Celestino Cap XIX: L'eunuco

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pulp

Celestino Cap XIX L’eunuco
Un brusio si levò dalla sala, seguito da qualche applauso di consenso, che un po' per volta si tramutò in una corale ovazione con reiterati, insistiti mantra di approvazione e di richiesta di poter essere testimoni alla prima del ragazzino. I presenti in piedi fissavano attentamente il Signore, pregandolo di permettere loro di assistere a quella prima monta, in cui un germano avrebbe offerto e concorso all’apertura della porta santa del fratello minore.
Nuovi fogli pervennero alla presentatrice, che diede delle disposizioni per la risistemazione della sala per soddisfare il consenso all’accettazione della richiesta, per procedere dopo alla loro lettura. Scorse con gli occhi le prime righe e poi, turbata dallo scritto, ritornò per leggerlo a voce alta.
“Signori, per comprendere la mia scelta bizzarra su questo ragazzo, è opportuno che si conosca, per sommi capi, i fatti, di cui sono stato oggetto da piccolo.
Ero una voce bianca del coro della nostra città e in quella navata ero tra i più piccoli. Avevo una bellissima voce che mi permetteva acuti che nessuno poteva raggiungere. Ero un monello, ma simpatico e benvoluto da tutti, oltre che bello, possessore di quella bellezza che solo i piccoli sbarazzini, allegri e sereni possiedono. Tanti, tra i notabili della città, chiedevano al Maestro i miei assoli. Per le vie, dove vivevo, mi fermavano per complimentarsi per le mie doti canore. Ero felice, ma un giorno, su preghiera di alcuni maggiorenti, fui condotto in una villa per prestare la mia voce alla riuscita di una festa, ivi organizzata. I miei accondiscesero, anche per la cifra che venne loro data. Passando spensierato e sorridente tra i tavoli, ricevevo complimenti, accompagnati dapprima a qualche puffo sul sedere e da casti baci sulla testa, che si tramutarono ben presto con il salire dell’allegria in sculaccioni o in strattoni per essere messo sulle ginocchia di qualcuno o per farmi bere bibite che pizzicavano e che mai avevo preso. Per me era una festa, anche quando uno mi sollevò e, con l’aiuto di altri che liberarono un tavolo molto grande da tutto quello che vi era, mi chiese di accompagnare il canto anche con movimenti di danza. Ero impacciato, direi goffo e insicuro. I presenti diedero la colpa, delle mie mancanze nel canto, alle scarpe e non a quello che mi facevano bere. Dalle calzature passarono a levarmi, calzini, braghette e camiciola. Ridevano e applaudivano alla mia svestizione, incitando i promotori della mia denudazione a far di più. Compiaciuto per gli applausi, per gli incitamenti, per le lodi mi muovevo sinuoso, aggraziato, leggiadro, accompagnato dalle loro mani e dimentico del canto. Euforia, ebbrezza, eccitazione mi consegnarono ad un uomo nudo per ballare assieme su quel tavolo, divenuto palco. Avevo le mani nelle sue, con persone che incoraggiandomi ed esortandomi a fissarlo, mi toccavano spingendomi ad addossarmi. Io mi muovevo sempre meno, perché attratto da quella carne che dondolava, oscillava davanti a me. Era grande in mezzo ad un bosco nero, segnato da lucentezze e creme. Imbambolato, osservavo quel muscolo che diventava sempre più tumido e lucido, dalla cui cappella pendevano scie scintillanti, trasparenti, le quali, per il movimento di danza, s’appiccicavano al nero boschetto che lo attorniava.”
