L’s story. Capitolo 24. Il ballo delle debuttanti
di
Laras
genere
dominazione
Tornata alla villa, mi lasciano dormire tutta la mattinata del venerdì. Mi sveglia Marta, c’è qualcosa da mangiare per me in cucina: “Mangia! hai le occhiaie dalla stanchezza!” Ride, divertita: mi lascio prendere in giro, rido anche io. Mi controlla le parti intime: non sono dilatata da nessuna parte: “Perfetta!”, conclude.
E subito dopo: “Ercole ha deciso che tra poco hai 4 ore: ballo, galateo, artistica. E ha dett0 un’altra cosa [ha gli occhi che brillano di felicità per me]: il tuo corteggiatore di ieri notte gli sta telefonando di continuo, sembra impazzito… hi hi hi!”. Io divento rossa, abbasso gli occhi, vorrei giustificarmi, ma non me ne dà il tempo: “Corri a prepararti, svelta! Domani avrai zero tempo: andrai a Roma! A Roma, tra tanti bei cadetti!”.
Le lezioni seguono la solita logica, non sto a ripeterla. Unica novità: visto che so già fare la spaccata, Naspisi mi dice di stare con un piedino sulla sbarra e viso contro lo specchio. Quindi mi penetra velocissimo, spruzzandomi dentro. Mi sento umiliata anche se… sono venuta anche io. Mi ripeto mentalmente che è giusto venire umiliata così per una insicura come me. Mi fanno andare a dormire con l’aiuto di una camomilla: la sveglia sarà prestissimo.
È sabato, il giorno del ballo delle debuttanti! Grazie a Max, alle 07:00 sono già al Centro Commerciale: è chiuso ma, come da accordi la parrucchiera ci apre. Esco alle 11:00, han dovuto ritoccarmi mani, piedini, eccetera. E anche la’ dove non si dice.
Tornati a casa, il vestito che ho indossato per Helio è nelle mani di Marta che lo controlla centimetro per centimetro. Alla fine, sentenzia: “Insomma, giovedì notte l’hai passato con un gentiluomo: il vestito è perfetto! hi hi hi”. Mi prende in giro, perché è felice di me, felice del fatto che piano piano imparo a servire e far contenti gli uomini. Mi accorgo che la sto percependo come una seconda mamma.
Alle 12:00, Max (oggi in abito scuro e decorazioni militari), mi aspetta al portone della villa. È bello come Marte, il dio della guerra: ma preferirei morire che dare un dispiacere a Marta... e la porta posteriore della Berlina mi aspetta.
In meno di un’ora siamo a Modena, ci aspetta un elegante Suv, più grande di quel che usiamo noi. Max mi toglie la fede matrimoniale, mi aiuta a scendere. Scende anche il generale: è un po’ più alto di Max, un po’ più vecchio, grosso e forte come lui: sembrano due grossi leoni pronti ad azzannarsi…. Poi si si squadrano le mostrine sul petto e mi sembra capiscano mille cose l’uno dell’altro. Infatti, Max è visibilmente impressionato e si irrigidisce sull’attenti, senza fare il saluto militare (per via di non so quante missioni umanitarie, è stato congedato presto). Il generale si limita a dirgli “complimenti”, Ma si capisce che deve aver visto poche scrivanie.
Max torna da me, mi scuote leggermente: adoro gli uomini in divisa e mi ero… distratta. Mi aiuta a salire, mi saluta e… si parte per Roma!
La figlia del generale mi saluta e parla, parla tantissimo: è una spilungona, molto magra, certo è più vecchia di me: confronto a lei, sembro una bambina. È però evidente che lei è intelligente e ha studiato, mentre io no. So quanto possono essere cattive le ragazze quando capiscono che sono una insicura. Perciò rispondo a monosillabi, con umiltà e modestia.
Il generale sta lavorando con telefono e p.c., la conversazione pian piano si spegne. È allora che mi nota: “Però... sembrate l’una l’opposto dell’altra… ah ah ah!”.
Nel viaggio sto sulle mie: composta, modesta, ripenso al milione di raccomandazioni che mi ha fatto l’insegnante di galateo. Sicuramente sbaglierò tutto e mi cacceranno via. Ma Roma si sta avvicinando… ed è allora che il Generale mi chiede: “Signorina dove alloggia? La porteremo fin la’ e stasera la verremo a prendere”. Frugo nella pochette, tiro fuori un biglietto dell’albergo. Lui storce il naso: “Non è un quartiere che va bene per una ragazzina come lei. Le chiedo il permesso di far preparare un alloggio accanto al nostro. Lei è carina e, mi creda, in un alloggio ufficiali sarebbe molto più al sicuro”.
