La ragazza di Copacabana

di
genere
saffico

C’è la ragazza di Ipanema ed è stato uno dei racconti meglio scritti di tutto l’ultimo anno. C’è anche quella di Copacabana, però. Ha visto Pulp Fiction e da allora ha in antipatia l’ordine cronologico. Chissà che verrà fuori.

Alessandra sta lì, sulla porta del bagno. Il controluce rimanda i contorni della figura: l’altezza e spalle sono le prime cose che riempiono l’occhio. Anche i peli della passera: danno l’impressione di fili di rame.
Quando torna a letto faccio caso alla novità della sfumatura borgogna dei capelli. Solo dopo l’orgasmo riesco a mettere a fuoco i dettagli.
Fino ad un quarto d’ora fa ero stesa a gambe larghe e lei .. lei non so, scusatemi se mi sono disinteressata del come ma ho chiuso gli occhi e lasciato fare. “Ti faccio venire con la bocca” mi pare abbia ragliato. Ma non ha detto ‘bocca’ in italiano. Quando s’ingazzurisce gli esce il portoghese: boca. La scarto fonetico è minimo. L’effetto? L’effetto: si grazie.

“Per Alice un’ortolana”, Filippo s’accoda e seguono le altre ordinazioni. Un’oretta prima s’era da Spontini: è il rito settimanale del giovedì sera, la pizza è un premio all’acido lattico. C’è pure un gruppo wapp di riferimento, si chiama YogaPapiniano e l’ha messo su Benedetta, uno dei mille in cui s’è infilata. E’ stata lei ad arruolarmi: “Ti fa un gran bene, pigrona” e in mezzo a decine di perché, alla fine, ha prevalso il perché-no.
“Per me e Alessandra una classica con doppia mozzarella in due” faccio al cameriere e giù risolini lungo tutta la tavolata. “Una classica con mozzarella doppia per le gemelline” fanno eco. All’appellativo abbasso gli occhi, forse arrossisco. C’è rumore di forchette e bicchieri che battono sul tavolo. Antonella ha un tot di adrenalina in circolo e provoca Sean, l’istruttore. Chiede chiarimenti su Bitilisana, la posizione della mucca: “Il peso lo devo bilanciare su tutte e quattro le zampe, giusto?”. L’intento è apertamente libidinoso ma non ce la fa a star seria e quando la cadenza pugliese tracima il vai-a-cagare è unanime.
Arrivano finalmente i carboidrati e il parlottio si placa. La pizza è gustosa, la mozzarella fusa alla perfezione. Mi somiglia: pure io mi scaldo e mi sciolgo.
Intanto che Antonella sta dando fondo al suo repertorio di barzellette sull’universo mondo -sarebbe simpatica anche al Berlusca io e Alessandra salutiamo la compagnia.
Ho ancora il piede sull’uscio che mi sento prendere per mano. Prendere è generico, è Alessandra che ha intrecciato le dita della sua sinistra con le dita della mia destra. Avete presente come fanno i fidanzatini di Peynet: pollice con pollice, indice con indice e così via. Credo sia in trip da ufficializzazione. Mi giro seccata e dentro la nuvoletta c’è un che-cazzo-ti-credi-di-fare?
Duro poco nella parte di John Wayne. Appena in strada mi sbatte contro il muro e mi da un bel sette etti di lingua. Ecco cosa intendevo con l’immagine della mozzarella.

