L'Ecobonus

di
genere
voyeur

Ho un progetto di 4 mesi da portare avanti in un ufficio comunale di un piccolo paese. Non era previsto e non avevo nemmeno molta voglia di trasferirmi seppur per pochi mesi. Il posto lo conoscevo abbastanza e non mi piaceva moltissimo, certo quando ci andavo con Claudio (il mio coinquilino ai tempi universitari) ci divertivamo parecchio lungo gli argini e il fiume dove scorrazzavamo con la barca dello zio ma era un posto che a me metteva tanta tristezza. Tutto grigio, tutto troppo tranquillo e le persone del paese ah quelle insopportabili, dure, indifferenti a tutto. Ho provato fino all’ultimo a delegare questo incarico a un collega ma niente da fare. Scrivo una mail a Claudio, con cui ho sempre tenuto un bellissimo rapporto, chiedendogli di darmi una mano per trovare un alloggio per i prossimi mesi. Sapevo che non viveva più nel suo paese natìo ma sicuramente sapeva come muoversi.
Claudio mi chiama al telefono e dopo il solito scambi di convenevoli mi dice che posso occupare una vecchia rimessa che la sua famiglia aveva acquistato anni fa e che avevano ristrutturato ricavandone un loft, dicendomi inoltre che aveva deciso di sfruttare l’ecobonus statale per il cappotto esterno e i nuovi infissi e che quindi di giorno c’erano gli operai.
Poco male pensai, di giorno sono negli uffici comunali e alla sera posso stare tranquillo.
Qualche giorno dopo con una valigia e un borsone prendo il treno e mi dirigo verso quella che sarebbe stata la mia casa per i prossimi quattro mesi. Arrivo al loft intorno alle 10.00 e come mi aveva anticipato Claudio, vedo gli operai che erano stati prontamente avvisati del mio arrivo. Entro in casa. Il loft non era molto grande ma arredato con gran gusto, questo stile industrial o meglio finto industrial, perché nessuno degli elementi d’arredo è un pezzo originale ma riproduzioni. Mi sistemo in una delle due camere da letto al primo piano. Chiamo il supermercato vicino, gli passo l’ordinazione e mi comunicano che entro un’ora mandano il ragazzo a casa per la consegna.
Sistemata la spesa in frigo, mi organizzo un pranzo veloce, alle 15.00 devo partecipare a una riunione al Comune. La riunione che doveva essere un primo e breve incontro per decidere la linea da seguire, dividere i lavori, si è trasformata in un logorroico monologo dell’assessore alle politiche europee conclusosi alle 20.00! Stanco, annoiato e visibilmente contrariato per questa pseudo riunione, vado via e mi incammino per i 20 minuti che mi separavano dal loft.
Arrivato al loft, mi dirigo immediatamente in bagno. Faccio una lunga doccia calda rilassante. Finita la doccia mi sdraio per qualche minuto sul letto, sono stanco, stanchissimo quando sento dei rumori. Mi affaccio dalla finestra del primo piano. Il loft era lo stabile di destra, di un tris di vecchi edifici industriali, con un grande cortile in comune chiuso da un cancello. Di vecchio era rimasto solo quello centrale e i rumori venivano proprio da lì. Due signori attempati stavano chiudendo un vecchio portone metallico, probabilmente di un’officina per poi aprire il portone del cortile per lasciarlo chiudere automaticamente al loro passaggio. Non ho voglia di cucinare, faccio due toasts, prendo una birra e vado di sopra, dove avevo sistemato il computer su una scrivania messa in cima alle scale. Dopo aver cazzeggiato per circa due ore, spengo tutto e vado a letto. E’ l’una e vengo svegliato da alcuni rumori nel cortile. Mi alzo al buio e vado alla finestra semichiusa e tra le fessure delle tapparelle vedo entrare un’automobile. Si posteggia nello stabile di fronte al mio. E’ la copia esatta del loft dove alloggio ma chiaramente arredato in maniera diversa, ci sono le piantine, le aiuole fuori il portone d’ingresso, tendine colorate alle finestre delle grandi vetrate del piano terra. La macchina si ferma. Esce una donna, alta che velocemente entra in casa. Dopo pochi istanti tutte le finestre del piano terra si illuminano. La vedo girare. Apre il frigo, prende l’acqua, beve dalla bottiglia. Si stiracchia. Da questa distanza sembra molto carina, non faccio a tempo a guardarla bene che spegne le luci. Si accendono al piano superiore ma purtroppo non la posso vedere per via delle finestre chiuse. Torno a letto. I