Samuel dall'Istituto a ... Cap.: XIII La raccolta
di
Andrea10F09
genere
incesti
Cap.: XIII
La raccolta
“Vieni. Andiamo a recuperare il fimo per la tua lettiera. Sei nudo e dovendo raccoglierlo con le mani, ti insozzeresti tutto per doverlo portare alla posta, a te riservata, ti aiuterai con il corpo per non perderlo nello spostamento e dopo lo dovresti ripulire da pagliuzze che potrebbero segnare la tua pelle e provocare infezioni. D’accordo che il medico dell’istituto ti ha fatto un’iniezione con un farmaco particolare, ma qualche perplessità permane.”
“Ma, … io dovrei dormire su un giaciglio di …?”
“Sì, se non vuoi passare la notte accovacciato e rinchiuso in una gabbia posta nell’angolo delle deiezioni dei maiali! È un’opzione peggiore, te lo dico, perché sono una decina di mezzani che spesso e volentieri salgono sul gabbione per conoscerti, lasciandoti i loro escreti, oltre a grugnire e grufolarti vicino. Mia madre non è cattiva, crudele, malvagia, ma quando sente profumo di soldi, che le possono arrivare per aver fatto fare certe esperienze a dei giovanissimi efebici novizi, non capisce più niente e non accetta osservazioni. Due anni fa, -ero presente-, un ragazzo, che si ribellava e non voleva sottomettersi, è stato prima inceppato tra le feci dei maiali e dopo, liberato, fatto entrare nella gabbia, affinché potesse anche rilassarsi, evitando morsi o graffi di unghioni. È stato lasciato là dentro sino a quando non accettò di assumere la brodaglia per suini, immergendo la testa nel trogolo, senza aiutarsi con le mani. Lo lavavano sommariamente al mattino quando pulivano le stalle con un getto d’acqua fredda. Aveva una nutrita compagnia di mosche e di altri insetti, oltre agli animali con i quali condivideva il porcile. Quando lo fecero uscire era una maschera di lordume e di odori nauseanti, ma non era ancora terminata la lezione che gli somministrarono: infatti, dopo averlo lavato accuratamente e disinfettato, prima di fargli bere il latte, appena munto, lo appesero al gancio della fustigazione per impartirgli delle vergate sui glutei e sui polpacci. Smorfie, urla, lamenti, contrazioni, diarrea e piscio ad ogni colpo impartito. Lo ridussero ad uno straccio. Non posso aiutarti e non voglio che ti puniscano come hanno fatto con quel ragazzo. Ti prego, fai quanto ti chiedo: ti è stato prescritto!”
“Io non voglio essere punito, come non desidero che lo sia tu per avermi aiutato. Dimmi cosa devo raccogliere e come assestarmi lo stallo.”
“Prendi la carriola per posarci lo sterco dei bovini iniziando la raccolta da dove siamo. Procederemo da destra verso il fondo della stalla per ritornare recuperando la materia fecale dell’altra parte. L’ insieme non dovrà contenere pagliuzze o altro materiale pungente. Una volta i bambini, senza abbigliamento per non sporcarlo, prendevano le feci delle bestie per riporle, dopo averle impastate con fierùme, negli stampi per mattoni da essiccare al sole. Ragazzini di pochi anni lavoravano come adulti ed erano felici di rendersi utili alla famiglia, anche se imbrattati all’inverosimile.
“L’ho fatto anch’io e non mi dispiaceva, anzi spesso quell’attività dava motivo di grandi risate e di non crearci ansie o remore: è stata l’inizio della nostra formazione, della nostra iniziazione sessuale.”
“Oh, mamma!”
