Ritardo maledetto
di
Bromuro
genere
bisex
Mi devo liberare di un peso, un segreto che mi schiaccia da tre anni.
Sono sposato, abbiamo due figli maggiorenni e abitiamo vicino Roma.
Io lavoro in ufficio, da una vita. Ho cinquantanove anni e sono più o meno etero.
Dico questo perché da adolescente ho avuto qualche distrazione con due amici di fumo. Niente di trascendentale, qualche sega reciproca e qualche dito nel culo, tutto qui.
Poi ho conosciuto Valeria, mia moglie, e non ci ho pensato più.
Abitiamo in periferia, in effetti non proprio Roma, ma era l'unico modo per acquistare una casa ad un prezzo umano.
Il prezzo da pagare è il solito, servizi scadenti, strade bombardate, un campo nomadi e, da qualche anno, l'arrivo di nord-africani, siriani ed altro.
La sera questo villaggio, perché di questo si tratta, diventa pericoloso.
È zona di spaccio, con tutto quello che significa.
Io vado a lavorare con i mezzi e lascio l'auto ai miei figli che gestiscono una paninoteca e tornano tardi.
Non mi dispiace, ormai conosco molte persone che viaggiano con me e ci facciamo compagnia per il tempo del tragitto, di solito, un ora.
Quasi sempre alle 18 sono a casa e, a quell'ora il "villaggio" è ancora nostro.
Un giorno di novembre di tre anni fa qualcosa è andato storto. Per non meglio precisati problemi tecnici il bus ha saltato tre corse. Pioveva a dirotto e alle 20,50 ero ancora sul bus, quasi da solo.
Quando sono sceso, ho poggiato lo zainetto sulla testa e sono corso verso la pensilina.
Il villaggio sembrava deserto, poche luci e nessuno per strada.
Dovevo farmi quasi 700 metri per raggiungere casa, passando lungo un vialetto che metteva i brividi per quanto era scuro. Sembrava riuscire a risucchiare tutti i residui luminosi.
Mi avviai a passo veloce verso casa vinto dall'acqua che, davo per scontato, mi avrebbe inzuppato.
Improvvisamente mi trovai sbattuto per terra, mi bruciava la faccia e mi fischiava un orecchio. Con l'orecchio integro sentii delle strane risa e un vociare confuso. Mi avevano atterrato con un ceffone da dietro.
Io non sono mingherlino, ho un fisico modellato dalla ginnastica e dalla palestra.
Non sapevo come, ma volevo reagire. Provai ad alzarmi ma fui subito bloccato da un calcio sul culo e da un coltellaccio sventolato davanti alla mia faccia.
Mi portarono vicino ad un parcheggio dove c'era un vecchio Ford transit che forse non camminava più.
Mi spinsero dietro al cassone e chiusero il portello, poi accesero una torcia.
Erano nord-africani, ed erano in tre.
Chiesi cosa volessero, io non portavo molti contanti, mai. Avevo un cellulare dismesso da uno dei miei figli ed un piccolo computer nello zaino.
Presero tutto, poi uno dei tre avvicinò il suo naso al mio collo per odorarmi.
"mmmmm", rumoreggio' poi disse qualcosa ai suoi compari che fecero lo stesso.
Rimasi in silenzio con un coltello poggiato sulla pancia. Loro ridacchiavano, poi quasi insieme, si calarono i pantaloni.
Nella penombra vidi due cazzi mosci ed uno già sull'attenti. Li guardai in faccia e provai a fare il duro : - che cazzo avete in testa? Mi avete rapinato, non vi basta? - Continuavano a fissarmi, poi quello che aveva il coltello mi disse :- hai un buon profumo ti scopriamo - nel dirlo spinse il coltello sulla mia pancia smorzando ogni velleità.
Mi fecero inginocchiare e, tenendomi per i capelli, cominciarono a strusciare i loro cazzi sulla mia faccia. Puzzavano di piscio e divennero subito duri. Uno era normale, quasi piccolo ma gli altri due erano enormi. Uno schiaffo mi fece capire che dovevo darmi da fare, cominciai ad allungare le labbra sfiorandoli. Un nuovo schiaffone mi fece aprire la bocca. Erano assatanati, le loro cappelle si alternavano in bocca cercando di scopare la gola. Fui costretto ad usare le mani per dirigere il traffico altrimenti mi avrebbero strappato la bocca.
