Il convento sulk monte: il maresciallo
di
Troy2a
genere
etero
Il lunedì, di buon ora, uscii per una commissione importante: dovevo incontrare una persona e credevo di sapere dove cercarla. La porta, naturalmente, non si chiudeva: avevo trascorso la notte puntellandola con la mia scrivania, ma uscendo mi sarebbe stato impossibile fare lo stesso. Così incaricai uno dei pazienti che, nonostante l’ora ed il gelo polare, attendevano già di essere ammessi in ambulatorio di tenerla d’occhio e, per quanto possibile, chiusa. L’osteria del Ponta era solo a pochi passi: bastava svoltare l’angolo. Non mi ero sbagliato: tra i 4 o 5 avventori, già mezzo avvinazzati, c’era anche lui, il maresciallo Piratti, seduto ad un tavolino, con il suo degno compare, il Sindaco Rondolini. In verità, il sindaco aveva dinanzi un bianchetto ed, a giudicare dal rossore delle gote, non doveva essere neanche il primo; il maresciallo, invece, girava tra le dita una grande tazza di caffè fumante.
“Giusto lei, maresciallo! Ho bisogno di parlarle”.
“Dica pure, se non è un segreto”.
“Ho subito un’effrazione… e sono stato anche minacciato… e colpito”
“Minacciato: che parola grossa. A noi risulta che lei abbia ricevuto dei consigli sinceri da un amico. Tuttavia, se vuole sporgere denuncia, venga in caserma all’ora di pranzo: saremo soli. Anche perché anch’io ho qualcosa da dirle.”
“Non dubiti: ci sarò!”
Devo ammettere che, per non mancare a quell’appuntamento, cui tenevo tantissimo, fui abbastanza sbrigativo nelle visite, cosa che non era da me e qualcuno se ne lamentò anche. Fatto sta che, qualche minuto dopo che la vecchia campana di San Bartolomeo aveva suonato il mezzodì, varcavo la porta della caserma. Un carabiniere, avrà avuto poco più di 20 anni, con un forte accento calabrese, mi indicò una panchina su cui sedermi.
“Il maresciallo è occupato. Qualche minuto e la riceve.”
I minuti diventarono più di qualcuno, poi il maresciallo mi venne a prendere: aveva una faccia furba che mi mise allerta.
“Ecco qui il nostro dottorino. Quindi suo padre è appena uscito di galera.”
“Cosa centra mio padre, scusi!”
“Nulla, nulla: dicevo così, per dire. Il fatto è che qui, i fascisti, non li vedono di buon occhio. E, se si venisse a sapere che suo padre deve dire grazie solo a Togliatti se è fuori… Lei mi capisce, vero?”
“A dire il vero, no! Non la capisco.”
“Giovanotto, stia bene a sentirmi: non voglio rogne, qui. E, a quanto pare, lei, invece, me le vuole procurare. Vuole fare questa denuncia? E sia! Ma, l’avverto, potrebbe ritorcelesi contro… Anche perché, come le ha ben detto il sindaco, qui le lingue sono affilate… e sono in molti a ritenere che il marito di Flora ha tutto il diritto di darle una bella lezione. Ripeto: stia attento a quel che fa!”
Senza ribattere nulla, senza salutare, inforcai l’uscita e mi allontanai da lì: mi parve di sentire una risatina soddisfatta del sottufficiale, ma non potrei giurarci. Dovetti pagare profumatamente un falegname che mi mettesse a posto, con urgenza, la porta. Poi, in serata, andai a trovare Flora. Mi aprii, tirandomi denttro con uno strattone, poi guardò fuori, per vedere se qualcuno aveva visto.
“Cosa ci fai qui, dottore? Eravamo d’accordo che non saresti più venuto!”
“Hai ragione, perdonami! La verità è che, in questi giorni, mi sei mancata”.
“Cos’è? La suorina non è stata all’altezza? Non ti piace? Eppure è giovane e graziosa”.
Cazzo, pensai tra me, in questo buco di culo del mondo le notizie viaggiano spedite e non sei davvero al sicuro neanche dentro casa tua. Non c’era ragione per cui tentassi di negare.
“In realtà, Flora, è stata lei a sedurmi!”
“Non devi giustificarti di nulla: io e te non siamo niente, chiaro?”
“Certo! Infatti, considerala la visita di un amico.”
“Io e te non siamo neanche amici: io non ho amici. Ho solo un marito… e non vorrei neanche quello.”