Il nostro primo contatto ha subito riguardato una mano.
Me l’allunga una tipa per tirarmi su dal parquet dopo l’esercizio. Le sue dita sono lunghe. Anche lei è lunga lunga. Si presenta, asciutta: “Io sono Alessandra”. C’è qualcosa che non mi quadra, lì nella sua presenza ma non capisco cosa. Il mio sorriso tonto è un automatismo di difesa.
Sono nella palestrina di via Ariberto e sta terminando la prima serata del corso Yoga organizzato dall’Arci. Età dai 20 ai 50, un tot di leggins di molti colori e dentro gambe che sfidano le leggi della fisica. Qualche canotta e per lo più top attorno a seni di poco volume. La tipa lunga lunga è verde di sotto e gialla di sopra.
Quando Sean dispone il Navasana le coppie si formano spontaneamente. A me la sorte ha riservato la gialloverde, come succede al primo giorno di scuola: ti siedi in un banco a caso e qualcuno lì di fianco a te e poi finché diploma non vi separi.
Sto tremando dalla fatica, domattina penso a piegare l’addome sarò tutta una fitta. Lei, invece, pare fatta d’aria. Ha la pelle della mani un tot secca, i calli direi ed un cerotto di garza che tiene unito medio ed anulare.
Non riesco a tenerla questa posizione da finocchi. Tiro giù due maledizioni, una dietro l’altra, anche se la parola è una sola in climax: “ .. cazzo-cazzo-cazzo ..”, manca solo che faccia le bolle. Lei mi fissa e dentro gli occhi ha scritto se-molli-sei-una-merda. Se non fosse vietato dalla legge degli uomini e di Dio gli avrei già sputato in faccia. Infine crollo e sul parquet ci rimane solo l’impronta del mio culo sudato. Sembro un castello di sabbia calpestato.
All’uscita mi fermo a far due chiacchiere con Benedetta, la scusa per chiedere qualcosa della mia occasionale socia di sforzo.
“Da dove salta fuori ‘sta stangona”.
“Stangona? Ma l’hai vista? Stuzzicadenti, vorrai dire”.
“Questa principessa, va bene così?”.
Mi fa un profilo sommario: “Si chiama Alessandra, è brasiliana, di Rio dice lei e gioca a pallavolo per ..” indugia un attimo, “non me la ricordo, adesso, la squadra. Gioca da professionista, eh, occhio. Anzi, occhio in generale”.
Andiamo a prendere un drink veloce. Col Chiodo e le meches caramello sta che è un amore: se non fosse poco più che maggiorenne morirei dall’invidia. Approfitto per un aggiornamento news sulla sua vita. “Non sto più con Gianna, sai son tragedie ma poi ci si riprende” mi fa un tot carogna, “ho cambiato facoltà e per il resto dell’oroscopo soldi&salute&sesso non c’è male. Poi sai anche te che la ruota gira”.
Sono in metro quando sento il ding. E’ ancora Benedetta via wapp: “Ah, anche Alessandra .. ” e giù una montagna di emoj: “ ..dicono che gli garba più la patata della carota”.
Non so che replicare. Registro l’informazione e do una googlata veloce ma con alessandra+brasile+pallavolo non esce nulla di significativo. Lascio perdere al quinto link. Aggiungo lesbica ed eccola qua la nostra carioca: Alessandra Thais Araujo. La scheda personale non è che dica tantissimo, mica si tratta di una star: 25 anni, alta 1.87, peso forma 66 kg, schiacciatrice di ruolo. Nessun riferimento esplicito alle sue inclinazioni sessuali, se non la bandiera della pace a sfondo del suo profilo Instagram. Chissà il motore di ricerca dove ha pescato l’informazione?

La sta lappando proprio adesso, la montagna pastosa del mio culo. Vuole il voto, tipo quelli che riempiono la Gazzetta al lunedì: “Sono stata brava, tesoro?”.
“La migliore di tutte”.
“Naaa, puoi fare di meglio”.
“Extraordinaria, Alessandra”.
“Non ci siamo per un cazzo”.
“La più grande .. ”.
“Sì?”
Ecco voto&giudizio: “10 e lode. La più grande baciafiga di tutti tempi”.

