La gita in barca: due giorni dopo
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DUE GIORNI DOPO LA GITA IN BARCA
Sono Alfredo, l’amico di Dario. Il grande amico che ebbe la sfortuna di finire nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, lunedì chistu.
Nel tavolo vicino a dov’ero io, erano seduti due picciotti che parlavano, bevevano e ridevano.
Uomini siamo, e se senti due che parlano di fica arrizzi le orecchie e io le arrizzai.
Sentii i picciotti che parlavano di una brunetta, tutta minne e bonazza e, per come parlavano, poco avezza alle avventure “fuori porta”. Tutta casa e zito era.
Capii che non l’avevano ficcata ancora, ma si stavano accordando per farlo passato ieri. Ascoltai la chiamata alla picciotta.
Vidi il biondino pigghiare il telefonino. Poi:
“Rita, ciao. Sebastiano sono….” andarono avanti ….”Rita, senti. Ma picchì non ci fai compagnia, domani? U to’ zito travagghia tutto il giorno, e accussì torni tutta abbronzata. Ti fai bella per lui. La barca grande è.”
Lei disse qualcosa, perché iddu: “ma chi dici? Io e Carmelo un dito di sopra non te lo mettiamo, se vieni.”
A picciotta tutta minne avrà risposto a modo, perché Sebastiano, accusì disse di chiamarsi, facendole sentire che rideva: “Rita, ma no! Ti dissi un dito, che ci trasi che tiri in ballo le nostre minchie? Io ti dissi che un dito di sopra non te lo mettiamo, du dito discutevo. I minchie uccelli sono, idde volano sempre, in cerca du nido.”
Sorridevo anch’io. Il picciotto chiaro era stato, chiaro assai.
Dall’altro lato del telefono, la picciotta aveva afferrato pienamente, perché il biondino proseguì “Rita, accussì mi piaci! Ma nidi un’hai uno solo. Io tre ne cunto.”
Sorridevo al pensiero che l’indomani “belle minne” avrebbe afferrato due minchie vogliosa di ficcarseli nei suoi pirtusi.
Il fulmine mi pigghiò in pieno. Improvviso!
Chiusa la telefonata, i due picciotti proseguirono: “facciamo accusì e facciamo quello. Poi tu e poi io. Chi dici? Io intra u culu e tu futti?”
Cose così, che li ascolti e, da masculu, ti senti orgoglioso di questi giovani paesani.
Picciotti che sanno bene come si usa la minchia.
Il fulmine arrivò in un niente.
“Minchia Carmelo. Ma ci pensi a du curnutazzu di Dario? A zita, gliela sfondiamo. Bocca, fica e culo le facciamo!”
Cazzo! Rita? Certo, Rita è! Quella Rita! Minchia! Che faccio? Rompo il culo a questi due figli di buttana? Chiamo Dario e li facciamo neri si.
Si! Ma?
Il ragionamento mi scurriu nel cervello in pochi secondi. Ma se Rita è pulla, pulla rimane.
Non lo farà domani, ma lo farà comunque.
No! Il mio compito è triste, ma devo agguantàri l’occasione. Sapevo che ieri l’altro sarebbe stato un giorno triste per Dario. E giorno triste fu.
Dario andò di testa, e io appresso a iddu.
Sentire al telefono le voci di quei due figli di buttana era stato troppo e, per nuatri, organizzarci per inseguirli in mare era una babbiata. Così, organizzammo la spedizione per intercettarli e fracchiarli di legnate. Ma tutto è scritto.
Incrociammo il cabinato mentre era trainato da una motovedetta della capitaneria.
La picciotta lì era, sulla motovedetta, e rimase muta, sorpresa e impaurita, quando accostammo. L’autri erano nella loro barca, muti pure loro, con due militari accanto.
A tutti li conosco a chisti della Marina: “Paolè, che fu?”
“Alfredo, sequestro fù! Sprovvisti di tutto. U chuggiuni biondino futtiu la barca al padre e vidi chi manci. E poi ti cuntu l’autri cose. Ora itivinne.” e mi indicò la picciotta con gli occhi. Quante cose dicono gli occhi di un siculo.
Rimanemmo al porto ad aspettarli.