La figlia sbotta: “Ma papà, questa qua non sappiamo nemmeno di chi è figlia. E alle mie amiche non hai mai proposto una cosa del genere!”. Il generale gira la testa verso la figlia, ha gli occhi grigi, ora sembra un falco pronto a uccidere la preda. La figlia trema, abbassa gli occhi, tace. Anche io vado in soggezione totale. Lui prende il cellulare, da’ disposizioni... poi mi chiede: “Signorina, al suo attendente servirebbe il suo numero di cellulare”.
In imbarazzo, rispondo con un filo di voce: “Non... non ho il permesso di avere un cellulare. Me ne scuso, posso tenerlo solo quando sono sola”.
Il falco urla alla figlia: “Ammira e impara! Non sai di chi è figlia, ma questa si chiama educazione! Docilità verso i genitori! amore!”. Seguono altre disposizioni. Stiamo zitte.
L’auto entra nel piazzale della grande scuola ufficiali romana. La figlia scende e corre schiamazzando verso un edificio davanti al quale sono le sue amiche. Scende il generale, è in piedi e si guarda attorno: piano piano cala il silenzio. Si sentono solo delle voci sommesse: “C’è Aresi! È il comandante Aresi!”. Cadetti che scendono precipitosamente le scale.
Spontaneamente si mettono infila inquadrati, lo sguardo verso quell’uomo. Lui non li passa in rassegna ma si ferma con tutti, dagli ufficiali alle reclute: anche solo una parola, un incoraggiamento… più volte indica il tricolore. Poi li rimanda al lavoro.
Io sono scesa e sono accanto all’auto da quasi un’ora. Sola, gli occhi bassi, le gambe unite, la pochette in mano e un piccolo trolley nell’altra. Quando mi vede abbandonata, si irrigidisce, urla poche parole… e un tenentino corre verso di me, in preda al panico. “Signorina, mi perdoni, io non sapevo, non avevo capito, io…”. Prende le mie cose, mi precede verso la palazzina più carina: gli alloggi ufficiali.
Aresi è già la’ che controlla ogni foglia. Un ufficiale più vecchio lo saluta: “Aresi! Eccoti qui! Come stai? La ferita?”
Lui: “Pavoni! che bello rivederti! Sto bene, sono in servizio come vedi. Il morale, invece, è a pezzi. Mi hanno messo dietro a una scrivania”.
Pavoni: “Un uccellino mi ha detto che è una bella scrivania e pochi ci si son seduti”.
Un velo di tristezza sul viso di quello che, ormai l’ho capito persino io, è un eroe. Poi: “Pavoni, mi serve un favore”.
Pavoni: “Te ne devo 100 di favori… e ti devo la vita, non ho dimenticato: parla”.
Aresi: “Senti le tue bambine son grandi e saranno già sposate. La vedi quella accanto alla palazzina ufficiali?”. Pavoni si volta, mi vede piccina e sola… commenta: “Sembra carina, ma chi è?”.
Aresi “Mi è stata raccomandata dal Comando Regionale, ne ho la responsabilità morale. Non so chi è, ma ha fatto il viaggio con noi e ti assicuro che è una perla e non ha cavaliere”.
Pavoni: “Ho già capito. Alle 19:40 sarò lì. Grazie per aver pensato a me”.
Aresi: “Grazie a te, comandante”.
L’alloggio non è niente di che, ma è spazioso e pulito. Mi sono cambiata nel bagno: il tenentino che mi aiuta ha lasciato la porta mezza aperta apposta, per sbirciare: non ho carattere per chiuderla e, quando son nuda, controllo se mi guarda ancora: vedo che si sta masturbando credendosi non visto: è per colpa mia! Così, mi vesto svelta. Quando esco dal bagno vedo che, davanti a lui, il pavimento è bagnato: a occhi bassi dico “Sono pronta”.
Scendo, vado all’ingresso: Aresi mi presenta al suo collega, che non è un semplice collega, ma… un generale di Corpo d’Armata e una delle massime cariche militari dello Stato! Entrambi sono in abito di gala, nero, con papillon… belli da morire. Mi fanno il baciamo e Pavoni mi spiega che sono un fiore di loto in uno stagno di melma. Sto per svenire, uomini così non ne fanno più… Aresi mi spiega: “L. sia sé stessa, non dia confidenza: le ragazze sono delle serpi e la metà dei cadetti non ha i soldi per pagare le rate della Cinquecento. Le sarò accanto ma non mi vedrà: uno sguardo per chiedere aiuto e mi troverà al suo fianco”.
