secondo l’uno e terza l’altra. Il Maestro aveva davvero tutto per essere soddisfatto.
In camera corsi subito a prendere il telefono. La mamma si mise a piangere e non voleva staccare la linea, voleva sapere di più. Le dissi di aspettarmi a casa e le avrei raccontato tutto per filo e per segno.
Sotto la doccia mi sentii bene. Rimasi a lungo ferma a sentire l’acqua calda che mi scendeva lungo il corpo. Mi asciugai e indossai l’accappatoio e poi mi buttai sul letto. Mi sentivo stanca e straordinariamente sazia. Ebbi l’istinto di toccarmi, di masturbarmi, e lo feci adagio, godendomi le scintille che mi si accendevano nel cervello.
Ero occupata con questi pensieri quando bussarono alla porta. Mi alzai dal letto, mi strinsi addosso l’accappatoio e corsi ad aprire. Era il Maestro che aveva un grosso mazzo di rose rosse. Me lo porse entrando con un sorriso smagliante in bocca. Lo lasciai entrare, ormai abituata all’intimità che si era creata tra noi in quei mesi di duro lavoro che avevamo fatto insieme.
”Sei stata fantastica, Grazia, e voglio che tu sappia che questo è uno dei momenti più felici della mia vita.” ”Grazie a lei, Maestro, senza di lei non sarei riuscita”, gli risposi mentre cercavo un vaso dove mettere i fiori. ”Il merito è tutto tuo, Grazia, perché hai una voce magnifica e perché hai il carattere che hai. Dammi del tu ora, ti prego. Chiamami Giorgio, ne sarei felice”, mi disse guardandomi negli occhi.
Io mi sentii stranamente un po’ a disagio per questa sua improvvisa irruente irruzione. Lo vedevo felice ma mi sentivo distante, come se lui vivesse una felicità diversa dalla mia. Sentii il bisogno di fermarlo, mentii dicendo che dovevo telefonare alla mia mamma, gli dissi che sarei stata felice di chiamarlo Giorgio e che tra mezz’ora mi sarei trovata giù con la valigia.
Lo vidi solo, che aspettava vicino all’uscita. Mi avvicinai. ”E gli altri?”, gli chiesi. Mi rispose che gli altri avevano voluto restare quella notte e che sarebbero ripartiti solo il giorno successivo.
La macchina era già fuori dell’albergo. Mi sedetti accanto a lui. Stavo bene e non vedevo l’ora di tornare a casa. Vedevo però che c’era serietà sul volto del Maestro.
”Abbiamo molto da dirci io e te, Grazia”, esordì dopo un po’. Lo guardai.
”Prima però decidiamo cosa fare. Vogliamo fermarci a un autogrill per mangiare un boccone o preferisci fare tutto il viaggio in una volta?”. Io risposi che adesso non avevo fame, ma forse era meglio fermarsi più tardi da qualche parte e farci un boccone.
Uscimmo dalla città e solo quando prendemmo l’autostrada lui riprese a parlare. Era molto serio quando fece quest’uscita che fu il preambolo di una lunga disquisizione sul futuro mio e suo come lui lo vedeva:
”Anzitutto Grazia”, mi disse, ”devo fare una premessa importante per chiarire i nostri rapporti personali. Io sono gay”. Si fermò guardandomi. Io gli sorrisi, l’avevo capito da tempo e adesso ne avevo la conferma. Lui riprese a parlare ”Vedo che l’avevi capito, e del resto se abbiamo lavorato così bene assieme lo dobbiamo al rispetto che abbiamo avuto l’uno dell’altro e alla passione per il canto che ci unisce. Evviva, Grazia, abbiamo vinto e io sono altrettanto felice come te. E’ il primo grande successo che ottengo con uno dei miei allievi.” Qui fece una nuova pausa. Poi riprese.
”Quello che è successo oggi vuol dire un enorme cambiamento per le nostre due vite. Di questo credo tu ti sia resa conto perché dopo il tuo successo di oggi tu avrai una vita piena di impegni che ti porterà ovunque nel mondo, che ti renderà ricca e famosa. Tutto questo però comporta un enorme lavoro di sostegno da parte di qualcuno che conosca questo mondo. Tu non saresti in grado di fare da sola queste cose, sia perché sei ancora inesperta sia perché non avrai il tempo di occuparti di queste cose. Tu dovrai pensare solo alla tua voce”. Qui fece una nuova pausa. Io lo ascoltavo attentamente. Sapevo di avere di fronte a me un’enorme quantità di problemi da risolvere, ma non avevo mai pensato che tutto potesse succedere così in fretta. Glielo dissi, curiosa di sapere dove tutti questi preamboli portassero.
”Da parte mia”, continuò dopo avermi guardato, ”questo è il momento che avevo aspettato da sempre. Per molti anni ho fatto l’insegnante e ho visto sbocciare sotto di me molti cantanti, alcuni anche davvero bravi. Nessuno però come te. Ora credo di poter finalmente vedere realizzato il mio sogno, che è quello di assistere e gestire un cantante. Quello che ti offro, in altre parole, è di diventare il tuo manager. La mia idea è di chiudere da subito la mia attività di insegnante, mantenendo preliminarmente solo un paio di allievi che secondo me hanno un buon avvenire, e aprire un’agenzia che inizialmente si occuperà esclusivamente di te”. Qui si interruppe e guardandomi mi chiese ”Cosa ne dici?”
Non attese che io rispondessi. Vedevo in lui un grande entusiasmo e tanta sicurezza. Vedevo anche la determinazione, la convinzione che metteva nelle sue parole, così come del resto sempre aveva fatto durante le lezioni. ”Io penso di avere le capacità per aiutarti a divenire una stella del canto. Ho già idee su cosa dovrà essere fatto a partire da domani stesso. Conosco il mondo della musica e in particolare quello dell’opera, che è un mondo a parte. Ho già contatti internazionali, conosco un paio di lingue ed ho il denaro per partire con una piccola società, che serve per dare quel po’ di dignità che occorre in questo mondo.” Anche qui si fermò guardandomi di nuovo, per poi subito riprendere ”In ogni caso abbiamo subito molto da fare, io e te. Dobbiamo pensare alla Bohéme, tanto per cominciare. Abbiamo del tempo, ma a parte che dovrai imparare bene tutto lo schema dell’opera oltre alla tua parte di Mimì, bisogna battere il ferro finché è caldo e star dietro agli organizzatori. Dobbiamo fotografarti e mandare un notiziario a tutti i giornali e alle agenzie stampa. Tutti devono sapere che hai vinto il concorso e il prestigioso premio di promessa del canto. Sai che erano anni che non veniva assegnato?”. Qui si fermò e guardandomi poi seriamente aggiunse: ”Grazia, non devi darmi una risposta subito e io non voglio dare l’impressione di voler trarre profitto dalla tua inesperienza. Parlane subito con tua mamma e se credete rivolgetevi ad un avvocato. Su di me e sulla mia situazione economica, sul mio curriculum non ci sono problemi. Ma c’è fretta.
Non ero preparata a discorsi di quel tipo ma lo ascoltai con attenzione e di una cosa però fui certa, che il Maestro era una persona onesta e che mi potevo fidare di lui. Gli risposi che gli ero molto grata per tutto, che ne avrei parlato con la mamma e che gli avrei dato una risposta prima possibile.
