Zanzarosi

di
genere
etero

eroticiracconti.it oggi pubblica una ventina di storie nuove. Una frana di incesti, tre gay ed un pugno di etero che oramai è l’unico genere che ho lo stomaco di leggere. Toh, guarda c’è anche una cosa di mare_di_beaufort. E’ lesbo ma poi gli do un occhio.
Sto li col pollice a fare su e giù e a pensare agli affari miei, preciso a quel tipo seduto in cima ad un paracarro. Poi qualcuno fa toc-toc sul vetro, apre lo sportello e mette dentro il muso. “Hello, it’s free?” mi abbaia una bionda.
Ussignur, ‘n altra giargiana, Milano provincia USA, oramai.
“Yeah, it’s free, siura”. Indosso il mio mediocre sorriso: “Jump on” e la bionda mi prende alla lettera: monta davanti, come non esistesse il sedile posteriore. Chissà, in Giargiania si usa così.
Dimenticavo di presentarmi, io sono Ticinese31, ho un taxi tutto bianco e porto la gente a giro. Se qualcuno mi chiedesse quanto mi garba il mio lavoro, su una scala da 0 a 1 direi 0 e su una scala da 0 a 100, uguale. Sempre 0.
“Where are we going, please?” e la tipa tira fuori un pizzino: “Via .. Olge ..” s’incarta con la lingua. Riparte: “ .. Olget .. tina, dire bene?”.
La cosa mi induce una smorfia. La tizia, a fare l’olgettina, ncs: non ci siamo. Di anni ce ne avrà di sicuro più di trenta, anzi anche di quaranta e poi il tonnellaggio: ncs al quadrato.
Imposto googlemaps e la classeA lascia porta Genova. Una striscia rossa all’altezza di Porta Romana, 18 km in totale e arrivo previsto fra 51 minuti.
Il traffico è quello folle delle 17-20 ossia il caos imbruttito. Costeggio la Darsena e poi la Circonvalla, la frontiera della civiltà, pensava Valeria. Una casa a Romolo, giammai, meglio farsi incaprettare da un mutuo trentennale in zona Farini, era questa la legge-morale-dentro-di-lei. Ma vabbè, acqua passata. Un oceano di acqua passata.
“Where are you from, lady?”.
“Sono dalla Polonia, speak poco italiano, mia madra di Como”.
“Sei di Varsavia?”.
“No, Wroclav, città sud”.
Mai sentita nominare, la mia geografia è quella della Uefa, se non c’è una squadra di calcio è un posto che non conta un cazzo nulla. Mi pare in Polonia ci volesse andare Enzo, il soggettone di Un Sacco Bello. Ma magari mi sbaglio.
“Tre ora con autocar to Praga, quattro to Berlin, c’è fiume Odra, poi Università .. ”.
Al semaforo mi metto tre dita a grattarmi la zucca e altre tre la bazza, tipo scimpanzé e confesso la mia ignoranza. “Sono un capra, l’unico polacco che conosco è Boniek .. ah, dimenticavo, il papà .. e anche ciolanka-sbilenka” e giù un’altra risata non proprio da lord.
Mi rimbalza indietro: “Sei simpatico, funny”.
Guardo la strada davanti e ho la clip del mio funny giornaliero, mezz’ora la mattina al bar Ascari con caffècorretto&Gazzetta. C’è il barista, Francesco e un mandarancio che chiamano Medina: vola qualche insulto a base di moviola e altre robe di grana grossa. Succede poi che entra qualche fighetta di categoria per un macchiatone-al-volo e ci si ammutolisce tutti come di fronte alla Madonna di Fatima.
Funny, funny, funny e un verso di una canzone mi balla dentro la zucca: “ .. and I find it kind of funny .. ”, mah, chissà chi la cantava?
“Senti mah .. via Olgettina .. non è uno scherzo, vero? Do you know our former prime minister, Silvio Berlusconi? Bunga-bunga .. ” e mi verrebbe altro. Mi astengo.
“Ho meeting domani al San Raffaele Hospitale per un operazione di mia madra e poi fermo me da amica questo week-end” mi spiega intanto che ruma nella borsetta, “Dopo, lunedì, torno a Polonia, ho marito e family”.
“Allora sei sposata?”.
“Tutti i polacchi married” e ammicca come fosse una verità rivelata.