La picciotta fu prelevata dalla sorella. Parlarono tra loro e Chiara, la sorella, venne da noi.
Pregò e ripregò Dario perché incontrasse Rita. E Rita, quaranta metri più in lì, inviava messaggi e messaggini Dario dicendo di perdonarla.
Ci dissi, a Dario, che doveva essere uomo e un uomo avrebbe acconsentito all’incontro.
Quelli furono portati via dai carabinieri. Cazzi arrustuti per quella sera.
Dario tornò dall’incontro con le sorelle e mi telefonò. Tralascio le minchiate ca ci cuntò Rita.
Vado al dunque.
“Alfredo, amico mio, assai ti chiedo ma io devo sapere. U sacciù chi succidìo, Alfredo mio, ma devo sapere.”
Concetto chiaro è: io lo so che andò così, ma tu, buttana, neghi e io ti porto le prove di quanto sei buttana.
Non solo buttana, ma pure farfante e cacaruna sei, se neghi l’evidenza.
“Dario. Affare mio è. Ora sguinzagliò i nostri e li pigghiamo a chisti e, davanti a due birre, tutto ci dicono. Tranquillo stai.”
E così andò.
Peppe e Tonino li incocciarono, quattro ore fa, al bar arcobaleno.
“Picciotti, come fu? Come non fu?”, “la barca, ancora sequestrata è?”, “minchia! E tuo padre niente ti fece?”
Poi, “amunì, vi offriamo un’altra birra, ma…” Tonino pure i morti farebbe parlare: “tutto m’aviti a cuntare di da picciotta. Sanguigna è, vero? U ciauro da minchia tua u sintio? A tastò buona?”
Iddi parlavano e Peppe registrava. Iddi le fotografie ficiro vedere e Peppe, ca come fici u sapi iddu, fotografò le fotografie. Iddi i filmini ficiru vedere e Peppe pure l’audio troppo bene fice venire nei suoi video.
Minchia! Mala jurnata. La capitaneria arrivò tardi e io u taliau ‘nta i filmini chiddu chi ficiru si figghi di buttana a da picciotta.
Taliau i loro minchie tastare u primu, u secundu e u terzu pirtusu, e li taliau acchianari ‘nzemi in capu a da piciotta, e ca si scanciavano i pirtusa. Uno c’ha ficcava ‘nta fica e all’autru da buttana c’ha sucava.
E sa ficiru insemmula. Il biondino sdraiato, da buttana in capo a iddu, cavallerizza, e l’autru cu so culu da ràpiri comu ‘n milune.
Arrivò la motovedetta e non ci ficiro la ripassata, ma Rita tutto si fici fare, e assai priata apparve.
Pure la sborra in ta facci, chiese da buttana. Ma iddi, due grandissimi figli di buttana sono.
Pi acchianarci in capu, e chistu sgarbo chi ficiru appositamente é, u ficiru quannu Idda al telefono cu Dario era.
Uno sgarbo accussì non si può sopportare.
Ti vuoi fottere la mia zita? E già si un pezzo di merda. Lo fai mentre ci sugnu io al telefono? E chistu è mancanza di rispetto. Non si può accettare.
Accusì fu che i due picciotti, alle 20.42, usciti dal bar. la sorpresa trovarono.
Sei eravamo, con Peppe e Tanino, e i picciotti acchianarono malvolentieri su una delle due macchine. No! Non siamo delinquenti. Non ci furono legnate, ieri.
La “salatina”, quella ci fu. Antica tradizione è. In due tenevamo un picciotto a terra. Gli altri due tenevano il biondino. Peppe e Tanino ci calarono mutande e pantaloni a sti fitinzie di masculi e poi s’addivertirono con chiddu che avevano portato. Sale! Limiuna, u pipi calabrese, e stricavano, e assai stricavano. E pigghiaruno zucchero e miele, e stricarono. E pigghiarunu i barattuli, e mille furmicule calarono su chidde minchie di minchie.
Li lassammu lì, ca s’agitavano tutti e ca ci bruciava tutto, e senza un pezzo di stoffa. Sulla schiena Tanino ci scrisse: “toccamo la fimmina di un paesano.”
