Alberto

di
genere
gay

Desiderio
Aveva conosciuto Alessandro e un suo amico nel suo lavoro di sala in una domenica sera. C’era poca gente, qualcuno di passaggio, altri del luogo con la famiglia. Tutti intenti a guardare il piatto, a chiedere qualche cortesia o a fare programmi per le ultime ore della giornata.
Sorridente, costui gli domandava con gentilezza e semplicità un qualcosa di speciale, un piatto che glielo facesse ricordare; e quando era da lui, con calma, imperturbabilità e perseveranza, scrutato negli occhi, si abbandonava agli sfiori e ai palpeggi nell’interno ginocchia che gli davano brividi e sussulti.
Per pudore, per evitare chiacchere e per non perdere un lauto extra, lasciava fare, e poi … era attratto e deliziato. Era la prima persona a cui permetteva quelle carezze. Si sentiva sedotto e affascinato, poiché costui lo trattava come un amico delicato, che necessitava di essere assistito, compreso e considerato, e poi … forse ….
Le mani infiacchivano piacevolmente e provocavano languori … versamenti, mentre le parole persuadevano. Era allettato sempre di più ad incontrarlo, … ad averlo ai tavoli nelle sere festive.
Era da prima del termine della scuola che serviva in quel ristorante nei fine settimana per rimediare e racimolare qualche soldino, che non avrebbe potuto avere dai suoi. Un invito per conoscersi meglio, per trascorrere qualche ora in compagnia e poi … quel che si presentò, quando quello si tolse il tovagliolo dalle ginocchia, lo persuase. Convinto, dai fremiti e dall’amico, acconsenti a trascorrere dei momenti con lui. Lo incuriosiva ed eccitava; e poi quelle mani che salivano dalle ginocchia all’interno glutei, che graffiavano o stringevano gli piacevano. Non sapeva … o forse sì. Immaginava, ma non si ritrasse per un’esperienza nuova, che la sua natura svegliata, messa in luce, evocata da quei strofinii, desiderava.
Pensieri di presagi, di sogni infantili, di esperienze non avvenute, di pesci che gli entravano nel corpo, di uccelli che volavano, di serpenti misteriosi e inquietanti, di animali d’argilla con genitali spropositati che divenivano reali, vivi per abbrancarlo e possederlo.
L’auto scorreva sotto la pioggia di luci. Arrossiva per il finestrino aperto, ma lasciava frugare. Lui era umido, piangeva stille in continuazione, vibrava e sussultava. Quella mano bramosa, in silenzio, indagava nel suo giardino trapuntato da mille minuscoli steli roridi di rugiada trasparente e vischiosa.
“Hai paura?”
“No!”
L’amico osservava e lo tranquillizzava. La musica in auto evocante languide e struggenti melodie lo conduceva attraverso lunghi, neri cunicoli, in stanze appena rischiarate da torce, popolate da volti angosciosi che additandogli e prospettandogli acque stagnanti, fanghi freddi e ripugnanti, per avvolgerlo e immergerlo nelle loro languide, sensuali mote, pullulanti di forme allungate e molli.
“Beh, … sì! È solo ansia e concupiscenza. Ti piacerà e da come abbiamo percepito sei fatto per quello. Stai tranquillo e poi ti troveremo il lavoro presso un’altra azienda, … e migliore.”
La mano continuava. … Era con loro. Li seguì, rinfrescato dall’aria della notte e tranquillizzato dal chiarore delle stelle. Camicia aperta e sfilata, … pantaloni allentati e schiusi sul pube. Si lasciò andare, … ingenuo, … non ancora iniziato, … desiderio, … ansia, … sì abbandonò al gioco e alla lotta, … e concesse alla spudoratezza e alla lascivia di prendergli il pudore. Scherzava per mascherare il timore del peccato, del proibito, dell’ignoto; … ma desiderava, … desiderio, … voluttà.
L’amico se ne andò e Alessandro chiuse la porta
“Vuoi?”
Il silenzio era approvazione e concessione. Trasformato, si abbandonò e gustò le carezze, permettendo a quello di cercare e trovare. Le sue labbra sulle sue lo salutarono con un dolce ardente bacio che non finiva più. Influenzato dall’impulso naturale gli concedette la bocca per il gioco di lingue; finché conquistato, afferrategli le labbra con bramosa passionale violenza, acceso, scosso e desto dal più profondo della natura, si abbandonò alla voluttà.
