Inferno Cap.2

di
genere
sadomaso

Cap. 2

Si fermi signorina. Un Famiglio. Una donna, peggio, molto peggio dei Famigli maschi. Ancora più fredde, formalmente più gentili ed inutilmente cattive, loro ed i loro blocchetti d'appunti Mi spiace signorina, devo prendere un appunto su questo o quello. Non ti punisce lei o lui. Ci pensano Lui o Loro, dicendosene anche spiaciuti. Siamo nella zona dei padroni. Ci sono già stata, ma raramente. Quando un Famiglio viene a prendermi, stia cucinando, pulendo, rammendando un paio di calze delle loro divise, qualsiasi cosa stia facendo, magari seduta sul gabinetto, devo piantare tutto. C'è sempre fretta. Sia che spieghino che un padrone vuole usarmi, Dio come odio questo modo di dire, sia che non dicano niente, c'è sempre fretta. Poi la solita trafila: lavata dentro e fuori, massaggiata e truccata, accompagnata fin fuori il salotto, il salone o qui. Ovviamente impastoiata, cioè incappucciata, le mani unite al collare da una catenella, zoccoli che devono sbattere per avvertire chiunque che sta arrivando una schiava, addosso solo un mantello di lana grezza e leggera Come adesso. Temo, sono quasi certa di essere punita. Ho costretto uno dei Padroni Ospiti a ripetere un ordine, un peccato mortale per una schiava. Anzi per una che forse, in premio, diventerà una schiava. Non ho la minima idea della differenza. A destra dice, un passo avanti adesso. La mano di quella mi sfiora appena, mi accompagna fino a sfiorare il muro. Un mio silenzioso grazie. Silenzioso anche perchè il cappuccio incorpora un fastidioso bavaglio. Poi...più niente, l'attesa. Ho imparato a sfruttare ogni occasione, ogni boccone di cibo, ogni momento di riposo. Metto il cervello in stand by, pronta a tornare allerta immediatamente, quasi dormo in piedi come un cavallo. Un rumore, una porta si apre, un bisbiglio, tanto basso da essere inintellegibile. Vengo portata...altrove, in un'altra stanza. Faccio di nuovo il cavallo...altro rumore. Non servono i sensi resi acuti di chi passa tanto tempo impastoiata. L'odore, il profumo quasi dimenticato di roba da mangiare, di roba buona. Mi fanno sedere. Sono in due, non capisco cosa succeda. Il sedere dolente per il rude trattamento di ieri sera,il velluto di una poltroncina sotto il sedere nudo. La imbocco, signorina, badi a non sporcare per terra. Mi fanno alzare, siedo di nuovo ma non sul velluto. Capisco, potrei sporcarglielo. Un boccone, un altro, poi ancora. Spaghetti, no, trenette o linguine, non so, un sugo che non riconosco, inghiotto golosa. Quasi piango per la ridda di ricordi che quel piatto di pasta quasi fredda porta ad invadermi il cervello. Non voglio, li devo scacciare. Mi rendono troppo debole e vulnerabile. Torno alla realtà quando mi fanno alzare per prendere il tovagliolo da sotto le mie natiche e pulirmi la bocca. Un classico. Dal culo alla bocca. Si scostano, parlottano. L'ha detto Lui. Prendi il vassoio e dalle tutto. Definitivo, chiunque sia Lui. Un boccone di carne. Filetto, paradisiaco anche se freddo. Esistono ancora le patate al forno, esistono ancora le crostate di frutta, di mele. Pochi bocconi, avanzi. Di nuovo borbottano tra loro. La mano dietro la nuca per non farmi sbrodolare e mi fanno bere un poco di vino. Non amo più di tanto il vino. Sono sazia, piena. Mi hanno lasciata sola ed allora, alla faccia di tutto e di tutti dormo, seduta a terra ed appoggiata al muro. Senza chiedermi come mai, il perchè. Non me lo chiedo mai.
-----------------