giorni seguenti sono uno la fotocopia di quello successivo. Stesse riunioni insopportabili e stessi risultati, noia, solo noia e basta. I colleghi erano tutti sposati e anche se non lo fossero stati sinceramente non sarebbe cambiato nulla, troppo pallosi. A casa, per fortuna mi rilassavo parecchio, avevo una routine fatta di piccole cose ma mi serviva quello per sopravvivere in quel posto. In quei giorni avevo sbirciato diverse volte dalla finestra per vedere la donna della casa di fronte vedendola di rado e sempre per pochi secondi. Era l’unica cosa che tradiva quella noia sconfinata. Qualche settimana dopo dal mio arrivo, i miei colleghi organizzano una cena al ristorante, unica nota lieve, appunto, il ristorante, lo conoscevo da tantissimi anni, ci andavo con Claudio e la sua famiglia, un posticino incantevole sul fiume con una terrazza a palafitta. Il locale non tradisce le attese, è ancora più bello di come me lo ricordavo, è fine maggio, ceniamo sulla terrazza e il buon umore scomparso da settimane torna prepotente. Sono così di buon umore che perfino i miei colleghi mi sembrano simpatici, certo anche il vino bianco ha fatto la sua parte. Mentre aspettiamo il dolce, io e un collega ci alziamo, ci mettiamo in disparte a fumare una sigaretta, la serata è fresca, le lucine del locale si riflettono sull’acqua del fiume e chiacchiera dopo chiacchiera finiamo le sigaretta. Torniamo al tavolo. Nel percorso un flash. Nel tavolo in fondo alla sala vedo la tipa che abita di fronte a me. E’ lei la riconosco. Una volta al tavolo, sento la nostra segretaria fare pettegolezzi proprio sul tavolo della mia vicina, piuttosto rumoroso. E’ una cena di fine anno scolastico, una cena tra professori di una scuola media. La nostra segretaria nota pettegola è un fiume in piena. Tratteggia i profili di tutti i presenti a quel tavolo fino a quando giunge alla mia vicina di casa. Si chiama Diana, è napoletana, single, 35 anni e a parte i colleghi di lavoro non da confidenza a nessuno nonostante in paese qualcuno ci abbia provato a conoscerla. Finiamo la cena e con una scusa passo dalla parte di Diana, la voglio vedere bene. Non mi ero sbagliato, è bellissima, ci siamo pure guardati ma lei non mi ha mai visto, io non ho l’automobile e quindi entro ed esco da casa dal portone principale. Ancora tanta noia. I giorni tutti uguali. Diana era scomparsa. Sicuramente era andata via, la scuola era finita. Ormai avevo esaurito l’offerta Netflix e cominciavo a guardare con interesse qualche videogame. E’ un sabato mattina, sono circa le 10 e io avevo già bevuto il terzo caffè, me ne stavo al pc a cazzeggiare quando sento rumori provenienti dal cortile, strano, l’officina è chiusa il sabato. E’ Diana. Sta scaricando un sacco di buste dal portabagagli della sua automobile. Porta tutto in casa. La vedo sistemare la spesa nel frigo, dare l’acqua alle piantine sul davanzale. Era mancata una settimana ma era tornata. Mi preparo un piatto di pasta e subito dopo sonnecchio un’oretta. Dopo una doccia mi avvicino alla finestra e sento la voce di Diana, la finestra del primo piano è spalancata, sento la sua voce ma non la vedo. Vado nell’altra camera da letto, che era esattamente di fronte a quella di Diana. E’ sdraiata, pantaloncini e maglietta. Ride. Ride molto forte, sento nitidamente la sua voce, sta chiacchierando con un’amica suppongo, le racconta del rientro al lavoro, che dovrà sopportare un altro mese di lavoro, di caldo ma per fortuna poi tornava a casa per le ferie. Volevo conoscere Diana. Cercavo un’occasione per attaccare bottone. Esco, faccio un giro con Fulvia e Carlo, gli unici due miei colleghi davvero simpatici. Andiamo a cena e poi a bere in un bar in centro. Mi riaccompagnano intorno a mezzanotte. Entro in casa e mentre guardo indeciso l’ultima porzione di cheese cake rimasta in frigo sento la voce di Diana. Ride. Mi avvicino piano al buio alla finestra, è al piano di sopra, luci spente e finestra spalancata. Rinuncio al dolce. Il voyuer che è in me prende il sopravvento. Vado direttamente nell’altra camera da letto ma è buio, sento solo la voce, ride. Non riesco come nel pomeriggio a sentire tutte le parole, parla un po' più piano. Sento le risate ma non le parole. Scoppia a ridere a intervalli quasi regolari.