Ci fermammo a mangiare un boccone in un autogrill e ripartimmo poi subito. Durante il viaggio lui mi raccontò della sua vita e seppi quindi che da alcuni anni aveva una relazione con un uomo ma che vivevano separati. A me lui fece solo alcune domande sulla scuola e sulla mia famiglia. Quando gli dissi di mia madre e dell’avventato abbandono da parte di mio padre quando io ancora ero una bambina lui rise e mi disse che anche lui era cresciuto senza un padre.
Non era così tardi quando il Maestro mi lasciò davanti al portone di casa. Feci le scale di corsa e quando arrivai alla porta di casa la mamma era lì ad aspettarmi. Ci aveva visti arrivare dalla finestra. Volle sapere tutto ed era felice come mai l’avevo vista finora.
Aspettai il giorno dopo per parlarle della proposta del Maestro. Le dissi che eravamo diventati amici e che io mi fidavo completamente di lui. Decidemmo di parlarne con il nostro vecchio avvocato di famiglia, quello che aveva curato l’eredità del nonno e si era occupato con tanto fervore del divorzio dal papà.
Lo incontrammo il giorno dopo. Mi fece i complimenti e gli sembrò intelligente l’idea del Maestro di occuparsi di me. Mi disse solo che voleva vedere il contratto che avrebbe regolato il rapporto tra di noi e che lui suggeriva fin d’ora di mettere una clausola riguardante la validità. Il primo anno doveva considerarsi di prova e il contratto si sarebbe rinnovato automaticamente in caso di soddisfazione reciproca. Mi disse che avrebbe voluto vedermi nuovamente prima della scadenza del primo anno e poi con serietà concluse che avrebbe voluto avere un biglietto per la Bohéme. Sarebbe venuto volentieri a Parma a vedermi.
Quella sera stessa mi telefonò il Maestro. Voleva vedermi al più presto. Aveva steso una proposta di contratto che voleva consegnarmi e poi avevamo altre cose piuttosto urgenti di cui parlare. Decidemmo di vederci a pranzo in qualche ristorante. Mi sarebbe venuto a prendere.
Andai a letto quella sera piuttosto stanca. Cominciavo a sentire il peso di tutte le cose che stavano accadendo attorno a me. Il Maestro aveva ragione. Io dovevo solo pensare alla mia voce e non occuparmi dei problemi. Speravo che una volta firmato il contratto potessi stare più tranquilla. Era poi molto tempo che non facevo sesso e mi resi conto che mi mancava molto. Un’idea improvvisa mi balzò in testa. Avrei portato il Maestro a mangiare al ristorante del formaggio. E avrei comprato lo stesso formaggio dell’altra volta. Risi dentro di me e ripensando a quel giorno mi venne il languore.
Il giorno dopo mi vestii in modo serio e elegante. Non misi reggiseno ma indossai una blusa che non mettesse in rilievo i capezzoli, sbottonata quel tanto per rendere l’idea. Mi misi poi una gonna ampia in modo da avere quella libertà d’azione che sarebbe stata necessaria più tardi. A pensarci ebbi subito un piccolo fremito tra le gambe.
Quando scesi in strada vedi subito l’auto del Maestro. Era di buon umore quando mi vide. Mi chiese dove volevo andare a mangiare. Feci finta di pensarci su e poi dissi che mi sarebbe piaciuto andare in un posto dove ero stata una volta con la mamma. Ci voleva un po’ per arrivarci ma avevamo molto da parlare. Gli raccontai dell’incontro con l’avvocato e della clausola che lui suggeriva. Il Maestro mi rispose che non c’era problema e che gli sembrava anche ragionevole. Mi raccontò che aveva preso appuntamento con un fotografo per il giorno dopo. Mi disse che dovevo essere vestita come una star, senza altre precisazioni. Mi disse anche che era arrivata una proposta per la Bohéme a Parma. Avevamo tempo per prepararla.
Arrivammo al ristorante prima dell’una e c’erano ancora solo pochi commensali. Entrando vidi il cameriere che mi riconobbe subito e mi salutò. Passandogli vicino gli dissi che alla fine del pranzo sarei andato da lui per comprare lo stesso formaggio della volta precedente. Gli si illuminò il volto quando mi rispose che sarebbe stato a mia disposizione. Salimmo al piano superiore come avevo fatto con la mamma.
Mangiando il Maestro mi parlò dei suoi piani. Mi disse su quali opere dovevamo puntare e che dalla prossima settimana intendeva iniziare a preparare il mio repertorio.
Finito di mangiare dissi che sarei andata in bagno. Il Maestro mi disse che avrebbe intanto pagato il conto e che sarebbe andato in macchina perchè aveva alcune telefonate da fare. Scendendo le scale mi domandai perché mai ero così arrapata e mi resi conto che non era solo la scopata che mi piaceva ma la sfrontatezza. Fare questa cosa così, in segreto, aveva su di me un effetto sconvolgente, Mi rivedevo come quella volta da ragazzina al cinema o in spiaggia dietro le cabine.
Andai in bagno e mi tolsi le mutandine. Il cameriere mi aveva visto scendere e mi stava aspettando con le chiavi in mano. Scendendo mi sussurrò che aveva già preparato tutto e che nessuno ci avrebbe disturbato. Entrammo nel solito magazzino e fui assalita dall’acre odore dei formaggi e dei salumi che erano raccolti lí dentro. Alla debole luce della lampadina appesa al soffitto vidi un materasso steso per terra in un angolo.
Mi gettò sul materasso e mi sollevò la gonna. Si affondò tra le mie gambe. Sentii la sua lingua frugarmi dentro. Fui un po’ sorpresa, mi domandai se avevamo tempo per effusioni di questo tipo, ma la sua lingua era così insistente che ne rimasi avvinta. Prendendolo per i capelli pressavo la sua testa su di me. La sua lunga lingua mi penetrava, mi leccava, mi titillava. Sarei rimasta lì a lungo così, stesa per terra a cambe larghe su quel semplice materasso, ma non ce n’era il tempo. Mi rovesciai su di lui, alzai la gonna e mi sedetti su di lui. Gli diedi le spalle perchè non volevo guardarlo e poi sapevo che agli uomini piaceva quella posizione, col culo in mostra. Quando me lo sentii dentro cominciai a sbatterlo con frenesia. Mi sentii assalire da un’onda di piacere che cercai di far durare più a lungo possibile. Poi mi fermai. Mi voltai e mi chinai verso di lui. Glielo presi in bocca e in un attimo lo feci venire. Questa volta avvicinai il volto al suo e gli diedi un bacio. Poi mi alzai, mi rimisi le mutandine, mi diedi una raddrizzata. Lui mi chiese quando sarei tornata. Gli risposi che non lo sapevo ma che l’avrei fatto certamente presto perché mi piaceva. Subito dopo dovetti però dirmi dentro di me che se diventavo famosa me lo dovevo scordare.
Non so quanto tempo durò l’avventura, ma ero un po’ preoccupata quando con il pacchetto del formaggio in mano mi diressi alla macchina. Il Maestro però stava ancora parlando al telefono. Mi sedetti accanto a lui. Quando ebbe finito di parlare io gli diedi un pacchetto e gli dissi che avevo comprato formaggio anche per lui. Lui mi ringraziò ridendo. Ci rimettemmo in marcia per tornare in città.
Dopo un attimo il Maestro si girò verso di me e mi disse ”Ho scoperto che io e te ci somigliamo molto, sai”. Lo guardai sorridendo. Perché mai quelle parole, mi domandai. Aveva capito? Chissà. Ma non mi importava. Avevo bisogno di trasgressione e avrei continuato così.
