Offerta speciale
di
Troy2a
genere
incesti
Ho incontrato Arturo, per caso, in un supermercato: io fresca di separazione, dopo vent’anni di matrimonio, senza figli. Mio marito, all’improvviso, aveva cominciato ad essere irritabile, mi rimproverava di non essere stata capace di dargli un figlio. Io avevo subito, passiva, per un paio d’anni: mi limitavo a piangere nei miei momenti sola. Momenti? I momenti erano quelli in cui mio marito era cone me… ed erano momenti brutti. Poi mi ero decisa a lasciarlo, ma non credo che a lui sia fregato più di tanto.
Ero lì, tra gli scaffali, cercando di raggiungere un pacco di biscotti troppo in alto per il mio metro e sessanta; lui era passato di là, aveva preso il pacco di biscotti, depositandolo delicatamente nel mio carrello. Alto, bello, qualche anno più di me; lo ringraziai con un sorriso e continuammo, ognuno per la sua strada. Ci ritrovammo alla cassa, lui davanti a me.
“Prego, signora! Passi pure. Ha solo quattro cose.”
“Ma no! Anche lei ha poco!”
“In casa siamo solo due: io e mio figlio! Purtroppo, mia moglie è morta da qualche anno!”
“Anche io sono sola, ma perché il mio matrimonio è andato a rotoli. Cose che capitano!”
La fila andava avanti e arrivò il nostro turno. Cedetti alle sue insistenze e passai, ma attesi che anche lui saldasse la spesa.
“Bene! Io mi chiamo Antonella. È stato un piacere!”
“Io Arturo, ma, se è stato un piacere, perché non prendiamo un caffè insieme?”
Non so più quanto tempo fosse passato da quando un uomo mi aveva invitato a fare qualcosa con lui: accettai volentieri e presto diventò un’abitudine uscire insieme. Mi piaceva, Arturo, anche se non posso dire di essermene innamorata al primo sguardo, ma, col passare del tempo, mi affezionai a lui. Mi sentivo anche attratta sessualmente e mi chiedevo se anche a lui piacessi sotto quel profilo, nonostante avessi qualche chilo in eccesso ed, in particolare, i miei fianchi fossero importanti. Quando mi chiese di fare l’amore, accettai senza riserve, anche se mi portò in un b&b poco fuori città. Mi spiegò di dover preparare suo figlio, ma lì per lì non gli credetti.
Poi, un sabato pomeriggio, seduti al nostro solito caffè, mi propose di andare a cena da lui, che aveva accennato a Fulvio, il figlio, di questa evenienza e che lui non aveva obiettato nulla. Non ci pensai troppo, prima di accettare: tornai a casa e mi preparai. Non so perché scelsi un abbigliamento un tantino audace, che non era il mio solito: una camicetta chiara, quasi trasparente ed una gonna decisamente sopra al ginocchio. Sotto, tuttavia, indossavo u intimo castigato, anche se il reggiseno spingeva in alto la mie tette, offrendone un ampio scorcio alla vista, attraverso la scollatura della camicia. Raggiunsi Arturo, all’indirizzo che mi aveva indicato: ad essere sincera, avrei preferito un campo neutro per il primo incontro col figlio, non dico un ristorante, mi sarei accontentata di una pizzeria.
Venne ad aprirmi un ragazzo sui vent’anni, Fulvio: alto come il padre, muscoloso come lui, bello come lui. Tesi la mano.
“Ciao! Io sono Antonella!” restai con la mano sospesa alcuni istanti, prima che lui si ridestasse e me la stringesse, presentandosi a sua volta. Avevo notato che era rimasto a fissarmi il seno, ma, stranamente, non mi sentivo imbarazzata. Neanche eccitata: credo che gratificata sia il termine che meglio descriva la sensazione che quel ragazzino mi aveva fatto provare. Mi fece strada fino alla cucina, attraversando una piccola sala da pranzo, con il tavolo già pronto, apparecchiato per tre.
“Se vuoi, io posso anche uscire!” mi disse Fulvio, tornando a fissare il suo sguardo sulle mie tette.
“Perché? Credo che tuo padre abbia organizzato questo invito per permettere a noi due di conoscerci, no? Mi sembri simpatico, ma ne abbiamo di strada da fare. Credo!”
“Anche tu ni piaci….” Lasciò la frase a metà e immaginai volesse dire che gli piacesse anche il mio seno.