La posizione del sole Sean la fa durare un po’ troppo e finisce che mi rompo il cazzo di stare così.
“Ma te, Alessandra che ci vieni a fare qui, che ti potrebbe chiamare Victoria Secret?”.
“Me l’ha consigliato il fisioterapista, ho i muscoli dorsali .. com’è che si dice in italiano .. legati”.
“Irrigiditi” rido “anzi, incasinati”.
“E poi, chissà, mi fa bene anche alla testa. Sempre meglio che andare dallo psicoterapeuta .. si dice così da voi, aiutami?”.
“Lo strizza, insomma”.
In effetti a guardarla la mia socia da l’impressione d’averlo qualche casino dentro. Già nell’espressione c’è qualcosa di improprio: la mascella in rilievo, le sopracciglia folte. Robe di sotto, ombre che affiorano al limitare degli occhi e poi svaniscono.
Stronzeggiando con Benedetta via messaggio: “Metto la mano sul fuoco che Alessandra è un trans, di quelli da Monumentale, che quando si toglie il tanga c’ha il cazzetto mini”.
Ha visualizzato senza rispondere. La cosa m’ha inquietato. Come quella pelle che trasuda brutalità.
C’è un filmato di lei su youtube che fa muro punto ed urla qualcosa alla gradinata avversaria. Una compagna di squadra gli mette la mano sulla bocca a zittirla. Ha i nervi del collo gonfi. L’arbitro la butta fuori. Il pubblico la insulta.
Quando apre bocca, però, l’impressione cambia totalmente. E’ quella vocetta mielata che sballa tutti i conti. Mi scappa una triste considerazione sulla mia forma fisica e casco dentro una telenovela sudamericana: “Mia sorella tiene tua idade .. ” e via sino Cristoforo Colombo.
Alice mi scannerizza il culo ai raggi x e vomito un paio di improperi non proprio gentili tipo cazzo-guardi ma sono solo occasioni per farsi una ghignata complice. La guardo e sorrido, mi guarda e sorride e la cosa pare contagiosa.
“Se c’è qualcosa che non ti torna” le do le basi del galateo imbruttito, “te parti sempre con vaffanculo, intesi? Tira su la mano a carciofo e scandisci per bene vaf-fan-culo. Prova dai”.
La pronuncia è corretta, non ci sono difetti palesi ma l’effetto è esilarante. Gesticola per compensare, fa le faccette ma la cadenza brasileira è troppo zuccherina per portarsela in battaglia. Ci riprova due o tre volte ma il risultato è l’ilarità generale. Anche Alice si tiene la pancia dal ridere.
“Vaffanculo è bom” è la versione definitiva. Aggiudicato.

Il percorso che seguono le mie mutande vale da solo il prezzo del biglietto. Oggi indosso slip da brava bimba e mentre me li sfila trattengo il fiato. Pianto i calcagni, sollevo il culo, piego le ginocchia e vedere la curva che percorre il mio intimo bianco mi emoziona dentro. Come s’arriccia attorno alle cosce e lascia il ventre indifeso. Un gesto continuo, perfetto: potrei anche rivestirmi, andarmene e sarei felice così, senza bisogno d’altro.
Il dopo, invece, è un’altra storia. Somiglia al ring ed io sono facile da buttar giù.
Mi infila i bicipiti dietro le cosce e mi blocca le anche, poi il muso l’affonda lì dove sono più umida. Mi apre in due più tosta di certi siluri a cui sono avvezza. Inarco il capo e vedo solo il soffitto.
Ci mette furia, la mia amica. In uno eccesso di foga mi solleva il bacino e oltre l’orizzonte dell’addome incrociamo le pupille. Ha uno sguardo feroce, da maschio e il reggiseno sportivo che non s’è mai tolta da quando dividiamo il letto. Avesse il cazzo me lo pianterebbe dentro senza complimenti. La provoco: “Ti porto a Casablanca, amore e dopo mi scopi come si deve”.
“Caralho. Vai, caralho”, sbraita.
La postura è quella della forbice, supina e docile io, sulle ginocchia e soda lei. Le cosce sono incastrate, le passere si baciano e lo sfregamento è super. S’avvinghia ai miei fianchi da teletubbies e ci da dentro abbestia. Provate ad immaginare la più potente dose di minchia della vostra vita e poi moltiplicate per dieci: neanche c’andate vicino all’orgasmo che l’Alessandra m’ha procurato.
Quando mi strizza le tette gli strillo cose riguardo al mio culo da quasi quarantenne ed altro che ora fatico a ripetere a me stessa. Balbetta ancora: “Signorina Araujo gostosa”.
Il cielo della stanza s’è frantumato in un milione di pezzetti di specchio e tutti a modo loro riflettono la mia espressione annientata. Non ce la faccio a reggere, basta, la prego di fermarsi. Ho la bocca spalancata ma non riesco ad articolare ne parole ne pensieri.