”Sei sicuro che diventerò famosa?”, gli chiesi improvvisamente. ”Hai tutto per poterlo diventare”, rispose, e io non potei fare a meno di domandarmi con chi avrei scopato allora, diventata famosa.
Il giorno dopo ripresi i miei esercizi vocali e quelli di respirazione. Mi sentii rinascere. Vidi la mamma felice e mi fece piacere, l’avevo vista molto preoccupata per me in quei brutti giorni. Un giorno, mentre eravamo a tavola mangiando, sentii il bisogno di aprirmi con lei e così le raccontai tutta la storia. Rimase assorta ad ascoltarmi e non fece alcun commento. Si limitò a dire che era stato un bene che me ne fossi accorta così presto e che queste esperienze nella vita servono.
Fu allora che decisi di contattare il maestro Arnaldi. Con l’ultima insegnante che avevo avuto mi ero definitivamente sputtanata. Era ormai assurdo pensare di poter riprendere contatto con lei. Quando telefonai al Maestro e mi presentai lui mi disse che voleva vedermi prima di poter dire qualcosa. Mi diede un appuntamento.
Confesso che ero piuttosto ansiosa mentre voltavo l’ultimo angolo della strada. Tra un attimo avrei raggiunto il portone. Ero un po’ stanca ma la lunga passeggiata mi aveva fatto bene.
Salii i due piani di scala e trovai subito la porta. Sulla targhetta c’era solo scritto Arnaldi. Stavo per suonare il campanello quando la porta improvvisamente si aprì e dall’uscio apparve un ragazzo tutto arruffato che si affrettò ad uscire senza neppure degnarmi di uno sguardo. Così mi trovai improvvisamente dentro la casa del Maestro ma di lui non si vedeva l’ombra. Mi tolsi l’impermeabile, lasciai l’ombrello aperto vicino alla porta d’entrata, mi diedi una lisciata ai capelli e lentamente mi diressi all’interno guidata dalle luci che vedevo. Chiesi sommessamente permesso. Vidi un pianoforte in una stanza. Entrai, mi guardai attorno e decisi di restare in piedi ad attendere.
”E lei chi è”, disse improvvisamente una voce che veniva da dietro le mie spalle.
Mi voltai e vidi un bell’uomo che aveva passato i quaranta, piuttosto alto e robusto, con una capigliatura folta e scura, leggermente brizzolata sulle tempie. Era entrato così improvvisamente che ebbi un sobbalzo. Mi passò accanto dirigendosi a passi svelti verso il piano senza neppure guardarmi. Un buon profumo di acqua di colonia si diffuse nella stanza. Posate della carte su un tavolino si voltò a guardarmi in silenzio.
”Sono Grazia Morandi, Maestro, ci dovevamo vedere oggi” dissi.
”Ah, si, signorina, ora ricordo.” Rimase un istante senza parlare. Mi scrutava con due occhi scuri sul suo bel volto. Tutto in lui sprigionava energia. Rimasi impressionata. Gli guardai le mani che erano robuste ma ben fatte. Non portava anelli. Mi mise addosso una sensazione che era un misto di timore e rispetto. Era tempo che non vedevo uomini. Lui ne era davvero un bell’esemplare. Ne fui colpita.
”Dunque, signorina, oggi ho poco tempo per lei. Le dico subito che io non scelgo mai allievi per telefono. Debbo prima vederli.” Lì fece una breve pausa, poi guardandomi con un po’ di sorpresa negli occhi mi disse: ”Ma lei che età ha? Ha davvero vent’anni? Acconciata in quel modo e con quei capelli lei ha l’aspetto di una vecchia zitella”, mi disse senza alcun imbarazzo.
Mi sentii gelare. Certo, come non averci pensato. Che stupida. Gli balbettai le prime parole che mi vennero in mente:
”Ha ragione, Maestro, mi deve scusare ma sono stata ammalata. Come le dicevo per telefono è un po’ che non prendo lezioni e poi con la vecchia insegnante non importava molto l’abbigliamento che portavo”.
Mi rispose subito piuttosto seccato: ”Signorina, si ricordi che chi canta di professione non lo fa per ascoltare se stessa. Lo fa per il suo pubblico. Sempre. Anche qui da me o da quella sua vecchia insegnante. Il canto non è aprire la bocca e produrre dei suoni. Il canto è il complesso di tutte quelle componenti che formano quel fantastico strumento che è il corpo umano. Voglio essere gentile con lei e non le chiedo di tornare vestita come si deve. Mi faccia quindi sentire la sua voce. Si tolga quel maglione e si metta lì”. Mi indicò un punto a fianco del piano e lui si sedette per suonare. Mi chiese cosa volevo cantare.
Io rimasi in piedi un attimo sorpresa. Lo guardai incredula. Dovevo togliermi il maglione e io sotto avevo solo una leggera maglietta. Mi sarei sentita nuda. Rimasi così un attimo interdetta.
”Senta, signorina, non mi interessa quello che c’è sotto quel maglione. A me interessa lo strumento. Lo voglio vedere da vicino, studiarne la forma, vedere se è in grado di produrre dei suoni decenti. E’ così che io lavoro. Se le va, bene, altrimenti se ne può andare”. Così disse senza aggiungere altro. Io senza indugio mi tolsi il maglione. In fondo mi ero spogliata davanti a un uomo milioni di volte in quegli anni, anche se era passato un po’ di tempo da allora. Farlo ora non mi mise affatto a disagio. Rimasi ferma davanti a lui con le tette bene in vista sotto il sottile tessuto della maglietta. Mi ricordai di aver fatto cose ben peggiori in passato.
Lui accennò subito alcuni accordi sul piano e io iniziai a cantare. Mi sentii subito sicura e le note mi vennero tutte bene senza alcun problema. Mentre cantavo ad un tratto lui si alzò e cominciò a girarmi attorno. Guardava attentamente il mio corpo. Poi mi si mise accanto e mentre io continuavo a cantare pose una mano sul ventre e l’altra dietro la schiena, come per sentirne le vibrazioni. Mai mi era successo prima. Mi fece uno strano effetto. Da dietro mi prese poi le spalle e le fece ruotare un attimo avanti e indietro, mentre io continuavo a cantare. Tornò poi al suo posto sullo sgabello, chiuse lo spartito e mi disse di smettere. Sembrava soddisfatto.
Si alzò poi subito e mi venne incontro guardandomi dritto negli occhi.
”Signorina” mi disse ”La sua voce mi piace e lo strumento che c’è in lei mi intriga molto. Ho l’impressione che ci sia un problema di postura e ci vorrà del tempo e molto lavoro per risolverlo. C’è un concorso presto a Parma che io penso lei possa affrontare. Abbiamo alcuni mesi a disposizione. Se lei viene tre volte alla settimana facciamo forse in tempo a presentarci con buone probabilità. Ho con me altri due allievi. Se le sta bene mi deve dare il suo più completo consenso. Ci sarà molto da lavorare. Cosa ne dice?
Rimasi un attimo inebetita dallo stupore, dall’entusiasmo che provavo, poi balbettai: ”Certo, Maestro, fantastico. Non vedo l’ora di cominciare.
Mi diede i giorni e l’orario e poi, senza aggiungere altro, si allontanò senza neanche salutarmi. Io mi rivestii in fretta. Indossai l’impermeabile, presi l’ombrello e uscii da quella casa. Pioveva ancora e io mi rimisi sotto l’ombrello. Decisi però questa volta di prendere l’autobus. Mi sentivo improvvisamente rinata.
