Le sante mogli 4.1
di
Troy2a
genere
tradimenti
Matilde continuava a girare il telefonino tra le mani, guardando il figlio davanti a sé. Aveva lasciato che parlasse a lungo e che provasse, una volta di più, a perorare le virtù della moglie.
“Ho sposato una santa, mamma! Ma tu non lo capisci. Stamattina, tornando dal mercato, siamo passati dalla piazza. Sul sagrato della Chiesa, don Flavio parlava con una parrocchiana. Milena mi ha detto di venire a casa e lei si è fermata da lui a farsi confessare. Ed era già la terza volta in questa settimana.”
Aveva dovuto farsi forza per non ridergli in faccia, a quel figlio così ingenuo. Ma aveva continuato ad ascoltare, mentre pensava al momento giusto in cui tirare fuori da quel telefonino le foto che aveva fatto. Chi, meglio di lei, conosceva la sagrestia? Quante volte si era incontrata lì col vecchio don Vittorio, “confessandosi” almeno tre volte a settimana? E forse nessun altro sapeva che, nella scala che portava al campanile, c’era una fessura, all’altezza del quinto gradino; poco più di un buco, ma grande quanto basta per inquadrare la piccola sagrestia, senza essere visti. Non erano molti neanche quelli che sapevano che alla scala del campanile si accedeva sia dalla sagrestia che dal retro dell’altare. Lei, naturalmente, era una di queste e aveva guardato attentamente quasi tutta la “confessione”. L’aveva guardata spogliarsi e posare sullo schienale dell’inginocchiatoio le piccole tettine, sormontate da due capezzoli incredibilmente turgidi dall’eccitazione ed attendere, lingua in fuori, che don Flavio le offrisse il suo personalissimo omaggio. Aveva dovuto ammettere, da esperta qual era, che la nuora ci sapeva davvero fare. Senza mai toccare il cazzo con le mani, lo trastullava con la lingua, lo accoglieva tra le labbra, che si protendevano in avanti carnose e morbide, mentre volgeva verso il prete uno sguardo carico di devozione.
E lei scattava!
Aveva fatto in modo che l’apparecchio emettesse il finto rumore dell’otturatore che si chiude nell’attimo in cui cattura l’immagine. Guardava i due amanti dallo schermo del telefonino e scattava foto su foto. Mentalmente sceglieva, suo malgrado, quelle più eccitanti. Come quella dell’attimo in cui Milena si era alzata dall’inginocchiatoio e aveva posato le mani sulla spalliera, protendendo indietro il culo perfettto, sodo e tonico, offrendolo in sacrificio al prete, che lo aveva accettato, restituendole, in cambio, un godimento che lei non si curava di trattenere, sicuri come erano di esser soli. I capelli neri di lei ondeggiavano al ritmo dei colpi che don Flavio continuava ad assestarle e in una foto il suo sguardo felice trapelava tra i ciuffi mossi che le si scompigliavano sulla fronte.
In un’altra, tra un buco e l’altro, per dirla così, le loro lingue si intrecciavano, mentre le mani di lui si chiudevano sui seni a coppetta di lei. Si era eccitata, cazzo: non era mai stata di pietra e guardare quei due le avevano fatto colare qualcosa tra le gambe e salire una voglia che, se non avesse avuto l’ingrato compito di fotografare, avrebbe provato a soddisfare sgrillettandosi. Ma il dovere è dovere, aveva pensato, ed avrebbe potuto dimostrare al figlio che quello che pensava della nuora era vero, senza possibilità di errore.
Quanto l’aveva invidiata, quando il cazzo del prete (ma sti preti che cazzo hanno tutti quanti, aveva pensato, ricordando il magnifico attrezzo di don Vittorio) era sprofondato, una volta di più, nella fica di lei, che, urlando, aveva squirtato così tanto da essere visibile nell’ennesima foto.
Ma che puttana che era, sua nuora! Proprio come aveva capito lei al primo sguardo. Tra troie si riconosce, pensò, ricordando quanto lo era stata lei e quanto cornuto avesse reso suo marito, senza che lui si rendesse mai conto di nulla. Che dolce formicolio tra le gambe! Quanto avrebbe voluto uscire ed unirsi a loro! La sua mente, ora, era immersa in pensieri peccaminosi, che la ringiovanivano di venti anni almeno.