Le mani provavano il fuoco e, attratte, aprivano, scoprivano e riconoscevano il tronco nodoso, profumato, eccitato che la sua mente non aveva potuto conoscere sino ad allora. Gli indumenti di entrambi scesero verso il basso lasciando alla vista quello che cercavano e bramavano.
Sedotto, si lasciò andare al delizioso, eccitante gioco delle labbra e delle membra. Gustava le sensazioni, ammaliato e avvinto dal profumo e dal calore che percepiva. Rispondeva alle carezze; felice nel sentirlo infiammarsi, inturgidirsi e inumidirsi. Lo stringeva, apprendendo che tutto ciò era bello, importante; che era stupendo scaldarsi e fremere di desiderio.
Alessandro sorridendo nell’osservarlo, senza parlare lo indusse, incitandolo, a fargli, per apprendere, quello che lui gli aveva fatto. Gli indicò il bagno e la doccia, da eseguire assieme, per scaldarsi ulteriormente, … di accettare una pulizia anale. L’acqua scorreva incessante, tiepida, senza sosta e le sue mani massaggiandolo e cullandolo lo portavano a schiudersi, eccitarsi, avvamparsi senza vergogna o tabù, affascinato da insegnamenti, immagini, desideri.
Si lasciava interamente guidare e contemplare. I baci intensi e appassionati, le carezze lascive ed impudiche trasmettevano struggimento e lussuria, sino a che le mani di Alessandro non tentarono delicate, intime, profonde conoscenze. A tutto questo il giovane rispondeva giocando dolcemente con le membra e con … dell’adulto.
Il membro dell’uomo, ritto, lucido, rosato, gonfio riceveva e invitava a offrire più lunghi umidi, caldi sbaciucchi per essere preparato a donare il suo bianco vischioso ricordo in quel fresco, vergine culetto che ormai vibrava e che in preda al desiderio si apriva e si chiudeva senza interruzione.
Fuori le strade, … le case, … le piante, … i rii, … si abbandonavano tranquilli al silenzio, … al fresco riposo notturno rischiarati solamente dalla pallida luce lunare, cullata dal dolce, quieto mormorio delle acque, nero-verdi per le alghe radicate al loro fondo fangoso.
Le mani dell’uomo continuavano ad accarezzarlo, tastarlo, esplorarlo, stuzzicarlo, scoprirlo per aprire quello che di lì a poco sarebbe stato violato … e …
Il giovinetto ansimava, vibrava, si dimenava e irrigidiva sotto le spinte di un piacere mai provato; si lasciava alzare, perforare, leccare, inumidire, limare da labbra a ventosa che si incollavano alle sue natiche, mordere e con il morso saltava, boccheggiava, e … E quella lingua di Alessandro, simile a quella di un formichiere, scrutava, indugiava sulle giovanili parti anatomiche mai accese dal sole e poi, strisciando, lasciava e spingeva bava nell’ansante foro. Dal fondo della gola del giovane cameriere uscivano lunghe, ripetute vibrazioni sinfoniche. Alzato, inarcato per essere offerto alla lucente spada, osservava e attendeva con trepidazione di essere penetrato, traforato, aperto, posseduto, stantuffato dal desiderio. Il suo flauto tacque, mentre sul suo addome colava lento il caldo bianco inquilino dei suoi testicoli.
Esausto, nel silenzio del post languore orgasmico, sorrideva con candido, delicato, muto invito a possederlo e violentarlo.
“Vuoi?”
Al richiamo sentì l’asta nodosa, albero maestoso del desiderio, sulla sua palpitante, umida e calda apertura.
“Sì!”
Il piacere, da quando l’aveva conosciuto e provato, lo aveva condotto lentamente sin là, al punto da sentirne il bisogno di averlo completo, totale, per esserne invaso, riempito, posseduto, spossato e sconquassato. Lo voleva sentire entrare e scivolare sulle sue pareti interne, come ospite cercato e atteso. I sogni, … desiderio, … polluzioni notturne e diurne provocate da visioni o letture stavano per essere realtà.