Tornata a casa corsi a raccontare alla mamma del Maestro, del concorso, insomma le dissi che ero felice. Lei rimase un attimo sconcertata. ”Ma il maestro Arnaldi è quello che ha quella brutta fama, ma perché sei andata da lui e non sei tornata dalla Fontana? Figurati se lei non ti avrebbe ripreso subito?!”, mi disse. Io le risposi che avevo bisogno di cambiare e che il maestro Arnaldi mi aveva fatto un grande impressione. Esagerai un po’, ma volevo tagliare corto. ”E poi, mamma,” dissi, ”il concorso a Parma! Se sfondo lì il mio avvenire è assicurato!”. La mamma non seppe cosa rispondere. Aveva sofferto per me, si arrese al mio entusiasmo e mi abbracciò felice. Decidemmo che dovevamo celebrare l’avvenimento e che saremmo andate a mangiare al ristorante.
In camera mi guardai allo specchio. Era molto tempo che non lo facevo, dal fattaccio che mi aveva ridotto a uno straccio e mi aveva fatto odiare il mio corpo. Era ancora tutto lí intatto. Forse ero un po’ dimagrita, ma così le mie tette erano ancora più provocanti. Erano i capelli che avevano urgente bisogno di cure. Decisi che per andare al ristorante potevo tirarmeli su, ma appena possibile, prima di rivedere il Maestro, dovevo andare dal parrucchiere.
Quella sera mi vestii come ai vecchi tempi e mi misi un po’ di trucco sul viso. Volevo sentire di nuovo gli occhi dei maschi su di me. Mi era tornata la voglia di provocare!
Quando la mamma mi vide prima di uscire rimase un attimo a guardarmi, poi ridendo mi disse ”Guarda che stai uscendo con la mamma, non per rimorchiare un maschione!”. La mamma aveva seguito la mia crescita senza stupide inibizioni. Una volta mi aveva confessato che non voleva dare a me l’educazione che lei aveva avuto da sua madre. Così lei aveva tollerato le mie intemperanze da ragazzina, certo senza sapere tutte le marachelle che facevo, altrimenti me lo avrebbe fatto pagare. Io però ero così cresciuta responsabile e indipendente.
Entrammo ambedue allegre nel piccolo ristorante dove io ero andata con delle amiche alcune volte. C’erano alcuni tavoli nella saletta dove si entrava e poi con una scaletta si saliva al piano superiore. Portai la mamma di sopra, dove si stava meglio. Non c’era molta gente. Vidi subito il vecchio proprietario, che mi riconobbe e vidi un nuovo cameriere che mi piacque subito, un bel fusto alto e ben fatto con l’aspetto disinvolto che piace a me.
Ci dirigemmo verso la scaletta e vidi che il cameriere ci seguiva con lo sguardo. Salendo sentii i suoi occhi entrarmi sotto la gonna. Io non feci niente per impedirglielo. Al tavolo venne dopo alcuni istanti il cameriere a chiedere le ordinazioni. I nostri sguardi si incontrarono. Riconobbi subito i segnali.
Servendoci, ogni volta che il cameriere mi si avvicinava faceva in modo di strusciarsi con qualche parte del mio corpo. La mamma si accorse ad un tratto che le mie tette erano un po’ troppo in vista. Me lo fece notare e io un po’ di malavoglia allacciai un bottone.
Il ristorante faceva cose semplici ma molto saporite. Avevano poi un buon assortimento di salumi, formaggi e conserve di loro produzione, che erano anche in vendita. Noi mangiammo e bevemmo e io cominciai dopo un po’ a sentire l’effetto del vino. Era molto che non bevevo, non ero sbronza ma mi sentivo piuttosto allegra.
Fu la mamma a suggerire di comprare del formaggio e qualche conserva. Le dissi che ci avrei pensato io. Sapevo che tutto era conservato in un magazzino in cantina. Scesi così le scale e andai prima in toilette. Feci la pipì e mi tolsi le mutandine, che misi nella borsa.
Uscendo incontrai gli occhi del cameriere. Ci sorridemmo. Mi avvicinai e gli dissi che volevo fare acquisti. Lui prese le chiavi e si avviò giù per le scale. Io lo seguii. Entrammo nel magazzino, una stanza lunga solo illuminata da una piccola finestra in alto su una parete. Lui accese la lampadina che pendeva dal soffitto. Ci addentrammo nella stanza. In fondo, su un tavolo, erano allineate alcune forme di formaggio. Mi chiese quale volevo, poi decise di farmene assaggiare alcuni. Non li volevo molto stagionati, gli dissi. Con un coltello ne tagliò una fettina che mi porse con la mano. Io gli presi la mano e me la portai alla bocca, con il formaggio e le sue dita che gli succhiai. Un istante dopo eravamo avvinghiati l’un l’altro. Ci scopammo con violenza, io aggrappata a uno scaffale, attenta a tenere i miei gemiti sotto controllo e lui dietro di me con i calzoni appena slacciati. Quando stava per venire io mi staccai da lui, mi chinai e glielo presi in bocca. Esplose tra le mie labbra.
Riallacciandosi i pantaloni il cameriere mi chiese ridendo se mi era piaciuto il formaggio. Gli risposi di si e che forse sarei tornata qualche volta a comprarne ancora.
Quando la mamma mi vide tornare mi diede una guardata strana. ”Quanto tempo ci hai messo”, mi disse. Mentii dicendo che avevo dovuto aspettare che il cameriere finisse di servire dei clienti. La mamma per fortuna non mi fece altre domande. Tornammo a casa e io mi chiusi in camera a pensare.
Ero sconcertata dalla naturalezza con cui mi ero comportata. Non mi ero neppure preoccupata della presenza della mamma! Come mai riuscivo ad essere così disinibita, mi domandavo. Non avevo una risposta a quella domanda, ma mi dissi che quella era una dote che mi poteva giovare nel canto. Perché io non avevo alcuna paura di stare sulla scena. Ora che la brutta crisi era dietro le spalle mi sentivo nuovamente spavalda. Ero guarita!
Il prossimo passo in quello che io dentro di me cominciai a chiamare la mia resurrezione fu una bella visita al parrucchiere. Negli ultimi tempi mi ero sempre servita di un giovane parrucchiere non lontano da casa. Mi diede subito appuntamento. I miei erano capelli senza problemi. Erano piuttosto ricciuti, neri e spessi, di quelli da tagliare con l’accetta. Nessuna messa in piega, solo il bisogno di un taglio decente. Per fortuna ho un volto regolare, i capelli fanno solo da cornice. In questo il mio parrucchiere, che era un gay simpatico e piuttosto allegro, era bravo. Quando ero stata da lui mi sentivo sempre pulita e ordinata. Ero io a fare il resto per rendermi bella.
Quando mi presentai la prossima volta alla porta del Maestro e suonai il campanello ero molto curiosa della reazione che avrebbe avuto vedendomi nella mia nuova versione aggiornata e corretta, ma ne fui delusa perché di reazione non ce ne fu alcuna. Non mi guardò neppure.
Ne rimasi naturalmente un po’ delusa ma non ebbi neppure il tempo di pensarci perché lui mi prese per un braccio e mi portò vicino al pianoforte. Avevo già avuto dalle mie altre insegnanti varie spiegazioni su come nasce il suono e quanto importante fosse il nostro lavoro per farlo bello. Il Maestro invece mi mise più o meno sull’attenti e poggiando le mani sulle mie spalle cominciò una complicatissima disquisizione sul mio corpo/strumento.