“Ehmmbè! Che vorreste: che stessi lontana da voi senza controllarvi? Conoscendoti, piccola cagnetta, … penso di aver fatto bene a ritornare per spiegarvi, prendendo lo spunto dall’esempio che hai riportato, che qualsiasi pratica, anche quella che ci apparirà ripugnante, nauseabonda e quanto mai oscena, può dar motivo di piacere e di appagamento sessuale. Tutto dipende dalla nostra mente. Non esiste il profumo del giglio o del mughetto se non conosciamo quello della trina o delle feci; non esiste il bello se non lo confrontiamo con il brutto; non esiste la gioia se non conosciamo l’infelicità; c’è la luce perché c’è il buio. Una volta per la raccolta di quelle feci, mi ero imbrattata, annerita dai capezzolini ai piedi per essermi intestardita a voler prendere delle feci un po’ liquide, diarroiche. Mi sfuggivano dalle mani o dagli avanbracci per scorrermi sul corpo. Che sensazioni! Mi piacevano, ma gli altri compagni di lavoro ridevano, considerandomi incapace e molto maldestra. Il nonno paterno, che vigilava, preso per un braccio uno dei miei cuginetti, prima lo imbrattò tutto davanti e didietro, obbligandolo, dopo, a defecare. Un silenzio tombale, quasi notturno, di stalla a riposo, era calato fra noi consanguinei, sino a quando il vecchietto non mi impose di pisciare rimanendo in piedi. Oh, il sentir fluire sulle cosce e sui piedi quei liquidi caldi, che percezioni di benessere, di piacere che avvertii e lo dissi, mostrando esultanza e visibilio. -Sì, nonno! Le ho avvertite calde, morbide e piacevolmente confondersi con l’indumento da te burberamente e ruvidamente improntatomi. – Da quel giorno la raccolta diventò anche un momento di svago, di gioco, da cui apprendemmo a guardarci e a gioire dei nostri abiti neri, dai quali sui maschietti spuntavano i loro chiodi.”
“Ma …”
“No, perché gli consideravamo fanghi diversi da quelli della palude in cui ci rotolavamo nei nostri momenti di gioco, ma sempre poltiglie, però con odori diversi. Non avevamo rifiuti per simili passatempi, perché gli adulti ci spiegavano e preparavano a discernere e a capire; anzi gli anziani, nei nostri bisogni, ci suggerivano di cogliere le dolci sensazioni dei flussi delle nostre pipì e delle feci. Ricordo che una volta il nonno, vistami defecare sul bordo di una cavedagna, mi invitò a sedermici sopra per sentirne il calore e la sua deliziosa morbidezza. Probabilmente me l’avrà chiesto per aver motivo, dopo, di sgrassarmi e di lavarmi anche tra le giunture del mio paffuto, latteo sederino.”
“Però, mamma, da quello che ho compreso, sembra che l’adulto non sia stato con te violento, come …”
“La violenza era accettata, perché ci era spiegata come utile in un rapporto, anche se noi non la comprendiamo. A tutti dà fastidio, ma se uno te la fa comprendere … Vedi, mia dolce puttanella, noi ammiriamo il rosso del papavero e ne gioiamo della sua vellutata bellezza, ma lui non lo sa; eppure, per mostrarsi, deve prima perdere i sepali superando il momento della schiusa per aprire, poi, al sole i suoi petali raggrinziti, regalando ad altri il mirabile e sublime effetto della sua sofferenza; così noi, quando prendiamo delle sculacciate o delle vergate, non conosciamo il motivo, ma chi ce le dà, gioirà del rossore e del nostro lasciarci conoscere. La violenza nei rapporti sessuali diventa una pratica erotica che serve a dar piacere. Rammento in una sera invernale le scudisciate impartite ad un mio cugino da uno zio, per non aver ascoltato, per non aver fatto quello che gli era stato richiesto. Con la funicella dello scudiscio non gli dava tregua; lo colpiva anche tra gli animali; lo voleva spogliare con quell’arma delle braghette lacerate e lise che lo coprivano, trattenute in vita da un legaccio arboreo. L’uomo molto abile nell’usare quel mezzo ce la fece mostrando a tutti, poi, l’esito dei suoi colpi su quel fresco, giovane culo. . Se l’era posto sotto il sinistro, piegato a 90°, per esporre ai presenti un rugiadoso bocciolo grinzoso pulsante. ripeté ancora, e con massaggi, frizioni, impastamenti e leccate al bucio e allo scroto, con l’aiuto delle mani, lo rilassò talmente da poterlo penetrare e prendere senza difficoltà, per prendersi il piacere da quel sedere arrossato, bramoso, che smaniava di essere ingorgato, colmato di carne calda, energica, prepotente. Gli astanti osservavano ammaliati, avvinti dallo spettacolo che i due offrivano e come il loro coetaneo partecipasse alla sodomizzazione. Non era la prima volta che lo zio lo scardinava sfondandolo e demolendolo con colpi forti, lunghi e profondi. Per noi astanti era un invito a conoscere e a voler sperimentare. Gli procurò onde di piacere come di mare mosso che prendevano il via dal suo interno per deflagrare, poi, verso le sue estremità. Lo schiaffeggiava e lo pompava tenendolo per la chioma; lo speronava inarcandolo verso di lui per spingergli il suo palo duro più in profondità possibile godendo del dolce, caldo, levigato scivolo, dato dalle mucose anali. Per noi era la prima volta da spettatori dopo una fustigata e per lui in pubblico, ma non ci furono rimostranze, anzi … In seguito, quella pratica era cercata e bramata da tutti noi adolescenti. Eravamo porcellini. Eravamo fiori di pesco che si aprivano al primo sole per dare ospitalità all’ape.”