L’ ardente e turgido, infiammato membro dell’uomo stava per prendere possesso della rotonda grinzosa infervorata, rovente, inviolata fondina sfinterica del ragazzo. Carezze diverse, bollenti, impudiche collaboravano a far entrare, senza fretta, all’interno di quella raggiera, vogliosa di conoscenza, in persistente apertura e chiusura, un grosso, imponente fallo.
Rigidità, paura atavica e culturale di peccato, senso di sporco e ultima percezione di pudore compressero, contrarono e chiusero quel forellino, impedirono movimenti di stupro, di entrata e di scorrimento del duro, marmoreo pene nel colon del giovinetto. Tentativi ripetuti fiaccarono, ma dolori provati e riprovati, lacrime e dispiacere per non essere riuscito a dare ospitalità al desiderio dell’uomo, che sino a poco prima aveva fatto sgorgare alla giovanile gola, parole, voci, suoni emanati solamente in quest’incontro, suggerirono di ritentare più tardi e con altri mezzi.
Il suo inconscio rifiutava e respingeva. Un caldo bianco scivoloso liquido, accompagnato da una forte compressione alla sua meraviglia, irrorò prima e scese poi verso la sua colonna lombare, seguito dal languore che prese il suo corteggiatore.
Sorridendo per farsi perdonare, svuotò prima la condotta idrica delle gocce rimaste per indirizzarle nel suo intestino, accettando dopo, per punizione, di essere irrorato e di ingerire la calda, dorata minzione. Su quel letto, impregnato di urine, vezzeggiò con la lingua lo scrittore saggista, reso ormai molle, per imboccarselo come un gelato, in modo da non perderne la squisitezza, il sapore e la bontà.


Non capiva …

Per lavoro e per piacere conviveva da un po’ con Alessandro, attendendo con sempre minor entusiasmo il suo arrivo dall’attività alberghiera. Era sempre pronto a ricevere le sue schifose, vergognose, depravate e immorali ignominie. Lo lavava e si lasciava lavare con la speranza che il suo membro si addentrasse nelle sue viscere.
Accettò quella sera con entusiasmo, spinto da ingenuità, sua propria, di lasciarsi lavare l’interno fino a farselo dolere per i troppi liquidi immessigli, per via anale, tramite vari clisteri e di ingerire il salato della sua vescica, senza perderne una goccia. Acconsentì di scaricare, … di svuotarsi, …di evacuare il contenuto dell’intestino, gonfio all’inverosimile di acqua saponata e aceto, nel piatto doccia e di raccogliere i solidi puzzolenti per cospargerseli, per punizione della sua incapacità di accettarlo, con lentezza dal pube al volto, assieme a quelli dell’uomo, dopo avergli pulito l’ano con la lingua. Verniciato e colorato in quel modo, con dolori e bruciori addominali, dovette attendere l’ordine per mondarsi e purificarsi; successivamente accettò di essere irrorato di sperma e di urine. Quanti insulti, quanti sculaccioni o quante vergate o palpate vergognose e turpi o pizzicotti dovette tollerare. Le sue natiche, il suo dorso e spesso anche il suo pube e il suo pene divenivano una ragnatela di scie violacee. Urlava, piangeva, chiedeva pietà, ma tutto era inutile. Accettava i morsi-baci alle labbra per non riuscire a riceverlo.
Sperava sempre di poter donare le sue ansie, i suoi reconditi pensieri, i suoi sogni, la sua innocenza.
Desiderio …
Per strada, esausto delle lotte accettate e subite, pallido, ma non rassegnato alla mancanza di desiderio, incontrava gente distrutta, insignificante, sorda, attenta solo a correre e ad insultarlo, se intralciava loro il passo o folla stordita da piccoli piangenti che schiamazzavano e tiravano calci ad un pallone.
Desiderio, … musica, … libidine.
Nel corso delle sue passeggiate all’interno della città murata aveva udito varie volte suonare un organo ed era rimasto sempre attratto dal voler entrare per ascoltare quelle note che gli rammentavano il Desiderio. Chi suonava esprimeva in modo molto personale con un continuo cambio di timbro quelle composizioni che parevano preghiere. Sembrava che l’esecutore sapesse e conoscesse il tesoro racchiuso in quelle note e che facesse di tutto per farlo conoscere.
