Celestino Cap.: XX Libero

di
genere
zoofilia

Libero
Un silenzio cupo, profondo s’impossessò della sala, rotto soltanto dallo scalpiccio dell’incedere verso il centro del boudoir-arena dei due tutsi scalzi, coperti al basso ventre solo da un telo, allacciato e torto come mutanda. I due, cioccolato al latte, alti, asciutti, lucenti, senza alcun pelo anche sulle ascelle, forse ricoperti da un leggerissimo velo d’olio d’argan, presero il ragazzino e postatolo carponi, con un cuscino alla francese sotto il petto, su un materassino molto ampio, iniziarono a spalmargli sul corpo creme, che la schiavetta-cagnetta porgeva. Massaggiavano a quattro mani dalle spalle ai glutei e da lì alla pianta dei piedi con movimenti adatti per far assorbire le proprietà della pomata. Il benessere delle frizioni lo condussero ad abbandonarsi e a lasciarsi prendere dal sonno. Dormiva cullato dagli aliti dell’aria tepida della sera e dai bisbigli, dai brusii di oranti in una pieve in festa. Uno spasmo per una cannula nel retto, per abbandonarsi nuovamente al sonno, favorito dallo scorrere delizioso, avvincente, incantevole di sostanze tepide lungo l’intestino. Una nuova contrazione per un indice invadente.
“Ohhh, mhhhhh.” Strofinio di allentamento, di rilassamento e altro dito, “Hnffff, … onfffff”, mentre delle mani ungevano, spalmavano, lo irroravano di composti oleosi giallini. Quelle articolazioni dilatavano, aprivano, oliavano. Dal beccuccio del suo uccellino, un filamento lucente, trasparente, dai mille riflessi lo univa al piano. Era stato allenato e temprato per un uomo, ma per un cane, come quello che lo avrebbe iniziato, sarebbe stato diverso e i due, come da ordini, non volevano che venisse lacerato a sangue, per cui lubrificandolo con certe creme e … i suoi < mhhhhh> erano incessanti e profondi. La piccola cagnetta lo incoraggiava a non temere, che il suo maschio era forte, poderoso, bravo e che sarebbe stato saturato, inondato, invaso da un clistere di sperma. Un calcio sul culo di un tutsi ammutolitala, facendola strillare, anzi caianare, guaire come una cagna bastonata, ruppe il silenzio e l’ansia dell’aspettativa. Una risata collettiva, seguita da qualche applauso e da sollecitazioni a velocizzare, a sveltire la preparazione, a cui seguirono urla, colpi di mani sui tavoli e sibili.
La anchorwoman, ottenuto il silenzio, rimproverò la sala di mancanza di tatto verso la bestia, richiamandola a pazientare ancora, dato che per digerire una buona, sostanziosa pietanza la si deve assumere con tranquillità e distacco, poiché la fretta danneggia, oltre alla salute, l’eros. Avvertì che la piccola cagna sarebbe stata a fianco dell’iniziando, eccitandolo con il descriverne l’atto a cui sarebbe stato assoggettato con Caesar, tutor e sodale del signore che aveva acquisito la verginità di Celestino.
Per Romeo non c’erano difficoltà ad eccitare e ad aiutare la bestia a prendere suo fratello, avendo avuto, in più momenti, la possibilità di sbirciare gli amplessi fra Thor e il bibliotecario Camillo. Certo sarebbe stato facile se avesse dovuto usare solo le mani, ma gli era stato richiesto di stimolarlo anche con la bocca, sino a farlo uscire dal fodero, umido e rosato, sgocciolante urine, per farsi marcare come cagna.
Dai tutsi era stato posto addossato a un attrezzo ideato dallo studioso, con le gambe incrociate, in posa yoga. Caesar, bestia ammaestrata, avrebbe compreso che quell’umano era là per farsi fottere in bocca. I due, successivamente, dopo aver coperto, con una specie di cerata, il ragazzino, per non svelarlo a causa degli effluvi di cui era intriso, uscirono dalla sala per farvi ritorno, quasi subito, tenendo al guinzaglio un massiccio, gigantesco, nero mastino napoletano, dalle zampe poderose e forti, dal pacato, pacifico ma severo incedere. Nonostante l’imperturbabilità dell’avanzare, incuteva preoccupazione sia per il peso, sia per le fauci, da cui grondavano abbondanti bave. Si fermò vicino allo schiavo, prima per fissarlo e poi per salutarlo a modo suo posandogli il grifo sul petto, per farsi frizionare rughe, naso e successivamente per farsi abbracciare la grossa < cabeza >, ricambiandolo con slinguate al volto e al collo. Tra i due c’era una forte amicizia e grande eufonia che si manifestavano con richieste mute e commosse. Caesar, rizzatosi sugli arti posteriori, posata una zampa su una spalla e l’altra sulla testa, fissò l’amico come per chiedergli di inginocchiarsi per … Un invito a Romeo e delle mani che si posano per sostare e stringere un perno coperto di pelami. Odorava di buono e di vigore.