Lacrime copiose cominciarono a sgorgarle dagli occhi: non era capace di essere forte. Non era capace neanche di sembrarlo. Mi avvicinai a lei e si lasciò abbracciare, posando la testa sul mio petto. Sentivo la fragilità della sua anima che si spalmava su di me e provavo un sentimento di sincera tenerezza. Non fu difficile baciarla: si abbandonò a me non appena le mie labbra riuscirono ad avvicinarsi alle sue.
“Sei bello, dottore! Non so spiegartelo, ma perdo i sensi quando tivedo!”
“Allora, non pensarci più… lascia che sia io a spogliarti, potrai sempre credere di aver cercato di resistere”:
“Resistere? Non ho nessuna voglia di farlo: voglio solo che tu non mi prendi in giro. Non dirmi che mi ami: dimmi solo che vuoi passare la notte con me!”
Non mi meravigliò che non conoscesse l’uso del congiuntivo, mentre ormai nudi entrambi, ci incamminavamo verso il letto. Facemmo l’amore in maniera molto dolce, senza alcuna precauzione, anche se non sapevo se lei fosse già in menopausa oppure no. Sentivo la sua bocca percorrere il mio corpo, sentivo il battito del suo cuore uniformarsi al mio, sentivo le mie dita, che accarezzavano la sua fica, inumidirsi del suo nettare.
“Voglio leccartela!” senza dir nulla, si abbandonò alle mie braccia, spalancando le gambe. “Te la raserò, un giorno o l’altro!”
“Se lo farai, mio marito verrà a cercarti. E sarà lui a rasare te- non mi ama, non mi ha mai amata. Ma io sono sua: lui pretende di aver diritto di fare ciò che vuole con me. Mi tradisce, mi picchia… ma, quello che fa più male, e che mi tratta come una bestia: io non devo pensare, io non devo agire. Io devo fare solo quello che lui mi dice di fare: se vuole un bocchino, si siede sulla sedia e dice: zoccola, vieni a succhiarmelo. Oppure si stende sul letto e comanda: cavalcami, troia!”
“Che verme!” mormorai.
“Ti chiedo solo di scoparti chi vuoi, ma di non trattarmi mai così: ti prego!”
La strinsi forte a me, mentre le entravo dentro con dolcezza e cercavo le sue labbra per baciarle ancora. Ci addormentammo così, dopo aver fatto l’amore, con il crepitio del fuoco che faceva da nenia. Ci risvegliammo così, con le mie labbra che cercavano nuovamente le sue, mentre cercava di dirmi che dovevo andare via. Lascia quella casa a malincuore, pensando di non poterla vedere per alcuni giorni. Ma il secondo pernsiero era ancora più preoccupante del primo: suo marito doveva pagarla, ma non per quello che aveva fatto a me, ma per come trattava lei.
“Giusto lei, maresciallo! Ho bisogno di parlarle”.
“Dica pure, se non è un segreto”.
“Ho subito un’effrazione… e sono stato anche minacciato… e colpito”
“Minacciato: che parola grossa. A noi risulta che lei abbia ricevuto dei consigli sinceri da un amico. Tuttavia, se vuole sporgere denuncia, venga in caserma all’ora di pranzo: saremo soli. Anche perché anch’io ho qualcosa da dirle.”
“Non dubiti: ci sarò!”
Devo ammettere che, per non mancare a quell’appuntamento, cui tenevo tantissimo, fui abbastanza sbrigativo nelle visite, cosa che non era da me e qualcuno se ne lamentò anche. Fatto sta che, qualche minuto dopo che la vecchia campana di San Bartolomeo aveva suonato il mezzodì, varcavo la porta della caserma. Un carabiniere, avrà avuto poco più di 20 anni, con un forte accento calabrese, mi indicò una panchina su cui sedermi.
“Il maresciallo è occupato. Qualche minuto e la riceve.”
I minuti diventarono più di qualcuno, poi il maresciallo mi venne a prendere: aveva una faccia furba che mi mise allerta.
“Ecco qui il nostro dottorino. Quindi suo padre è appena uscito di galera.”
“Cosa centra mio padre, scusi!”
“Nulla, nulla: dicevo così, per dire. Il fatto è che qui, i fascisti, non li vedono di buon occhio. E, se si venisse a sapere che suo padre deve dire grazie solo a Togliatti se è fuori… Lei mi capisce, vero?”
“A dire il vero, no! Non la capisco.”