“Arturo, in cucina, si arrabattava ancora con le ultime cose. Lo salutai con un bacio e mi misi ad aiutarlo, come fossi già la padrona di casa.
“Potresti sporcarti!”
“Laverò!”
Fulvio arrivò con tre calici di rosso.
“Alla nostra salute!”
Bevemmo, finimmo di preparare, mangiammo con gli occhi del ragazzo che continuavano a cadere sulle mie tette.
S’era fatto tardi. Accennai ad andare, ma Fulvio propose
“Perché non ti fermi a dormire? A quest’ora non è bello andare in giro da sola.”
“Ma sì: potresti dormire nel letto di Fulvio e lui con me…” continuò Arturo. Mi sfuggii un sorriso.
“Non essere ridicolo, papi! Non sono mica un bambino. Potete dormire nel lettone, insieme. Ed io manterrò la mia camera.”
Io e Arturo ci guardammo un attimo: sinceramente, non avevo voglia di mettermi per strada ed, ancor più sinceramente, non avevo voglia di dormire un’altra notte da sola. Vidi che lui tentennava e presi l’iniziativa.
“Per me va bene, se anche voi siete d’accordo!”
Arturo mi chiese di sposarlo quella serastessa, dopo aver fatto l’amore e, di fatto, non me ne andai più da quella casa.
Fulvio continuava a guardarmi il seno ed anche le gambe, che ora capitava spesso fossero meno coperte, quando al mattino mi alzavo con la mia camicia da notte. Capitò un giorno che aveva scordato di mettere il reggiseno ed i capezzoli trasparivano il loro brunito, esibendosi agli occhi del ragazzo.
“Birichino!” gli dissi con un sorriso, mentre gli portavo il caffè e lui non staccava gli occhi da quella vista “Ma non hai mai visto due mammelle alla tua età!”
“Scusami!” si fermò, deglutii a fatica “Sì!”
“Sì cosa?”
“Sì: ne ho già viste altre e tante.”
“E allora?”
Rimase in silenzio, sorseggiando a fatica il caffè: decisi che non era il caso di imbarazzarlo oltre.
Poi, una sera, passai a dargli la buonanotte: lo facevo tutte le sere e tutte le sere lo trovavo steso sul letto, col cellulare in mano.
“Buonanotte!”
“Buonanotte, mamma!” era la prima volta che mi chiamava così. Stavo uscendo scioccata dalla sua camera. “E… mamma!”
“Cosa c’è?”
“Il bacino della buonanotte?”
Tornai sui miei passi, avvicinandomi al suo letto; sedetti sul bordo e lo guardai, mentre, ancora una volta, lui fissava il mio seno.
“Mi sembri un po’ cresciuto per il bacino della buonanotte sulla fronte!” lo apostrofai. Poi, non so cosa mi prese, gli abbassai i pantaloni ed i boxer, avvicinai le labbra al suo cazzo, mezzo moscio, e lo baciai sulla cappella. Un bacio fugace, cui aggiunsi che doveva essere il nostro segreto.e me ne andai a dormire, dove Arturo mi aspettava con ben altri propositi.
Il bacino della buonanotte diventò un rito quotidiano e devo ammettere che non mi dispiacesse affatto, anzi avevo preso ad accompagnarlo con una piccola leccatina. Poi, una sera, dopo che gli avevo dato il solito, Fulvio azzardò
“Anch’io voglio darti la buonanotte!”
Abbassai la testa verso la sua bocca.
“Anche tu mi sembri un po’ cresciuta, per una buonanotte così!”
“E dove vorresti darmi questo bacino?” chiesi tra lo speranzoso e l’impaurito. Lui non rispose: tirò fuori il mio seno dalla camicia da notte e se ne impossessò con la bocca. Mancò poco che raggiungessi un orgasmo solo con quel mulinare della sua lingua sui miei capezzoli. Speravo che si fermasse, ma non volevo: mi tirò giù sul suo letto, mi abbassò gli slip, senza che opponessi resistenza, afferrò il mio clitoride trai denti e prese a tempestarlo di rapidissimi colpi di lingua. Stavolta non ce la feci proprio e faticai a trattenere la manifestazione del mio orgasmo in un soppresso gemito che Arturo non potesse sentire. Mi lasciò andare e stavolta fui io a pretendere i servigi di mio marito.