A da puttana, u pittarunu rintra u stratune: “Rita, gran buttana si.” Dario non c’era picchì nuatri amici siamo. Iddu al bar era, cu tutti.
Sono Alfredo, l’amico di Dario. Il grande amico che ebbe la sfortuna di finire nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, lunedì chistu.
Nel tavolo vicino a dov’ero io, erano seduti due picciotti che parlavano, bevevano e ridevano.
Uomini siamo, e se senti due che parlano di fica arrizzi le orecchie e io le arrizzai.
Sentii i picciotti che parlavano di una brunetta, tutta minne e bonazza e, per come parlavano, poco avezza alle avventure “fuori porta”. Tutta casa e zito era.
Capii che non l’avevano ficcata ancora, ma si stavano accordando per farlo passato ieri. Ascoltai la chiamata alla picciotta.
Vidi il biondino pigghiare il telefonino. Poi:
“Rita, ciao. Sebastiano sono….” andarono avanti ….”Rita, senti. Ma picchì non ci fai compagnia, domani? U to’ zito travagghia tutto il giorno, e accussì torni tutta abbronzata. Ti fai bella per lui. La barca grande è.”
Lei disse qualcosa, perché iddu: “ma chi dici? Io e Carmelo un dito di sopra non te lo mettiamo, se vieni.”
A picciotta tutta minne avrà risposto a modo, perché Sebastiano, accusì disse di chiamarsi, facendole sentire che rideva: “Rita, ma no! Ti dissi un dito, che ci trasi che tiri in ballo le nostre minchie? Io ti dissi che un dito di sopra non te lo mettiamo, du dito discutevo. I minchie uccelli sono, idde volano sempre, in cerca du nido.”
Sorridevo anch’io. Il picciotto chiaro era stato, chiaro assai.
Dall’altro lato del telefono, la picciotta aveva afferrato pienamente, perché il biondino proseguì “Rita, accussì mi piaci! Ma nidi un’hai uno solo. Io tre ne cunto.”
Sorridevo al pensiero che l’indomani “belle minne” avrebbe afferrato due minchie vogliosa di ficcarseli nei suoi pirtusi.
Il fulmine mi pigghiò in pieno. Improvviso!
Chiusa la telefonata, i due picciotti proseguirono: “facciamo accusì e facciamo quello. Poi tu e poi io. Chi dici? Io intra u culu e tu futti?”
Cose così, che li ascolti e, da masculu, ti senti orgoglioso di questi giovani paesani.
Picciotti che sanno bene come si usa la minchia.
Il fulmine arrivò in un niente.
“Minchia Carmelo. Ma ci pensi a du curnutazzu di Dario? A zita, gliela sfondiamo. Bocca, fica e culo le facciamo!”
Cazzo! Rita? Certo, Rita è! Quella Rita! Minchia! Che faccio? Rompo il culo a questi due figli di buttana? Chiamo Dario e li facciamo neri si.
Si! Ma?
Il ragionamento mi scurriu nel cervello in pochi secondi. Ma se Rita è pulla, pulla rimane.
Non lo farà domani, ma lo farà comunque.
No! Il mio compito è triste, ma devo agguantàri l’occasione. Sapevo che ieri l’altro sarebbe stato un giorno triste per Dario. E giorno triste fu.
Dario andò di testa, e io appresso a iddu.
Sentire al telefono le voci di quei due figli di buttana era stato troppo e, per nuatri, organizzarci per inseguirli in mare era una babbiata. Così, organizzammo la spedizione per intercettarli e fracchiarli di legnate. Ma tutto è scritto.
Incrociammo il cabinato mentre era trainato da una motovedetta della capitaneria.
La picciotta lì era, sulla motovedetta, e rimase muta, sorpresa e impaurita, quando accostammo. L’autri erano nella loro barca, muti pure loro, con due militari accanto.
A tutti li conosco a chisti della Marina: “Paolè, che fu?”
“Alfredo, sequestro fù! Sprovvisti di tutto. U chuggiuni biondino futtiu la barca al padre e vidi chi manci. E poi ti cuntu l’autri cose. Ora itivinne.” e mi indicò la picciotta con gli occhi. Quante cose dicono gli occhi di un siculo.