So chi è quella ragazza. Orgogliosa, soddisfatta, ben vestita, anzi elegante. Scende le scale del liceo. Ha finito gli orali e le hanno lasciato intendere, la rappresentante della scuola l'ha detto a chiare lettere, che il suo unico problema sarà ottenere o meno il punteggio massimo. Non glie ne può importare di meno. L'autobus, il suo paese, la piazza con la chiesa ed i portici. Prima di andare in banca un te freddo. Come sia andata lo chiedono in molti. Appartiene ai “veci”, ad una famiglia che ricorda...il nonno le parlava di messer Toni o Tonio, il cognome è rimasto quasi identico, che ha combattuto a Lepanto e fatto “schei”. A neppure 19 anni ha ereditato dal nonno, stimatissimo da tutti, la fabbrica. Purtroppo il figlio, suo padre, in pochi anni l'aveva quasi fatta affondare, prima di tamponare un Tir, Insieme alla mamma. Aveva solo dieci anni lei. Era cresciuta poi col nonno. Per pochissimo tempo nella villa dove era nata, poi al secondo piano della palazzina in fabbrica. La villa, il parco, il cavallo, la piscina ed il campo da tennis non c'erano più. Venduto tutto, fatti debiti. Tutto per salvare la fabbrica. Faceva i compiti nell'ufficietto un tempo della segretaria. Ad un certo punto, aveva cominciato a fare lei da segretaria. Sentiva tutti i discorsi, seguiva e lentamente cominciava a capire i problemi. Il nonno glie ne parlava quando ancora era alle medie. Aveva cominciato persino a chiedere il suo parere, per coinvolgerla. Non sono eterno, aveva detto più volte. Era morto pochi mesi prima. Il Mola era diventato il direttore di tutto. Fidatene ma controlla sempre tutto e alla fine decidi tu. Si, l'aveva lasciata pochi mesi prima. Con macchinari vecchi, solo trentotto tra operai ed impiegati e la speranza di farcela. Solo la speranza. Arrivò nella tarda mattinata, accolta e festeggiata. Non le piaceva, ma era una tradizione del nonno e mangiò con il Mola, impiegati ed operai. Poi un colloquio con il direttore ed amministratore delegato, il Mola, per fare il punto. Non andava male rispetto almeno a qualche mese prima. Avevano ordini per superare, lavorando tutti, tutto settembre. Discussero delle banche che erano assillanti. Delle vacanze di lei. Non graverò sui conti della fabbrica ovviamente. Ma voglio fare un viaggio, non so dove. Lascerò persino a casa il telefonino. Userò l'altro. Mola voleva almeno il numero. No assolutamente no. Pensassero quello che volevano. Verso le cinque era a casa, nel terreno che il nonno anni prima aveva regalato al comune per ingrandire, quando fosse stato possibile, lo striminzito parco alle porte del paese. Città volevano si dicesse, ridicoli. Due condizioni, sottoscritte in modo fossero impegnative: che la sola destinazione ed uso del terreno fosse quella concordata e che la casetta poco dentro il parco restasse alla nipote appena nata. Era sua, solo e per sempre sua. Piccola, nel centro di un giardino di pochi metri, circondata da un muro bello alto ed "allarmato" come la casa. Intorno, per un bel tratto il bosco ormai del Comune. Una doccia, stesa poi sul letto mentre il condizionatore cominciava a rinfrescare pensava:vendere tutto? Certamente no. Avrebbe inoltre di certo finito i soldi personali con quel viaggio... aveva detto di voler vedere se non il mondo, almeno l'Europa. Pensieri in libertà. Cinque o sei mesi, forse di più. Senza preoccupazioni, pensieri di ordini o banche, macchinari che non reggevano e sindacati. Vivere magari a Londra per un po. Uscì nel tardo pomeriggio in tuta. Una passeggiata per i sentieri che conosceva bene, al ritorno, mentre già pescava dalla tasca le chiavi, delle mani tremendamente forti l'avevano imprigionata. Una puntura. Più niente.
------------------------