Protetto dalle impalcature degli operai decido di uscire fuori. Non la vedo ma sento nitidamente cosa dice e capisco che sta parlando con uomo, che sicuramente le piace perché è un susseguirsi di battutine e risate. Quello che però stava per accadere non lo avevo preventivato. Diana accende le luci della camera, è in videochiamata, non si cura della finestra aperta, sicura da mesi che la casa fosse disabitata. Tra mille risate comincia a spogliarsi e in breve tempo rimane nuda. Tiene il cellulare con una mano, con l’altra si continua ad accarezzare i capelli e non smette mai di ridere. E’ magra, le tette sono piccole ma ha delle gambe bellissime e lunghissime. La chiamata si fa seria. Diana si mette quasi seduta a letto, divarica le gambe e con la mano che regge il cellulare fa su è giù, per far vedere all’uomo il suo viso e l’altra mano che ormai stabilmente è tra le cosce. Diana non ride più, non sento più cosa dice ma ogni tanto sento qualche parola sconcia e dopo qualche minuto con un urlo fragoroso, gode. Pochi secondi dopo si congeda dal suo uomo, posa il cell e scompare dalla mia vista per farci ritorno qualche minuto dopo. E’ ancora nuda, si stiracchia, spegne la luce. Per qualche minuto vedo la luce del display del suo telefono illuminare la stanza ma poi si spegne anche quello. Torno in casa. Mi masturbo. Dormo.
Il lunedì a pranzo, con Fulvia andiamo in una tavola calda vicino al Comune, entriamo e mentre decidiamo cosa prendere una voce dal fondo della sala “Fulviaaa, siamo qui!!!”. Vedo una ragazza sorridente andare incontro alla mia collega, ci chiede di pranzare con lei e una sua amica. La sua amica è Diana. Ci avviciniamo, Fulvia abbraccia Diana, le chiede come sta e scopro che erano diventate amiche, perché la sorella di Fulvia è un’insegnante della stessa scuola di Diana. Ci presentano. Mentre mangiamo penso a questa assurda coincidenza, la guardo ed è incantevole. A rovinare tutto ci pensa Fulvia. “Ma voi non vi conoscevate?” Io e Diana ci guardiamo incuriositi. Fulvia continua: “State nello stesso stabile”. Prendo la palla al balzo. “Ma io non ho vicini, ho una vecchia officina e basta!”. Diana è chiaramente a disagio, farfuglia cose tipo “No, non ho mai visto nessuno in quella casa”. Cerco di rimediare “Diana, sto fuori tutto il giorno e poi io entro ed esco dal portone, ho dato un’occhiata al cortile il giorno che sono arrivato, ma poi viste le impalcature degli operai, non ci sono più passato”. Diana sembra aver creduto alla mia versione. Poco dopo usciamo e chiedo a Diana se le va di fare il cammino di ritorno a casa insieme. “Molto volentieri, cammino sempre sola per tornare a casa”. Passeggiamo lentamente, ci raccontiamo le solite cose ed entrambi convergiamo sulla stessa cosa, non vediamo l’ora di abbandonare quel posto e tornare a casa. Una volta arrivati a casa, chiedo a Diana se le va un aperitivo o una cena nelle prossime sere. Dice subito di si. Ci scambiamo i numeri. Da quel momento io e Diana usciamo quasi tutti i giorni insieme. Nel tardo pomeriggio, facciamo quattro passi per poi alcolizzarci al solito baretto sul fiume. Le giornate son completamente cambiate e vedo che anche Diana è molto contenta della nuova piega che hanno assunto le sue giornate. Parliamo di tutto, chiedo a Diana se ha qualcuno, se ha un uomo e lei mi dice subito di no, rispondo in maniera identica. E’ uno di quei bei pomeriggi di inizio estate, me ne sto come sempre, in quei giorni, sull’argine del fiume con Diana e la solita birretta quando Diana: “Senti, io ho una domanda che devo farti da tanto tempo, è una cosa che non mi fa dormire, posso?” La rassicuro e la invito a dirmi subito cosa la tormentasse. “Qualche tempo fa, ho fatto una cavolata, un tipo che conosco da un po' mi ha chiamata e sai chiacchiera dopo chiacchiera… “ con un cenno della testa invito Diana a continuare il discorso “...insomma si, ho fatto una cavolata, mi sono mostrata in videochiamata” invito nuovamente Diana a proseguire il suo racconto “Dimmi la verità, tu mi hai vista? Avevo la finestra aperta, sai cazzo ero sicura di essere sola” interrompo Diana “No Diana ma ora che mi hai detto questa cosa, farò attenzione a non perdermi la seconda occasione”. Chiaramente stavo mentendo ma avevo visto Diana piuttosto preoccupata e