Torce gli angoli della bocca: “Essere solo one week. Poi Skype e lui chiama me un sacco di volte”. Si gira ed accenna un timido scoppio di riso: “È una palla, mio uomo”.
“Beh, se ti chiama adesso puoi dirgli che stai con un taxista ficcanaso, a snooper taxi man”.
“Chissà quanta people tu ficchi naso?”, m’incalza.
Scambiati i convenevoli sul traffico o sul meteo nella maggioranza dei casi all’interno di un taxi il tempo scorre in silenzio. E’ normale, no? Invece no che non è normale, per lo meno nel caso del sottoscritto. Quando mi danno il via apro il cesso: amo sguazzare nell’insipienza dei miei simili.
Gli racconto dell’altro lunedì. Ho il turno di notte e staziono all’Hollywood quando mi salgono in tre. Lui, alquanto dimenticabile è il primo. Seguono lei con un nostril piercing sulla narice destra e infine il negro anche se potrei qualificarlo come il-giocatore-di-basket dato che è alto come il Pirellone o il drug-dealer: quando son scesi ha pagato tirando fuori di tasca un rotolo di banconote in perfetto stile gangsta-life. Lui fa il traduttore tra lei e il suddetto negro e mi pare di intendere che la stanno contrattando. L’oggetto del contendere, insomma, sembra sia il quanto della prestazione. Lei espone il cartellino del prezzo: 800 per tutta la notte e il negro gli fa: why? Interviene lui e cerca di convincerla ad abbassare che è troppo, dai. Lei non molla, rilancia dura gli 800 baiocchi e il negro -Kenny, si chiama, ripete convinto: why, why all night finché fa presente alla tipa che di tutta la notte non gliene importa un beata minchia. Batte un paio di volte le 4 dita della sinistra sul palmo della destra e fa intendere che una volta che lui ha fatto lei lì deve sparire, deve togliersi dal cazzo, insomma.
Questo in sintesi è la sturielet. Credo d’aver omesso i particolari più crudi ma un’altra risata, anche questa un po’ da suorina, l’ho rubata qui a made-in-polska. S’è pure presentata e di nome fa Agnieszka. Agnese minimizza lei, Agnieszka insisto io, tutto segone.
A forza di ridere un occhio alla polacca glielo butto. Bei denti bianchi e gote da Gran San Bernardo: me la figuro che zappa un orto di cipolle. Più sotto una spanna di ginocchia spunta dalla gonna. Pare bella incastellata, la tipa: la finto Gucci sul ventre, a fare da frangiflutti e le gambe serrate.
All’incrocio con Ripamonti il rimbombo delle sospensioni sul lastricato mi riempie le orecchie. C’è una tregua audio. La rompe il sottoscritto: “E’ da tanto che sei sposata?”.
“Da anno ventuno” e s’immagina facile un fidanzamento dalla seconda media, “Vivere casa insieme da tempo tanto. Lui lavoro in many places, Finland, Bruxelles e Polska dappertutto. Io casa, figlio Krakow, università”.
Normalmente alzerei le spalle e morta lì ma oggi m’ha preso la stupidera. C’è una fessura nella porta, il marito-in-many-places: subito dentro il piede.
“Passi un sacco di tempo da sola?”.
La sua replica è un apertura di cavallo: “It’s a pity, cosa dire taxista ficcanaso italiano?”.
Me la sto giocando adesso, la polansky. Se è vero che ci vuole tre secondi per farsi un’idea di una persona, ce ne vogliono anche meno per farsi sfanculare di brutto.
“Mai avuto un .. ” e la parola giusta in italiano non mi viene: scopamico è troppo peso e amico non sa di un cazzo, “un playmate?” mi esce, col mio inglese da barista romagnolo.
“Non posso, really”. Garantito: non ho sentito mai nulla di più difensivo di un non-posso-dai. Epperò sono le smorfie che sta facendo che mi gonfiano la lippa. Lo sguardo lo abbassa quando sussurra: “Amo mio marito”. Si porta l’indice sul naso a fare ssssssssssst, silenzio come avesse confessato chissà che.
La sola cosa che conta, però, è che non mi ha ancora chiesto di scendere e neanche lo ha dato da intendere. Dopo la doppietta Kenny&playmate è mica poco.
“Sei una moglie perfetta, Agnieszka”. Cioè quella non ho io, ma, vabbè, queste cose non si dicono, vero?