Passi? No avrò sognato anche questo, io che non sogno mai. Ho costruito nella mente una barriera che non voglio valicare. Un muro livido oltre il quale ho, quasi dagli agli inizi, sepolta persino la memoria del "prima". Non voglio, non devo pensare al "prima". Soffro troppo. Mi rende debole, disattenta, mi rende vulnerabile. Penso, sono più che certa che qui i deboli finiscano male.
Voglio vivere, a qualsiasi costo. Forse sarei morta fin dai primi giorni se non fossi stata forte, molto forte.
Forte quando mi sono "svegliata" al buio in una fogna. Non è però una fogna, sono io che puzzo, avvolta nei miei escrementi e nella mia urina. Cerco di sollevarmi, e qualcosa o qualcuno mi trattiene per il collo. Urlo, urlo come una pazza, continuo ad urlare, incapace di trattenermi anche dopo aver recepito che è un legaccio a tenermi giù. Non ci sarei riuscita comunque, sono priva di forze. Poi una luce. Il rumore di una porta, la porta che si apre. Adesso non riesco a parlare. Vomito anche quando non resta nulla nello stomaco da vomitare. Vomito poi parole stentate, domande, ingiurie e minacce. Non ridono neppure. Chiamo la polizia, vi farò andare in galera...ho il diritto, dovete... Dei tre parla il più basso: Diritti? Nessun diritto. Sei una cosa mia. Un premio, un regalo che mi hanno fatto. Imparerai altrimenti...peggio per te. Poi, rivolto a qualcuno che non vedo, Quando avrà imparato quale sia il suo posto vedremo. Quando tu avrai accettato quello che sei, cioè niente e nessuno, ti porteranno da me. Gli ho gridato "crepa".
Non hanno impiegato molto a piegarmi. Niente lividi, se non nell'anima. Non dovevano "segnarmi o rovinarmi. Ma un bastone che ti colpisca sotto i talloni fa male, molto male, ogni colpo si ripercuote sino al cervello. Per un po non cammini. Essere ficcata e tenuta sia pur per poco con la testa sott'acqua fa paura. Impari cosa voglia dire credere, essere certa di morire. Non sopporto i grossi topi d'acqua. Da bambine ho ascoltato una compagna di scuola raccontare del suo gatto chiuso in cantina e mangiato dalle pantegane. Vero o falso ne fui terrorizzata. Lo sono ancora. Legata per il collo, nella cantina dove mi ero risvegliata, poco dopo che i tre incappucciati mi avevano lasciata ne comparvero per un attimo due, si contesero qualcosa, un boccone. Ricominciai ad urlare. Mi liberarono solo quando promisi di ubbidire...sottomissione.
Lavoro. Lavo, cucino, cucio, pulisco, spazzo. Mangio poco, tremo per tutto il tempo, di paura ed un poco per il freddo. I libricini registrano ogni mancanza. Ad ogni mancanza una punizione. Accetto, accetto tutto. Quando una Famiglia mi ordinò di spogliarmi del poco che mi copriva rifiutai. Mi portano nella stanza dei topi...
Adesso signorina si spogli, completamente. Diviene una abitudine, sul lavoro, nella cuccia di cane che mi accoglie per il riposo, mentre mangio, sempre. Se volevano violentarmi d'altronde l'avrebbero già fatto. Se è per un riscatto, perchè tutta questa messa in scena? I Famigli sono sempre inappuntabili, tutti. Non una carezza di quelle, non una battuta spinta, neppure uno sguardo appena malizioso. Il silenzio che mi è imposto, sempre, in qualsiasi caso, pena una punizione, mi è enormemente gravoso. Loro parlano invece. Tra loro e a me. Solo ordini però, in pratica solo ordini. Molto raramente qualche spiegazione che giudicano indispensabile. Lei signorina ha accettato di sottomettersi, di accettare il suo ruolo, di poter servire il Padrone ed i suoi Fratelli. Un grande onore. Non è ancora pronta. Deve imparare l'obbedienza...deve imparare a tacere, deve chinare il capo in segno di accettazione, uno sguardo e se no un cenno per attirare l'attenzione di uno di noi in caso di bisogni impellenti. Sto imparando. Non ci si inginocchia, mai, davanti ad un Famiglio. Mi posso, devo anzi inginocchiarmi davanti ad un Padrone, qualsiasi Padrone.