Aresi va dalla figlia, Pavoni mi offre il braccio. Arriviamo al grande salone delle feste. Sarò la prima a entrare… cioè Pavoni sarà il primo e io al suo braccio. Per fortuna non abbiamo sbagliato l’abito: quello bianco si mette per un ballo delle debuttanti, ma questo è il ballo di tutti i balli delle debuttanti d’Italia. L’orchestra suona, scendo le scale al braccio di Pavoni. Tutta la sala tace. Tutte le signore di una certa età mi sorridono, parte un applauso: chiaro che la mia aria da bambina fa tenerezza… e forse piaccio alle signore anche perché son la più piccolina, sembro la più giovane, l’unica non truccata, senza ori, l’unica che tiene gli occhi bassi.
Il posto del primo ballo è fisso: mi tocca un cadetto molto carino. Un valzer, una mazurka, un valzer: sapete già che adoro ballare… passo da un cavaliere all’altro come una farfalla, felice di ballare: io volo… invece le altre spostano i piedi.
Alla prima pausa mi ritrovo in un angolo, ho 15 cadetti attorno, alcuni fanno apprezzamenti volgarotti guardandomi le trasparenze: sto male, mi si bagnano gli occhi… ma rimbomba una voce forte: “Signorina L. va tutto bene?” Sono a capo chino, lacrime sul viso, non riesco a rispondere. Ma c’è lui, Leonida Aresi, e i ragazzi in divisa si bloccano. Aresi: “Via! Siete la vergogna della divisa che portate! Vigliacchi senza palle!”.
Mi porta su un balcone, mi fa calmare finché sussurro un timido e riconoscente “Grazie… grazie generale”. Lui mi accarezza il viso, e mi guarda negli occhi: io mi perdo nei suoi, grigi come la morte. Ho conosciuto un altro uomo con lo sguardo magnetico come questo: mi legge nel cervello e nel cuore, capendo tante cose di me.
Mi scuote, mi comanda: “La pausa sta per finire, vai! Fai morire di invidia le ragazze, e impazzire di desiderio i cadetti. È un ordine!” Mi sorride. Ricambio, mentre tiro su col nasino e mi asciugo il viso. Riprendo forza, corro nel salone. Ora dobbiamo aspettare di venire invitate, ma in prima fila ci sono le altre, e fan blocco per non farmi passare: ennesima mortificazione, resto dietro loro, piccola e invisibile. Per consolarmi mi ripeto: è meglio così, non devo apparire.
Chiamata ai cadetti. Ora devono scegliere una damigella per il secondo giro e… sorpresa: 15-16 vanno dalle loro ballerine, ma 9-10 si dirigono proprio verso quella davanti a me: lei sprizza di felicità, ma… la fanno spostare, mi prendono per mano, vogliono me. Succede di tutto: si spintonano, quasi litigano per ballare con me. Sono in imbarazzo totale, nascondo il viso con le manine… questa volta è lo stesso generale Pavoni che urla.
Tornata la quiete, si balla. Come prima, un valzer, una mazurca. Cambio damigella. Di nuovo, un valzer e… una polka, ballo difficile! Un terzo dei cadetti e damigelle si fermano, vanno ai margini dalla pista: restiamo in 15 coppie. Finita la polka, il direttore d’orchestra fa la cavolata e annuncia un tango: silenzio generale, il tango è una cosa seria… resto sola sulla pista.
Abbasso il capo, faccio un passo indietro. Sto per arretrare ancora che parte un applauso all’unico uomo che prova a ballare il tango: è lui, è Aresi che cala tra le due ali di spettatori come un falco reale: sono rossa sia per essere la sola damigella, sia per tutte quelle persone importanti, sia perché – me ne accorgo – subisco il carattere fortissimo di Aresi.
Si inchina, formale: “Signorina posso avere l’onore di questo ballo?”. Sorrido felice e faccio l’inchino profondo, che è il “Sì”. Parte Por una cabeza (ricordate Scent of a woman?); lui mi prende con sicurezza e si pone dietro: partenza da dietro? Che sappia davvero ballare? Sì! sa ballare eccome! Mi guida con tale sicurezza che non faccio nessuna fatica. È bravissimo, mi lascia gli spazi, caminada, volcada, salti, sollevamenti… è un tanguero fantastico, gli sorrido di gioia… credo di avere gli occhi verdissimi. La chiude col casquè, ma portandomi fino a terra, distesa ai suoi piedi.