Siamo a Parco Ravizza, qualche anno fa ci venivo a correre, la domenica mattina: 6 giri invece di andare in chiesa e poi a casa da Valeria. Si passavano i pomeriggi con le abluzioni reciproche, tipo le scimmie che si spulciano a vicenda. Poi ho smesso, anche di correre.
Dopo piazzale Lodi il silenzio cala davvero. La cliente s’immerge nel suo Galaxy. Spippola sulla tastiera, arrivano notifiche: ding, sgneck a raffica e spippola di nuovo. Il conducente guarda la strada attraverso il parabrezza e un attimo dopo verifica sulla mappa Google. Lì fuori c’è il mondo che fluisce: tazzine sporche di rossetto, insegne che s’illuminano e zilioni di cose che reclamano spazio. Meno male che il tasto canc del sottoscritto funziona bene e per svuotare il cestino basta un click.
Sono le 18.30, è ora del mio programma preferito, la Zanzara di Radio24. L’ospite magnum è Stefano Bandecchi e il suo intervento s’intitola manuale-d’amore. La dinamica è la solita: Cruciani nella parte del rizzacazzi, l’ospite a pontificare di figa&droghe&fascisti e Parenzo che gli da addosso. La discussione prende fuoco quando Bandeccone sostiene che chi non ha mai pensato di tradire la propria moglie non è mica normale. Le parole che usa per illustrare l’idea di libidine sono da incidere sul granito: “ .. lei quando guarda una donna, prima di vedere com’è fatta per intero s’accorge che c’ha un bel culo, delle belle tette, delle caviglie fatte a modo e alla fine quando s’è consumato gli occhi forse s’è reso conto che c’ha pure un cervello .. ”. Insiste con la sua teoria, la infiocchetta con robe sui dinosauri e il testosterone e Crux è in visibilio. Giro lo sguardo un poco a destra e pure Agnesuccia annuisce. Fa sì col capo e sorride a occhi chiusi. Ho un pensiero fulminante: i pompini lì fa così, ad occhi chiusi o guarda e vuole essere guardata quando c’ha la boccuccia piena?
Pare che m’abbia letto nel pensiero: “Bello funny. Mio marito killare me, however. E dopo anche te. No prima te”.
Stavolta è lei a strapparmi una ghignata. Mi sbraccio anche, agito le mani come a difendermi da qualcuno molto brutto e molto cattivo.
“Potrei rapirti in questo momento” è la mia proposta, “ .. potremmo fare qualcosa di .. silly, very silly .. insieme, dai”.
Si prende il capo fra le mani e lo scuote. Da destra a sinistra e poi da sinistra a destra. Dice qualcosa in polacco, risuona tipo un và-a-dà-via-i-ciapp.
“Sto scherzando, dai, spero che tu non mi abbia preso sul serio”.
“Hai una licenza, non sono afraid, preoccupata. C’è tuo nome, qua, guarda” e ci punta il dito sul mio tesserino. C’è un’istantanea da bevitore di Fernet Branca che mi somiglia. E sotto nome e cognome.
“Bella foto, Vincenzo”, è il commento e parte ancora con un risolino. Stavolta con la mano davanti alla bocca, come le donne dabbene.
“Davvero? Really? Grazie, signora. E scusa se sono stato troppo ficcanaso”.
“Non fare noi nulla male”.
“Ad ogni modo tuo marito non lo conoscerò mai”.
Siamo di nuovo fermi ed è un canaio di clacson: tram, autolettighe, scooter che sbucano dappertutto. Dice sono lavori della MM4, rallentano tutto. Col cazzo che lo voto ancora quell’infame di Sala.
Quando la colonna fa per muoversi un pedone pirla mi attraversa. Era sulle strisce, d’accordo ma un vaffanculo se lo guadagna gratis.
Figa, siamo nella jungla.
“Facciamo un gioco, Agneszka. Puoi dirmi qualsiasi cosa ti passa per la testa”.
La risposta è: “Dobry, bene” ed ha una nota baritonale nella voce.
“Un tuo segreto, dimmelo” butto lì un tot cospiratorio.
“Un secreto?” chiede e spalanca gli occhi.
“Sì, poi dirò che solo io so il tuo segreto”.
“Agneszka non ha secreto”.
“Tutte le donne hanno segreti e non vogliono condividerli. Sai, dirli ad uno sconosciuto è come .. ” e strizzo l’occhio: “ .. è come dirli a nessuno”.