L’organista era un trentenne; nella musica che eseguiva tutto parlava di fede, … di pia devozione, … di quella religiosità dei viandanti, dei pellegrini, … di quelli che in processione cercano il Bene Supremo, … il Desiderio. Tutte le melodie, che in vari momenti ebbe modo di ascoltare, rivelavano nostalgia e ascesi… riferivano di un animo colmo di tutto e distaccato da tutto quello che gli impedisce di essere Luce nella Luce. Quelle armonie indirizzavano l’animo alla riflessione con l’immergerlo, bagnarlo, lavarlo, purificarlo con la contemplazione in modo da fargli incontrare il Meraviglioso, saziandolo.
Desiderava incontrarlo e conoscerlo, perché gli trovava una spiritualità fuori del comune, ma nello stesso tempo era attratto da quelle mani da organista con dita sottili e lunghe e dagli occhi scuri, pieni di mistero. Mai lo aveva visto in disordine, ma sempre con un abbigliamento consono all’ambiente e ogni volta che costui entrava in chiesa, prima di sedersi all’organo, si inginocchiava; … forse pregava. Lo osservava, ma forse aveva timore di disturbarlo, di rompere l’incantesimo che ormai lo legava a lui. Un giorno lo vide su una panchina lungo le mura che, assorto, buttava del grano a dei piccioni. Lo ammirava, ma nello stesso tempo lo invidiava perché lo credeva dentro il Desiderio. Era solo, non scorgeva persone che lo avvicinassero, ma non riusciva ad avvicinarlo; probabilmente la sua curiosità era dettata dallo spirito superficiale di fare qualche chiacchera o di sapere chi fosse solamente. Aveva paura di comunicare e di aprirsi; aveva ancora tante incrostazioni da togliersi e da raschiarsi o forse, anche lui, attendeva un gesto; ma il tempo con le sue regole gli stava unendo per fargli dialogare per conoscersi, … desiderarsi. Si conobbero e così impararono a salutarsi, a sorridersi, … a desiderare l’incontro.
“Buongiorno Maestro!”
“Buongiorno, … ben arrivato!”
È bello fermarsi ed assistere alle sue prove. Mi riferiscono di … e Lei, quando fa musica, cosa prova?”
“Niente o tutto. Mi spiego: quasi sempre mi assento da tutto quello che mi circonda, … dimentico tutto per entrare in un altro mondo dove tanti uccellini mi vorrebbero, … ma io non ho ancora scelto quale prendere; … anche se, da un po’ di tempo, uno mi si sta accostando sempre più, … e mi chiama. ... È bello, giovane, curioso, amante della preghiera e della meditazione, della musica, del canto, dell’arte, della danza, del sublime. Vola bene, nasconde le sue zampette nel piumaggio appena velato di rosa; … e tu … e dove lavori?”
“Sogno uccelli, … desideri, … Desiderio; ma non ho ancora trovato.”
Avevano rotto il silenzio, … sì comunicavano, … sì attraevano, … sedevano vicini.
Aveva voluto, … era riuscito, ma c’era ancora qualcosa che ostacolava; per cui chiese all’amico di Alessandro i motivi del suo agire, … del perché desiderasse essere preso dal suo protettore, ma che al momento del dunque non accettava.
“Devi venerare quello che per te rappresenta il desiderio, dandogli servizi, cercandone l’allignazione dentro di te, … introducendolo, … aiutandolo ad entrare e a dimorare dentro di te; facendolo come servizio divino, accettando però, anche, le sue risposte diaboliche. Stai facendo progressi – e il chiedermi un parere lo dimostra-. I tuoi rapporti con Alessandro sono intensi esternamente, … però lui non riesce mai a possederti. Tu vuoi, … desideri, … veneri, ma il tuo buchetto non cede; onde per cui il tuo vate si sente rifiutato; per questo motivo egli ti umilia e ti brutalizza, anche se entrambi avete piacere, il vostro rapporto è insoddisfacente, … deludente. Lui non ti ama e anche tu non lo ami, … vi usate come oggetto di piacere fisico e il tuo inconscio lo avverte. Sei fortunato che non ti ha ancora stuprato per rivalsa, ... Tu cerchi altro e probabilmente tu brami la violenza con la tenerezza. All’orizzonte la figura del nostro comune amico si fa pallida in te, lontana; poiché in te si sta formando qualcosa di nuovo: il manifestarsi del sentimento dell’amore. Sogni, immagini, figure, desideri che in te sorgono, … svaniscono e si trasformano come nubi spinte dal vento; esse sono immagini che in te diventano ombre evanescenti in continua evoluzione. Però quell’uccello che nel sogno volava alto, … che decollava dalla palude, … ti sta attirando. Sei confuso ancora; lo accoglierai con un abbraccio candido, ma rovente, languido e nello stesso tempo contemplativo. Sarai accompagnato da brividi e sussulti, contrazioni e rilassamenti e da un dialogo canoro d’estasi. Voluttà, repulsione e amore saranno fusi assieme. La copula, atto di venerazione e di sottomissione, di piacere e di appagamento, non sarà solo la meta del tuo flirt, ma anche il culmine della tua dedizione e consacrazione alla persona che amerai.”