Un tonfo sordo sul muro la riportò alla realtà. Guardò lo schermo del telefonino: inquadrava solo un capezzolo di Milena in primissimo piano. Don Flavio l’aveva sbattuta sul muro, lì, ad un passo da lei ed ora, probabilmente, la stava nuovamente sodomizzando. Sentiva i gemiti sordi di Milena ed i rantolii di lui, ma poteva solo immaginare la scena: erano troppo vicini perché l’inquadratura potesse essere completa. Mise il telefonino nella tasca della giacca e finalmente poté accarezzarsi la fica in fiamme. Le bastarono pochi attimi per raggiungere un orgasmo che, probabilmente, sarebbe arrivato comunque per l’enorme eccitazione. Dovette soffocare nella gola l’urlo che le partiva dal basso ventre. Capii che non poteva più stare lì, che doveva andarsene prima di tradirsi. D’altronde aveva una quantità enorme di foto da mostrare a suo figlio.
Avrebbe anticipato Milena e le avrebbe preparato una bella sorpresa nel momento in cui fosse rientrata a casa.
Ed ora era lì ad attenderla ed ad ascoltare suo figlio, mentre le sue convinzioni, la sua determinazione si smorzavano, come una candela che abbia già arso troppo a lungo sotto la pioggia.
Guardò il telefono e poi guardò il figlio, proprio mentre lui, ancora una volta, le diceva di aver sposato una santa. Ripose il cellulare nella tasca da cui era uscito: in fondo, quel figlio così ingenuo, le corna se le meritava, proprio come quel coglione di suo padre e che la storia continui.
In quell’attimo si aprì la porta e Milena entrò. Matilde guardò il look dimesso e casto: il tailleur grigio con la gonna appena sopra al ginocchio e la giacca abbottonata, come pure abbottonata fino al collo era la camicia sotto, gli occhiali spessi un po’ retrò ed il trucco appena appena accennato. Le sorrise e la nuora ricambiò il sorriso, abbassando leggermente lo sguardo. Matilde le si avvicinò e la abbracciò:
“Ciao, Milena! È bello vederti così serena ed in pace col mondo: qualunque cosa sia, a renderti così beata, non rinunciarci mai!”
La baciò sulla fronte e poi baciò il figlio, carezzandogli la fronte come a voler sentire quanto fossero cresciute le corna; sorrise anche a lui ed andò via!
“Ho sposato una santa, mamma! Ma tu non lo capisci. Stamattina, tornando dal mercato, siamo passati dalla piazza. Sul sagrato della Chiesa, don Flavio parlava con una parrocchiana. Milena mi ha detto di venire a casa e lei si è fermata da lui a farsi confessare. Ed era già la terza volta in questa settimana.”
Aveva dovuto farsi forza per non ridergli in faccia, a quel figlio così ingenuo. Ma aveva continuato ad ascoltare, mentre pensava al momento giusto in cui tirare fuori da quel telefonino le foto che aveva fatto. Chi, meglio di lei, conosceva la sagrestia? Quante volte si era incontrata lì col vecchio don Vittorio, “confessandosi” almeno tre volte a settimana? E forse nessun altro sapeva che, nella scala che portava al campanile, c’era una fessura, all’altezza del quinto gradino; poco più di un buco, ma grande quanto basta per inquadrare la piccola sagrestia, senza essere visti. Non erano molti neanche quelli che sapevano che alla scala del campanile si accedeva sia dalla sagrestia che dal retro dell’altare. Lei, naturalmente, era una di queste e aveva guardato attentamente quasi tutta la “confessione”. L’aveva guardata spogliarsi e posare sullo schienale dell’inginocchiatoio le piccole tettine, sormontate da due capezzoli incredibilmente turgidi dall’eccitazione ed attendere, lingua in fuori, che don Flavio le offrisse il suo personalissimo omaggio. Aveva dovuto ammettere, da esperta qual era, che la nuora ci sapeva davvero fare. Senza mai toccare il cazzo con le mani, lo trastullava con la lingua, lo accoglieva tra le labbra, che si protendevano in avanti carnose e morbide, mentre volgeva verso il prete uno sguardo carico di devozione.
E lei scattava!