”Il suono proviene dall’aria che passa attraverso le nostre corde vocali e esce dalla bocca”, ”La forza, l’estensione, il sostegno del suono noi la regoliamo con i nostri muscoli e soprattutto con quelli dell’addome e del perineo. Il perineo forse lei lo sa è quella parte del corpo che lei mette sul sellino quando va in bicicletta”. Così cominciò a parlare mentre le mani scivolavano lungo il mio corpo. Ero come un violino in mano a un liutaio che lo liscia e ne illustra tutte le virtù all’acquirente. Alle parole perineo e pavimento pelvico una mano andò giù ad appoggiarsi sul sedere e l’altra sull’addome. Fece tutto tranquillamente e con la massima disinvoltura, senza una sola ombra di spudoratezza. Mi spiegò che quella del perineo era una zona del corpo ancora poco esplorata, piena di parti sensibili e molto importante da molti punti di vista, quindi anche da quello vocale. Aggiunse poi che soprattutto per la donna era una zona importante dal momento che sesso, gravidanza e parto gravavano tutti su quella zona. Mi fece poi improvvisamente alquanto trasalire quando accennò al sesso anale come una pratica da evitare per il rischio di danneggiare muscoli e altre parti importanti per l’elaborazione del suono. Per fortuna, mi dissi, non l’ho mai fatto.
Per la postura mi ripetette che ci sarebbe stato da lavorare.
Quel giorno ebbe così inizio una terribile, faticosissima serie di lezioni e di esercizi che mi lasciarono ogni volta affranta. La sera a casa non avevo la forza di far niente e il più delle volte dopo mangiato salutavo la mamma e andavo a letto. Anche nel mio tempo libero e i fine settimana facevo sempre tutti gli esercizi che lui mi diceva di fare. Il suo coinvolgimento con me era tale che aveva finito col coinvolgere allo stesso modo anche me.
La cosa buffa era però che mentre io cantavo o facevo i miei esercizi lui era continuamente con le sue mani sul mio corpo e io mi ero quindi presto abituata a questa sua costante presenza fisica su di me. Anche se era più vecchio ed avrebbe potuto essere mio padre, era davvero ancora un bell’uomo, e dovevo confessarmi che cominciavo a sentire una crescente attrazione fisica verso di lui. Al tempo stesso però mi sembrava irraggiungibile, come se io e lui fossimo in qualche modo incompatibili.
Quello che invece era strano era che tutto l’impegno che avevo messo nel canto e in tutte le convulse lezioni cui mi sottoponeva il Maestro mi avevano fatto passare la mia abituale libidine. Non mi masturbavo la sera a letto perché allora volevo solo dormire e non avevo alcun pensiero di trasgressioni di alcun genere. Il Maestro, il canto e il concorso in quel momento erano tutto per me.
Un giorno, alla fine della lezione, il Maestro mi chiese di parlarmi. Mi fece molti elogi per la serietà e l’assiduità che mettevo nel lavoro. Mi disse che avevo fatto molti progressi e aggiunse una cosa che mi fece sobbalzare sulla sedia.
Mi disse che non gli erano sfuggite le mie provocazioni all’inizio. Chissà perché me lo disse, mi domandai. L’avrei capito più tardi.
Aggiunse che però era rimasto molto colpito da questo mio atteggiamento, che secondo lui era segno di un carattere che sulla scena mi sarebbe stato di enorme utilità. Io lo guardai e non potei fare altro che accennare un mezzo sorriso inebetito. Cominciavo però a pensare che dietro la facciata così perfetta di quell’uomo, con quel volto, quel corpo e tutta la sua accuratezza nel vestire, nel muoversi e nel gestire i suoi rapporti con me non si celasse una sua inclinazione omosessuale. Si, insomma, mi dissi, sta a vedere che il Maestro Arnaldi è gay. Meglio così, mi dissi ancora.
Passò poi del tempo e lui sembrava essere sempre più soddisfatto del nostro lavoro. Era allegro quando arrivavo e avevamo già ripetuto quasi tutto il repertorio che dovevo preparare per il concorso. Restava un ultimo pezzo che aveva delle parti difficili che cominciammo a ripetere. Io provavo e riprovavo, ma lui non era mai contento e si arrabbiava. Un giorno, ad un tratto si allontanò dalla stanza delle prove.
Quando tornò aveva con se una boccetta e in una mano aveva indossato un guanto di gomma. Lo guardai sorpresa. ”Non sono ancora soddisfatto della sua postura, signorina. Ho deciso quindi di ricorrere a un metodo empirico che consiste nel verificare la tensione dei muscoli del perineo che regolano il sostegno della voce. Sarà per lei come andare dal ginecologo, signorina, non si preoccupi. Entrerò solo con due dita. E’ un esperimento iniziato all’estero a seguito di studi fatti di recente. Io ho iniziato a farlo da poco. Non tutti lo accettano di farlo, per ragioni che rispetto, ed è un peccato perchè io ci credo molto. Se lei mi vuole seguire e mi lascia fare credo che le gioverà molto. Lo dovremo fare poi ogni giorno finché non saremo riusciti a sensibilizzare quei muscoli.
Io rimasi sconcertata. Non sapevo cosa dire. Non avevo mai sentito parlare di strani stratagemmi come questo nell’insegnamento del canto. Lo guardai perplessa. Dovetti ripetermi più volte in testa che il Maestro mi stava dicendo che mi avrebbe messo due dita nel culo per sensibilizzare il mio perineo. Lui continuava a guardarmi in attesa. Mi dissi alla fine che non potevo fare altro che fidarmi. E poi, mi dissi ancora, se questa è trasgressione io sono sempre stata un po’ trasgressiva. ”Va bene”, gli dissi con una piccola smorfia.
”Le chiedo ora solo di rilassarsi e provare a cantare come se niente fosse. Si abituerà molto presto, vedrà”, mi disse. Poi non fece altro che bagnare due dita con il liquido della boccetta, mi sollevò poi la gonna e abbassò le mutandine. Un attimo dopo sentivo le sue dita vestite dal guanto che con grande cura mi penetravano dal di dietro. Istintivamente feci resistenza, ma lui insistette ed un attimo dopo si era infilato dentro con ambedue le dita per fermarsi in quella posizione.
Fu strano cantare con la sensazione di due dita a frugare dentro di me. Due dita che tra l’altro non stavano mai ferme, perché lui era lì a saggiare, a premere, a tastare, esortandomi a volte a spingere la voce di più o di meno, a sostenere maggiormente, a sostenere più a lungo. Io in tutto quel trastullare non potevo restare del tutto indifferente. Così mentre cantavo sentivo lampi di eccitazione che mi venivano dalle parti intime. Riuscii però a farmi forza e a domare gli istinti. Dovevo solo pensare alla voce.
Lo ripetemmo poi ogni giorno quell’esercizio e alla fine io ci feci l’abitudine. Lo strano effetto era però che dopo un po’ di tempo cominciai per così dire a ”sentire” le sue dita quando cantavo anche quando non c’erano. Il Maestro mi spiegò che era l’effetto desiderato. Mi aveva sensibilizzato il perineo e la postura ora era perfetta. Così mi disse e io ne rimasi molto contenta anche se non capivo. Quella sera quando tornai a casa la mamma mi vide contenta e mi chiese perché. Non le spiegai la ragione per non spaventarla.
