Le origini
di
Bromuro
genere
gay
Nei primi anni ottanta, alla fine della scuola, mio padre ci accompagnava con la macchina a fare la villeggiatura.
Capisco che la parola possa risultare antica ma, a quel tempo, essere deportati in un paese, terra natia dei nonni, si chiamava così.
Due mesi da passare in campagna con mamma e sorellina.
Ci andavo da che avessi memoria e avevo ormai degli amici.
I miei coetanei parlavano strano, certe volte in maniera incomprensibile, ma mi accettavano.
In campagna c'era sempre da divertirsi, poi per me, ogni cosa era novità, ogni giorno una giostra.
Tutto cambio', improvvisamente, per colpa di un fotoromanzo. Quell'anno compivo diciassette primavere e , della comitiva, ero il più piccolo.
Ci radunavamo come ogni giorno nell'ovile di Pietro, o meglio, di suo padre.
Si decideva li', il da farsi.
Marco entrò trafelato, come se fosse inseguito da un cane e, entrando, chiuse il recinto con violenza.
I soliti sei, Marco, Pietro, io, i due fratelli Carvi e Giuliano che aveva da sempre un aspetto da malnutrito.
Marco, ancora affaticato ci chiamò in circolo e da sotto la maglietta tifo' fuori un giornale. Era un fotoromanzo della serie Supersex.
Non ne avevamo mai visto uno e cominciammo a sfogliarlo ridàcchiando nervosamente.
Guardando le gesta di Pontello che inculava donne bellissime, i nostri cazzi sembrava volessero scoppiare.
Il primo a tirarlo fuori fu Pietro che, pochi attimi dopo era già venuto.
Io fui il secondo e di seguito tutti gli altri. Tutti con il cazzo in mano persi nei nostri sogni di scopate incredibili.
Quando lo tirò fuori Giuliano, non sembrava il suo. Era un braccio di carne che il padrone a malapena riusciva a stringere. Ridemmo tutti di quel cazzo e ancor di più quando venne, facendo una bella pozza per terra.
Nei giorni che seguirono, quel giornale divenne il centro delle nostre fantasie.
Dovevamo sperimentare. Facemmo un gioco.
Nella stia delle galline a raccogliere uova, chi ne raccoglieva di meno doveva segare gli altri.
Toccò a Giuliano, lo fece diventando rosso ma ci portò tutti a sborrare.
Ormai eravamo talmente presi da quelle fotografie che spostammo la nostra challange sempre più avanti.
Il giorno che la penitenza era il pompino, toccò a me.
Mi inginocchiai nervoso e attesi. Avevo tutti i cazzi intorno a me e dovevo svuotarli.
Il primo fu Marco, aveva il cazzo un po storto e non si sbucciava. Lo tenni tra le labbra per qualche secondo, ma sborro'in un attimo sporcandomi il collo. Pietro aveva un cazzo corto ma con una cappella sproporzionata che avevo difficoltà a mettere in bocca. Venne, senza avvertirmi, tra i denti. Era colloso e odorava di varecchina, lo sputai.
I due fratelli li succhiai alternati. I loro cazzi puzzavano di forte, erano dritti come manici di scopa e caldi. Mi vennero in faccia, quasi insieme.
Giuliano era l'ultimo, aveva aspettato tanto e il suo cazzo svettante, copriva abbondantemente il suo ombelico. Non riuscii a prenderlo in bocca così lo segai a due mani mentre leccavo quella cappella assurda. Mentre lavoravo, Giuliano mi accarezzava la testa, le guance, era molto gentile. Quando venne, tirai fuori la lingua e gli feci depositare la sborra in bocca, era troppa ma ne ingoiai parecchia.
Quel mio atteggiamento li convinse che a me piacesse farlo e cambiarono da un giorno all'altro le regole del gioco.
Il giorno successivo loro erano seduti, senza mutande, a ridere e commentare le scopate di supersex ed io, in ginocchio ero addetto ai bocchini.
In tre giorni erano diventati dipendenti dalla mia bocca ed io dal cazzo di Giuliano.
La sborra non mi dispiaceva, mi facevano più schifo i cazzi sporchi, selvatici, ma, nello stesso tempo, mi assoggettavano.
L'ovile era la nostra tana ormai. Avevano sempre voglia di godere ed io ormai sapevo come fare, sborravano quattro o cinque volte al giorno.
La notte sognavo Pontello che mi menava, poi, vinto mi faceva leccare il suo cazzo che poi mi ficcava nel culo.
Cominciai a carezzarmi l'ano introducendo prima un dito, poi ogni piccolo oggetto avessi sotto tiro.
Sentivo sempre più la necessità di provare a prenderlo in culo ma non avevo il coraggio di chiedere.