Sta con lo sguardo fisso davanti per 30 secondi buoni che pare il gioco sia bell’è finito. Contrae la guancia sinistra, c’è una sorta di fremito, lì di lato alla bocca. E’ un tic e chissà che copre: “E’ successo tre anni fa ed ho avuto un amore di sesso, una volta, one shot. E’ stata colpa di ..” e si zittisce lì.
Metto il palmo della mano sotto l’orecchio, tipo centravanti dopo il gol. Ecco, sono qua a sentire che c’avete da dire: “Hai avuto un amante e non l’ho mai detto a nessuno?”.
“L’ho conosciuto con Bumble, c’era foto con bello uomo e bello cane e scritto lui marito di altra. Come si dice in italiano zonaty? Sposato, vero? Mai detto nessuno, giurare qui, now”.
“Ma lo stai dicendo a me”.
“Tu sei un bello uomo, nice guy e soprattutto non conosci mio marito”.
“Che storia, zio pera”.
“Va bene ma ora niente, nada, nothing”.
“Posso accarezzarti le cosce come premio che non lo dico a nessuno?”.
Gli sguardi s’incrociano sino a che entrambi si scoppia a ridere. Una risata di sollievo, contatto evitato. Per ora.
“Senti .. se non vuoi questo premio intanto che ci siamo me ne puoi dire altri, di tuoi segreti. Vamos, segnorita”. Non è che quest’ultima frase sia un esempio di chiarezza, no? Io, però, mi sono capito e dato che lei lì è tornata in modalità mummia allora la zampa la allungo per davvero. C’è della cellulite lì sotto la gonna ed è sudato l’interno coscia della polansky. Nel mentre mi trovo a solfeggiare un verso di Nanni Svampa. In milanese fa: “ .. donna smorta g’ha figa forta .. ”
Difficile indovinare cosa mi stia dicendo il cervello, vero? Sono certo, però, che assaggiare la ciccia della mia occasionale cliente al ritmo dei Gufi fosse l’unica cosa sensata che potessi fare.
Vado avanti: “ .. e mi la dona bionda la voeuri sì .. ” e insisto a tastare.
Gli sguardi s’incrociano di nuovo e sorpresa: niente terremoto.
Ci bado solo ora che ha le labbra sottili e diritte, ha usato un rossetto viola.
In sottofondo rimane solo il ronzio del motore Mercedes. Ai bassi regimi ha qualcosa delle fusa feline.
“Sei stato troppo fast, signore Vincenzo e non capito cosa succeduto”.
Non so se sia un rilancio o una richiesta di time-out dalla panchina avversaria. Nel dubbio faccio il segno della croce e ci do giù, stavolta bello peso. Quando le falangi arrivano in fondo, proprio lì in mezzo al pelo ecco la risposta: stringe le cosce e allarga il sorriso.
Mi esce solo: “Carino l’accostamento della sciarpa carta da zucchero sopra il soprabito cachi. Gran gusto”.
“Milano città fashion, tu sai moda?” mi domanda ad occhi chiusi.
La risposta di pancia sarebbe uno sberleffo in lingua madre ma per una volta il Gigio qui presente il senso dell’umorismo se la infila su per il culo. Sta zitto, mi dico, lasciala dentro la sua broda, che si lessi da sola.
Le balla la bazza ed anche le poppe quando accelero sul pavé: è tanta roba ‘sta bionda.
Adesso allarga le cosce e si spalma sul sedile. Il bacino lo fa scivolare in avanti e la mette all’aria, la mona, Agnesuccia bella.
“Cazzo fare, uomo wlosky?” e lo finge bene il disgusto intanto che il sottoscritto la ravana lì davanti.
“Non si vede, honey?” e un filo di sarcasmo mi scappa.
C’è uno scambio di battute tipo minuetto e va avanti per tutto viale Abruzzi. Allusioni, doppi sensi, frasi lasciate a metà: “ .. ma Vincenzo .. what if .. ”. Mica può darla via così facile, senza farmi sbavare ma niente può eclissare il fatto che la polacca si sta facendo sgrillettare di brutto da Ticinese31 con la sua ghigna da trincatore di Fernet.
Poi il dialogo lascia spazio ai grugniti. Qualcuno è bello greve. Fosse musica sarebbe una partitura per dita&passera, un pizzicato per indice su clitoride.