“Eravate già grandi, ma …”
“In estate, periodo di svestizione e di carnalità anche per noi ragazzi, era il tempo, in cui venivamo invitati a fare nuove esperienze fisiche. Vivevamo in promiscuità in una casa-fattoria. L’educazione a conoscerci era deputata agli anziani, che oltre alla cultura al lavoro e al rispetto, ci esortavano spesso a provare esperienze sensuali diverse con il gioco, ma non conoscevamo ancora il dolore, come anticamera di un piacere singolare. Era un’altra pratica nel nostro percorso di formazione affidata, però, questa ad una persona che non temeva di usare mani o altro su di noi, anzi … Chi sovrintendeva e disciplinava il tutto era il nonno materno. Uomo robusto, vigoroso con due manone, che … gli bastava alzarle per zittire i cicalecci di curiosità, di desiderio di sapere, di conoscenza di noi ragazzini, ma molto buono, sempre sorridente e pieno di attenzioni nei nostri riguardi. Giocava e ci faceva compagnia, specialmente nelle ore, in cui gli altri adulti riposavano. Eravamo i suoi tesori e lo diceva sempre: -Siete i miei tesori. Vi voglio bene, tanto, … tanto! -. Alla sera il nonno ci obbligava a lavarci o a farci pulire alla fonte di acqua sorgiva per poter andare a cena e dopo, nel nostro letto o in quello da lui suggerito, ma a tutti, maschietti e femminucce, piacevano le mani dell’anziano, che si muovevano sui corpi, come fossero violini da far cantare. Nessuno se ne andava dalla pozza, se non a fine rito e tutti gioivano e facevano festa alle vibrazioni, tremolii e sussulti di una o al veloce schizzare e lesto fuggire di piccoli bianchi girini. Dopo l’ultimo, tutti assieme correvamo verso la cucina per la cena. Avevo da poco terminato le inferiori, quando ... Pesavo come un fringuello, per cui l’essere sollevata era una bazzecola per lui e avevo già indossato la -camiseta- per la notte, datami dalla mamma che l’aiutava.”
“Guardai la mamma perplessa, interrogativa, non comprendendo.”
“L’andare in braccio al nonno, … voi non potete capire che cosa significasse per me. Oh, non c’era cena o altro che mi potessero trattenere dal correre fra le sue grandi e forti braccia. Mi ancorai con le mie esili gambe al suo torace per sorridergli, ringraziandolo a modo mio delle coccole che sapevo mi avrebbe dato. La mamma osservava, anzi, mi invitava a dimostrargli il mio affetto. Mi avvinghiai con le braccia alla sua testa e presi a baciarlo sulle guance, sul naso, sugli occhi e lo fissavo ridendo di contentezza. Avevo le sue mani sul sederino. Non avevo intimo per usanza familiare e allora le percepivo calde e … in acqua quelle oltre a pulirmi, mi massaggiavano anche fra le gambe e spesso provavo intensissimi piaceri; come anche gli altri ragazzi che volevano lui per essere mondati da fanghi e da sudori. Oh, sììììììì era bellissimo sentire il suo pelo incanutito sulla mia micetta che già principiava a scaldarsi e a bagnarsi. Ohhh, …”
“…. che tese una mano per riceverlo, spronandomi muta ad abbandonarmi alle coccole del nonno. Aggrappata al suo collo, saltellavo sulle sue mani esultante, come lo sono i ragazzini quando sono felici sulle braccia del proprio caro. Battevo i palmi sul suo torace, mi fermavo per baciarlo, gli picchiavo il dorso con i talloni. Esultavo, quando mi ritrovai sollevata in alto. Mi fissava soddisfatto, pago di poter vedere anche la mia fichettina inturgidita, con la sua piccola, bruna farfallina.”