Non sono sicura di aver mai pensato che fosse un errore: di sicuro, quando l’indomani mi sentii cingere dalle braccia di Fulvio e sentii la sua prepotente erezione, pensai di aver voglia di quel cazzo senza se e senza ma. Approfittando che Arturo fosse già uscito, lasciai che Fulvio mi scopasse sul tavolo della cucina, con tutta l’irruenza dei suoi giovani anni, con tutta la mia voglia di godere e di urlare il mio piacere, ora che potevo.
“Ti amo, mamma! Ti amo dal primo giorno che sei entrata in questa casa!” attaccai le mie labbra alle sue come una ventosa.
“Ti amo anche io, piccolo! Ti amo come amo tuo padre. Non so spiegartelo, ma è così! Ma perché mi chiami mamma anche quando siamo soli?”
“Perché sarebbe difficile chiamarti mamma in pubblico e Antonella in privato, perché legalmente sei la mia mamma, perché mi piace di più così!” Parlava e continuava ad assestarmi colpi decisi, quasi violenti che mi portavano in paradiso. Lui e suo padre avevano modi così diversi di fare l’amore ed io non sono mai stata capace di dire quale dei due mi piacesse di più. Diventai la moglie del padre e l’amante del figlio, imparai a godere anche col culo e, dulcis in fundo, dopo un paio di mesi mi accorsi di aspettare un figlio. Di chi era? Al termine di un momento di intimità, ne parlai con Fulvio e lui mi sorprese con la sua maturità
“Che ti importa? Avrà il cognome di suo padre, no? Per me sarà mio fratello, comunque. Gli vorrò bene e non mi interesserà mai sapere se sia mio o di mio padre. Voglio solo che tu continui ad amarmi, come fino ad oggi.”
Facemmo l’amore di nuovo, come non l’avessimo mai fatto: felici di quel nostro amore così strano.
Rimpiangevo solo di aver trascorso vent’anni della mia vita con un bastardo impotente, che aveva lasciato che credessi fossi io a non poter essere madre. Lo avevo amato così tanto da non mettere mai in dubbio la sua virilità.
Ora, però, finalmente conoscevo la vera felicità tra le braccia di mio marito e del mio figlio acquisito. Quel piccolo depravato, quando gli dicevo questa cosa, mi canzonava dicendo che lui la stava conoscendo tra le mie gambe, ma io so che mi amava allora, proprio come ancora mi ama… e mi fa godere!
Ero lì, tra gli scaffali, cercando di raggiungere un pacco di biscotti troppo in alto per il mio metro e sessanta; lui era passato di là, aveva preso il pacco di biscotti, depositandolo delicatamente nel mio carrello. Alto, bello, qualche anno più di me; lo ringraziai con un sorriso e continuammo, ognuno per la sua strada. Ci ritrovammo alla cassa, lui davanti a me.
“Prego, signora! Passi pure. Ha solo quattro cose.”
“Ma no! Anche lei ha poco!”
“In casa siamo solo due: io e mio figlio! Purtroppo, mia moglie è morta da qualche anno!”
“Anche io sono sola, ma perché il mio matrimonio è andato a rotoli. Cose che capitano!”
La fila andava avanti e arrivò il nostro turno. Cedetti alle sue insistenze e passai, ma attesi che anche lui saldasse la spesa.
“Bene! Io mi chiamo Antonella. È stato un piacere!”
“Io Arturo, ma, se è stato un piacere, perché non prendiamo un caffè insieme?”
Non so più quanto tempo fosse passato da quando un uomo mi aveva invitato a fare qualcosa con lui: accettai volentieri e presto diventò un’abitudine uscire insieme. Mi piaceva, Arturo, anche se non posso dire di essermene innamorata al primo sguardo, ma, col passare del tempo, mi affezionai a lui. Mi sentivo anche attratta sessualmente e mi chiedevo se anche a lui piacessi sotto quel profilo, nonostante avessi qualche chilo in eccesso ed, in particolare, i miei fianchi fossero importanti. Quando mi chiese di fare l’amore, accettai senza riserve, anche se mi portò in un b&b poco fuori città. Mi spiegò di dover preparare suo figlio, ma lì per lì non gli credetti.