Sognava più di giorno che di notte, anche nelle pause lavoro e spesso, senza volerlo, si ritrovava bagnato. La sua coscienza viveva quei momenti come un terribile peccato, che il dialogo con l’amico di Alessandro aveva spiegato, ma che non aveva risolto. A quelle visioni si sostituì l’invito venutogli dall’ambiente e la relazione tra sogno e desiderio si fece più intensa. Voluttà e paura, uomo e desiderio, la cosa più sacra e quella più ripugnante mescolate assieme, un grave senso di colpa guizzante nella più tenera e allegra innocenza. Questo era il suo sogno d’amore, confinante nel Desiderio, nel volere il desiderio. L’amore non era più il brutto istinto animale, come con Alessandro, ma il connubio tra l’amore e il desiderio, l’umanità con la bestialità. Questa era la vita destinata a lui, questo il destino che doveva assaporare, vivere. Di esso aveva timore e lo aveva sempre presente.
Si sentiva perseguitato dalla guida dei sogni; non era facile. Si ribellava, sempre dopo le polluzioni diurne. Aveva paura della meta che desiderava, ma che non considerava più cattiva, pericolosa, abominevole, spaventosa.
Perché era difficile vivere quello che spontaneamente voleva erompere da lui? Viveva una tranquillità apparente con lo sfogo dei sensi, ormai, solo alla domenica, ma con il desiderio inappagato, frustato, lontano, sfuggente. Ritornavano i sogni; gli uccelli che si avvicinavano, ma non nidificavano. Perdurava il fuoco del desiderio non appagato, di speranze non soddisfatte che lo rendevano talvolta furioso e pazzo. Vedeva l’immagine del Desiderio viva, a volte più chiara della sua mano; le parlava piangendo; la malediceva, … la chiamava inginocchiandosi davanti a lei; era amante e presagiva il suo bacio delizioso che scorreva sul suo corpo; era un demonio che lo fasciava lascivamente, selvaggiamente con schiumosi, trasparenti gelatinosi liquidi, donandogli languori ed eccitanti incontrollate agitazioni; … e vampiro a cui dava il suo liquido. Erano delicati sogni d’amore e contemporaneamente spudorate, brutali concessioni e possesso del suo alveo orale, in cui Alessandro depositava le sue deiezioni melmose, mentre lo masturbava e poi, fattogli sgorgare il nettare, lo fotteva nella bocca impiastrata delle sue feci.
Viveva con Alessandro tranquillamente. Non c’era passione, solo desiderio fisico. L’amore che conduceva al Desiderio, non esisteva; ma era governato dai sogni e dai pensieri.
Era al sicuro esternamente. Gli sembrava di non avere paura. Ma il desiderio era là, non entrava. I liquidi bianco opalescenti, schiumosi coprivano il suo corpo, entravano nel suo alveo orale.
Il luogo del suo lavoro era esclusivo per omosessuali. Lo conoscevano come il convivente di Alessandro. Non gli avevano mai fatto delle richieste, ma una sera, avanti chiusura, i suoi datori di lavoro gli ingiunsero di fermarsi, di predisporre nella saletta per ospiti dei profumi afrodisiaci, delle bibite inebrianti con una musica di sottofondo che richiamasse lo scorrere dell’acqua di una fontana o il camminare felpato di un felino su una distesa di foglie secche e di essere disponibile a farsi conoscere. Sapeva da quando era stato assunto che il suo servizio comprendeva anche il dar piacere con il corpo agli avventori che lo avessero richiesto, per cui accettò con entusiasmo l’invito, con la speranza che il suo forellino venisse finalmente aperto.