Altro che civetta, mi dico che ho a bordo una maiala. Ha qualcosa di Miss Piggy nello sguardo quando inclina il capo di lato e mostra le gengive.
Uno volta da ragazzo su un fumetto porno ho letto che la sborra delle donne si chiama ciprigna. Ecco, adesso ho le nocche belle unte di quella roba lì.
Gliele infilerei in bocca ‘ste dita lorde di figa e gli chiederei così, dritto sul muso di che sa una troia che parla polacco. Sarebbe un modo per fargli intendere che sono bello su di giri ma lascio fare.
A Loreto s’affianca una Polo gialla, cheek to cheek: è una delle millemila che bomba la piazza. D’istinto mette la mano sopra la mia a coprire le vergogne.
“Sei preoccupata? You are my darling”.
“La people guarda”. Si ricompone un attimo: “ shame .. tutto questo è .. shame” e si porta una mano al volto.
La Volkswagen sgomma per la sua strada e la gonna la tira su di nuovo. E’ il segnale verde e significa: pussy-on.
Mi scappa: “Adesso sì che niente più guardoni”.
Quando la fila si muove m’incasino col cambio. Lascio il volante e la prima la metto con la sinistra: di mollarla, la matranga targata Pl se ne parla no.
Mi piglia la smania d’infrattarmi nel primo vicoletto buio dove non ci vedrebbe ne Stalin ne Dio.
“Here? No” mi fa con una malizia da spot del cioccolato Lindt.
Prima di ripartire accade pure che ci si da un bel po’ di centimetri di lingua.
Mi ingazzurrisce a bestia l’immagine di bello-uomo-bello-cane. Ce l’ho qui il fotogramma di lei appoggiata alla tazza di un cesso e lui di dietro a darsi da fare. La cabina stretta stretta e i gomiti appoggiati alle pareti, il trucco che cola giù ai lati degli occhi, rantoli che deragliano in risate e il figlio Marek parcheggiato davanti alla Playstation, sono il trailer del film.
Via Palmanova la volo brutale e dopo la tangenziale la città inizia a sgretolarsi nell’estrema periferia. Non più solo casermoni e negozi, ma anche capannoni bui e distese di prati incolti ricoperti solo da erbacce. Erba di ogni tipo, alta bassa, gramigna e pure rifiuti.
Siamo in aperta campagna, en plein air: parcheggio in prossimità di una rete metallica. Costeggia un orto dove i milanesi in tempo di guerra venivano a piantarci patate. Adesso solo tossici e nigeriane frequentano posti così.
Da queste parti ci sono capitato l’inverno dello scorso anno, una domenica sera di Gennaio, l’ultima volta che ho fatto sesso sul taxi. Che flash al magnesio. Avevo intortato un’amica d’università, la Laura Tirloni con una giochessa: ho giurato d’essere proprietario lì all’Idroscalo di un rifugio antiatomico e l’avrei spartito volentieri con lei nel caso Putin avesse fatto il cretino.
Blaterava davvero-si-va-per-di-qua ma erano più ghignate che discorsi lungo quella capezzagna. Gli occhi le ridevano ed io facevo il pistola con l’espressione del cucciolo che gioca con una pernice abbattuta.
La memoria è di una scopata epica. La Laura mai stata una libellula ma in mezzo a quel casino di spigoli della sua ciccia mi sono cavato la voglia.
L’epilogo un filo di fumo azzurrognolo fuori dal finestrino: ero io che tiravo dentro la Merit. Devo poi aver buttato la cicca, un bacetto e ciao.
Nice to meet you, Laura.
Nice to meet you, Agneszka.
Non c’è, però, bisogno di dire granché, lei l’ha già capita, la trama del film.
La prima scena è scontata: la lampo che scende e il mio pisello che salta fuori.
“Fare con bocca”, è la sintassi basica slava: il verbo all’infinito e poco più. Nessun aggettivo, niente fronzoli.
La seconda è una cosa bella. Anzi, una figata gigante.
Si sbottona la camicetta, e prima di darci dentro la mamuska tira fuori le tette. Non se lo sfila, il reggiseno e neanche tira giù le spalline: prende le bocce e le rovescia fuori dalle coppe. Una e poi l’altra.
E la cosa mi manda ai matti.
E’ un allucinazione immensa quel paio di poppe che scappano dappertutto. Non ce l’ho l’aggettivo preciso: sono bianchicce ai limiti dello smorto e grassottelle. Anche mollicce, quasi penzolanti. E tutte queste cose assieme.