“Ti piace? -indicando- Su, toccalo! Non aver timore.” … e ridendo, mezzo arrossato, preso dal silenzio e dall’aspettativa dei presenti, staccai una mano dalle sue per dar sfogo alla mia curiosità e per rispondere all’invito. Esortazioni, lusinghe e il mio sederino che veniva scoperto, palpato, tastato. Ridevo felice di trovarmi tra persone che mi facevano sentire bene, che gioivano per la mia divertente eccitazione, anzi per le loro mani provavo al basso ventre sensazioni particolari, mai conosciute, che mi spinsero ad accettare gli incitamenti a stringere quella carne, la cui scia trasparente e collosa appariva magica e molto seducente. Osservai l’uomo e mi abbassai. Forse ero spinto, non lo so, ma sta di fatto che dopo un pò, superata la prima perplessità, me lo trascinai sul volto, godendo del contatto caldo, umido, vischioso e del profumo che emanava. Mani mi presero per spingermi su morbidi, pelosi cuscini. Respiravo allucinogeni che, con il frutto di quello che avevo bevuto e con le esortazioni dei presenti, mi fecero aprire le labbra per venerare con il mio pennello del gusto quella prugna sericea, violacea, rugiadosa di precum e quanto mai tumida. Prima ridendo come fosse un gioco e poi, eccitato da mani al basso addome e preso da quegli eccitanti, con la lingua iniziai a pulire, mondare, asportare quei liquidi, che sempre più abbondanti fluivano dalla sua uretra. Per istinto, non so, apersi la bocca per tenere quell’allucinogeno al caldo. Succhiavo, suggevo, leccavo, bevevo. Era meraviglioso quello che stavo facendo, che stavo scoprendo. Non era più un gioco, ma un bisogno. Le mie cosce erano impiastricciate e umide, forse per le manipolazioni, per i massaggi, per le strizzate. La mia pancia chiedeva, manifestando i suoi pensieri con un turgore particolare del pene e con secrezioni anali. Ero preso dal bisogno dell’uomo e dal mio, per cui all’invito di sollevarmi, risposi con l’istinto, accettando le sue labbra sulle mie e una sua mano a stropicciarmi, a strofinarmi, a impastarmi il culo. La sua lingua, prima mi lavò il viso dai segni del suo precum e poi, penetrandomi la bocca mi asportò violentemente salive. Ero un fuscello nelle sue mani. Al suo bisogno rispondevo con il mio. Il mio corpo si apriva alle sue richieste, sino ad abbandonarsi placidamente, serenamente tra le sue braccia. Adagiato riverso sul piano del tavolo, in preda a piaceri snervanti, illanguidenti, con la testa fuori dal bordo, passivo, docile, accettavo, sfinito, inserimenti orali di otturazione e perlustrazioni di ricognizione con palpazioni e digitazioni al mio buco anale. Non reagii al tappo orale, né all’avermi piegato con le ginocchia flessemi sul volto. In preda al desiderio accettavo di essere pompato oralmente, mentre qualcosa di morbido, caldo, flessibile cercava di entrarmi nel retto. Non vedevo per aver dei grossi, villosi testicoli sugli occhi, ma percepivo con piacere i massaggi di dilatazione anale, sino a quando … forse ripreso dal nirvana in cui mi ritrovavo, forse … Non so: sta di fatto che l’urlo, ostacolato dal membro che tenevo in bocca, si trasformò in dolorosa contrazione, anche se ero bloccato agli arti da mani robuste, dure, decise. Quello, che avevo tra palato e lingua, sprofondò per arrestarsi in gola, mentre l’altro mi penetrava dilatandomi all’inverosimile l’ano e le viscere. Dolore, dolore, dolore che scorreva sino alle ultime falangi. Dall’estasi di godimento al male più acuto e tremendo. Dall’essere cullato fra le nuvole al trovarmi infilzato in uno spiedo rovente. Non urlavo più, forse migrato nel vuoto. Non percepivo neanche le mie urine che zampillavano per i colpi violenti, decisi che subivo al retto. La mia gola, che prima era di note musicali, ora diventava vineria di schiume e salse biancastre che inconsapevolmente deglutivo. La mia ampolla retale fu osteria, cantina e luogo di mescita di sperma. La