Mancava ormai solo una settimana al concorso e un giorno quando arrivai lui volle che mi sedessi. Mi disse che dovevo pensare all’abbigliamento che avrei portato con me al concorso. Gli risposi che avevo a casa alcuni abiti eleganti. Mi disse di portarli con me la prossima volta e quando lo feci volle che li provassi. Mi guardò attentamente e poi mi disse di no. Nessuno di quegli abiti gli sembravano adatti. Mi disse che lui conosceva una ditta che li dava in affitto. Ci saremmo trovati lì il giorno dopo e lui mi avrebbe aiutato a scegliere
Fu strano vederlo improvvisamente fuori dal suo guscio, in una sala con un grande specchio e armadi pieni di abiti per uomo e per donna. Io cominciai a guardarmi in giro e vidi che anche lui lo faceva da un’altra parte. Ad un tratto mi chiamò. ”Provi questi”, mi disse in tono perentorio.
Si diresse con due capi che teneva in braccio verso un camerino. Mi fece entrare e lui mi venne dietro. Mi porse il primo, rosso scarlatto. Io rimasi incerta un attimo. Aspettavo che lui mi lasciasse sola, ma lui non accennava a muoversi. Mi resi subito conto che dopo tutto il lavoro che avevamo fatto insieme per aggiustare la postura, potevo anche restare nuda con lui. Sembrava indifferente. Ma seppi come già detto più tardi perché.
Indossai l’abito e mi guardai allo specchio. Era un bell’abito e il rosso mi stava molto bene. Il Maestro si allontanò alcuni passi. Stette un bel po’ a studiarmi e mi disse poi di indossare l’altro, di un bel colore bianco antico.
Quando fui pronta lui mi guardò. ”Si tolga il reggiseno” mi disse. ”Con questo abito non ci sta”. Mi guardò ancora. Mi disse di camminare in avanti, come se mi presentassi in scena. Provai a farlo.
”Rimetta il rosso adesso”. Lo guardai ma lui sembrava irremovibile. Cambiai l’abito e rifeci la stessa cosa. Erano tutti e due molto belli e mi stavano bene addosso, ma il bianco aveva una scollatura diversa che dava forse maggiore risalto alle mie forme.
”Le sta meglio il bianco”, mi disse. ”Il colore rosso le sta benissimo, ma è troppo impegnativo. Per il concorso il bianco è perfetto.”
Qualche giorno dopo eravamo in macchina, io seduta davanti a fianco del Maestro e gli altri due miei compagni d’avventura seduti dietro. Un ragazzone alto e robusto, con una bella voce di baritono e una ragazza abbastanza giovane ma corpulenta che prometteva bene come contralto ma secondo il Maestro doveva ancora maturare.
Avremmo alloggiato una notte in albergo. Eravamo arrivati il giorno prima del concorso e l’albergo non si trovava lontano dal teatro. Il Maestro ci aveva dato libertà la mattina. Aveva saputo che c’era molta concorrenza, anche dall’estero. Ci aveva raccomandato di dormire più a lungo possibile, di fare i nostri consueti esercizi e ci saremmo poi ritrovati nella sala da pranzo dell’albergo per fare un pranzo leggero. Nel pomeriggio riposo fino al momento di lasciare l’albergo.
Entrai in scena con tutta me stessa. Mi sentivo bella nel mio abito bianco, che seguiva tutte le curve del mio corpo e sul davanti l’ampia scollatura faceva intravedere le mie belle tette quel tanto che bastava per rendermi sexy senza essere oscena. Sapevo che sarei piaciuta per la mia figura ma era la mia voce che doveva sfondare e io mi sentivo in forma e sentivo addosso quella spregiudicatezza che mi aveva seguita fin da piccola.
Cantai i miei tre pezzi e dovetti cantare un bis. Scrosciarono gli applausi ed io dovetti rientrare in scena più volte. Un successo. Ero felice
Uscita infine dalla scena vidi il Maestro venirmi incontro. Non l’avevo mai visto così. Era commosso, l’uomo che mi aveva strigliato, che si era dimostrato indifferente durante tutto il lungo percorso, era ora commosso! Fu un abbraccio forte, quello con il quale mi accolse. Piansi anch’io mentre lui mi teneva tra le braccia. ”Vieni ora”, disse il Maestro poi, staccandosi da me.
Mentre andavamo ai nostri posti in teatro per seguire gli altri partecipanti ebbi un sacco di complimenti da parte di sconosciuti che mi passavano accanto e tutti si voltavano a guardarmi. Mi sentivo confusa e mi sembrava tutto irreale. Sentii il bisogno di andare in bagno. Mi sentivo accaldata e quasi ubriaca da tutti i complimenti che mi arrivavano. Mi diedi una rinfrescata e mi guardai allo specchio. Ce l’avevo fatta, mi dissi.
Dovemmo aspettare ancora del tempo prima di avere i risultati. Le giurie si riunivano generalmente subito dopo ogni interprete e, tranne quando c’erano disparità di valutazione, il risultato si conosceva abbastanza presto.
Eravamo seduti sulle nostre poltrone ormai da quasi una mezz’ora, quando fui chiamata ad andare dietro la scena. Mi ritrovai con un piccolo gruppo di concorrenti. Quasi non ci credevo ma la realtà era lì davanti ai miei occhi. Eravamo i vincitori delle diverse categorie.
Emozionati, stavamo in piedi in attesa della chiamata. Sentimmo una voce che scandiva le parole. ”Vincitore della classe….” e via via venivano detti i nomi di ciascuno di noi, che dovevamo entrare in scena per ricevere il diploma. Quando venne nominato il mio nome io quasi corsi sulla scena accolta da un boato di applausi. Finita la premiazione dei vincitori, si sentì d’un tratto la stessa voce annunciare: ”La giuria ha deciso all’unanimità di assegnare alla soprano Grazia Morandi un premio speciale come giovane promessa del canto italiano”. Tutti mi guardarono. Io rimasi ferma un attimo incredula e poi mi precipitai di nuovo sulla scena dove un uragano di applausi mi accolse.
Qualcuno mi offrì dei fiori, qualcun altro venne a congratularsi. Tutti a stringermi la mano. Qualcuno addirittura venne ad abbracciarmi. Tutti perfetti sconosciuti. Quando tutto finì mi ritrovai nella sala delle cerimonie su una poltrona e tutt’attorno era un pandemonio di gente che si abbracciava, alcuni piangevano, altri ridevano, Vicino a me sedeva il Maestro e attorno a lui altra gente mai vista.
Mentre piano piano i rumori tutt’attorno scemavano, la gente lasciava il teatro e tornava la calma, un desiderio impellente fece capolino nella mia mente, quello di andare in albergo, farmi una bella doccia e stare sola. Godermi sola quel momento di successo che mi aveva completamente stordita, telefonare alla mamma, stendermi sul letto e riposare un attimo. Non vidi più il Maestro, ma eravamo d’accordo che ci saremmo rivisti in albergo, per fare le valigie e fare ritorno a casa. Avremmo fatto tardi, ma non faceva niente, così come erano andate le cose, anche per i miei due colleghi, secondo l’uno e terza l’altra. Il Maestro aveva davvero tutto per essere soddisfatto.
In camera corsi subito a prendere il telefono. La mamma si mise a piangere e non voleva staccare la linea, voleva sapere di più. Le dissi di aspettarmi a casa e le avrei raccontato tutto per filo e per segno.