Poi, un sabato pomeriggio, seduti al nostro solito caffè, mi propose di andare a cena da lui, che aveva accennato a Fulvio, il figlio, di questa evenienza e che lui non aveva obiettato nulla. Non ci pensai troppo, prima di accettare: tornai a casa e mi preparai. Non so perché scelsi un abbigliamento un tantino audace, che non era il mio solito: una camicetta chiara, quasi trasparente ed una gonna decisamente sopra al ginocchio. Sotto, tuttavia, indossavo u intimo castigato, anche se il reggiseno spingeva in alto la mie tette, offrendone un ampio scorcio alla vista, attraverso la scollatura della camicia. Raggiunsi Arturo, all’indirizzo che mi aveva indicato: ad essere sincera, avrei preferito un campo neutro per il primo incontro col figlio, non dico un ristorante, mi sarei accontentata di una pizzeria.
Venne ad aprirmi un ragazzo sui vent’anni, Fulvio: alto come il padre, muscoloso come lui, bello come lui. Tesi la mano.
“Ciao! Io sono Antonella!” restai con la mano sospesa alcuni istanti, prima che lui si ridestasse e me la stringesse, presentandosi a sua volta. Avevo notato che era rimasto a fissarmi il seno, ma, stranamente, non mi sentivo imbarazzata. Neanche eccitata: credo che gratificata sia il termine che meglio descriva la sensazione che quel ragazzino mi aveva fatto provare. Mi fece strada fino alla cucina, attraversando una piccola sala da pranzo, con il tavolo già pronto, apparecchiato per tre.
“Se vuoi, io posso anche uscire!” mi disse Fulvio, tornando a fissare il suo sguardo sulle mie tette.
“Perché? Credo che tuo padre abbia organizzato questo invito per permettere a noi due di conoscerci, no? Mi sembri simpatico, ma ne abbiamo di strada da fare. Credo!”
“Anche tu ni piaci….” Lasciò la frase a metà e immaginai volesse dire che gli piacesse anche il mio seno.
“Arturo, in cucina, si arrabattava ancora con le ultime cose. Lo salutai con un bacio e mi misi ad aiutarlo, come fossi già la padrona di casa.
“Potresti sporcarti!”
“Laverò!”
Fulvio arrivò con tre calici di rosso.
“Alla nostra salute!”
Bevemmo, finimmo di preparare, mangiammo con gli occhi del ragazzo che continuavano a cadere sulle mie tette.
S’era fatto tardi. Accennai ad andare, ma Fulvio propose
“Perché non ti fermi a dormire? A quest’ora non è bello andare in giro da sola.”
“Ma sì: potresti dormire nel letto di Fulvio e lui con me…” continuò Arturo. Mi sfuggii un sorriso.
“Non essere ridicolo, papi! Non sono mica un bambino. Potete dormire nel lettone, insieme. Ed io manterrò la mia camera.”
Io e Arturo ci guardammo un attimo: sinceramente, non avevo voglia di mettermi per strada ed, ancor più sinceramente, non avevo voglia di dormire un’altra notte da sola. Vidi che lui tentennava e presi l’iniziativa.
“Per me va bene, se anche voi siete d’accordo!”
Arturo mi chiese di sposarlo quella serastessa, dopo aver fatto l’amore e, di fatto, non me ne andai più da quella casa.
Fulvio continuava a guardarmi il seno ed anche le gambe, che ora capitava spesso fossero meno coperte, quando al mattino mi alzavo con la mia camicia da notte. Capitò un giorno che aveva scordato di mettere il reggiseno ed i capezzoli trasparivano il loro brunito, esibendosi agli occhi del ragazzo.
“Birichino!” gli dissi con un sorriso, mentre gli portavo il caffè e lui non staccava gli occhi da quella vista “Ma non hai mai visto due mammelle alla tua età!”
“Scusami!” si fermò, deglutii a fatica “Sì!”
“Sì cosa?”
“Sì: ne ho già viste altre e tante.”
“E allora?”
Rimase in silenzio, sorseggiando a fatica il caffè: decisi che non era il caso di imbarazzarlo oltre.
Poi, una sera, passai a dargli la buonanotte: lo facevo tutte le sere e tutte le sere lo trovavo steso sul letto, col cellulare in mano.
“Buonanotte!”
“Buonanotte, mamma!” era la prima volta che mi chiamava così. Stavo uscendo scioccata dalla sua camera. “E… mamma!”