Un pomeriggio piovoso, chiusi nell'ovile, parlavamo della noia dovuta al tempo, Pietro al solito per primo aveva liberato il cazzo ed io, che ero seduto per terra mi misi scarponi e raggiunto ho cominciato a succhiare.
Uno dei due fratelli Carvi, Luigi il più piccolo, che era seduto dietro di me, afferrò una vanga e con il manico puntò le mie Chiappe, spostando i pantaloncini e cominciò a stuzzicare il buco. Mi lasciai andare e, invece di stringere, ho allargato meglio le Chiappe.
Luigi si alzò e si inginocchio' dietro di me. Afferrò le mie chiappe e le strinse forte, io pompavo forsennatamente. Me lo trovai piantato nel culo in pochi secondi, Luigi, il più giovane, mi aveva aperto.
L'aria si fece elettrica, tutti volevano provare il nuovo gioco.
Al terzo cazzo mi arresi, mi bruciava e colava sborra con macchie di sangue e poi sentivo che mi stavo cacando sotto, ma avevo sborrato due volte, senza toccarmi.
Dopo qualche giorno ero pronto per Giuliano. Organizzammo un piccolo altare. Loro seduti con il cazzo in mano. Sull'altare, sdraiato, Giuliano con il suo palo pronto e imburrato e da sopra io che scendevo lentamente a cosce larghe e dovevo far sparire quel mostro nel mio culo.
Mi tremavano le gambe e arrivato a toccare la punta con il mio buco mi fermai, presi un altro pezzetto di burro e lo infilai nel culo, poi agguantai il cazzone centrai il buco e mi lasciai andare. La cappella trovò la strada, poi una volta dentro, struscio' le mie budella facendomi impazzire. Trattenni il fiato e mi sedetti. Rimasi qualche secondo fermo poi, mi sollevai lentamente e dal mio cazzo parti' uno schizzo che centro' Gabriele in faccia.
Cominciai a fare su e giù, lo facevo quasi uscire e poi lo facevo sparire. Ogni volta che lo sfilavo il mio cazzo sborrava. Forse ho goduto cinque o sei volte, poi Gabriele, ormai impazzito mi ha afferrato i fianchi e mi ha sfondato il culo riempiendolo di sborra. I quattro spettatori si stavano segando sborrandosi addosso. Ero stravolto, non pensavo si potesse godere cosi tanto, mi tremavano le gambe.
È successo nei primi anni 80 un estate calda che ebbe un seguito.
Capisco che la parola possa risultare antica ma, a quel tempo, essere deportati in un paese, terra natia dei nonni, si chiamava così.
Due mesi da passare in campagna con mamma e sorellina.
Ci andavo da che avessi memoria e avevo ormai degli amici.
I miei coetanei parlavano strano, certe volte in maniera incomprensibile, ma mi accettavano.
In campagna c'era sempre da divertirsi, poi per me, ogni cosa era novità, ogni giorno una giostra.
Tutto cambio', improvvisamente, per colpa di un fotoromanzo. Quell'anno compivo diciassette primavere e , della comitiva, ero il più piccolo.
Ci radunavamo come ogni giorno nell'ovile di Pietro, o meglio, di suo padre.
Si decideva li', il da farsi.
Marco entrò trafelato, come se fosse inseguito da un cane e, entrando, chiuse il recinto con violenza.
I soliti sei, Marco, Pietro, io, i due fratelli Carvi e Giuliano che aveva da sempre un aspetto da malnutrito.
Marco, ancora affaticato ci chiamò in circolo e da sotto la maglietta tifo' fuori un giornale. Era un fotoromanzo della serie Supersex.
Non ne avevamo mai visto uno e cominciammo a sfogliarlo ridàcchiando nervosamente.
Guardando le gesta di Pontello che inculava donne bellissime, i nostri cazzi sembrava volessero scoppiare.
Il primo a tirarlo fuori fu Pietro che, pochi attimi dopo era già venuto.
Io fui il secondo e di seguito tutti gli altri. Tutti con il cazzo in mano persi nei nostri sogni di scopate incredibili.
Quando lo tirò fuori Giuliano, non sembrava il suo. Era un braccio di carne che il padrone a malapena riusciva a stringere. Ridemmo tutti di quel cazzo e ancor di più quando venne, facendo una bella pozza per terra.
Nei giorni che seguirono, quel giornale divenne il centro delle nostre fantasie.
Dovevamo sperimentare. Facemmo un gioco.
Nella stia delle galline a raccogliere uova, chi ne raccoglieva di meno doveva segare gli altri.
Toccò a Giuliano, lo fece diventando rosso ma ci portò tutti a sborrare.
Ormai eravamo talmente presi da quelle fotografie che spostammo la nostra challange sempre più avanti.