Sotto la doccia mi sentii bene. Rimasi a lungo ferma a sentire l’acqua calda che mi scendeva lungo il corpo. Mi asciugai e indossai l’accappatoio e poi mi buttai sul letto. Mi sentivo stanca e straordinariamente sazia. Ebbi l’istinto di toccarmi, di masturbarmi, e lo feci adagio, godendomi le scintille che mi si accendevano nel cervello.
Ero occupata con questi pensieri quando bussarono alla porta. Mi alzai dal letto, mi strinsi addosso l’accappatoio e corsi ad aprire. Era il Maestro che aveva un grosso mazzo di rose rosse. Me lo porse entrando con un sorriso smagliante in bocca. Lo lasciai entrare, ormai abituata all’intimità che si era creata tra noi in quei mesi di duro lavoro che avevamo fatto insieme.
”Sei stata fantastica, Grazia, e voglio che tu sappia che questo è uno dei momenti più felici della mia vita.” ”Grazie a lei, Maestro, senza di lei non sarei riuscita”, gli risposi mentre cercavo un vaso dove mettere i fiori. ”Il merito è tutto tuo, Grazia, perché hai una voce magnifica e perché hai il carattere che hai. Dammi del tu ora, ti prego. Chiamami Giorgio, ne sarei felice”, mi disse guardandomi negli occhi.
Io mi sentii stranamente un po’ a disagio per questa sua improvvisa irruente irruzione. Lo vedevo felice ma mi sentivo distante, come se lui vivesse una felicità diversa dalla mia. Sentii il bisogno di fermarlo, mentii dicendo che dovevo telefonare alla mia mamma, gli dissi che sarei stata felice di chiamarlo Giorgio e che tra mezz’ora mi sarei trovata giù con la valigia.
Lo vidi solo, che aspettava vicino all’uscita. Mi avvicinai. ”E gli altri?”, gli chiesi. Mi rispose che gli altri avevano voluto restare quella notte e che sarebbero ripartiti solo il giorno successivo.
La macchina era già fuori dell’albergo. Mi sedetti accanto a lui. Stavo bene e non vedevo l’ora di tornare a casa. Vedevo però che c’era serietà sul volto del Maestro.
”Abbiamo molto da dirci io e te, Grazia”, esordì dopo un po’. Lo guardai.
”Prima però decidiamo cosa fare. Vogliamo fermarci a un autogrill per mangiare un boccone o preferisci fare tutto il viaggio in una volta?”. Io risposi che adesso non avevo fame, ma forse era meglio fermarsi più tardi da qualche parte e farci un boccone.
Uscimmo dalla città e solo quando prendemmo l’autostrada lui riprese a parlare. Era molto serio quando fece quest’uscita che fu il preambolo di una lunga disquisizione sul futuro mio e suo come lui lo vedeva:
”Anzitutto Grazia”, mi disse, ”devo fare una premessa importante per chiarire i nostri rapporti personali. Io sono gay”. Si fermò guardandomi. Io gli sorrisi, l’avevo capito da tempo e adesso ne avevo la conferma. Lui riprese a parlare ”Vedo che l’avevi capito, e del resto se abbiamo lavorato così bene assieme lo dobbiamo al rispetto che abbiamo avuto l’uno dell’altro e alla passione per il canto che ci unisce. Evviva, Grazia, abbiamo vinto e io sono altrettanto felice come te. E’ il primo grande successo che ottengo con uno dei miei allievi.” Qui fece una nuova pausa. Poi riprese.
”Quello che è successo oggi vuol dire un enorme cambiamento per le nostre due vite. Di questo credo tu ti sia resa conto perché dopo il tuo successo di oggi tu avrai una vita piena di impegni che ti porterà ovunque nel mondo, che ti renderà ricca e famosa. Tutto questo però comporta un enorme lavoro di sostegno da parte di qualcuno che conosca questo mondo. Tu non saresti in grado di fare da sola queste cose, sia perché sei ancora inesperta sia perché non avrai il tempo di occuparti di queste cose. Tu dovrai pensare solo alla tua voce”. Qui fece una nuova pausa. Io lo ascoltavo attentamente. Sapevo di avere di fronte a me un’enorme quantità di problemi da risolvere, ma non avevo mai pensato che tutto potesse succedere così in fretta. Glielo dissi, curiosa di sapere dove tutti questi preamboli portassero.
”Da parte mia”, continuò dopo avermi guardato, ”questo è il momento che avevo aspettato da sempre. Per molti anni ho fatto l’insegnante e ho visto sbocciare sotto di me molti cantanti, alcuni anche davvero bravi. Nessuno però come te. Ora credo di poter finalmente vedere realizzato il mio sogno, che è quello di assistere e gestire un cantante. Quello che ti offro, in altre parole, è di diventare il tuo manager. La mia idea è di chiudere da subito la mia attività di insegnante, mantenendo preliminarmente solo un paio di allievi che secondo me hanno un buon avvenire, e aprire un’agenzia che inizialmente si occuperà esclusivamente di te”. Qui si interruppe e guardandomi mi chiese ”Cosa ne dici?”
Non attese che io rispondessi. Vedevo in lui un grande entusiasmo e tanta sicurezza. Vedevo anche la determinazione, la convinzione che metteva nelle sue parole, così come del resto sempre aveva fatto durante le lezioni. ”Io penso di avere le capacità per aiutarti a divenire una stella del canto. Ho già idee su cosa dovrà essere fatto a partire da domani stesso. Conosco il mondo della musica e in particolare quello dell’opera, che è un mondo a parte. Ho già contatti internazionali, conosco un paio di lingue ed ho il denaro per partire con una piccola società, che serve per dare quel po’ di dignità che occorre in questo mondo.” Anche qui si fermò guardandomi di nuovo, per poi subito riprendere ”In ogni caso abbiamo subito molto da fare, io e te. Dobbiamo pensare alla Bohéme, tanto per cominciare. Abbiamo del tempo, ma a parte che dovrai imparare bene tutto lo schema dell’opera oltre alla tua parte di Mimì, bisogna battere il ferro finché è caldo e star dietro agli organizzatori. Dobbiamo fotografarti e mandare un notiziario a tutti i giornali e alle agenzie stampa. Tutti devono sapere che hai vinto il concorso e il prestigioso premio di promessa del canto. Sai che erano anni che non veniva assegnato?”. Qui si fermò e guardandomi poi seriamente aggiunse: ”Grazia, non devi darmi una risposta subito e io non voglio dare l’impressione di voler trarre profitto dalla tua inesperienza. Parlane subito con tua mamma e se credete rivolgetevi ad un avvocato. Su di me e sulla mia situazione economica, sul mio curriculum non ci sono problemi. Ma c’è fretta.
Non ero preparata a discorsi di quel tipo ma lo ascoltai con attenzione e di una cosa però fui certa, che il Maestro era una persona onesta e che mi potevo fidare di lui. Gli risposi che gli ero molto grata per tutto, che ne avrei parlato con la mamma e che gli avrei dato una risposta prima possibile.
Ci fermammo a mangiare un boccone in un autogrill e ripartimmo poi subito. Durante il viaggio lui mi raccontò della sua vita e seppi quindi che da alcuni anni aveva una relazione con un uomo ma che vivevano separati. A me lui fece solo alcune domande sulla scuola e sulla mia famiglia. Quando gli dissi di mia madre e dell’avventato abbandono da parte di mio padre quando io ancora ero una bambina lui rise e mi disse che anche lui era cresciuto senza un padre.