con quella battuta cercavo di strapparle un sorriso. Ci riesco. Diana ride, ancora una volta ha creduto alla mia versione. Continuiamo a bere. Torniamo a casa piuttosto brilli. Ci salutiamo ed entriamo nelle nostre rispettive case. E’ sabato sera e io fatico a smaltire l’alcol nonostante un buon pezzo di torta preso dal frigo. Vado in camera. Prendo il cellulare e scrivo a Diana. “Mi spieghi come mai avrei potuto vederti” Diana mi risponde. “Affacciati”. Le faccio vedere che non sono nemmeno nella finestra di fronte alla sua. Mi chiede cosa ci sia nella stanza accanto. Dico che è la stanza dei padroni di casa e che a me hanno offerto questa da dove gli stavo parlando. Diana chiaramente rinfrancata dal mio discorso mi saluta e rientra. Dopo qualche minuto mi arriva un messaggio di Diana “Ma tu puoi andare in quella camera?” le rispondo di si e lei mi dice di andarci. Apro la finestra e le faccio vedere che c’è il telone dell’impalcatura. Mi manda uno smile. Torno in camera. Mi manda un altro messaggio. “Lo puoi spostare il telone?” Ora io capisco che era ciucca esattamente come me ma ora stava cominciando a farmi incazzare. Vado di nuovo in camera e a voce alta racconto cosa sto facendo così che Diana sentisse. “Ora apro la finestra, ora salgo sull’impalcatura, ora sposto il telone e…” vedo Diana che ride come una matta, si gira a destra e sinistra per accertarsi di essere sola “Ecco, avresti visto questo!” Si spoglia. Cioè fa cadere la maglietta che teneva appoggiata al seno. Rimaniamo in silenzio qualche secondo. Diana: “Ora a questo punto, tu, che sei un uomo, dovresti dire qualcosa tipo… da me o da te? E io che sono una fragile donna dovrei risponderti che prima bisogna conoscersi e poi… dai vieni da me! “. Ride.
Vado giù. Attraverso il cortile, le finestre al piano terra sono illuminate, Diana mi apre la porta. “Ho il vino bianco che ti piace!”. Ci sediamo su due sgabelli uno di fronte all’altro, ci scoliamo la bottiglia, andiamo in camera, nel tragitto partono le prime avvisaglie, volano vestiti. La porto vicino alla finestra, guardo la casa che mi ospita, le impalcature e penso a quella notte che l’eccitazione mi aveva fatto impazzire. Siamo in piedi, ci baciamo, ci accarezziamo, ci abbracciamo forte, ci tocchiamo, ho voglia, lei ha voglia eppure voglio gustarmi quel momento più a lungo, scivolo giù, mi piego sulle gambe, faccio girare Diana, che appoggia il culo sul davanzale della finestra, apre le lunghissime gambe, le ficco la testa tra le cosce, la torturo con la mia lingua e lei si abbandona a urla piuttosto forti, tremendamente forti, che interrompe solo per dormi di continuare perché sta per godere, è un attimo, le urla sono violente e io sono sempre tra le sue cosce, si placa dopo qualche secondo, mi invita a mettermi in piedi, si gira “mettimelo dentro, mettimelo dentro”, comincio a penetrarla piano ma Diana con chiari movimenti del culo mi fa accelerare i colpi. La risento urlare, forte, fortissimo. Continuiamo ancora per qualche minuto finché Diana si stacca. Si gira, mi bacia. “Torno subito!” mi pianta lì e va in bagno. Torna dopo circa 10 minuti. Io nel frattempo mi ero acceso una sigaretta. Fuma anche Diana. Diana mi accarezza la gamba e sfiora il cazzo che nel frattempo stava tornando duro. “Dimmi cosa vuoi, esaudirò il tuo desiderio!”. “Finisci la sigaretta, poi mettiti in ginocchio e prendilo in bocca, voglio guardarti mentre me lo succhi”. Un lungo mmmmmm eccitantissimo di Diana e poi la sigaretta spenta, si mette come gli avevo chiesto. Lo prende in bocca, lo succhia, lo lecca e non mi toglie mai gli occhi di dosso. Sapevo di non poter resistere moltissimo e il suo sguardo ha dato il colpo di grazia, faccio in tempo a regalargli insulti tremendi che gli riverso in bocca tutta l’eccitazione brutale di quella notte. Torniamo a fumare. Torniamo tutti i giorni al baretto sul fiume e poi a casa a dirci e farci di tutto. Sono stati 15 giorni bollenti. Diana è stata la svolta. Ci sentiamo ancora, ogni tanto ci vediamo, non le ho mai confessato di averla spiata e credo non glielo dirò mai.
di
scritto il
2022-11-11
2 . 8 K
visite
9
voti
valutazione
4.1
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

L'isola che c'è - Prima parte
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.