Cominciai a ciucciarli con la paura-speranza che venissero in fretta. Temevo che mi avrebbero fatto mangiare la sborra.
Uno dei due cazzoni mi sborro' proprio in gola, diretto, quattro fiotti che sentii scendere in gola. Lo tiro' fuori e mi impose di pulirlo.
Mentre lo facevo, gli altri due mi sbottonarono i pantaloni, chiesi pietà ma ottenni il cazzo più piccolo piantato fino alle palle. Non faceva troppo male. Faceva su e giù in maniera frenetica e non durò molto. Mi sborro'dentro e quel calore mi stordi'.
Fu la volta del cazzo grosso che sentii per ogni suo centimetro. Stavo sanguinando e il buco bruciava, ma quando la cappella si faceva strada il mio cazzetto reagiva, colando una specie di colla trasparente.
Mi aveva spanato e mi scopava come una furia, ogni volta che lo tirava fuori io scorreggiavo e schizzavo. Ridevano del mio buco del culo slabbrato, poi lo rimetteva dentro e mi scopava. Credo di essere venuto almeno due volte, le gambe mi tremavano e quando mi schizzo' dentro mi imposi di non gemere.
Ero rimasto a pecorina, con i calzoni calati ed il buco rosso e colante.
Il cazzo che mi era venuto in gola si pianto' nel mio culo come un grissino nel burro morbido.
Sentivo quei coglioni enormi sbocciare le mie palle ormai svuotate e l'asta tutta nella pancia. Pulsava, doveva esplodere ma non lo fece dentro. Lo tiro' fuori di botto facendomi sborrare come un frocione poi, a sua volta mi venne proprio sul buco che, pieno d'aria, faceva le bolle.
Mi lasciarono andare dopo un ora, ancora pioveva, ero svuotato, avevo le gambe senza forza ma sapevo quello che dovevo fare. Pulii sotto l'acqua gli schizzi di sborra e mi avvicinai a casa costruendo mentalmente la storia di una rapina con percosse. Era meglio così.
Da quel giorno ho fatto sempre in modo di non passare di notte, da solo, su quel viale. Ma da allora mi torturo il buco con tutto quello che trovo alla ricerca di un paradiso trovato per caso in un giorno infernale di pioggia.
Sono sposato, abbiamo due figli maggiorenni e abitiamo vicino Roma.
Io lavoro in ufficio, da una vita. Ho cinquantanove anni e sono più o meno etero.
Dico questo perché da adolescente ho avuto qualche distrazione con due amici di fumo. Niente di trascendentale, qualche sega reciproca e qualche dito nel culo, tutto qui.
Poi ho conosciuto Valeria, mia moglie, e non ci ho pensato più.
Abitiamo in periferia, in effetti non proprio Roma, ma era l'unico modo per acquistare una casa ad un prezzo umano.
Il prezzo da pagare è il solito, servizi scadenti, strade bombardate, un campo nomadi e, da qualche anno, l'arrivo di nord-africani, siriani ed altro.
La sera questo villaggio, perché di questo si tratta, diventa pericoloso.
È zona di spaccio, con tutto quello che significa.
Io vado a lavorare con i mezzi e lascio l'auto ai miei figli che gestiscono una paninoteca e tornano tardi.
Non mi dispiace, ormai conosco molte persone che viaggiano con me e ci facciamo compagnia per il tempo del tragitto, di solito, un ora.
Quasi sempre alle 18 sono a casa e, a quell'ora il "villaggio" è ancora nostro.
Un giorno di novembre di tre anni fa qualcosa è andato storto. Per non meglio precisati problemi tecnici il bus ha saltato tre corse. Pioveva a dirotto e alle 20,50 ero ancora sul bus, quasi da solo.
Quando sono sceso, ho poggiato lo zainetto sulla testa e sono corso verso la pensilina.
Il villaggio sembrava deserto, poche luci e nessuno per strada.
Dovevo farmi quasi 700 metri per raggiungere casa, passando lungo un vialetto che metteva i brividi per quanto era scuro. Sembrava riuscire a risucchiare tutti i residui luminosi.
Mi avviai a passo veloce verso casa vinto dall'acqua che, davo per scontato, mi avrebbe inzuppato.
Improvvisamente mi trovai sbattuto per terra, mi bruciava la faccia e mi fischiava un orecchio. Con l'orecchio integro sentii delle strane risa e un vociare confuso. Mi avevano atterrato con un ceffone da dietro.