Il tachimetro segna 120 km, mooolto sopra il limite. L’auto corre e la carioca se ne fotte degli autovelox: “Quei bastardi che mi mandino la raccomandata a Rio. Vaffanculo, policia”.
E poi riprende a cantare. E’ stonata e contagiosa.
“Eu vi un rei”, si gira e alza i sopraccigli. Pare che tocchi a me. Sto al coro: “Ele viu o que” anche se non so bene che ho detto. Vado forte nella parte del pappagallo.
M’ha divertito il titolo dell’album ‘Banana a Milanesa’ ed ancora di più la traduzione: banana impanata ed ecco il mio regalo per i suoi 26. Quattro ragazzoni da Porto Alegre hanno rifatto Jannacci in portoghese e l’effetto è irresistibile. Un base samba, saudade in chicchi, mettici gli occhi stralunati di Enzo ed il risultato è delizioso.
E’ una mezzora secca che il festival della canzone brasilo-milanese si tiene sulla Smart di Alessandra ed annessa anche la scuola d’arte drammatica: valgono più le smorfie dell’intonazione.
“Pobre do rei”, gli occhi da furbetta, mi fa e giù la risposta: “E coitado do cavalo”.
M’accade ogni tanto di struggermi dietro un dettaglio, anche il più sciocco e sentire come articola la parola ‘cavallo’ mangiando quasi la doppia elle mi emoziona. Mi delizia come chiude la parola, sfumando la O in U. L’effetto acustico mi procura una sensazione di formicolio sotto il cuoio cappelluto e giù fino al limitare delle spalle.
All’altezza dell’uscita per Linate la tangenziale piega a sinistra e GaeAulenti disegna il profilo della città. Il cielo è terso e in fondo i mille colori del tramonto inducono fantasie su un esplosione nucleare che sta incendiando il mondo. Le striature di blu e grigio stanno prendendo il sopravvento ma l’arancio ed il rosa resistono ancora.
Dio come mi sento figa, oggi.
Sul vivavoce arriva una telefonata, dall’altra parte un uomo. Parlano in inglese, non capisco niente, il tono è neutro. Dura poco, una trentina di secondi. Strizza gli occhi dal nervoso, la conducente. E’ rabbia impotente.
“Cambio programma: oggi allenamento alle 18.00” e giù una sfilza d’insulti al tecnico. “O bicha, cabrao prima o poi gli taglio il cazzo e lo faccio coi fagioli. Che dici, te?”.
La replica scherzosa mi resta in canna, il livello degli estrogeni un tantino eccessivo per la sottoscritta.
“Una fallocratica?” insinua, un filo troppo perfida.
“Falla finita, scema” borbotto immersa dentro il parka, tipo tartaruga.
“Un’altra Carrie Bradshaw, nooooooooo. Torni da Mr Big quando viene giù il buio?”.
“Vaffanculo” e metto su il broncetto stizzito.
Mi lascia alla metro di Lambrate. Accosta davanti ad un fornaio, si passa il lucidalabbra e mi stampa un bacio a sorpresa. Ne da amica ne da amante.
Sa di menta.
Resto un attimo imbambolata. Non so bene dove sia la strada per casa.
Mentre aspetto il 19 mi ronza in mente una battuta di Amici Miei. Il Melandri: “ .. ma come si sta bene fra di noi, ragazzi .. ma perché non siano nati tutti finocchi .. ”

Due di notte, insonne. Un wapp parte in direzione Alessandra: “Giorgia, la fallocratica”.