Dalla folla si alza un applauso incredibile. Aresi mi fa fare il giro di ringraziamento, mi inchino per ringraziare tutti per gli applausi, mentre mi sussurra all’orecchio: “Hai già battuto tutte, sarai la debuttante di quest’anno: ma sei sicura di voler vincere?”. Capisco che quest’uomo mi legge dentro e mi ha capita in poche ore: “Io sono già felice… generale, lei ha fatto splendore il sole su una delle mie giornate più buie… non mi faccia decidere niente, la prego”. Sorride e annuisce, poi mi guida verso il bordo della pista e decide: “Ora io resterò davanti a te per i saluti, mentre tu scivolerai senza farti notare, verso il terrazzo: sarò lì tra 10 minuti”.
Arriva sul terrazzo puntuale, siamo soli, si avvicina molto a me e mi dice: “Devo verificare: niente strilli né schiaffi, è necessario”. In un secondo mi alza il davanti del mio bel vestito, mette una mano dentro al perizoma e mi palpa tutta la passerina. Sono fradicia come una porcacciona, e sono anche stupita e paralizzata… ma non mi ribello e, quando mi spinge un grosso ditone dentro, purtroppo gemo sottovoce. Lui toglie la mano e si limita a dire: “Ma allora sei vera, non fingi mai in nulla! Andiamo, serve un’altra verifica”. Mi porge il braccio come se non fosse successo niente, quatto quatto mi guida verso gli alloggi ufficiali.
Entrati nel mio alloggio, chiude la porta a chiave e sposta una seggiola davanti alla finestra, poi: “Togli tutto”. Me lo dice così, come se fosse la cosa più ovvia del mondo: tremo, chiudo gli occhi e, con enorme fatica, faccio in modo che il mio bellissimo vestito cada a terra: ho su solo il perizoma a filo fradicio e le mie bellissime Coavilla.
Aresi: “Allarga le gambe… offri il petto… girati… chinati in avanti… torna davanti… apri la bocca”. Mi esamina come fossi una mucca, mi ha scostato le natiche e valuta persino il collo, le caviglie e i denti: sono sconvolta, umiliata, mi vengono gli occhi lucidi, ma ubbidisco senza fiatare. Mi rendo perfettamente conto che non è la prima volta che incontra una insicura come me.
Aresi: “Nascondevi il tuo corpo, lo fai sempre, vero? Sei perfetta e bellissima, non trovo difetti: sei una sorpresa”. Non riesco a rispondere: profondamente mortificata, chino la testa.
Lui: “Mi chiamo Leonida, piacere di conoscere la vera L. Non ti vergognare, io ti conosco da prima che tu nascessi. Ti ho incontrata tante volte in tre continenti diversi, a migliaia di chilometri da qui. So tutto di te, so a cosa aneli. Non aver timore, so che sei una perla preziosa e rarissima…. E io non punisco senza motivo. Ora vai in ginocchio sulla sedia e guarda dalla finestra che bel panorama”. So bene perché mi vuole far stare in quel modo: così le mie parti intime sono indifese.
Infatti, si prende quello che spetta ai caratteri forti come il suo: senza violenza ma con sicurezza. Da dietro mi prende il seno, me lo pizzica e lo tira, mentre si muove avanti e indietro, dentro di me. Non sento un pene enorme, ma lo ha bollente e durissimo. E, a sentirlo così rigido per me, non riesco a trattenere un orgasmo immediato: chissà cosa penserà di me adesso. Invece, mi dice: “Ben addestrata, brava! Molto brava!” e, muovendosi più velocemente, raggiunge la soddisfazione restandomi dentro. Non mi ha chiesto nemmeno se sono protetta: sembra sappia come ci si comporta con una schiava di piacere, ciò che è suo diritto e mio dovere.
Io vorrei giustificarmi, scusarmi, spiegare… ma si è seduto alla scrivania e sta scrivendo un biglietto per sua figlia, al quale allega 20 banconote da 50 euro. Per me solo istruzioni: “Lavacri, abiti da viaggio, scendi tra 10 minuti”. Devo spicciarmi e per fortuna scendo qualche secondo prima della scadenza. Saliti sul grande Suv, tira la tendina che ci separa dall’autista e mi guida: “Ora riposa e metti la testolina qui”. Guardo: ha già il sesso di fuori e, quando mi sono distesa, me lo mette in bocca. Come fa a sapere che devo essere umiliata?