-Bimba mia, non mostri la tua micetta al nonno? Suvvia allarga le gambette e falla vedere! -
“E senza pensarci oltre, immerse il viso tra le chiappette della piccola, avventandosi con la lingua contro la fessura malleabile. La carne è dolce per le papille, gli umori di adolescenti sono ambrosia per palati fini. Le loro natiche sode, lisce e calde sono provocanti, seducenti per qualsiasi.”
“Nonno, che fai?”
“… e così dicendo, mi girò con le gambe appoggiate al dorso e le chiappe sul suo volto. Sentivo il suo fiato caldo solleticarmi e la sua ispida barba pungermi, ma non parlavo, poi, mentre la sua destra mi sosteneva, il suo medio sinistro si apriva un varco fra le labbra della mia fichetta e … Non so cosa fosse, ma … era la sua lingua. Mi leccava la patatina, il buchino; infilava un po’ di punta; mi mordeva, poi … mentre lappava, con la sinistra prese a massaggiarmi alternativamente le tettine, pizzicando e tirando i miei teneri, rosei capezzolini. Quella lingua ruvida, rasposa che apriva il mio sesso e quella mano che strizzava e manipolava le mie piccole mammelle … ebbi un orgasmo intensissimo, diverso da quelli in acqua. Vibravo e mi contraevo. Ad ogni sua leccata, ad ogni suo morso, ad ogni carezza o ai piccoli schiaffi, rispondevo con gemiti, con suoni liquidi di piacere. Era una sensazione paradisiaca e il nonno proseguiva nella sua tortura, incurante delle ribellioni e dei miei dissensi, sino a che nuovi tremiti, inframezzati da sussulti e da spruzzi di pipì mi spedirono nel nirvana dei sensi. Languore, abbandono, commozione.”
“Mamma, tuo nonno era tenero e dolce con te, perché tu …”
“Nel mestiere del dar piacere si possono incontrare persone con richieste bizzarre, eccentriche, strane, ma sempre importanti, a volte ardue e spinose; se non si è formati e preparati a dare le risposte richieste, anche mentalmente, conviene fare altro. Il lavoro che vuole intraprendere è il più antico e il più bello del mondo, poiché permette di far felici ed estasiare persone con prestazioni sessuali, ma anche di essere per loro necessari e insostituibili. … ma ora veniamo a noi, riprendendo il percorso formativo dallo step del riposo tra escrementi. Questa pratica ti farà capire che sei peggio di uno schiavo, poiché potresti ricevere e stare anche fra materia fecale di schiavi, oltre che di bestie.”
“Vieni Samuele; prendi la carriola, che sta in fondo alla stalla -indicando- e principia la raccolta da dove siamo.”
“No, Rosetta, solo con le mani!”
“Ummhhhhhhhhhh, che pizza! Fai come ha detto. Ti insozzerai tutto, Samuel, ma prendi l’esperienza come un lavoro. Devi far in fretta, poiché tra poco arriveranno papà con i miei fratelli per curare le stalle e allora potresti non raccattare nulla, se non strame farcito, dato che i bovini si alzeranno per farsi accudire. Guarda là, quella vacca, sta … è calda e consistente. Ti sarà facile raccoglierla; una parte, prima, con entrambe le mani e il resto, poi, con una che lo posizionerà sopra quella che ti terrai addossata all’addome, come mensola d’appoggio. Non guardarti e lavora! Corri da mia madre e posa quello che hai dove ti indicherà e ritorna. Veloce, … correre! Anche qui: non sarà molta, per essere stata schiacciata dalla coscia della bestia. Prendi quella che puoi e vola a deporla. … anche questa: sarà fredda, ma buona per fasciarti, coprirti e difenderti dai sassi del pavimento. Su, svelto, che ce ne sono tante e tutte adatte a completare il tuo giaciglio, anche con lo strame preso dallo scuriolo. L’ultima raccolta, intrisa di orine e di feci liquefatte, ti servirà da cuscino.” Aveva fatto un buon lavoro con la signora Licia che lo sorvegliava e lo guidava. Da ultimo è stata la stessa signora a prendere un po’ di ravizzone verde da usare per federa allo strame intriso di urine e feci liquefatte. Alla fine, la ragazzina prese la canna e lo lavò dalla schifezza e dal sudiciume che lo copriva.