Anche quando mi lecca il culo, da dietro ha questi strappi di nervoso. Mi sento afferrata per i fianchi e i miei 70kg tirati su di forza. Sto carponi, si dice quando insegnano gli avverbi, a pecorina usano i maschi per far vedere quanto ce l’hanno duro. Ce l’ho l’espressione da capretta di Heidi, vero, amore?
Ma è ora del menage lento, non lo ululo, oggi, l’inno nazionale. Ti va di baciarmi? Chupa minha buceta, ti va?
Me la lavora come fosse una salsa madre da chef stellato, a fuoco basso. Sta lì a lungo, a cuocermi e a gustarsela. L’ha inteso subito, forse già dalla sera sulla Smart che io sono il mio clitoride. La mia patata finisce lì, dove le labbra si aprono ed il resto che c’è dentro serve solo per far figli e per pisciare.
Le dita le ha affusolate, l’anulare più lungo dell’indice ma non servono oggi. Ho bisogno dei polpastrelli ed è meglio di un prestigiatore, l’Alessandra Thais Araujo col numero 7 sul dorso.
“Lo sai che sei meglio come spacciatrice di orgasmi che a buttare giù palloni?”, maligno.
“Te che sei alta un metro e un tazzina da caffè farai l’arbitra allora, la puta sul seggiolone”.
Simulo il cartellino rosso e mi morde una chiappa. Gli garba il gioco: “Andiamo settimana prossima, a Casablanca?”.
“Poi col pisello non ti voglio più”.
La giostra riparte ma non è l’autoscontro. Mi tocca la posizione del cadavere, direbbe Sean. Faccio il morto a galla in qualche baia lontana, gambe e braccia spalancate, equilibrio tremolante. Mi spalmo sopra onde, guardo il cielo, le nuvole, sento il salmastro nel naso.
Gli basta solo leccarmi lì, con la tensione giusta. Invece Giovanni lo preme come fosse un pulsante della lavatrice. La tiene la cadenza santa, metti-la-cera-togli-la-cera, l’Alessandra KarateKid. Il polpastrello ci disegna un ideogramma lì e la lingua ci fa la festa attorno, tipo una cagnetta che scodinzola.
L’orgasmo arriva ed è lento, largo e liscio.
Guardo il cielo e lo ringrazio di avermi fatto con la passera.
Dopo un’oretta buona ho il pube arrossato. “Hai il clitoride d’amianto” mi canzona.
Sale su, mi struscia i capezzolini sulla patata e viene a mettermi la lingua in bocca.
Passa un’altra ora
Sono felice. Credo