Torniamo a casa e, come una svergognata, mi addormento tenendo il membro del generale in bocca.
Continua
E subito dopo: “Ercole ha deciso che tra poco hai 4 ore: ballo, galateo, artistica. E ha dett0 un’altra cosa [ha gli occhi che brillano di felicità per me]: il tuo corteggiatore di ieri notte gli sta telefonando di continuo, sembra impazzito… hi hi hi!”. Io divento rossa, abbasso gli occhi, vorrei giustificarmi, ma non me ne dà il tempo: “Corri a prepararti, svelta! Domani avrai zero tempo: andrai a Roma! A Roma, tra tanti bei cadetti!”.
Le lezioni seguono la solita logica, non sto a ripeterla. Unica novità: visto che so già fare la spaccata, Naspisi mi dice di stare con un piedino sulla sbarra e viso contro lo specchio. Quindi mi penetra velocissimo, spruzzandomi dentro. Mi sento umiliata anche se… sono venuta anche io. Mi ripeto mentalmente che è giusto venire umiliata così per una insicura come me. Mi fanno andare a dormire con l’aiuto di una camomilla: la sveglia sarà prestissimo.
È sabato, il giorno del ballo delle debuttanti! Grazie a Max, alle 07:00 sono già al Centro Commerciale: è chiuso ma, come da accordi la parrucchiera ci apre. Esco alle 11:00, han dovuto ritoccarmi mani, piedini, eccetera. E anche la’ dove non si dice.
Tornati a casa, il vestito che ho indossato per Helio è nelle mani di Marta che lo controlla centimetro per centimetro. Alla fine, sentenzia: “Insomma, giovedì notte l’hai passato con un gentiluomo: il vestito è perfetto! hi hi hi”. Mi prende in giro, perché è felice di me, felice del fatto che piano piano imparo a servire e far contenti gli uomini. Mi accorgo che la sto percependo come una seconda mamma.
Alle 12:00, Max (oggi in abito scuro e decorazioni militari), mi aspetta al portone della villa. È bello come Marte, il dio della guerra: ma preferirei morire che dare un dispiacere a Marta... e la porta posteriore della Berlina mi aspetta.
In meno di un’ora siamo a Modena, ci aspetta un elegante Suv, più grande di quel che usiamo noi. Max mi toglie la fede matrimoniale, mi aiuta a scendere. Scende anche il generale: è un po’ più alto di Max, un po’ più vecchio, grosso e forte come lui: sembrano due grossi leoni pronti ad azzannarsi…. Poi si si squadrano le mostrine sul petto e mi sembra capiscano mille cose l’uno dell’altro. Infatti, Max è visibilmente impressionato e si irrigidisce sull’attenti, senza fare il saluto militare (per via di non so quante missioni umanitarie, è stato congedato presto). Il generale si limita a dirgli “complimenti”, Ma si capisce che deve aver visto poche scrivanie.
Max torna da me, mi scuote leggermente: adoro gli uomini in divisa e mi ero… distratta. Mi aiuta a salire, mi saluta e… si parte per Roma!
La figlia del generale mi saluta e parla, parla tantissimo: è una spilungona, molto magra, certo è più vecchia di me: confronto a lei, sembro una bambina. È però evidente che lei è intelligente e ha studiato, mentre io no. So quanto possono essere cattive le ragazze quando capiscono che sono una insicura. Perciò rispondo a monosillabi, con umiltà e modestia.
Il generale sta lavorando con telefono e p.c., la conversazione pian piano si spegne. È allora che mi nota: “Però... sembrate l’una l’opposto dell’altra… ah ah ah!”.
Nel viaggio sto sulle mie: composta, modesta, ripenso al milione di raccomandazioni che mi ha fatto l’insegnante di galateo. Sicuramente sbaglierò tutto e mi cacceranno via. Ma Roma si sta avvicinando… ed è allora che il Generale mi chiede: “Signorina dove alloggia? La porteremo fin la’ e stasera la verremo a prendere”. Frugo nella pochette, tiro fuori un biglietto dell’albergo. Lui storce il naso: “Non è un quartiere che va bene per una ragazzina come lei. Le chiedo il permesso di far preparare un alloggio accanto al nostro. Lei è carina e, mi creda, in un alloggio ufficiali sarebbe molto più al sicuro”.