In quell’ambiente tutti erano a conoscenza degli eccessi di Alessandro, ma, in quel fine servizio, i titolari desideravano conoscere altro. Trattenuto per l’inguine e spinto in offerta a mani che lo volevano esaminare, scoprire, perlustrare, provocare, eccitare. Spogliato, sfogliato dei suoi indumenti che andarono a giacere lontano; con carezze costanti ed ardite, con baci languidi e lascivi fu accompagnato ed indotto ad inginocchiarsi davanti al desiderio di uno per stupirsi ed invitato ad aprirsi alla contemplazione. Le loro mani si inoltravano tra i suoi glutei per conoscere, stuzzicare quello che di lì a poco sarebbe stato aperto. Finalmente …
Desiderio …
aperto …
sarebbe stato appagato, …
l’uccello avrebbe trovato il nido, …
la serpe sarebbe entrata, …
finalmente l’albero della vita, …
finalmente la crema del mondo dentro di lui, … là. Innocente candido pensiero. Nelle mani uno … e l’altro in bocca … e il suo calice, esplorato da indici, sussultava e vibrava come una fisarmonica. Si apriva e si chiudeva alle dita che lo esploravano, lo eccitavano scoprendone e dilatandone le intime grinzose, ombrose segnature. Sensazioni inaudite, penetranti scoppiarono più violente di un temporale accompagnato da tuoni e fulmini, seguite poi da vibrazioni di rilassamento e svuotamento, … come la pioggia tranquilla che segue il fatto climatico; e, dopo, … il profumo acre di terre nere, fertili e bagnate.
Quattro braccia lo sollevarono da terra per posarlo supino sul tavolo, …
desiderio, … tra le mani e in bocca aveva i loro paioli. …
Finalmente sarebbe stato aperto e posseduto. Il suo antro caldo e rovente era pronto, docile, sottomesso. In silenzio ed in offerta avrebbe accettato, assorbito uno dopo l’altro quei desideri che in lui avrebbero trovato custodia e rovente ospitalità.
Finalmente … il desiderio.
È vergine!” … e si guardarono esterrefatti: “Behhh, … lo stupriamo, lo brutalizziamo, lo seviziamo e lo prendiamo, … lo sodomizziamo per primi. Lo apriamo, rompiamo o spacchiamo come si deve!”
“No! … è meglio che ora completi il lavoro con mani, boca e che lo riserviamo per il rito. Debitamente pubblicizzato tra noi, … potremmo fare una serata favolosa per incasso. Verranno tutti gli iscritti per avere la possibilità di essere scelti. È bello, tonico, giovane, solare, spontaneo, rovente, sensuale … e … bramma la libidine e di essere impalato sull’ara del rappresentante di Priapo. No! … va bene per la cerimonia del sacrificio di fine estate; e … noi aumenteremo di molto gli iscritti.”

Il rito

Il rapporto con Alessandro diveniva sempre più difficile, ma non aveva alternative, non aveva casa e il lavoro non gli permetteva di avere un alloggio solo per sé, per cui soggiaceva alle sue esigenze aggressive, brutali, sfrenate, animalesche e spesso non aveva la minima eiaculazione, anzi neanche versamenti. Il suo datore di lavoro si rassicurava di preservarlo invitando tutti gli iscritti a presenziare alla cerimonia del ringraziamento.