“’sta Paola Egonu ha proprio rotto i coglioni”. Sonia sta facendo la sintesi della puntata di stasera della Zanzara su Radio24 e la gran parte del gruppo pare stia dalla parte di Cruciani. La pappatoia è la solita del giovedì sera, dopo yoga. Sul tavolo c’è solo acqua naturale e Coca Zero quindi non è stato l’alcool che ha dato gas alla discussione su Sanremo e l’universo mondo.
“Che cazzo fa, l’altona: va in Turchia, dico la Turchia dove i diritti delle donne sono carta da culo, incassa la millionata di euro di contratto e poi ci fa la morale che non siamo inclusivi e cazzate del genere”. Eccolo il siluro, parte da destra –Francesca e Sean e un paio di corazzate le affonda.
Benedetta gesticola e butta la palla di là: “Siete bravissimi a prendere il badile e lanciare la merda sul vetro della macchina. Siete abilissimi voi neri su queste cose”.
“Neri, chi?” non ci sta Sonia, “Nera sarà lei e ha fatto pure la portabandiera alle Olimpiadi, ‘sta ipocrita”.
La cameriera sudamericana che sta servendo le pizze sorride assai professionale e per un istante il desiderio di cenare caldo prevale.
Poi la polemica prende una brutta piega. Sonia pare che si diverta: “Pensa un po’, l’Egonu è pure lesbica. Sai che se la faceva con l’altra vichinga della squadra?”.
Benedetta è verde in viso, tipo Hulk e, prima che il diverbio degeneri, da sotto il tavolo prendo per mano Alessandra e stringo forte. Penso che va a finire in merda, che magari darà una testata sul cuore a qualcuno. E che fa, invece, la carioca? Afferra la mia di mano, sempre da sotto il tavolo e se la ficca lì dove non batte il sole ossia sulla passera. Mica sulla pancia o sui paesi limitrofi, se la infila in mezzo alle cosce, proprio lì dove c’è l’attaccatura al bacino. Avverto subito calore e umidore.
“Maurizia Cacciatori è mooolto più figa, che dici te Sean? Anche la palleggiatrice polacca, lei lì è una sventola da paura. Facevano il caffèlatte e, poi, chissà chi la leccava a chi”, Sonia ci da dentro compiaciuta di se ed evitato l’incidente diplomatico il cazzeggio prosegue.
Dopo qualche minuto in silenzio, Alessandra mi fissa e mi domanda, quasi seria: “Quanti bocconi servono a finire una pizza? A me ne basta uno”. In un’altra vita, in un altro pianeta una spacconata del genere mi avrebbe stimolato il sarcasmo. Invece adesso no, ho necessità di deglutire. Ci deve essere stato un improvviso cambio di pressione ed ho le orecchie tappate. Ho bisogno di respirare.
Esco.
Mi segue.
Due donne, una alta e con i capelli crespi, l’altra con tanti fianchi e poche tette camminano per via Solari tenendosi per mano.
Nessuno ci bada. Io ho la testa ovattata.
La mia sessualità è sempre stata fatta di cose abbastanza ordinarie: si pompini anche con ingoio, no anale, no droghe, no additivi e scopare è un affare di coppia uomo&donna, punto a capo. Eppure sono dentro una Smart, è sera tardi e con me non c’è Giovanni. Gioca con le dita della mia mano, l’Alessandra e le chiacchiere stanno sottoterra. L’atmosfera è così densa da metterla nell’affettatrice. Quello che avviene dentro quest’auto ha qualcosa del volo delle api, lampi di luce gialla, piccoli punti oscuri che svaniscono nell’aria. Anche bolle di calore che salgono dal ventre e fanno puf.
“Ti voglio”, appoggia le labbra e le fa scivolare lungo tutto il collo, sino alla foce del seno. Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa che tanto sono già al dente.
Si fa sotto con la bocca ma s’arresta ad un passo dal traguardo. Ha percepito resistenza? Eppure sto scodinzolando. La danza riprende, più sincopata che mai. Mi assale, sono un mondo pieno di miele. Mi succhia e non se ne va. Ritorna e mi succhia di nuovo. E poi ancora. E’ bello.
Dei 50 piani successivi ho presente: tutto bene, Giorgia.
“Non so come si fa con una donna” belo.
“T’insegno io”, mi rassicura.
In cabina, i baci. Tanti. Robe a cui non ero più avvezza da tempo, da tanto tempo. E non sono le slinguate voragine ma miriadi di piccoli baci, uno dopo l’altro, migliaia, cascano da sopra, di fronte. C’è un tumulto di schiocchi di labbra e saliva che si spande dappertutto, un paciugo di saliva, dalla nuca all’ombelico.
Non vola più una mosca, nessuna parola. Mi prende le guance fra le mani, mi fissa incapace di dire qualcosa di definito. Si ributta sulla mia bocca. Mi mette sotto. Alzo le braccia e le agito, annaspo come una che annega.
Poi arriva l’atterraggio ma è lieve, come una foglia che plana ondeggiando. Quando mi mette le mani nelle mutande sono come un agrume spremuto: cola una goccia, una sola e poi basta.
Scendo dall’auto che sono le due passate e mi avvio lungo lo spartitraffico di Papiniano, in mezzo agli alberi e alle macchine. Cammino storta sui tacchi e ho l’allacciatura al collo del vestito ancora sciolta, forse i seni nudi, non so bene. Fa freddo e penso che si dovrebbe pomiciare solo da Aprile inoltrato. Mi perdo nel buio.