La figlia sbotta: “Ma papà, questa qua non sappiamo nemmeno di chi è figlia. E alle mie amiche non hai mai proposto una cosa del genere!”. Il generale gira la testa verso la figlia, ha gli occhi grigi, ora sembra un falco pronto a uccidere la preda. La figlia trema, abbassa gli occhi, tace. Anche io vado in soggezione totale. Lui prende il cellulare, da’ disposizioni... poi mi chiede: “Signorina, al suo attendente servirebbe il suo numero di cellulare”.
In imbarazzo, rispondo con un filo di voce: “Non... non ho il permesso di avere un cellulare. Me ne scuso, posso tenerlo solo quando sono sola”.
Il falco urla alla figlia: “Ammira e impara! Non sai di chi è figlia, ma questa si chiama educazione! Docilità verso i genitori! amore!”. Seguono altre disposizioni. Stiamo zitte.
L’auto entra nel piazzale della grande scuola ufficiali romana. La figlia scende e corre schiamazzando verso un edificio davanti al quale sono le sue amiche. Scende il generale, è in piedi e si guarda attorno: piano piano cala il silenzio. Si sentono solo delle voci sommesse: “C’è Aresi! È il comandante Aresi!”. Cadetti che scendono precipitosamente le scale.
Spontaneamente si mettono infila inquadrati, lo sguardo verso quell’uomo. Lui non li passa in rassegna ma si ferma con tutti, dagli ufficiali alle reclute: anche solo una parola, un incoraggiamento… più volte indica il tricolore. Poi li rimanda al lavoro.
Io sono scesa e sono accanto all’auto da quasi un’ora. Sola, gli occhi bassi, le gambe unite, la pochette in mano e un piccolo trolley nell’altra. Quando mi vede abbandonata, si irrigidisce, urla poche parole… e un tenentino corre verso di me, in preda al panico. “Signorina, mi perdoni, io non sapevo, non avevo capito, io…”. Prende le mie cose, mi precede verso la palazzina più carina: gli alloggi ufficiali.
Aresi è già la’ che controlla ogni foglia. Un ufficiale più vecchio lo saluta: “Aresi! Eccoti qui! Come stai? La ferita?”
Lui: “Pavoni! che bello rivederti! Sto bene, sono in servizio come vedi. Il morale, invece, è a pezzi. Mi hanno messo dietro a una scrivania”.
Pavoni: “Un uccellino mi ha detto che è una bella scrivania e pochi ci si son seduti”.
Un velo di tristezza sul viso di quello che, ormai l’ho capito persino io, è un eroe. Poi: “Pavoni, mi serve un favore”.
Pavoni: “Te ne devo 100 di favori… e ti devo la vita, non ho dimenticato: parla”.
Aresi: “Senti le tue bambine son grandi e saranno già sposate. La vedi quella accanto alla palazzina ufficiali?”. Pavoni si volta, mi vede piccina e sola… commenta: “Sembra carina, ma chi è?”.
Aresi “Mi è stata raccomandata dal Comando Regionale, ne ho la responsabilità morale. Non so chi è, ma ha fatto il viaggio con noi e ti assicuro che è una perla e non ha cavaliere”.
Pavoni: “Ho già capito. Alle 19:40 sarò lì. Grazie per aver pensato a me”.
Aresi: “Grazie a te, comandante”.
L’alloggio non è niente di che, ma è spazioso e pulito. Mi sono cambiata nel bagno: il tenentino che mi aiuta ha lasciato la porta mezza aperta apposta, per sbirciare: non ho carattere per chiuderla e, quando son nuda, controllo se mi guarda ancora: vedo che si sta masturbando credendosi non visto: è per colpa mia! Così, mi vesto svelta. Quando esco dal bagno vedo che, davanti a lui, il pavimento è bagnato: a occhi bassi dico “Sono pronta”.
Scendo, vado all’ingresso: Aresi mi presenta al suo collega, che non è un semplice collega, ma… un generale di Corpo d’Armata e una delle massime cariche militari dello Stato! Entrambi sono in abito di gala, nero, con papillon… belli da morire. Mi fanno il baciamo e Pavoni mi spiega che sono un fiore di loto in uno stagno di melma. Sto per svenire, uomini così non ne fanno più… Aresi mi spiega: “L. sia sé stessa, non dia confidenza: le ragazze sono delle serpi e la metà dei cadetti non ha i soldi per pagare le rate della Cinquecento. Le sarò accanto ma non mi vedrà: uno sguardo per chiedere aiuto e mi troverà al suo fianco”.