Ansia, attesa, pruriti, preoccupazioni, preghiere, canti, lacrime erano le compagnie delle sue ore. I sogni lo prendevano e lo conducevano lontano, modellando il suo essere come il vento cambia la forma di una nuvola. Si svegliava bagnato ed inzuppate erano le lenzuola; per cui Alessandro, scoprendolo, lo rimproverava di non darsi a lui e questo era motivo di umiliazioni e di violenze fisiche. Stava diventando il suo water e il cuscino su cui scaricava la sua forza. Dove lavorava sapevano a cosa soggiacesse, ma nessuno si offerse di dargli ospitalità. Rientrava dal lavoro il più tardi possibile e fuggiva da quell’alloggio appena si svegliava, spesso senza farsi la doccia. Ancora assonnato andava vicino alla chiesa, da cui sperava di sentire melodie, che prendendolo, lo avrebbero portato verso sogni luminosi e pieni di pace. Desiderava, bramava, cercava di incontrare il musicista; colui che, tramite la sua corte, la sua passione, la sua preghiera che scriveva sulla tastiera, dava sollievo alla sua solitudine, … alle sue angosce, trasmettendogli rilassamento e pace. Quelle note portate dal vento cullavano, rasserenavano, baciavano, accarezzavano le sue membra e se a quelle melodie si fosse aggiunto altro, facilmente, si sarebbe concesso senza difficoltà; … sarebbe stato preso e posseduto anche nell’anima. I sogni sulle panchine del parco avevano il volto di Stefano, l’organista. Invano schiudeva le labbra per avere la sua lingua, per bere la sua vita: erano sogni. Sudava, desiderava, bramava e grazie a quei sogni sopportava Alessandro e le sue angherie, le mani che lo battevano e picchiavano impietose sulle natiche o sul volto o che gli strappavano gli indumenti per rovesciargli le sue esalazioni, … i suoi rifiuti organici.
La prova sarebbe stata la sua liberazione, per cui si stava preparando e le visioni lo stavano aiutando suggerendogli di seguire le sue intuizioni, … il suo animo; di non lasciarsi intimorire da ciò che avrebbe incontrato, di resistere a tutte le tentazioni, di lasciarsi guidare dalla sua sete di incontrare colui che il libro del Desiderio gli aveva destinato come suo compagno di viaggio nella processione della vita.
La terra, in quell’autunno, voleva la sua vittima. Dopo le gioie e le glorie della primavera e dell’estate essa voleva prendere nel suo utero, ventre, il ringraziamento a lei destinato: un giovinetto, ancora implume da custodire e destinare alla copula con e per i suoi fuchi. Un percorso magico, stregato, religioso era la via che il piccolo doveva percorrere senza inciampare, … senza cadere o morire.
Nel crepuscolo della sera, inosservato sotto le chiome ancora verdi degli aceri, sfiorato dalle auto in corsa, con il cuore che batteva più del solito andava incontro al proibito, al bello, all’eccitante, a quella esperienza di iniziazione che gli avrebbe aperto le porte del Desiderio, tramite tenebrosi, misteriosi riti.
Nel buio inquieto e solenne della notte correva senza inciampare, senza fermarsi, senza indugiare. Guardò l’acqua che scorreva tacita, i bianchi cigni che si lasciavano cullare, le nere mura riflesse. Un brusio notturno lo accolse accompagnandolo alla tetra, possente porta tra ali bisbiglianti. L’aria si faceva fresca. La luna saliva.
Tutti lo osservavano avidi e vogliosi, scortandolo con gli sguardi; … e lui sapeva, ma avanzava tranquillo tra quel pubblico che lo avrebbe voluto possedere. Spinto dall’ardore dell’anima, dal desiderio di conoscere, vedere, toccare, provare il Desiderio, osservava il cupo buco della porta … e … cedette tutto quello che aveva. Quelli, che gli avevano fatto ala, videro una figura nuda, implume, appena illuminata, di spalle che passava il buio dell’ignoto, dove loro non potevano inoltrarsi.
Uno scroscio caldo lo bagnò … e continuava per colare e fluire sul suo fisico. Piacevole, eccitante, stimolante, afrodisiaco. Le sue natiche si stringevano per non acconsentire a quel liquido di bagnare il suo roseo forellino. Quei l fluidi provocavano contrazioni, sussulti, vibrazioni. Odorante di pipì, provava languori e inquietudini.
“Avanza ragazzo, … avanza, … altrimenti …”
La voce, … il commando … e lui procedeva grondante urine nel buio, mentre attorno esseri, che non distingueva, cercavano e chiedevano i suoi fori. Serpi viscide, scivolose si aggrappavano, causandogli eccitazione, calore, arrendevolezza. Difendeva la sua apertura con forza. Proseguiva sopra creature che lo ghermivano; che lo prendevano per i capelli o per la gola; che volevano la sua bocca, il pube, altro. Potenze brutte, aggressive, selvagge lo battevano; gli strappavano le carni, le unghie. La sua bocca sapeva di urina, di sperma, di fogna. Nel procedere vomitava, pisciava, defecava giù per le natiche, … Coliche, … diarrea, … stanchezza.