“Giovanotto, stia bene a sentirmi: non voglio rogne, qui. E, a quanto pare, lei, invece, me le vuole procurare. Vuole fare questa denuncia? E sia! Ma, l’avverto, potrebbe ritorcelesi contro… Anche perché, come le ha ben detto il sindaco, qui le lingue sono affilate… e sono in molti a ritenere che il marito di Flora ha tutto il diritto di darle una bella lezione. Ripeto: stia attento a quel che fa!”
Senza ribattere nulla, senza salutare, inforcai l’uscita e mi allontanai da lì: mi parve di sentire una risatina soddisfatta del sottufficiale, ma non potrei giurarci. Dovetti pagare profumatamente un falegname che mi mettesse a posto, con urgenza, la porta. Poi, in serata, andai a trovare Flora. Mi aprii, tirandomi denttro con uno strattone, poi guardò fuori, per vedere se qualcuno aveva visto.
“Cosa ci fai qui, dottore? Eravamo d’accordo che non saresti più venuto!”
“Hai ragione, perdonami! La verità è che, in questi giorni, mi sei mancata”.
“Cos’è? La suorina non è stata all’altezza? Non ti piace? Eppure è giovane e graziosa”.
Cazzo, pensai tra me, in questo buco di culo del mondo le notizie viaggiano spedite e non sei davvero al sicuro neanche dentro casa tua. Non c’era ragione per cui tentassi di negare.
“In realtà, Flora, è stata lei a sedurmi!”
“Non devi giustificarti di nulla: io e te non siamo niente, chiaro?”
“Certo! Infatti, considerala la visita di un amico.”
“Io e te non siamo neanche amici: io non ho amici. Ho solo un marito… e non vorrei neanche quello.”
Lacrime copiose cominciarono a sgorgarle dagli occhi: non era capace di essere forte. Non era capace neanche di sembrarlo. Mi avvicinai a lei e si lasciò abbracciare, posando la testa sul mio petto. Sentivo la fragilità della sua anima che si spalmava su di me e provavo un sentimento di sincera tenerezza. Non fu difficile baciarla: si abbandonò a me non appena le mie labbra riuscirono ad avvicinarsi alle sue.
“Sei bello, dottore! Non so spiegartelo, ma perdo i sensi quando tivedo!”
“Allora, non pensarci più… lascia che sia io a spogliarti, potrai sempre credere di aver cercato di resistere”:
“Resistere? Non ho nessuna voglia di farlo: voglio solo che tu non mi prendi in giro. Non dirmi che mi ami: dimmi solo che vuoi passare la notte con me!”
Non mi meravigliò che non conoscesse l’uso del congiuntivo, mentre ormai nudi entrambi, ci incamminavamo verso il letto. Facemmo l’amore in maniera molto dolce, senza alcuna precauzione, anche se non sapevo se lei fosse già in menopausa oppure no. Sentivo la sua bocca percorrere il mio corpo, sentivo il battito del suo cuore uniformarsi al mio, sentivo le mie dita, che accarezzavano la sua fica, inumidirsi del suo nettare.
“Voglio leccartela!” senza dir nulla, si abbandonò alle mie braccia, spalancando le gambe. “Te la raserò, un giorno o l’altro!”
“Se lo farai, mio marito verrà a cercarti. E sarà lui a rasare te- non mi ama, non mi ha mai amata. Ma io sono sua: lui pretende di aver diritto di fare ciò che vuole con me. Mi tradisce, mi picchia… ma, quello che fa più male, e che mi tratta come una bestia: io non devo pensare, io non devo agire. Io devo fare solo quello che lui mi dice di fare: se vuole un bocchino, si siede sulla sedia e dice: zoccola, vieni a succhiarmelo. Oppure si stende sul letto e comanda: cavalcami, troia!”
“Che verme!” mormorai.
“Ti chiedo solo di scoparti chi vuoi, ma di non trattarmi mai così: ti prego!”
La strinsi forte a me, mentre le entravo dentro con dolcezza e cercavo le sue labbra per baciarle ancora. Ci addormentammo così, dopo aver fatto l’amore, con il crepitio del fuoco che faceva da nenia. Ci risvegliammo così, con le mie labbra che cercavano nuovamente le sue, mentre cercava di dirmi che dovevo andare via. Lascia quella casa a malincuore, pensando di non poterla vedere per alcuni giorni. Ma il secondo pernsiero era ancora più preoccupante del primo: suo marito doveva pagarla, ma non per quello che aveva fatto a me, ma per come trattava lei.
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