Aresi va dalla figlia, Pavoni mi offre il braccio. Arriviamo al grande salone delle feste. Sarò la prima a entrare… cioè Pavoni sarà il primo e io al suo braccio. Per fortuna non abbiamo sbagliato l’abito: quello bianco si mette per un ballo delle debuttanti, ma questo è il ballo di tutti i balli delle debuttanti d’Italia. L’orchestra suona, scendo le scale al braccio di Pavoni. Tutta la sala tace. Tutte le signore di una certa età mi sorridono, parte un applauso: chiaro che la mia aria da bambina fa tenerezza… e forse piaccio alle signore anche perché son la più piccolina, sembro la più giovane, l’unica non truccata, senza ori, l’unica che tiene gli occhi bassi.
Il posto del primo ballo è fisso: mi tocca un cadetto molto carino. Un valzer, una mazurka, un valzer: sapete già che adoro ballare… passo da un cavaliere all’altro come una farfalla, felice di ballare: io volo… invece le altre spostano i piedi.
Alla prima pausa mi ritrovo in un angolo, ho 15 cadetti attorno, alcuni fanno apprezzamenti volgarotti guardandomi le trasparenze: sto male, mi si bagnano gli occhi… ma rimbomba una voce forte: “Signorina L. va tutto bene?” Sono a capo chino, lacrime sul viso, non riesco a rispondere. Ma c’è lui, Leonida Aresi, e i ragazzi in divisa si bloccano. Aresi: “Via! Siete la vergogna della divisa che portate! Vigliacchi senza palle!”.
Mi porta su un balcone, mi fa calmare finché sussurro un timido e riconoscente “Grazie… grazie generale”. Lui mi accarezza il viso, e mi guarda negli occhi: io mi perdo nei suoi, grigi come la morte. Ho conosciuto un altro uomo con lo sguardo magnetico come questo: mi legge nel cervello e nel cuore, capendo tante cose di me.
Mi scuote, mi comanda: “La pausa sta per finire, vai! Fai morire di invidia le ragazze, e impazzire di desiderio i cadetti. È un ordine!” Mi sorride. Ricambio, mentre tiro su col nasino e mi asciugo il viso. Riprendo forza, corro nel salone. Ora dobbiamo aspettare di venire invitate, ma in prima fila ci sono le altre, e fan blocco per non farmi passare: ennesima mortificazione, resto dietro loro, piccola e invisibile. Per consolarmi mi ripeto: è meglio così, non devo apparire.
Chiamata ai cadetti. Ora devono scegliere una damigella per il secondo giro e… sorpresa: 15-16 vanno dalle loro ballerine, ma 9-10 si dirigono proprio verso quella davanti a me: lei sprizza di felicità, ma… la fanno spostare, mi prendono per mano, vogliono me. Succede di tutto: si spintonano, quasi litigano per ballare con me. Sono in imbarazzo totale, nascondo il viso con le manine… questa volta è lo stesso generale Pavoni che urla.
Tornata la quiete, si balla. Come prima, un valzer, una mazurca. Cambio damigella. Di nuovo, un valzer e… una polka, ballo difficile! Un terzo dei cadetti e damigelle si fermano, vanno ai margini dalla pista: restiamo in 15 coppie. Finita la polka, il direttore d’orchestra fa la cavolata e annuncia un tango: silenzio generale, il tango è una cosa seria… resto sola sulla pista.
Abbasso il capo, faccio un passo indietro. Sto per arretrare ancora che parte un applauso all’unico uomo che prova a ballare il tango: è lui, è Aresi che cala tra le due ali di spettatori come un falco reale: sono rossa sia per essere la sola damigella, sia per tutte quelle persone importanti, sia perché – me ne accorgo – subisco il carattere fortissimo di Aresi.
Si inchina, formale: “Signorina posso avere l’onore di questo ballo?”. Sorrido felice e faccio l’inchino profondo, che è il “Sì”. Parte Por una cabeza (ricordate Scent of a woman?); lui mi prende con sicurezza e si pone dietro: partenza da dietro? Che sappia davvero ballare? Sì! sa ballare eccome! Mi guida con tale sicurezza che non faccio nessuna fatica. È bravissimo, mi lascia gli spazi, caminada, volcada, salti, sollevamenti… è un tanguero fantastico, gli sorrido di gioia… credo di avere gli occhi verdissimi. La chiude col casquè, ma portandomi fino a terra, distesa ai suoi piedi.