La raccolta
“Vieni. Andiamo a recuperare il fimo per la tua lettiera. Sei nudo e dovendo raccoglierlo con le mani, ti insozzeresti tutto per doverlo portare alla posta, a te riservata, ti aiuterai con il corpo per non perderlo nello spostamento e dopo lo dovresti ripulire da pagliuzze che potrebbero segnare la tua pelle e provocare infezioni. D’accordo che il medico dell’istituto ti ha fatto un’iniezione con un farmaco particolare, ma qualche perplessità permane.”
“Ma, … io dovrei dormire su un giaciglio di …?”
“Sì, se non vuoi passare la notte accovacciato e rinchiuso in una gabbia posta nell’angolo delle deiezioni dei maiali! È un’opzione peggiore, te lo dico, perché sono una decina di mezzani che spesso e volentieri salgono sul gabbione per conoscerti, lasciandoti i loro escreti, oltre a grugnire e grufolarti vicino. Mia madre non è cattiva, crudele, malvagia, ma quando sente profumo di soldi, che le possono arrivare per aver fatto fare certe esperienze a dei giovanissimi efebici novizi, non capisce più niente e non accetta osservazioni. Due anni fa, -ero presente-, un ragazzo, che si ribellava e non voleva sottomettersi, è stato prima inceppato tra le feci dei maiali e dopo, liberato, fatto entrare nella gabbia, affinché potesse anche rilassarsi, evitando morsi o graffi di unghioni. È stato lasciato là dentro sino a quando non accettò di assumere la brodaglia per suini, immergendo la testa nel trogolo, senza aiutarsi con le mani. Lo lavavano sommariamente al mattino quando pulivano le stalle con un getto d’acqua fredda. Aveva una nutrita compagnia di mosche e di altri insetti, oltre agli animali con i quali condivideva il porcile. Quando lo fecero uscire era una maschera di lordume e di odori nauseanti, ma non era ancora terminata la lezione che gli somministrarono: infatti, dopo averlo lavato accuratamente e disinfettato, prima di fargli bere il latte, appena munto, lo appesero al gancio della fustigazione per impartirgli delle vergate sui glutei e sui polpacci. Smorfie, urla, lamenti, contrazioni, diarrea e piscio ad ogni colpo impartito. Lo ridussero ad uno straccio. Non posso aiutarti e non voglio che ti puniscano come hanno fatto con quel ragazzo. Ti prego, fai quanto ti chiedo: ti è stato prescritto!”
“Io non voglio essere punito, come non desidero che lo sia tu per avermi aiutato. Dimmi cosa devo raccogliere e come assestarmi lo stallo.”
“Prendi la carriola per posarci lo sterco dei bovini iniziando la raccolta da dove siamo. Procederemo da destra verso il fondo della stalla per ritornare recuperando la materia fecale dell’altra parte. L’ insieme non dovrà contenere pagliuzze o altro materiale pungente. Una volta i bambini, senza abbigliamento per non sporcarlo, prendevano le feci delle bestie per riporle, dopo averle impastate con fierùme, negli stampi per mattoni da essiccare al sole. Ragazzini di pochi anni lavoravano come adulti ed erano felici di rendersi utili alla famiglia, anche se imbrattati all’inverosimile.
“L’ho fatto anch’io e non mi dispiaceva, anzi spesso quell’attività dava motivo di grandi risate e di non crearci ansie o remore: è stata l’inizio della nostra formazione, della nostra iniziazione sessuale.”
“Oh, mamma!”