“Cosa c’è?”
“Il bacino della buonanotte?”
Tornai sui miei passi, avvicinandomi al suo letto; sedetti sul bordo e lo guardai, mentre, ancora una volta, lui fissava il mio seno.
“Mi sembri un po’ cresciuto per il bacino della buonanotte sulla fronte!” lo apostrofai. Poi, non so cosa mi prese, gli abbassai i pantaloni ed i boxer, avvicinai le labbra al suo cazzo, mezzo moscio, e lo baciai sulla cappella. Un bacio fugace, cui aggiunsi che doveva essere il nostro segreto.e me ne andai a dormire, dove Arturo mi aspettava con ben altri propositi.
Il bacino della buonanotte diventò un rito quotidiano e devo ammettere che non mi dispiacesse affatto, anzi avevo preso ad accompagnarlo con una piccola leccatina. Poi, una sera, dopo che gli avevo dato il solito, Fulvio azzardò
“Anch’io voglio darti la buonanotte!”
Abbassai la testa verso la sua bocca.
“Anche tu mi sembri un po’ cresciuta, per una buonanotte così!”
“E dove vorresti darmi questo bacino?” chiesi tra lo speranzoso e l’impaurito. Lui non rispose: tirò fuori il mio seno dalla camicia da notte e se ne impossessò con la bocca. Mancò poco che raggiungessi un orgasmo solo con quel mulinare della sua lingua sui miei capezzoli. Speravo che si fermasse, ma non volevo: mi tirò giù sul suo letto, mi abbassò gli slip, senza che opponessi resistenza, afferrò il mio clitoride trai denti e prese a tempestarlo di rapidissimi colpi di lingua. Stavolta non ce la feci proprio e faticai a trattenere la manifestazione del mio orgasmo in un soppresso gemito che Arturo non potesse sentire. Mi lasciò andare e stavolta fui io a pretendere i servigi di mio marito.
Non sono sicura di aver mai pensato che fosse un errore: di sicuro, quando l’indomani mi sentii cingere dalle braccia di Fulvio e sentii la sua prepotente erezione, pensai di aver voglia di quel cazzo senza se e senza ma. Approfittando che Arturo fosse già uscito, lasciai che Fulvio mi scopasse sul tavolo della cucina, con tutta l’irruenza dei suoi giovani anni, con tutta la mia voglia di godere e di urlare il mio piacere, ora che potevo.
“Ti amo, mamma! Ti amo dal primo giorno che sei entrata in questa casa!” attaccai le mie labbra alle sue come una ventosa.
“Ti amo anche io, piccolo! Ti amo come amo tuo padre. Non so spiegartelo, ma è così! Ma perché mi chiami mamma anche quando siamo soli?”
“Perché sarebbe difficile chiamarti mamma in pubblico e Antonella in privato, perché legalmente sei la mia mamma, perché mi piace di più così!” Parlava e continuava ad assestarmi colpi decisi, quasi violenti che mi portavano in paradiso. Lui e suo padre avevano modi così diversi di fare l’amore ed io non sono mai stata capace di dire quale dei due mi piacesse di più. Diventai la moglie del padre e l’amante del figlio, imparai a godere anche col culo e, dulcis in fundo, dopo un paio di mesi mi accorsi di aspettare un figlio. Di chi era? Al termine di un momento di intimità, ne parlai con Fulvio e lui mi sorprese con la sua maturità
“Che ti importa? Avrà il cognome di suo padre, no? Per me sarà mio fratello, comunque. Gli vorrò bene e non mi interesserà mai sapere se sia mio o di mio padre. Voglio solo che tu continui ad amarmi, come fino ad oggi.”
Facemmo l’amore di nuovo, come non l’avessimo mai fatto: felici di quel nostro amore così strano.
Rimpiangevo solo di aver trascorso vent’anni della mia vita con un bastardo impotente, che aveva lasciato che credessi fossi io a non poter essere madre. Lo avevo amato così tanto da non mettere mai in dubbio la sua virilità.
Ora, però, finalmente conoscevo la vera felicità tra le braccia di mio marito e del mio figlio acquisito. Quel piccolo depravato, quando gli dicevo questa cosa, mi canzonava dicendo che lui la stava conoscendo tra le mie gambe, ma io so che mi amava allora, proprio come ancora mi ama… e mi fa godere!
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