Aveva fatto in modo che l’apparecchio emettesse il finto rumore dell’otturatore che si chiude nell’attimo in cui cattura l’immagine. Guardava i due amanti dallo schermo del telefonino e scattava foto su foto. Mentalmente sceglieva, suo malgrado, quelle più eccitanti. Come quella dell’attimo in cui Milena si era alzata dall’inginocchiatoio e aveva posato le mani sulla spalliera, protendendo indietro il culo perfettto, sodo e tonico, offrendolo in sacrificio al prete, che lo aveva accettato, restituendole, in cambio, un godimento che lei non si curava di trattenere, sicuri come erano di esser soli. I capelli neri di lei ondeggiavano al ritmo dei colpi che don Flavio continuava ad assestarle e in una foto il suo sguardo felice trapelava tra i ciuffi mossi che le si scompigliavano sulla fronte.
In un’altra, tra un buco e l’altro, per dirla così, le loro lingue si intrecciavano, mentre le mani di lui si chiudevano sui seni a coppetta di lei. Si era eccitata, cazzo: non era mai stata di pietra e guardare quei due le avevano fatto colare qualcosa tra le gambe e salire una voglia che, se non avesse avuto l’ingrato compito di fotografare, avrebbe provato a soddisfare sgrillettandosi. Ma il dovere è dovere, aveva pensato, ed avrebbe potuto dimostrare al figlio che quello che pensava della nuora era vero, senza possibilità di errore.
Quanto l’aveva invidiata, quando il cazzo del prete (ma sti preti che cazzo hanno tutti quanti, aveva pensato, ricordando il magnifico attrezzo di don Vittorio) era sprofondato, una volta di più, nella fica di lei, che, urlando, aveva squirtato così tanto da essere visibile nell’ennesima foto.
Ma che puttana che era, sua nuora! Proprio come aveva capito lei al primo sguardo. Tra troie si riconosce, pensò, ricordando quanto lo era stata lei e quanto cornuto avesse reso suo marito, senza che lui si rendesse mai conto di nulla. Che dolce formicolio tra le gambe! Quanto avrebbe voluto uscire ed unirsi a loro! La sua mente, ora, era immersa in pensieri peccaminosi, che la ringiovanivano di venti anni almeno.
Un tonfo sordo sul muro la riportò alla realtà. Guardò lo schermo del telefonino: inquadrava solo un capezzolo di Milena in primissimo piano. Don Flavio l’aveva sbattuta sul muro, lì, ad un passo da lei ed ora, probabilmente, la stava nuovamente sodomizzando. Sentiva i gemiti sordi di Milena ed i rantolii di lui, ma poteva solo immaginare la scena: erano troppo vicini perché l’inquadratura potesse essere completa. Mise il telefonino nella tasca della giacca e finalmente poté accarezzarsi la fica in fiamme. Le bastarono pochi attimi per raggiungere un orgasmo che, probabilmente, sarebbe arrivato comunque per l’enorme eccitazione. Dovette soffocare nella gola l’urlo che le partiva dal basso ventre. Capii che non poteva più stare lì, che doveva andarsene prima di tradirsi. D’altronde aveva una quantità enorme di foto da mostrare a suo figlio.
Avrebbe anticipato Milena e le avrebbe preparato una bella sorpresa nel momento in cui fosse rientrata a casa.
Ed ora era lì ad attenderla ed ad ascoltare suo figlio, mentre le sue convinzioni, la sua determinazione si smorzavano, come una candela che abbia già arso troppo a lungo sotto la pioggia.
Guardò il telefono e poi guardò il figlio, proprio mentre lui, ancora una volta, le diceva di aver sposato una santa. Ripose il cellulare nella tasca da cui era uscito: in fondo, quel figlio così ingenuo, le corna se le meritava, proprio come quel coglione di suo padre e che la storia continui.
In quell’attimo si aprì la porta e Milena entrò. Matilde guardò il look dimesso e casto: il tailleur grigio con la gonna appena sopra al ginocchio e la giacca abbottonata, come pure abbottonata fino al collo era la camicia sotto, gli occhiali spessi un po’ retrò ed il trucco appena appena accennato. Le sorrise e la nuora ricambiò il sorriso, abbassando leggermente lo sguardo. Matilde le si avvicinò e la abbracciò:
“Ciao, Milena! È bello vederti così serena ed in pace col mondo: qualunque cosa sia, a renderti così beata, non rinunciarci mai!”
La baciò sulla fronte e poi baciò il figlio, carezzandogli la fronte come a voler sentire quanto fossero cresciute le corna; sorrise anche a lui ed andò via!
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