Eppure mi fa un sesso da paura prenderle in mano, palparle e vedere quei capelli stopposi che fanno su e giù.
Dei dettagli del bocchino me ne resta un altro, anche questo da ormonella esagerata. Ogni tanto alza il capo e il suddetto pisello se lo struscia su tutto il muso. La cappella lucida gli sbrodola le guance, il mento. Se lo sbatte sul naso quando scende a leccare le palle.
Smellano di cazzo, Agnieszka e il suo faccione.
Poi se lo rimette in bocca e riprende la giostra.
Non riesco ad evitarlo, l’insulto: “Dio cane che mungicazzi”. In un’altra vita me ne sarei stato zitto per la paura che un qualche elemento malefico spezzasse la magia del momento. Invece adesso il voto massimo esige la lode.
Balbetta anche lei qualcosa nella sua lingua da sottosviluppati. Giuro che ha detto che vuole ingoiare. Lo so che non è vero ma è uguale.
Un attimo prima di sbroffare m’è venuto in mente Nevio-lo-Stirato, buffo, no? Giovedì a Radio24 discorreva della montagna di debiti che ha tirato su e di come non gliene importasse un mazza di ripagarli. C’ha calcato un po’ troppo sulla doppia zeta di mazza e il registro bellicoso non è decisamente il suo. In ogni caso più simpatico dell’altro campione del mondo di cazzomene, Kenny spaccamontagne. Da ammazzarsi dal ridere il refrain ‘regolare’ ma alla curiosità del conduttore su cosa si prova a sputtanarsi la pila alle slot la risposta dello Stirato è stata tremenda: “Non provo più nessuna emozione”. In sottofondo le solite berciate a presa per il culo ma a me, il qui presente Ticinese31, m’ha fatto secco. Altro che Heidegger o Schopenhauer. Insert coin, c’è scritto e pare funny. Invece è solo annichilirsi.
Mi stiro la schiena e succede che sollevo lo sguardo: in lontananza si scorgono le luci della torre Unicredit. C’è poco fino a Gae Aulenti ma qui siamo in un’altra galassia. S’è alzata un po’ di foschia, che pare il Purgatorio. Purgatorio, voce del verbo: purgare e forse qualcosa da evacuare ce l’avevo sì ma non è roba da confetto Falqui. E neanche da aspirante anima bella. C’avevo la smania di farmi succhiare il cazzo e poi a posto così. Ottuso come mamma m’ha fatto.
Succede sempre più di frequente che dopo mi si lagga l’umore. Quando è capitato a me di tradire dicevano che dopo con la fidanzata non ce la faccio, scusami, il senso di colpa e menate varie ma non ci faccio più caso: semplicemente dopo è una parola che ha senso solo dopo. Ed eccolo qua, il signor Dopo: non ha una bella cera ma sono avvezzo a certe compagnie.
Nice to meet you, Dopo.
Due minuti fa coltivavo la fantasia d’intortarmela, la mungicazzi. Per buttaglielo dentro gli avrei raccontato la storia dell’orso o che qua nelle mutande tengo il biglietto vincente del SuperEnalotto.
Adesso è passata la poesia e non solo al sottoscritto. Agneszka ha un’aria depressa e il capo insaccato fra le spalle mentre si passa i kleenex sulle gote. Dentro quella crapa bionda mille vocine staranno a leggergli i capi d’accusa tipo Forum. Un teatrino con la sacra famiglia con l’espressione annientata e il bambinello Marek a piangere come se mamma fosse morta. C’è pure un curato di campagna che ne ha viste di ben peggiori a ricordare che di polvere siamo fatti e tutt’attorno un germoglio di fiori neri. Ma forse è solo la mia immaginazione cattiva.
Ad ogni modo la tipa pare messa così di merda che neanche Franco Trentalance ce la farebbe a rianimarla. Ha addosso quel biancore smorto che si trova sui serramenti delle case vecchie che invece di riflettere la luce pare la spenga. Per caso lo schizzo non gli ha impataccato la camicetta. Tira due colpi di tosse e quando fa per riabbottonarla le tette le cascano dritte sull’addome.
Due minuti fa c’avrei infilato il cazzo lì in mezzo adesso invece l’immagine si sfilaccia e rimane solo un filo di nausea leggera. Fa pendant con la foschia.