“Ehmmbè! Che vorreste: che stessi lontana da voi senza controllarvi? Conoscendoti, piccola cagnetta, … penso di aver fatto bene a ritornare per spiegarvi, prendendo lo spunto dall’esempio che hai riportato, che qualsiasi pratica, anche quella che ci apparirà ripugnante, nauseabonda e quanto mai oscena, può dar motivo di piacere e di appagamento sessuale. Tutto dipende dalla nostra mente. Non esiste il profumo del giglio o del mughetto se non conosciamo quello della trina o delle feci; non esiste il bello se non lo confrontiamo con il brutto; non esiste la gioia se non conosciamo l’infelicità; c’è la luce perché c’è il buio. Una volta per la raccolta di quelle feci, mi ero imbrattata, annerita dai capezzolini ai piedi per essermi intestardita a voler prendere delle feci un po’ liquide, diarroiche. Mi sfuggivano dalle mani o dagli avanbracci per scorrermi sul corpo. Che sensazioni! Mi piacevano, ma gli altri compagni di lavoro ridevano, considerandomi incapace e molto maldestra. Il nonno paterno, che vigilava, preso per un braccio uno dei miei cuginetti, prima lo imbrattò tutto davanti e didietro, obbligandolo, dopo, a defecare. Un silenzio tombale, quasi notturno, di stalla a riposo, era calato fra noi consanguinei, sino a quando il vecchietto non mi impose di pisciare rimanendo in piedi. Oh, il sentir fluire sulle cosce e sui piedi quei liquidi caldi, che percezioni di benessere, di piacere che avvertii e lo dissi, mostrando esultanza e visibilio. -Sì, nonno! Le ho avvertite calde, morbide e piacevolmente confondersi con l’indumento da te burberamente e ruvidamente improntatomi. – Da quel giorno la raccolta diventò anche un momento di svago, di gioco, da cui apprendemmo a guardarci e a gioire dei nostri abiti neri, dai quali sui maschietti spuntavano i loro chiodi.”
“Ma …”
“No, perché gli consideravamo fanghi diversi da quelli della palude in cui ci rotolavamo nei nostri momenti di gioco, ma sempre poltiglie, però con odori diversi. Non avevamo rifiuti per simili passatempi, perché gli adulti ci spiegavano e preparavano a discernere e a capire; anzi gli anziani, nei nostri bisogni, ci suggerivano di cogliere le dolci sensazioni dei flussi delle nostre pipì e delle feci. Ricordo che una volta il nonno, vistami defecare sul bordo di una cavedagna, mi invitò a sedermici sopra per sentirne il calore e la sua deliziosa morbidezza. Probabilmente me l’avrà chiesto per aver motivo, dopo, di sgrassarmi e di lavarmi anche tra le giunture del mio paffuto, latteo sederino.”
“Però, mamma, da quello che ho compreso, sembra che l’adulto non sia stato con te violento, come …”
“La violenza era accettata, perché ci era spiegata come utile in un rapporto, anche se noi non la comprendiamo. A tutti dà fastidio, ma se uno te la fa comprendere … Vedi, mia dolce puttanella, noi ammiriamo il rosso del papavero e ne gioiamo della sua vellutata bellezza, ma lui non lo sa; eppure, per mostrarsi, deve prima perdere i sepali superando il momento della schiusa per aprire, poi, al sole i suoi petali raggrinziti, regalando ad altri il mirabile e sublime effetto della sua sofferenza; così noi, quando prendiamo delle sculacciate o delle vergate, non conosciamo il motivo, ma chi ce le dà, gioirà del rossore e del nostro lasciarci conoscere. La violenza nei rapporti sessuali diventa una pratica erotica che serve a dar piacere. Rammento in una sera invernale le scudisciate impartite ad un mio cugino da uno zio, per non aver ascoltato, per non aver fatto quello che gli era stato richiesto. Con la funicella dello scudiscio non gli dava tregua; lo colpiva anche tra gli animali; lo voleva spogliare con quell’arma delle braghette lacerate e lise che lo coprivano, trattenute in vita da un legaccio arboreo. L’uomo molto abile nell’usare quel mezzo ce la fece mostrando a tutti, poi, l’esito dei suoi colpi su quel fresco, giovane culo. . Se l’era posto sotto il sinistro, piegato a 90°, per esporre ai presenti un rugiadoso bocciolo grinzoso pulsante. ripeté ancora, e con massaggi, frizioni, impastamenti e leccate al bucio e allo scroto, con l’aiuto delle mani, lo rilassò talmente da poterlo penetrare e prendere senza difficoltà, per prendersi il piacere da quel sedere arrossato, bramoso, che smaniava di essere ingorgato, colmato di carne calda, energica, prepotente. Gli astanti osservavano ammaliati, avvinti dallo spettacolo che i due offrivano e come il loro coetaneo partecipasse alla sodomizzazione. Non era la prima volta che lo zio lo scardinava sfondandolo e demolendolo con colpi forti, lunghi e profondi. Per noi astanti era un invito a conoscere e a voler sperimentare. Gli procurò onde di piacere come di mare mosso che prendevano il via dal suo interno per deflagrare, poi, verso le sue estremità. Lo schiaffeggiava e lo pompava tenendolo per la chioma; lo speronava inarcandolo verso di lui per spingergli il suo palo duro più in profondità possibile godendo del dolce, caldo, levigato scivolo, dato dalle mucose anali. Per noi era la prima volta da spettatori dopo una fustigata e per lui in pubblico, ma non ci furono rimostranze, anzi … In seguito, quella pratica era cercata e bramata da tutti noi adolescenti. Eravamo porcellini. Eravamo fiori di pesco che si aprivano al primo sole per dare ospitalità all’ape.”