Carezze, leggeri tocchi, soffi e primi peli bagnati, prime gocce. Comprimere, strizzare, accarezzare e iniziali sfiori. Romeo agiva come se quel pene fosse di un uomo. Dagli sfiori ai soffi, a scappellarlo per far uscire forzatamente la punta rosata. Un tocco al frenulo, un guizzo di quella carne, un lamento e il sorriso della cagnetta al suo padrone sedotto dalle sevizie amorose di Romeo. Nuovo lamento, gocciolamenti dalla rosata punta tumida, testa in alto con la lingua penzoloni da una parte all’altra del grifo, bave e caldo. La bocca dello stalliere sul glande del cane per inspirarlo, per leccare quel muscolo che diveniva sempre più gonfio, turgido, sodo, che necessitava ormai di dondolarsi, di spingersi in avanti in una guaina calda, umida, scivolosa, ma stretta. Spruzzate di piscio per marcare una preda, mani per pulirsi la bocca di quei liquidi e sospiri. Il telo tolto e … quel testone peloso con il muso avvolto da bave che si bloccò per aspirare l’ondata di richiamo, l’afflusso di estro che il corpo scoperto espandeva. Girare del testone bavoso per capire, tornare a quattro zampe, uggiolii, gagnolii, un ululato forte, prolungato e in quella sala ritornò il tremore dell’attesa, le pulsazioni si fecero più forti e assidue, si interruppero movimenti e litanie, si sospesero assaggi e ricognizioni. Individuazione della provenienza dell’incitamento e suo dirigersi.
Una cagna vogliosa, smaniosa, in attesa, da ingravidare, stava ferma offrendosi ad un pungolo. Controllo visivo, ispezione tattile con l’olfato e il gusto, inspirazione, bave e quelle bardelle ondulanti, ballonzolanti, spostate da una lingua calda, a spatola, che raspa e asporta. … e tu, piccolo scrigno che attendi la chiave che ti apra, … boccheggi, ti inarchi, onduli.
“Oh, sììììììììììììì! Pulisci, pulisci! Entra, entra! Ancora, ancora!” Ansimi in attesa che quella lingua termini lo spazzolamento, la lucidatura, la pulizia del tuo anello sfinterico; attendi con trepidazione che ti snerva, che ti svuota di energie e nel frattempo liberi il tuo colon con trombette deliziose, gasate, le creme che hanno attirato, svegliato ed eccitato all’inverosimile l’amico della schiavetta.
Lui ti gira attorno, ti colpisce con il testone sotto il ventre o tra le cosce, slinguandoti, scartavetrandoti, carteggiandoti, limandoti per conoscere la tua voglia di essere preso, posseduto, ingravidato, perché tu sei una nuova cagna che lui non conosce, ma che vuole essere sua, che vuole essere riempita del suo seme. Tu non sei ancora pronta: ecco che lui ritorna sul foro e lima, penetra con la lingua e torcendola debilita, snerva, sfibra, infiacchisce.
“Ahhhhh, ahhhhhhhhhhhhhh, nddddhhhhhhhh.” Tu cedi; le tue articolazioni rinunciano a difenderti, desistono, crollano, si abbassano. Il tuo culetto è pronto e lui, dopo avertelo nuovamente odorato, ti sale sopra per far strisciare nella valle del tuo eden quella sua punta, ormai rossa, anzi vermiglia, una volta, due, tre. Si ferma, uggiola, sbava, piscia per rilassarti ulteriormente. Romeo è là, che vede. Sa cosa deve fare e allora, avvicinatosi, glielo prende con la sinistra, per avvicinarlo al cerchietto pulsante, lucente di schiume, bramoso di essere aperto, schiuso, mentre con la destra ti flette il dorso. … e quello, compreso il gesto gentile, spinge piano, piano. Ecco: ti dilata e il glande rosso fuoco ti scivola dentro, rubandoti, carpendoti l’aria. I tuoi polmoni chiedono; apri la bocca per inspirare, mentre le tue pupille si sgranano, si dilatano sorprese. Il tuo basso ventre, dolente per la tensione dell’attesa, accetta il lento ingolfamento, la congestione che satura, appaga, che placa la tua fame di piacere. Un colpo violento e i suoi testicoli pelosi accarezzano le tue natiche. Urli, batti i palmi: tutto inutile.
“Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh.” Non hai voce. Sgrani, sbarri le pupille. Dolore, dolore atroce, tremendo, orribile, straziante, ma sei pieno di carne calda, pulsante, saturante, saziante, appagante. Ti abbraccia con le anteriori avvicinandoti a lui e poi, non contento, allungando il muso bardato di filamenti trasparenti, ti azzanna per il collo per spingere con forza, con veemenza il suo pungolo congestionato, infiammato, ancora più dentro di te con l’inarcarti. Lui, ingobbito, sbavando e uggiolando, ora ti pompa spruzzando al tuo interno liquidi a più non posso, con quel membro che ti riempie, dilatandosi, gonfiandosi vicino alla tua apertura. Non comprendi, non capisci, con gli occhi ampliati chiedi, ma attorno a te riprende la musica dell’eros e il profumo di sesso, di sborra, riempie la sala.