Trattenuto e ostacolato, progrediva a stento nel percorso; strisciava e si strascinava in una melma maleodorante, nauseabonda, nera come nero era il luogo. Formicolio di esseri cercavano le sue fessure causandogli irrigidimenti, fremiti, trasalimenti, eccitazione, desiderio di aprire la gola, di abbandonarsi. Sanguinava e costoro entravano per le ferite nel suo corpo. Stringeva i glutei, … non voleva, … era assediato, attorniato e quelle larve corte, bianche, proprie di resti organici in decomposizione, si muovevano sul suo fisico, mordendolo per entrare nella sua carne o, spostandosi, tentavano di accedere in lui tramite le narici o i condotti uditivi. Le sue mani proteggevano la sua innocenza, allontanando quando poteva gli avvoltoi, quei vampiri; … strisciava nel buio in quella fogna e, … il tutto lo stava conducendo all’eiaculazione. … Non consentiva, … non voleva essere preso da quelle anguille, …da quelle larve, … da quelle serpi. Era là per il Desiderio, … per conoscerlo, … per farsi prendere da lui e non da chi lo stava scarnificando, … disossando. Dolore, … morte; … non doveva morire, … non voleva. La mente, … i muscoli lacerati, martoriati cedevano; le sue mani si abbandonavano; … le sue aperture erano pronte per essere spolpate, scrostate e divorate; … esausto, … la mente, …
“Dio aiutami, … aiutamiiiiiiiiii!”
… e subito, … all’istante, tutto sparì. Il suo splendido corpo, ora, diffondeva luce, rivelava vitalità ed energia. Era innanzi ad un monumento, alla cui sommità stava un’ara adornata di stelle e pietre preziose dai colori inimmaginabili. Un popolo in attesa, vestito di luce, lo attendeva.
Ragazzino con un viso radioso, dagli occhi azzurri e pieni di grazia, con un prezioso e leggiadro ardore, di una sensuale freschezza, delicato, bello, snello, trasmetteva fremiti d’Amore; dal profumo leggero, fine, paradisiaco sprigionava squisite, amabili emozioni.
Osservava gli astanti e, senza proferir parola, andò verso l’altare e novello Isacco diede sé stesso alla lama dell’Amore. Nudo, in attesa, coccolato da un ritmo solenne, glorioso, eroico e fermo di canti polifonici, tra profumi di primavera e verdi smeraldo, sazio e dissetato, si apriva per donare i suoi umori vitali, la sua inviolata rosea apertura al Desiderio, che tanto cercò e che, per quello, si conservò casto, puro, sacro, sensuale, incantevole nella sua innocenza.
Il suo fisico vibrava e contraeva, posseduto dall’albero della vita a lui destinato. Gocce di sudore diventavano stelle, il suo succo vitale lasciò nuovi disegni, nuove pennellate iridescenti sull’ara. Era stato preso e le sue labbra sorridenti trasmettevano ringraziamenti e gioia. Stette su quel letto ad occhi chiusi, testa abbandonata sulle spalle dell’uomo; non parlava con il membro dell’amore che riempiva la sua ampolla e lo saziava di pace, di tremori e di piacere. Spingeva il suo delicato sederino incontro alla verga che lo aveva impalato, posseduto, sodomizzato.
Profumi d’incenso, musiche nuove, colori mai visti lo salutarono e lui si svegliò tra le braccia del suo organista, sereno, sorridente, appagato, come raro fiore da coltivare amorosamente con calda, amabile passione e intelligente protezione.
Una voce dentro di lui diceva: non sei nato per procreare, ma per difendere l’evoluzione della specie. Ama il tuo compagno, … amalo. Nelle specie degli esseri viventi ci sono coloro che nascono per aiutare la specie a riprodursi, ma ci sono anche quelli che la devono difendere: sono i nostri fuchi. Ora rispetta e sii umile, non chiedere e non pretendere quello che non sei. L’umiltà è una dote che apre tutte le porte e conduce alla Carità, che è Amore e Fede. Gli omosessuali sono i fuchi della specie umana. Siine felice, lieto e compiaciuto di questa tua mansione. Il tuo fisico è fatto per amare un uomo a te destinato.

scritto il
2024-01-26
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