Imparo a comprendere gli ordini espressi con piccoli gesti. Imparo ed assimilo. Non voglio essere picchiata, soffocata, non voglio finire con i topi. Se ci costringe la riportiamo al piano di sotto, temo che ci resterebbe più a lungo di quanto le piaccia. Giorni, mesi? Da quanto sono qui? Non ci sono orologi. Non vedo il sole, non sento l'aria sulla pelle, il vento od il sole. Solo corridoi che ormai percorro impastoiata, in zoccoli. Deve battere la suola, fare rumore. Se vedesse qualcosa che non deve...la solita litania per finire: sarebbe peggio per me. Cosa vuol dire: "quando sarà portata dal Padrone per completare la sottomissione?", oppure: "Deve essere sempre perfettamente pulita, in qualsiasi momento potrebbe essere convocata." Davanti ai Padroni si sta immobili. Immobili per lasciare che decidano cosa vogliono. Mi prude, da morire. Avessi le mani libere mi gratterei e sarebbe peggio. Sono inanellata. Serve quando te lo infilano, ti chiavano insomma. Diventi sensibile, ti bagni subito. Eccoli. Venga signorina. Solo dentro una stanza ovviamente chiusa a chiave, vengo liberata dalla pastoia e dal cappuccio. Una stanza per la preparazione che conosco. Ero stata inanellata giusti due sonni prima, no forse tre, non importa, ero già inanellata e sono stata portata dal Padrone con la solita frase. Ti vogliono usare. Non che una frase diversa avrebbe cambiato qualcosa.
La normale pulizia e poi una camera, un letto. C'era almeno un letto e quello che mi ha fatto inginocchiare era Il Padrone. Non ha parlato se non alla fine ed ovviamente io ,impastoiata, non ho detto niente. Non l'avevo ancora capito che fosse Lui,cosa da sola molto grave. Fin quasi dall'inizio avevo imparato a riconoscerle i tre Fratelli oltre che dalla voce, dalle forme, da come godevano di me, dalle preferenze, da come mi toccavano e volevano essere toccati, dall'odore e da quanto mi duravano in figa, nel sedere od in bocca . I tre Fratelli e probabilmente tutti gli uomini sono diversi tra loro e preferiscono, anzi vogliono, essere trattati in maniera diversa. Quello che fa piacere ad uno, un dito nel culo ad esempio, mentre gli fai un pompino è quasi una offesa per un altro. Uno te lo mette dentro piano. l'altro più vigorosamente. Se sono nuovi devi esplorarli e capire, almeno intuire. Sbagliare con il Padrone? Meglio non pensarci. Comunque, con Il Padrone, i suoi Fratelli od un Padrone Ospite non c'è differenza. Fai tutto quello che vuole e quando vuole. Mi ha sospinto facendomi sdraiare di traverso sul bordo del letto. Automaticamente ho allargato le gambe perchè potesse fare quello che voleva con suo agio. Mi ha aperto le grandi labbra a questo punto l' ho riconosciuto, dal tocco; cerca poi il puntino inanellato in cima alla fessurina. Ti sta bene. Sei bella. La mano invisibile ha titillato il clitoride facendomi, facendomi sentire qualcosa di diverso dalle altre volte. Si mette le mie gambe sulle spalle mi monta. Prima la testa del suo cazzo, scusate, della verga del padrone gioca a nascondino, dentro e fuori. Non brucia, non brucia dopo i primi tempi. Qualche contorcimento da parte mia. Senza esagerare. Quando ho cercato di farlo la prima volta mi sono tradita, mi sono mossa troppo e l'ha capito. Peggio per me... Sapevo già cosa volesse dire quella frase. Sempre più diverso dalle altre volte. Finito. Lui gode e si sdraia sopra di me. Quando esce dalla mia pancia provo quasi un senso di vuoto. Ma e' la prima volta che chiavo dopo che mi hanno messo l'anello al clitoride. Si alza e si è muove avanti ed indietro attraverso la stanza. In ginocchio ordina. Scivolare dal letto impastoiata non è semplice. Mi inginocchio rivolta verso la voce, aspetto. Lo prendo tra le labbra, molliccio, un poco ripugnante, ma ci sono abituata, e come se ci sono abituata. Impiega parecchio a crescermi in bocca ma alla fine è bello duro. Esce dalla mia bocca. Bene ragazzi, divertitevi. Si sono divertiti. Obiezioni? Ovviamente no. Non sono neppure una schiava e prendere cazzi è normale. Mi hanno regalata a Lui per questo. E si sono divertiti. Ragazzi però. Inesperti. Non che mi facciano troppa tenerezza. Non almeno mentre te lo ficcano nel sedere con una certa energia. Non quando ti torcono i seni, non quando te lo infilano in bocca sporco.
------------------------
Non mi è mai piaciuto e temo che non riuscirò a farmelo piacere mai...

scritto il
2012-12-17
1 3 . 7 K
visite
0
voti
valutazione
0
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Tutto, ma non quello

racconto sucessivo

Inferno Cap.3
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.