Mentre tiro su i cargo lo Xiaomi casca giù dalla tasca laterale: do un’occhiata furtiva. E’ oramai un gesto involontario tipo respirare o muovere le palpebre. Lo schermo s’illumina, trova la rete e s’acquieta in dissolvenza. Nessun segno di vita dal mondo, nessuna bustina virtuale rimasta invischiata nell’etere affiora adesso tipo bolla d’aria. Nulla sul display e ancora meno nell’abitacolo.
E’ ora di girare la chiave del taxi e nessuno dei due ha l’animo di dire o fare qualcosa.
Alla fine dello sterrato ritrovo l’asfalto, la civiltà e l’uso della parola. Mi esce un prestampato: “Tutto bene?”.
Il labbro inferiore ce l’ha sporgente verso il basso e la risposta arriva asciutta: “Non so. Meglio se andare tram”.
“Cosa?”
“C’è bus-stop davanti, dopo palace giallo”.
“Non voglio lasciarti qui”.
“Prendo tram, meglio per me e te” e la cosa suona definitiva.
Sulla sinistra di via Rivoltana c’è la fermata del 923. Lo aspettano un ragazzo con un pallone da rugby e due vecchi carichi delle buste della spesa. Insieme a loro una signora dell’Est con il soprabito cachi sta cercando di decifrare gli orari dei mezzi. E’ questa l’ultima immagine che ho di Agnieszka.

Sono a fine turno ma il taxi non vuole saperne di trovare la via di casa. A casa per modo di dire. Sempre più spesso finisco come il babbo che frequentava posti per soli uomini, tipo la sala biliardo a Turro o le gare di pesca la domenica pomeriggio. Se il bar Ascari è chiuso l’altro complice è lo Xanax. Più discreto del Campari, bastano sei sette gocce dentro un bicchierino da ospedale: apre gli occhi e spegne il cuore.
Le portiere si spalancano e dopo si chiudono e la mia vita è affollata da gente che puzza, non si lava, suda e conta i 4 soldi che ha in tasca. L’unica salvezza è sempre più spesso l’isolamento chimico. In pace col vuoto di una vita di coppia svanita, senza nessuno da crescere, senza nessuno da cui farsi mangiare sogni ed ossa. Qua dentro nulla si crea e nulla si distrugge.
Fa l’effetto del lubrificante dentro un ingranaggio secco, quel sorso insapore: rende ogni movimento più fluido. Le cose perdono peso, spigoli e il mondo profondità. Rimane un senso di distacco tinto di azzurro pallido. Dopo funziono meglio.
L’orologio indica le 20.22 lì dentro la mia bolla virtuale e siamo all’epilogo della Zanzara. Il metalcore dei Clinic introduce l’ultimo ospite, Michela Morellato da Vicenza, la Trump girl. E’ l’esatto contrario di Agnieszka ossia cadenza magnagatti e tette granitiche. In questo momento dice di stare a Denver, in Usa e m’aspetto che da un momento all’altro possa annunciare la sua candidatura a qualche reality tipo mom&daugheter-look-for-a-new-boyfriend oppure alle elezioni di mid-term. Cruciani la inziga all’argomento sesso e lei si impegna a spiegare la pratica dello snorkeling: “ .. ti metti la palla, insomma, il testicolo destro in bocca, tiri su il pisello sopra il naso e pare stai facendo la subacquea con il boccaglio, no? .. c’è che io .. ahah .. non ho capito subito come e allora ho cercato di prenderle in bocca tutte e due le palle di Adam, mio marito ma non ci stavano e ho rischiato l’asfissia .. che ridere, mister Parenzo .. ahah .. vuoi provare .. ”.
E’ il momento del pubblico, la regia apre alle telefonate e vien giù di tutto, peggio del Vajont. Uno squinternato, un tale Bepi da Noale s’improvvisa poeta dialettale: “ .. verzime in do’ come n’ anguria, Michela .. ” e guadagna l’applauso ma poi è tutta roba strong&hard&big.
Nella nuvoletta sopra la zucca mi spuntano un sacco di mah se mi chiedo a chi possa garbare un chupa-chupa da leì lì: sedicenni nerd, barlafus, lettori di Tuttosport, terzamediati ma la sto facendo troppo lunga, vero? Pure io mi metterei in fila, Xanax e non-Xanax.
Ad ogni modo, in fatto di pompini, oggi: Polonia-Italia: 2-0
scritto il
2024-07-10
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