Dalla folla si alza un applauso incredibile. Aresi mi fa fare il giro di ringraziamento, mi inchino per ringraziare tutti per gli applausi, mentre mi sussurra all’orecchio: “Hai già battuto tutte, sarai la debuttante di quest’anno: ma sei sicura di voler vincere?”. Capisco che quest’uomo mi legge dentro e mi ha capita in poche ore: “Io sono già felice… generale, lei ha fatto splendore il sole su una delle mie giornate più buie… non mi faccia decidere niente, la prego”. Sorride e annuisce, poi mi guida verso il bordo della pista e decide: “Ora io resterò davanti a te per i saluti, mentre tu scivolerai senza farti notare, verso il terrazzo: sarò lì tra 10 minuti”.
Arriva sul terrazzo puntuale, siamo soli, si avvicina molto a me e mi dice: “Devo verificare: niente strilli né schiaffi, è necessario”. In un secondo mi alza il davanti del mio bel vestito, mette una mano dentro al perizoma e mi palpa tutta la passerina. Sono fradicia come una porcacciona, e sono anche stupita e paralizzata… ma non mi ribello e, quando mi spinge un grosso ditone dentro, purtroppo gemo sottovoce. Lui toglie la mano e si limita a dire: “Ma allora sei vera, non fingi mai in nulla! Andiamo, serve un’altra verifica”. Mi porge il braccio come se non fosse successo niente, quatto quatto mi guida verso gli alloggi ufficiali.
Entrati nel mio alloggio, chiude la porta a chiave e sposta una seggiola davanti alla finestra, poi: “Togli tutto”. Me lo dice così, come se fosse la cosa più ovvia del mondo: tremo, chiudo gli occhi e, con enorme fatica, faccio in modo che il mio bellissimo vestito cada a terra: ho su solo il perizoma a filo fradicio e le mie bellissime Coavilla.
Aresi: “Allarga le gambe… offri il petto… girati… chinati in avanti… torna davanti… apri la bocca”. Mi esamina come fossi una mucca, mi ha scostato le natiche e valuta persino il collo, le caviglie e i denti: sono sconvolta, umiliata, mi vengono gli occhi lucidi, ma ubbidisco senza fiatare. Mi rendo perfettamente conto che non è la prima volta che incontra una insicura come me.
Aresi: “Nascondevi il tuo corpo, lo fai sempre, vero? Sei perfetta e bellissima, non trovo difetti: sei una sorpresa”. Non riesco a rispondere: profondamente mortificata, chino la testa.
Lui: “Mi chiamo Leonida, piacere di conoscere la vera L. Non ti vergognare, io ti conosco da prima che tu nascessi. Ti ho incontrata tante volte in tre continenti diversi, a migliaia di chilometri da qui. So tutto di te, so a cosa aneli. Non aver timore, so che sei una perla preziosa e rarissima…. E io non punisco senza motivo. Ora vai in ginocchio sulla sedia e guarda dalla finestra che bel panorama”. So bene perché mi vuole far stare in quel modo: così le mie parti intime sono indifese.
Infatti, si prende quello che spetta ai caratteri forti come il suo: senza violenza ma con sicurezza. Da dietro mi prende il seno, me lo pizzica e lo tira, mentre si muove avanti e indietro, dentro di me. Non sento un pene enorme, ma lo ha bollente e durissimo. E, a sentirlo così rigido per me, non riesco a trattenere un orgasmo immediato: chissà cosa penserà di me adesso. Invece, mi dice: “Ben addestrata, brava! Molto brava!” e, muovendosi più velocemente, raggiunge la soddisfazione restandomi dentro. Non mi ha chiesto nemmeno se sono protetta: sembra sappia come ci si comporta con una schiava di piacere, ciò che è suo diritto e mio dovere.
Io vorrei giustificarmi, scusarmi, spiegare… ma si è seduto alla scrivania e sta scrivendo un biglietto per sua figlia, al quale allega 20 banconote da 50 euro. Per me solo istruzioni: “Lavacri, abiti da viaggio, scendi tra 10 minuti”. Devo spicciarmi e per fortuna scendo qualche secondo prima della scadenza. Saliti sul grande Suv, tira la tendina che ci separa dall’autista e mi guida: “Ora riposa e metti la testolina qui”. Guardo: ha già il sesso di fuori e, quando mi sono distesa, me lo mette in bocca. Come fa a sapere che devo essere umiliata?
Torniamo a casa e, come una svergognata, mi addormento tenendo il membro del generale in bocca.
Continua
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
L’s story. Capitolo 23. Cena e teatroracconto sucessivo
L’s story. Capitolo 25. Un giorno di (quasi) riposo
Commenti dei lettori al racconto erotico