Il Maestro

di
genere
dominazione

La carrozza procedeva veloce nella notte. Il conducente si stava raccomandando l’anima a tutti i santi che conosceva ogni volta che prendeva una buca, ma il suo padrone non amava essere disobbedito.
Questa volta poi, non gli era nemmeno permesso pensare di arrivare in ritardo al castello della contessina Matilde. Il padre di lei, il suo padrone Conte di Villafranca, la attendeva impaziente e se voleva mantenere la testa al suo posto, doveva correre, anzi volare. In realtà l’ira del conte gli faceva paura ma non tanto come il personaggio che stava portando in carrozza assieme alla contessina. Il suo sguardo gli faceva tremare le gambe e ogni volta che gli si avvicinava sentiva odore di zolfo.
Quella sera aveva portato Matilde e la sua dama di compagnia Nina a un suo concerto in teatro dove più di mille spettatori lo avevano osannato come un dio, anzi un demonio. La gente era letteralmente impazzita. Aveva visto donne di alto lignaggio urlare come ragazzine. Ogni suo concerto, si diceva, era un sabba infernale.
Il conducente aveva potuto toccare con mano il delirio femminile che si era scatenato e che aveva coinvolto sia la contessina Matilde sia Nina, che aveva una certa età ed era anche molto religiosa. Proprio lei, Nina, in preda all’eccitazione aveva provato a baciarlo ma lui aveva dovuto respingerla. Il conte gli avrebbe mozzato le mani se solo la avesse sfiorata.
Ora le stava portando a casa assieme al Maestro, che per fortuna stava dormendo. Per il momento non correva nessun pericolo, tranne quello di poter rompere una ruota e di finire con il collo spezzato.
Imprecando per il maltempo, frustò i cavalli, alla destinazione mancavano pochi chilometri.
I capelli, neri e lunghi, gli coprivano gli occhi. Le mani, grandi e ossute, stavano attorcigliate alla custodia finemente decorata dove teneva il suo prezioso violino.
Matilde ne era affascinata e se lo mangiava con gli occhi. Si volse a guardare Nina che stava dormendo. Gli guardò le dita lunghe e le rivide correre sullo strumento come fossero mosse da una forza sconosciuta e le immaginò sul suo corpo. Ebbe un fremito di piacere e un liquido interiore si sciolse dentro la sua pancia. Chiuse gli occhi dalla vergogna di quello che provava e con la mano si sfiorò un seno. Era piccolo e sodo ma stava crescendo. Lei avrebbe voluto averlo come quello di Nina, abbondante e florido. Con i pensieri peccaminosi provò a dormire ma il desiderio si era impossessato dentro di lei. Rivedeva il maestro con l’archetto in mano muoverlo su e giù immaginandolo sul suo corpo ancora acerbo. Si portò la mano destra all’altezza dell’inguine e immaginò di prendergli l’archetto e di appoggiarlo delicatamente sul suo sesso inviolato. Sapeva che il desiderio era frutto del peccato ed era mandato dal diavolo ma in quel momento non aveva la forza di fermarsi. Una voce bassa, roca, la destò dai suoi sogni: “Continua piccina, continua con la mano, non fermarti.” Lui le aveva parlato e ora la stava osservando. I suoi occhi erano due tizzoni ardenti e la sua voce aveva la forza della persuasione.
Incapace di fermarsi si alzò la gonna e si portò la mano sul sesso ma la sottoveste e le culottes le impedivano il contatto diretto.
“Togliti tutto Matilde, porta il tuo fiore profumato all’aperto”, le disse, poi chiuse gli occhi e inspirò lentamente. “Sento il tuo profumo Matilde, di una rosa che sta per sbocciare.” Lei ansimando si tolse gli indumenti intimi e rimase nuda dinnanzi a lui.
“Brava Matilde, sei una giovane ubbidiente, è una grande virtù l’obbedienza”, le disse lui mentre osservava le dita che roteavano frenetiche sul sesso.
“Brava Matilde, ora apri il tuo fiorellino che voglio osservarlo bene.”
Matilde ubbidì allargando con le dita le piccole labbra rosse scarlatte.
Lui si passò la lingua sulle labbra: “Sei ancora pura Matilde. Il tuo è un piccolo fiore che aspetta solo di sbocciare” e allungò la mano. Lo accarezzò lentamente.
Matilde si morse la mano per non urlare. Non aveva mai provato un piacere così intenso. Se questo era il peccato, se era così terribilmente piacevole perché si doveva provenire dal diavolo, si domandò mentre stava impazzendo dal piacere.
Lui allontanò la mano da lei e se la portò alle narici: “Sa di miele selvatico, di primavera.”
In quel momento Nina si mosse come se si dovesse svegliare. Lui guardò Matilde e le ordinò di baciarla. Matilde scosse il capo. Non poteva certo fare una cosa simile a Nina che era stata la sua balia e la considerava come la sua seconda mamma.
“Ubbidiscimi Matilde, ubbidisci al desiderio che è in te.”
Matilde si accostò al viso di lei, poggiò le labbra sulle sue e la baciò.
Nina per qualche secondo continuò a dormire poi, sempre ad occhi chiusi, aprì la bocca e la sua lingua guizzò tra le labbra di Matilde.
Si baciarono appassionatamente mentre con le mani si accarezzavano i seni.
Nina aprì gli occhi ed in preda al desiderio si inginocchiò davanti a Matilde: “Ti amo Matilde, bambina mia, ti ho sempre amata fin da quando eri bambina” e così dicendo le appoggiò la lingua sulla fessura e la leccò dolcemente. Succhiò la sua intimità con calma, dolcemente, fino a quando i gemiti di Matilde non proruppero in un urlo liberatorio.
“Brave, lasciate che il vostro desiderio si liberi senza vergogna”, disse loro con voce suadente.
Poi guardò l’orologio che teneva nel panciotto e disse loro di rivestirsi in fretta perché stavano arrivando.
Quando si furono vestite le guardò fisse negli occhi: “Di quello che è successo non ricorderete nulla, vi sembrerà di aver sognato, niente di più” e muovendo veloce la mano in alto fece schioccare le dita.
Matilde e Nina si guardarono stranite poi Nina disse a Matilde che si scusava per essersi addormentata. Matilde le sorrise, si guardò la gonna e disse divertita: “Guarda Nina, l’ho messa al contrario, non me ne ero nemmeno accorta, chissà che figura a teatro!” E si mise a ridere.
Proprio in quell’istante la carrozza arrivò a destinazione.

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scritto il
2023-03-09
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