mia valle del paradiso fu ridotta ad essere letto di creme sfatte, disciolte. Ero inerme alla mercé dei presenti, di cui percepivo gli sguardi brillare di libidine, in balia delle loro mani immondamente oscene che toccavano, esploravano o spalmavano creme che alcuni, non attendendo il turno per incularmi o imboccarmi, mi versavano sul corpo. Risate riecheggiavano nell’ampio salone, beffarde, sottolineando la mia condizione di sottomesso, di giocattolo per adulti. Sperimentavo un turbinio di sensazioni, che erompevano dal culo e dalla bocca, provocate da chi si svuotava dentro o mi scaricava addosso il suo sperma, del quale percepivo l’odore. Ero ridotto ad oggetto di puro piacere per i presenti. Esausto, stanco, con l’anello che accettava, che prendeva senza avvertire dolore, assecondai le loro mani nel sistemarmi carponi, esponendo così l’orifizio, che sgocciolava ciò, di cui ero stato imbottito, alla fame di lussuria dei partecipanti a quel festino carnale, che ancora allignava in sala. Un uomo, quanto mai irsuto, presomi per i capelli, mi fissò per mostrarmi ridendo quello che gli pendeva davanti: un qualcosa di poderoso con una erezione potente. Percepii la furia e il dolore di quella carica bestiale. Mi parve di essere nuovamente squartato e tutto quello che aveva subito fino ad allora, mi sembrò nulla. Ciò nonostante, in quell’amplesso ferino avvertii un profondo godimento reso più straordinario dalla erotica esaltazione del pubblico che mi circondava. In ogni caso, quello che subivo, era troppo. Con il cuore in fermento, vinto dall’emozione e privo di forze, persi i sensi.
Mi svegliai su un letto con gli arti fissati, con una flebo e con una mutandina per incontinenti, ben stretta, dalla cui chiusura fuoriusciva una cannula con chiazze dorate. La luce del giorno filtrando fra le fessure dei balconi ispirava allegria, ma … Perché ero legato, con una flebo ad un braccio, con quel panno assorbente da cui spuntava una cannula per l’escrezione urinaria. Un infermiere, delle fiale nella fleboclisi, …
“Finalmente, … Dottore, il ragazzo si è svegliato!” Dopo un po’ un camice azzurro mi era a fianco per informarmi e assicurarmi sul mio stato di salute. Avevo avuto un intervento. Per la mia sicurezza e per una mia pronta guarigione dovevo stare ancora bloccato al letto, prendendo, tramite ago, dei farmaci per curarmi e farmi riposare. Medicine e sonno mi dovevano condurre alla guarigione. Ogni mattino e sera, inoltre, dopo l’igiene che mi sarebbe stata fatta da un infermiere o dal medico, dovevo assumere uno sciroppo per conservare l’elasticità e la flessuosità dell’ugola. Il sonno mi prendeva e quindi … le voci erano lontane. Ero in uno stato di estrema debolezza, con un assopimento forzato, che mi permetteva di ascoltare voci, dialoghi, frasi come: “Il primo effetto dei farmaci con la cicatrizzazione sarà un aumento dei liquidi gelatinosi anali e questo lo noteremo con l’igiene, a cui seguirà l’attrazione per il profumo e da ultimo il colore dei capezzolini.” … e “Per lo sciroppo-sperma dobbiamo agire di sana virtù, ossia mungerci, per non incorrere in dicerie che potrebbero condurre ad indagini e questo non ce lo possiamo permettere.” Della prima frase non compresi nulla; della seconda non sapevo che cos’era lo sciroppo-sperma. Ero un ragazzetto, a cui piaceva il canto, gli encomi e gli applausi calorosi e fervidi che gli ascoltatori mi elargivano. Del fisico umano e delle sue reazioni a stimolazioni ero completamente all’oscuro, anche se a volte, al risveglio, mi ritrovavo con le mutandine pregne di una sostanza collosa e, del fatto, mi vergognavo, pensandola . Ero una voce bianca, un angioletto per i miei e per conoscenti. Della mia formazione, come dello sviluppo fisico, si interessavano i maggiorenti della confraternita della cattedrale e quelli non mi facevano mai mancare lodi ed incitamenti a proseguire