Si festeggia il mesiversario del nostro flirt e questa è la prima volta da quando facciamo sesso che Alessandra si fa fare. Il ditino che si muove stavolta è il mio. Chissà se gli garba fare la femmina, chissà se sono buona a fare il maschio?
La destra ce l’ho portata di figa e il resto viene da se.
Ad occhi chiusi ha qualcosa di selvatico tipo Paola Turci in concerto. Stesse tettine acerbe. Li sopra ci lascio le labbra. Le costole le conto tutte coi denti. Sono 24, 12 a destra ed altrettante a sinistra.
Quando affondo le falangi –ne bastano due, contrae il ventre e sporgono gli addominali. Fa un cerchio, una O con la bocca. Svuota i polmoni e la cassa toracica si abbassa.
Sesso è il nome di un paesino alle porte di Reggio Emilia, tutto è sesso, anche solo ascoltare la meccanica dei corpi. La pelle che si strofina, le carni che cigolano: tutto gocciola di voglia.
Basta fare il gesto hey-vieni-qui con l’indice che qualcosa devo aver toccato. Spalanca le cosce all’estremo e subito le serra di scatto, tipo trappola per topi. Poi si lascia andare ad un mugolio, qualcosa che ricorda il nitrito del cavallo.
“Meglio di una strippata di bianca, vero?”.
Alla fine del gioco si rilassa e mi unge le dita.
Torno dal bagno: “Senti, ho preparato un discorso per la ricorrenza, tipo i ringraziamenti che i laureandi mettono nella tesi: ringrazio la famiglia che m’ha fatto studiare, i professori che m’hanno insegnato, i bidelli e robe così, insomma. Posso?”
Imposto la voce in falsetto così per fare la scema: “Ringrazio Alessandra per prima cosa per tutti i pompini che non ho più dovuto fare”.
Scoppia a ridere e ribadisce che sono un’etero, rinnegata ma sempre etero. Mi carezza una spalla: “Però come te la lecco io ci somiglia ad un pompino, vero?”.
“Sai come si dice dalle mie parti: socmel. A te dirò: socmela, Ale”.
E chi non l’ha mai fatto in quel frangente di prendere la testa della propria squinzia –proprio come fanno i maschi, e tirarsela contro la passera non sa cosa s’è persa. Sicuro come l’oro.
“Grazie poi che non m’hai mai messo le dita nel culo e di questo ti sono sinceramente grata”.
Si umetta l’indice, lo alza finto spietata: “Sei ancora vergine? Noooooo, non ci credo. E io che volevo Casablanca per farti una femmina completa, davanti e dietro”. Non si riesce a rimanere serie ma sono facezie, zucchero e messico&nuvole.
“Un ringraziamento anche a Benedetta che c’ha fatto conoscere e ci tocca sdebitarci, no? Qualcosa di suo gradimento prima o poi glielo molliamo”.
Qualche giorno fa ho letto in rete che una società coreana è intenzionata a proporre un contratto pluriennale ad Alessandra Thais Araujo. Alzo le spalle e la accarezzo dove gli occhi si fanno tempia.
“Infine la qui presente Giorgia Valli ti ringrazia per .. ” sorrido mesta e non mi viene altro.

Io e lo specchio, alla mattina presto. Sono proprio un bel bocconcino, mi dico e non certo per darmi coraggio. Crozza-Feltri commenterebbe: è fattuale.
Sto tirando il mascara, da profondità allo sguardo. Oggi vedo Alessandra.
E a proposito di sguardo Giovanni mi fa notare il livido che ho sul collo. Si vede immediatamente che è un succhiotto e anche bello fresco, non è che c’è da discuterci e lui, il mio compagno, non sa bene come affrontare la questione. Non la trova la parola giusta, il modo per non farsi male.
“Beh, è un succhiotto, che vuoi che sia? Me l’ha fatto Alessandra”.
Fa finta di non capire: “Alessandra, chi?”. Poi ride e sono un po’ la stessa cosa, un modo per girarci attorno senza picchiarci la chiorba. Faccio uguale anch’io, l’importante è confondere le acque.
“Non sei preparato ad essere becco di una moretta?”, butto lì, troia come non si meriterebbe
Porto le labbra all’indice e gli spedisco un bacio. E’ una vita che se ne va
scritto il
2023-07-06
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