Io non sono mingherlino, ho un fisico modellato dalla ginnastica e dalla palestra.
Non sapevo come, ma volevo reagire. Provai ad alzarmi ma fui subito bloccato da un calcio sul culo e da un coltellaccio sventolato davanti alla mia faccia.
Mi portarono vicino ad un parcheggio dove c'era un vecchio Ford transit che forse non camminava più.
Mi spinsero dietro al cassone e chiusero il portello, poi accesero una torcia.
Erano nord-africani, ed erano in tre.
Chiesi cosa volessero, io non portavo molti contanti, mai. Avevo un cellulare dismesso da uno dei miei figli ed un piccolo computer nello zaino.
Presero tutto, poi uno dei tre avvicinò il suo naso al mio collo per odorarmi.
"mmmmm", rumoreggio' poi disse qualcosa ai suoi compari che fecero lo stesso.
Rimasi in silenzio con un coltello poggiato sulla pancia. Loro ridacchiavano, poi quasi insieme, si calarono i pantaloni.
Nella penombra vidi due cazzi mosci ed uno già sull'attenti. Li guardai in faccia e provai a fare il duro : - che cazzo avete in testa? Mi avete rapinato, non vi basta? - Continuavano a fissarmi, poi quello che aveva il coltello mi disse :- hai un buon profumo ti scopriamo - nel dirlo spinse il coltello sulla mia pancia smorzando ogni velleità.
Mi fecero inginocchiare e, tenendomi per i capelli, cominciarono a strusciare i loro cazzi sulla mia faccia. Puzzavano di piscio e divennero subito duri. Uno era normale, quasi piccolo ma gli altri due erano enormi. Uno schiaffo mi fece capire che dovevo darmi da fare, cominciai ad allungare le labbra sfiorandoli. Un nuovo schiaffone mi fece aprire la bocca. Erano assatanati, le loro cappelle si alternavano in bocca cercando di scopare la gola. Fui costretto ad usare le mani per dirigere il traffico altrimenti mi avrebbero strappato la bocca.
Cominciai a ciucciarli con la paura-speranza che venissero in fretta. Temevo che mi avrebbero fatto mangiare la sborra.
Uno dei due cazzoni mi sborro' proprio in gola, diretto, quattro fiotti che sentii scendere in gola. Lo tiro' fuori e mi impose di pulirlo.
Mentre lo facevo, gli altri due mi sbottonarono i pantaloni, chiesi pietà ma ottenni il cazzo più piccolo piantato fino alle palle. Non faceva troppo male. Faceva su e giù in maniera frenetica e non durò molto. Mi sborro'dentro e quel calore mi stordi'.
Fu la volta del cazzo grosso che sentii per ogni suo centimetro. Stavo sanguinando e il buco bruciava, ma quando la cappella si faceva strada il mio cazzetto reagiva, colando una specie di colla trasparente.
Mi aveva spanato e mi scopava come una furia, ogni volta che lo tirava fuori io scorreggiavo e schizzavo. Ridevano del mio buco del culo slabbrato, poi lo rimetteva dentro e mi scopava. Credo di essere venuto almeno due volte, le gambe mi tremavano e quando mi schizzo' dentro mi imposi di non gemere.
Ero rimasto a pecorina, con i calzoni calati ed il buco rosso e colante.
Il cazzo che mi era venuto in gola si pianto' nel mio culo come un grissino nel burro morbido.
Sentivo quei coglioni enormi sbocciare le mie palle ormai svuotate e l'asta tutta nella pancia. Pulsava, doveva esplodere ma non lo fece dentro. Lo tiro' fuori di botto facendomi sborrare come un frocione poi, a sua volta mi venne proprio sul buco che, pieno d'aria, faceva le bolle.
Mi lasciarono andare dopo un ora, ancora pioveva, ero svuotato, avevo le gambe senza forza ma sapevo quello che dovevo fare. Pulii sotto l'acqua gli schizzi di sborra e mi avvicinai a casa costruendo mentalmente la storia di una rapina con percosse. Era meglio così.
Da quel giorno ho fatto sempre in modo di non passare di notte, da solo, su quel viale. Ma da allora mi torturo il buco con tutto quello che trovo alla ricerca di un paradiso trovato per caso in un giorno infernale di pioggia.
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