nell’educazione della voce e nel prospettarmi con piacevoli lusinghe un futuro radioso nel gotha del canto e delle cerimonie ecclesiastiche. “Ai genitori abbiamo offerto una notevole cifra, più del dovuto, affinché non si interessino più del marmocchio; dopotutto lo abbiamo vestito e nutrito con i nostri cospicui doni, senza considerare il lavoro procurato al padre e alla madre. Unica loro soddisfazione sarà data dell’orgoglio di poterlo additare come loro figlio, senza mai più incontrarlo, perché il suo tempo sarà occupato dalla formazione, dalla preghiera, dal canto e dalle cerimonie, alle quali sarà invitato in città o anche dall’estero, come nostro ambasciatore del bel canto.” Sapevo dei soldi consegnati ai miei perché non interferissero nella mia formazione; ero a conoscenza del loro piacere-orgoglio nel sapermi inserito tra le voci bianche del coro della cattedrale; altre parole, come troietta, cagnetta, puttanella, … Oh, ero un ragazzino e avevo sonno. Dovevo ristabilirmi e riprendermi per poter cantare ancora. Loro parlavano che a causa del malore avuto, dovettero farmi sottoporre d’urgenza a un intervento al pene per salvarmi. Altro giorno, nuova medicazione con spiegazione che non potevano liberarmi per non compromettere il risultato dell’operazione. Igiene anale con asportazione di sudore e di sostanze-rifiuti organici, ma non cacca. Plausi, elogi e magnificazioni per il mio culetto: affermavano che con quello e con la voce avrei conquistato il mondo; che dovevo mostrarlo, farlo conoscere come facevo con la voce. Ridevo, mentre mi pulivano, nell’ascoltare quelle considerazioni, perché da educazione l’ho sempre coperto con mutande e braghette o con una divisa; però mi piaceva avere le loro mani sulle natiche, facendomi contrarre, sussultare ed ansare. Fastidio al pisello per cambio cannula e sacca. Nelle orine raccolte non c’era sangue. Niente cibo, solo flebo, nuove fiale ed inizio cura sciropposa per l’ugola. Era una crema biancastra, che il medico mi dava alle labbra con un cucchiaino, prendendola da un bicchiere. Dovevo gustarla con il disperderla in bocca per poi inghiottirla, ma altresì annusarla per educare l’olfato, poiché, essendo anche chierichetto, dovevo conoscere certi profumi. Non capivo. Mi sporcarono inoltre le labbra con la sua cremosità e pastosità. Per allenare la gola, mi fecero inghiottire tutta la panna del calice. Quel rito continuò per una decina di giorni al mattino e alla sera, sino a sentirlo un bisogno per il profumo e per il sapore. Ero felice quando mi davano quella medicina: la cercavo, la volevo per gustarla centellinandola con trepidazione, manifestata da una maggior sudorazione anale. Nel frattempo, leggermente posto sul fianco destro e sostenuto da uno dei due, iniziai la cura delle perette, evacuando in loro presenza sul pannolone aperto liquidi giallini, collosi, gelatinosi. Non mi vergognavo a mostrare il culo lasciato nelle loro mani e poi, mi piacevano in quell’area i massaggi, gli impastamenti, i tocchi, i pizzichi. Affermavano con il proseguo delle cure che il colore, la tonalità dell’anello stava girando al rosa, come i capezzolini, anzi che questi sembravano un po’ bombati, sericei, luminosi e molto più sensibili. Per loro stavo guarendo. Finalmente giunse il giorno, in cui mi liberarono gli arti. Ero felicissimo e li ringraziai baciandoli. Mi pulirono girando il mio fisico prima su un fianco e poi sull’altro, per sfilarmi alla fine anche la cannula senza sostituirla. Quanti giorni steso, legato al letto, impotente, dolente per la prolungata, necessaria postura e, ora, potevo con enorme piacere stare un po’ seduto o steso su un fianco; potevo controllarmi, tastarmi e … per loro ero prossimo ad essere messo in piedi. La cicatrice, anche interna si era perfettamente chiusa. Mi fecero controllare e … ma … non c’erano più le mie castagnole; c’era solo una sacca vuota.