“Eravate già grandi, ma …”
“In estate, periodo di svestizione e di carnalità anche per noi ragazzi, era il tempo, in cui venivamo invitati a fare nuove esperienze fisiche. Vivevamo in promiscuità in una casa-fattoria. L’educazione a conoscerci era deputata agli anziani, che oltre alla cultura al lavoro e al rispetto, ci esortavano spesso a provare esperienze sensuali diverse con il gioco, ma non conoscevamo ancora il dolore, come anticamera di un piacere singolare. Era un’altra pratica nel nostro percorso di formazione affidata, però, questa ad una persona che non temeva di usare mani o altro su di noi, anzi … Chi sovrintendeva e disciplinava il tutto era il nonno materno. Uomo robusto, vigoroso con due manone, che … gli bastava alzarle per zittire i cicalecci di curiosità, di desiderio di sapere, di conoscenza di noi ragazzini, ma molto buono, sempre sorridente e pieno di attenzioni nei nostri riguardi. Giocava e ci faceva compagnia, specialmente nelle ore, in cui gli altri adulti riposavano. Eravamo i suoi tesori e lo diceva sempre: -Siete i miei tesori. Vi voglio bene, tanto, … tanto! -. Alla sera il nonno ci obbligava a lavarci o a farci pulire alla fonte di acqua sorgiva per poter andare a cena e dopo, nel nostro letto o in quello da lui suggerito, ma a tutti, maschietti e femminucce, piacevano le mani dell’anziano, che si muovevano sui corpi, come fossero violini da far cantare. Nessuno se ne andava dalla pozza, se non a fine rito e tutti gioivano e facevano festa alle vibrazioni, tremolii e sussulti di una o al veloce schizzare e lesto fuggire di piccoli bianchi girini. Dopo l’ultimo, tutti assieme correvamo verso la cucina per la cena. Avevo da poco terminato le inferiori, quando ... Pesavo come un fringuello, per cui l’essere sollevata era una bazzecola per lui e avevo già indossato la -camiseta- per la notte, datami dalla mamma che l’aiutava.”
“Guardai la mamma perplessa, interrogativa, non comprendendo.”
“L’andare in braccio al nonno, … voi non potete capire che cosa significasse per me. Oh, non c’era cena o altro che mi potessero trattenere dal correre fra le sue grandi e forti braccia. Mi ancorai con le mie esili gambe al suo torace per sorridergli, ringraziandolo a modo mio delle coccole che sapevo mi avrebbe dato. La mamma osservava, anzi, mi invitava a dimostrargli il mio affetto. Mi avvinghiai con le braccia alla sua testa e presi a baciarlo sulle guance, sul naso, sugli occhi e lo fissavo ridendo di contentezza. Avevo le sue mani sul sederino. Non avevo intimo per usanza familiare e allora le percepivo calde e … in acqua quelle oltre a pulirmi, mi massaggiavano anche fra le gambe e spesso provavo intensissimi piaceri; come anche gli altri ragazzi che volevano lui per essere mondati da fanghi e da sudori. Oh, sììììììì era bellissimo sentire il suo pelo incanutito sulla mia micetta che già principiava a scaldarsi e a bagnarsi. Ohhh, …”
“…. che tese una mano per riceverlo, spronandomi muta ad abbandonarmi alle coccole del nonno. Aggrappata al suo collo, saltellavo sulle sue mani esultante, come lo sono i ragazzini quando sono felici sulle braccia del proprio caro. Battevo i palmi sul suo torace, mi fermavo per baciarlo, gli picchiavo il dorso con i talloni. Esultavo, quando mi ritrovai sollevata in alto. Mi fissava soddisfatto, pago di poter vedere anche la mia fichettina inturgidita, con la sua piccola, bruna farfallina.”