Il giorno che la penitenza era il pompino, toccò a me.
Mi inginocchiai nervoso e attesi. Avevo tutti i cazzi intorno a me e dovevo svuotarli.
Il primo fu Marco, aveva il cazzo un po storto e non si sbucciava. Lo tenni tra le labbra per qualche secondo, ma sborro'in un attimo sporcandomi il collo. Pietro aveva un cazzo corto ma con una cappella sproporzionata che avevo difficoltà a mettere in bocca. Venne, senza avvertirmi, tra i denti. Era colloso e odorava di varecchina, lo sputai.
I due fratelli li succhiai alternati. I loro cazzi puzzavano di forte, erano dritti come manici di scopa e caldi. Mi vennero in faccia, quasi insieme.
Giuliano era l'ultimo, aveva aspettato tanto e il suo cazzo svettante, copriva abbondantemente il suo ombelico. Non riuscii a prenderlo in bocca così lo segai a due mani mentre leccavo quella cappella assurda. Mentre lavoravo, Giuliano mi accarezzava la testa, le guance, era molto gentile. Quando venne, tirai fuori la lingua e gli feci depositare la sborra in bocca, era troppa ma ne ingoiai parecchia.
Quel mio atteggiamento li convinse che a me piacesse farlo e cambiarono da un giorno all'altro le regole del gioco.
Il giorno successivo loro erano seduti, senza mutande, a ridere e commentare le scopate di supersex ed io, in ginocchio ero addetto ai bocchini.
In tre giorni erano diventati dipendenti dalla mia bocca ed io dal cazzo di Giuliano.
La sborra non mi dispiaceva, mi facevano più schifo i cazzi sporchi, selvatici, ma, nello stesso tempo, mi assoggettavano.
L'ovile era la nostra tana ormai. Avevano sempre voglia di godere ed io ormai sapevo come fare, sborravano quattro o cinque volte al giorno.
La notte sognavo Pontello che mi menava, poi, vinto mi faceva leccare il suo cazzo che poi mi ficcava nel culo.
Cominciai a carezzarmi l'ano introducendo prima un dito, poi ogni piccolo oggetto avessi sotto tiro.
Sentivo sempre più la necessità di provare a prenderlo in culo ma non avevo il coraggio di chiedere.
Un pomeriggio piovoso, chiusi nell'ovile, parlavamo della noia dovuta al tempo, Pietro al solito per primo aveva liberato il cazzo ed io, che ero seduto per terra mi misi scarponi e raggiunto ho cominciato a succhiare.
Uno dei due fratelli Carvi, Luigi il più piccolo, che era seduto dietro di me, afferrò una vanga e con il manico puntò le mie Chiappe, spostando i pantaloncini e cominciò a stuzzicare il buco. Mi lasciai andare e, invece di stringere, ho allargato meglio le Chiappe.
Luigi si alzò e si inginocchio' dietro di me. Afferrò le mie chiappe e le strinse forte, io pompavo forsennatamente. Me lo trovai piantato nel culo in pochi secondi, Luigi, il più giovane, mi aveva aperto.
L'aria si fece elettrica, tutti volevano provare il nuovo gioco.
Al terzo cazzo mi arresi, mi bruciava e colava sborra con macchie di sangue e poi sentivo che mi stavo cacando sotto, ma avevo sborrato due volte, senza toccarmi.
Dopo qualche giorno ero pronto per Giuliano. Organizzammo un piccolo altare. Loro seduti con il cazzo in mano. Sull'altare, sdraiato, Giuliano con il suo palo pronto e imburrato e da sopra io che scendevo lentamente a cosce larghe e dovevo far sparire quel mostro nel mio culo.
Mi tremavano le gambe e arrivato a toccare la punta con il mio buco mi fermai, presi un altro pezzetto di burro e lo infilai nel culo, poi agguantai il cazzone centrai il buco e mi lasciai andare. La cappella trovò la strada, poi una volta dentro, struscio' le mie budella facendomi impazzire. Trattenni il fiato e mi sedetti. Rimasi qualche secondo fermo poi, mi sollevai lentamente e dal mio cazzo parti' uno schizzo che centro' Gabriele in faccia.
Cominciai a fare su e giù, lo facevo quasi uscire e poi lo facevo sparire. Ogni volta che lo sfilavo il mio cazzo sborrava. Forse ho goduto cinque o sei volte, poi Gabriele, ormai impazzito mi ha afferrato i fianchi e mi ha sfondato il culo riempiendolo di sborra. I quattro spettatori si stavano segando sborrandosi addosso. Ero stravolto, non pensavo si potesse godere cosi tanto, mi tremavano le gambe.
È successo nei primi anni 80 un estate calda che ebbe un seguito.
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