Quel giorno, piegato sulle ginocchia e con la testa sul piano di un lettino medico, dopo un clistere a base di latte e panna, mi fecero una visita anale molto accurata e prolungata, per la quale, nel toccarmi punti sensibilissimi, eiaculai quietamente creme trasparenti come rugiada. Seppi che quei liquidi erano precum, sperma senza il seme, e, dalle loro spiegazioni, capii che non avrei generato, che non sarei mai stato padre. Non comprendevo, so solo che quel dito nel culo mi causava un eccezionale, immenso piacere, che divenne forte appagamento con il successivo, tranquillo, straordinario versamento. Ripresi ad assumere con cautela cibi solidi. Le cure e le perlustrazioni anali dopo l’igiene proseguirono, ma senza lo sciroppo, del quale dopo due giorni ne sentivo la mancanza, avvertendone un forte bisogno, che si chetò quando da silenzi, mute indicazioni e da profumi ne compresi la fonte e allora, senza chiedere, prima tastai e poi, preso dall’eccitazione, rilevando sempre più acuto quel profumo e sempre più necessario, scoprii l’oggetto da cui prelevavano lo sciroppo. Imparai a mungere, a succhiare, suggere per estrarre e bere il loro nettare. La confraternita organizzò per la mia guarigione una festa, nella quale avrei ingurgitato e assunto sperma anche dal culo. Ritornai al canto con la voce sempre più bella e un fisico implume, sericeo, delicato, rosato e sensibilissimo nei punti richiesti, molto caldo e affamato. Iniziai a girare da una cattedrale all’altra per la voce, ma anche per il mio essere da eunuco. Davo piacere sia prima che dopo il canto. Facevo soldi e tanti. Dai miei spostamenti verso l’estero venni a sapere il motivo dell’intervento. Da un maggiorente della città natia, fui ragguagliato su quella serata. Il chirurgo mi aveva asportato i testicoli nella stessa sala in cui persi la verginità, in cui il mio culo venne lacerato, dal quale fluiva abbondante sperma rigato di rosso. Me li tolse davanti a tutti, pur con tanta sborra sul corpo e sul viso, dando poi le mie castagnette, tagliate a fettine sottili, per comunione, ai presenti. Per l’oltraggio subito dell’asportazione sul palco, in cui mi lacerarono e ricopersero di sborra, dei testicoli dati in pasto ai partecipanti all’orgia e delle continue menzogne sulla mia salute, mi impegnai a rompere i disegni dei sostenitori economici dei cori di voci bianche, la maggior parte dei quali appartenenti a vecchie casate ammuffite, corrose e marce dai vizi. Sarei stato comunque un omosessuale passivo, avrei accettato anche l’asportazione dei testicoli per mantenere la voce, ma quello che mi fecero con le fandonie dettemi non lo dimenticherò mai. In seguito, un’indagine con successivo processo, a cui ero stato invitato sia come teste che, come offeso, condannò un primario e un frate. Non deposi per non conoscere i fatti ed opponendomi alla richiesta di farmi visitare. Il mio privato era mio e non del tribunale e dei media. Stavo bene nel mio eremo, nella mia casa fuori città. Dei miei genitori non mi interessai: ero da loro stato venduto per un decimo della cifra che la confraternita aveva raccolto da cardinali, capigabinetto di ministeri e segretari per essere presente e partecipare al mio stupro e alle sevizie che seguirono. Celestino è il ragazzo che ero io. La mia coscienza non mi avrebbe perdonato che mani rognose, ripugnanti, indisponenti, moleste lo profanassero e allora mi son deciso ad averlo con una cifra altissima per possederlo e non potendo farlo di persona, lo avrei consegnato, dopo averlo preparato, all’essere che più mi è vicino, che più mi è intimo e caro. Almeno lui lo ringrazierà, dopo averlo preso, facendolo urlare di piacere, facendolo sentire femmina, cagna fecondata. Inoltre, ho richiesto la presenza del fratello, sembrante una pronuba, affinché usi la lingua per inturgidire e poi, dopo il coito, per pulire la verga e il culo del cane.

scritto il
2023-07-09
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