Non era così tardi quando il Maestro mi lasciò davanti al portone di casa. Feci le scale di corsa e quando arrivai alla porta di casa la mamma era lì ad aspettarmi. Ci aveva visti arrivare dalla finestra. Volle sapere tutto ed era felice come mai l’avevo vista finora.
Aspettai il giorno dopo per parlarle della proposta del Maestro. Le dissi che eravamo diventati amici e che io mi fidavo completamente di lui. Decidemmo di parlarne con il nostro vecchio avvocato di famiglia, quello che aveva curato l’eredità del nonno e si era occupato con tanto fervore del divorzio dal papà.
Lo incontrammo il giorno dopo. Mi fece i complimenti e gli sembrò intelligente l’idea del Maestro di occuparsi di me. Mi disse solo che voleva vedere il contratto che avrebbe regolato il rapporto tra di noi e che lui suggeriva fin d’ora di mettere una clausola riguardante la validità. Il primo anno doveva considerarsi di prova e il contratto si sarebbe rinnovato automaticamente in caso di soddisfazione reciproca. Mi disse che avrebbe voluto vedermi nuovamente prima della scadenza del primo anno e poi con serietà concluse che avrebbe voluto avere un biglietto per la Bohéme. Sarebbe venuto volentieri a Parma a vedermi.
Quella sera stessa mi telefonò il Maestro. Voleva vedermi al più presto. Aveva steso una proposta di contratto che voleva consegnarmi e poi avevamo altre cose piuttosto urgenti di cui parlare. Decidemmo di vederci a pranzo in qualche ristorante. Mi sarebbe venuto a prendere.
Andai a letto quella sera piuttosto stanca. Cominciavo a sentire il peso di tutte le cose che stavano accadendo attorno a me. Il Maestro aveva ragione. Io dovevo solo pensare alla mia voce e non occuparmi dei problemi. Speravo che una volta firmato il contratto potessi stare più tranquilla. Era poi molto tempo che non facevo sesso e mi resi conto che mi mancava molto. Un’idea improvvisa mi balzò in testa. Avrei portato il Maestro a mangiare al ristorante del formaggio. E avrei comprato lo stesso formaggio dell’altra volta. Risi dentro di me e ripensando a quel giorno mi venne il languore.
Il giorno dopo mi vestii in modo serio e elegante. Non misi reggiseno ma indossai una blusa che non mettesse in rilievo i capezzoli, sbottonata quel tanto per rendere l’idea. Mi misi poi una gonna ampia in modo da avere quella libertà d’azione che sarebbe stata necessaria più tardi. A pensarci ebbi subito un piccolo fremito tra le gambe.
Quando scesi in strada vedi subito l’auto del Maestro. Era di buon umore quando mi vide. Mi chiese dove volevo andare a mangiare. Feci finta di pensarci su e poi dissi che mi sarebbe piaciuto andare in un posto dove ero stata una volta con la mamma. Ci voleva un po’ per arrivarci ma avevamo molto da parlare. Gli raccontai dell’incontro con l’avvocato e della clausola che lui suggeriva. Il Maestro mi rispose che non c’era problema e che gli sembrava anche ragionevole. Mi raccontò che aveva preso appuntamento con un fotografo per il giorno dopo. Mi disse che dovevo essere vestita come una star, senza altre precisazioni. Mi disse anche che era arrivata una proposta per la Bohéme a Parma. Avevamo tempo per prepararla.
Arrivammo al ristorante prima dell’una e c’erano ancora solo pochi commensali. Entrando vidi il cameriere che mi riconobbe subito e mi salutò. Passandogli vicino gli dissi che alla fine del pranzo sarei andato da lui per comprare lo stesso formaggio della volta precedente. Gli si illuminò il volto quando mi rispose che sarebbe stato a mia disposizione. Salimmo al piano superiore come avevo fatto con la mamma.
Mangiando il Maestro mi parlò dei suoi piani. Mi disse su quali opere dovevamo puntare e che dalla prossima settimana intendeva iniziare a preparare il mio repertorio.
Finito di mangiare dissi che sarei andata in bagno. Il Maestro mi disse che avrebbe intanto pagato il conto e che sarebbe andato in macchina perchè aveva alcune telefonate da fare. Scendendo le scale mi domandai perché mai ero così arrapata e mi resi conto che non era solo la scopata che mi piaceva ma la sfrontatezza. Fare questa cosa così, in segreto, aveva su di me un effetto sconvolgente, Mi rivedevo come quella volta da ragazzina al cinema o in spiaggia dietro le cabine.
Andai in bagno e mi tolsi le mutandine. Il cameriere mi aveva visto scendere e mi stava aspettando con le chiavi in mano. Scendendo mi sussurrò che aveva già preparato tutto e che nessuno ci avrebbe disturbato. Entrammo nel solito magazzino e fui assalita dall’acre odore dei formaggi e dei salumi che erano raccolti lí dentro. Alla debole luce della lampadina appesa al soffitto vidi un materasso steso per terra in un angolo.
Mi gettò sul materasso e mi sollevò la gonna. Si affondò tra le mie gambe. Sentii la sua lingua frugarmi dentro. Fui un po’ sorpresa, mi domandai se avevamo tempo per effusioni di questo tipo, ma la sua lingua era così insistente che ne rimasi avvinta. Prendendolo per i capelli pressavo la sua testa su di me. La sua lunga lingua mi penetrava, mi leccava, mi titillava. Sarei rimasta lì a lungo così, stesa per terra a cambe larghe su quel semplice materasso, ma non ce n’era il tempo. Mi rovesciai su di lui, alzai la gonna e mi sedetti su di lui. Gli diedi le spalle perchè non volevo guardarlo e poi sapevo che agli uomini piaceva quella posizione, col culo in mostra. Quando me lo sentii dentro cominciai a sbatterlo con frenesia. Mi sentii assalire da un’onda di piacere che cercai di far durare più a lungo possibile. Poi mi fermai. Mi voltai e mi chinai verso di lui. Glielo presi in bocca e in un attimo lo feci venire. Questa volta avvicinai il volto al suo e gli diedi un bacio. Poi mi alzai, mi rimisi le mutandine, mi diedi una raddrizzata. Lui mi chiese quando sarei tornata. Gli risposi che non lo sapevo ma che l’avrei fatto certamente presto perché mi piaceva. Subito dopo dovetti però dirmi dentro di me che se diventavo famosa me lo dovevo scordare.
Non so quanto tempo durò l’avventura, ma ero un po’ preoccupata quando con il pacchetto del formaggio in mano mi diressi alla macchina. Il Maestro però stava ancora parlando al telefono. Mi sedetti accanto a lui. Quando ebbe finito di parlare io gli diedi un pacchetto e gli dissi che avevo comprato formaggio anche per lui. Lui mi ringraziò ridendo. Ci rimettemmo in marcia per tornare in città.
Dopo un attimo il Maestro si girò verso di me e mi disse ”Ho scoperto che io e te ci somigliamo molto, sai”. Lo guardai sorridendo. Perché mai quelle parole, mi domandai. Aveva capito? Chissà. Ma non mi importava. Avevo bisogno di trasgressione e avrei continuato così.
”Sei sicuro che diventerò famosa?”, gli chiesi improvvisamente. ”Hai tutto per poterlo diventare”, rispose, e io non potei fare a meno di domandarmi con chi avrei scopato allora, diventata famosa.
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