“Ohhhhhhhhhhhhhh, sono la tua cagna! Oh, dolore! Sento. Sono pieno. Ohhhhhhhhdddssss sììììììììììììììììììììììììì, va fanculo il dolore: sono gonfio, infarcito, pieno. Ohhhhhhhhhhh, sìììììììììììììììììììììììììì!” Romeo, tuo fratello, non resistendo più per l’eccitazione, presoti per i capelli, te lo spinge in gola per emulare la bestia, fottendoti, scopandoti in bocca o masturbandosi con l’aiuto della tua lingua e del tuo palato. Ora sei impalato, sei allo spiedo; uno entra e l’altro esce o contemporaneamente ti penetrano per uscire e trafiggerti ancora. Non puoi fiatare, non puoi reagire: sei preda, sei cagna in calore, che brama essere pregna. Romeo, tuo fratello, non resistendo più per l’eccitazione, presoti per i capelli, te lo spinge in gola per emulare la bestia, fottendoti in bocca o masturbandosi con l’aiuto della tua lingua e del tuo palato. Ora sei impalato, sei allo spiedo; uno entra e l’altro esce o contemporaneamente ti penetrano per uscire e trafiggerti ancora. Non puoi fiatare, non puoi reagire: sei preda, sei cagna in calore, che brama essere pregna.
“Sììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììì, sììììììììììììììììììììììììììììì!” Dietro di te qualcosa si muove, anzi è la bestia che ti tira, che ti trascina e tu, non più agganciato ai suoi denti, girandoti, ti vedi culo contro culo. Lo segui con tuo fratello che non smette di pomparti, mentre il tuo ventre si gonfia, si riempie: sei gravido, sei madre. Dal tuo fondo non appare più la valle: tutto è piatto, bianco, lucido, pieno. Assomiglia a quello di Caesar, a quello di un quadrupede. Dalla tua bocca cola semenza e tu sei ancora lì, allacciato, bloccato, unito alla bestia grazie a quell’ampolla che si espanse dentro di te e guardi perplesso, ansimante, accaldato davanti, mentre pisci. Innanzi scorgi solo ombre che si spostano, che oscillano, danzano, mentre il tuo dorso, la tua capigliatura si coprono di bianco, schiumoso, caldo sperma. Un flop e Romeo, tuo fratello, corre per inginocchiarsi davanti al re che ti ha fatto suo, riempiendoti, ingravidandoti. Lecca, pulisce, deterge, aspirando e ingurgitando i resti dei liquidi rimasti nell’uretra, asciugando, inoltre la sua voluminosa, pelosa bisaccia. … e tu, ancora gattoni, fermo, pago di quello che hai avuto, osservi e fissi la scenetta. Non parli, dondoli la testa, come un cane e … oh, sììììì! Il tuo stupratore, il tuo primo amante, si scuote, si scrolla, si dimena avvicinandosi, incurante dei presenti e poi, scrutandoli, ringhia e digrigna i denti. Non sai quello che farà, ma inconsciamente attendi la sua lingua, la sua scopa, il suo vellicarti, il suo pulirti, il suo titillarti, il suo solletico piacevole, incantevole, stupendo ideato per la lingua e godi ancora, mentre il tuo buchetto arrossato si serra e si chiude.
La piccola cagnetta, che ora chiameremo con il suo nome , consegna alla presentatrice un ulteriore foglio e riprende il primo tragitto per ritornare controfirmato per essere letto al pubblico. Applaude e coccolandosi il suo Caesar, te lo presenta e ti informa che condividerà la sua carne con te. Hai un nuovo padrone, una nuova casa, ma non il collare e pure lei è senza. Sei libero, probabilmente con quella inizierai a prostituirti per insegnare, a chi ti cercherà che la vita è meravigliosa, che quello che andrai a fare è la più bella attività del mondo: una professione che non incita a disprezzare, umiliare, odiare, oltraggiare, calunniare, denigrare, infamare, uccidere, ma ad amare, a sorridere, a vivere l’allegria, a capire e a non condannare, ad aiutare gli iniziandi ad essere sempre se stessi, a non portare collari, perché nessuno deve essere schiavizzato, infamato, calpestato; che nessuno è inferiore, poiché in un mosaico ogni tessera vale quanto l’altra: è l’opera che conta, è l’insieme delle tarsie che trasforma un lavoro in un’opera d’arte.
Quell’uomo, in quella sala, ha capito, avendo riconosciuto persone che facilmente ti avrebbero fatto del male, anche se stavi in una bella, grande casa e tra amici, nell’esercizio di quello, per cui sei portato, ma non libero. Nello scritto, aveva menzionato a quelle persone e all’autorità che avevano, per cui senza dissipare denaro, chiese il tuo rilascio. Il conte aveva compreso e valutando la tranquillità e il silenzio, i valori da difendere, con i quali avrebbe sempre lavorato e fatto lavorare, Inoltre, il cantante avendo compreso che la schiavitù è un male e il collare, il suo padrone, ti ha reso libero assieme al piccolo Stefano.
Sei libero. Libero.


scritto il
2023-07-09
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