-Bimba mia, non mostri la tua micetta al nonno? Suvvia allarga le gambette e falla vedere! -
“E senza pensarci oltre, immerse il viso tra le chiappette della piccola, avventandosi con la lingua contro la fessura malleabile. La carne è dolce per le papille, gli umori di adolescenti sono ambrosia per palati fini. Le loro natiche sode, lisce e calde sono provocanti, seducenti per qualsiasi.”
“Nonno, che fai?”
“… e così dicendo, mi girò con le gambe appoggiate al dorso e le chiappe sul suo volto. Sentivo il suo fiato caldo solleticarmi e la sua ispida barba pungermi, ma non parlavo, poi, mentre la sua destra mi sosteneva, il suo medio sinistro si apriva un varco fra le labbra della mia fichetta e … Non so cosa fosse, ma … era la sua lingua. Mi leccava la patatina, il buchino; infilava un po’ di punta; mi mordeva, poi … mentre lappava, con la sinistra prese a massaggiarmi alternativamente le tettine, pizzicando e tirando i miei teneri, rosei capezzolini. Quella lingua ruvida, rasposa che apriva il mio sesso e quella mano che strizzava e manipolava le mie piccole mammelle … ebbi un orgasmo intensissimo, diverso da quelli in acqua. Vibravo e mi contraevo. Ad ogni sua leccata, ad ogni suo morso, ad ogni carezza o ai piccoli schiaffi, rispondevo con gemiti, con suoni liquidi di piacere. Era una sensazione paradisiaca e il nonno proseguiva nella sua tortura, incurante delle ribellioni e dei miei dissensi, sino a che nuovi tremiti, inframezzati da sussulti e da spruzzi di pipì mi spedirono nel nirvana dei sensi. Languore, abbandono, commozione.”
“Mamma, tuo nonno era tenero e dolce con te, perché tu …”
“Nel mestiere del dar piacere si possono incontrare persone con richieste bizzarre, eccentriche, strane, ma sempre importanti, a volte ardue e spinose; se non si è formati e preparati a dare le risposte richieste, anche mentalmente, conviene fare altro. Il lavoro che vuole intraprendere è il più antico e il più bello del mondo, poiché permette di far felici ed estasiare persone con prestazioni sessuali, ma anche di essere per loro necessari e insostituibili. … ma ora veniamo a noi, riprendendo il percorso formativo dallo step del riposo tra escrementi. Questa pratica ti farà capire che sei peggio di uno schiavo, poiché potresti ricevere e stare anche fra materia fecale di schiavi, oltre che di bestie.”
“Vieni Samuele; prendi la carriola, che sta in fondo alla stalla -indicando- e principia la raccolta da dove siamo.”
“No, Rosetta, solo con le mani!”
“Ummhhhhhhhhhh, che pizza! Fai come ha detto. Ti insozzerai tutto, Samuel, ma prendi l’esperienza come un lavoro. Devi far in fretta, poiché tra poco arriveranno papà con i miei fratelli per curare le stalle e allora potresti non raccattare nulla, se non strame farcito, dato che i bovini si alzeranno per farsi accudire. Guarda là, quella vacca, sta … è calda e consistente. Ti sarà facile raccoglierla; una parte, prima, con entrambe le mani e il resto, poi, con una che lo posizionerà sopra quella che ti terrai addossata all’addome, come mensola d’appoggio. Non guardarti e lavora! Corri da mia madre e posa quello che hai dove ti indicherà e ritorna. Veloce, … correre! Anche qui: non sarà molta, per essere stata schiacciata dalla coscia della bestia. Prendi quella che puoi e vola a deporla. … anche questa: sarà fredda, ma buona per fasciarti, coprirti e difenderti dai sassi del pavimento. Su, svelto, che ce ne sono tante e tutte adatte a completare il tuo giaciglio, anche con lo strame preso dallo scuriolo. L’ultima raccolta, intrisa di orine e di feci liquefatte, ti servirà da cuscino.” Aveva fatto un buon lavoro con la signora Licia che lo sorvegliava e lo guidava. Da ultimo è stata la stessa signora a prendere un po’ di ravizzone verde da usare per federa allo strame intriso di urine e feci liquefatte. Alla fine, la ragazzina prese la canna e lo lavò dalla schifezza e dal sudiciume che lo copriva.
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