Rimanemmo al porto ad aspettarli.
La picciotta fu prelevata dalla sorella. Parlarono tra loro e Chiara, la sorella, venne da noi.
Pregò e ripregò Dario perché incontrasse Rita. E Rita, quaranta metri più in lì, inviava messaggi e messaggini Dario dicendo di perdonarla.
Ci dissi, a Dario, che doveva essere uomo e un uomo avrebbe acconsentito all’incontro.
Quelli furono portati via dai carabinieri. Cazzi arrustuti per quella sera.
Dario tornò dall’incontro con le sorelle e mi telefonò. Tralascio le minchiate ca ci cuntò Rita.
Vado al dunque.
“Alfredo, amico mio, assai ti chiedo ma io devo sapere. U sacciù chi succidìo, Alfredo mio, ma devo sapere.”
Concetto chiaro è: io lo so che andò così, ma tu, buttana, neghi e io ti porto le prove di quanto sei buttana.
Non solo buttana, ma pure farfante e cacaruna sei, se neghi l’evidenza.
“Dario. Affare mio è. Ora sguinzagliò i nostri e li pigghiamo a chisti e, davanti a due birre, tutto ci dicono. Tranquillo stai.”
E così andò.
Peppe e Tonino li incocciarono, quattro ore fa, al bar arcobaleno.
“Picciotti, come fu? Come non fu?”, “la barca, ancora sequestrata è?”, “minchia! E tuo padre niente ti fece?”
Poi, “amunì, vi offriamo un’altra birra, ma…” Tonino pure i morti farebbe parlare: “tutto m’aviti a cuntare di da picciotta. Sanguigna è, vero? U ciauro da minchia tua u sintio? A tastò buona?”
Iddi parlavano e Peppe registrava. Iddi le fotografie ficiro vedere e Peppe, ca come fici u sapi iddu, fotografò le fotografie. Iddi i filmini ficiru vedere e Peppe pure l’audio troppo bene fice venire nei suoi video.
Minchia! Mala jurnata. La capitaneria arrivò tardi e io u taliau ‘nta i filmini chiddu chi ficiru si figghi di buttana a da picciotta.
Taliau i loro minchie tastare u primu, u secundu e u terzu pirtusu, e li taliau acchianari ‘nzemi in capu a da piciotta, e ca si scanciavano i pirtusa. Uno c’ha ficcava ‘nta fica e all’autru da buttana c’ha sucava.
E sa ficiru insemmula. Il biondino sdraiato, da buttana in capo a iddu, cavallerizza, e l’autru cu so culu da ràpiri comu ‘n milune.
Arrivò la motovedetta e non ci ficiro la ripassata, ma Rita tutto si fici fare, e assai priata apparve.
Pure la sborra in ta facci, chiese da buttana. Ma iddi, due grandissimi figli di buttana sono.
Pi acchianarci in capu, e chistu sgarbo chi ficiru appositamente é, u ficiru quannu Idda al telefono cu Dario era.
Uno sgarbo accussì non si può sopportare.
Ti vuoi fottere la mia zita? E già si un pezzo di merda. Lo fai mentre ci sugnu io al telefono? E chistu è mancanza di rispetto. Non si può accettare.
Accusì fu che i due picciotti, alle 20.42, usciti dal bar. la sorpresa trovarono.
Sei eravamo, con Peppe e Tanino, e i picciotti acchianarono malvolentieri su una delle due macchine. No! Non siamo delinquenti. Non ci furono legnate, ieri.
La “salatina”, quella ci fu. Antica tradizione è. In due tenevamo un picciotto a terra. Gli altri due tenevano il biondino. Peppe e Tanino ci calarono mutande e pantaloni a sti fitinzie di masculi e poi s’addivertirono con chiddu che avevano portato. Sale! Limiuna, u pipi calabrese, e stricavano, e assai stricavano. E pigghiaruno zucchero e miele, e stricarono. E pigghiarunu i barattuli, e mille furmicule calarono su chidde minchie di minchie.
Li lassammu lì, ca s’agitavano tutti e ca ci bruciava tutto, e senza un pezzo di stoffa. Sulla schiena Tanino ci scrisse: “toccamo la fimmina di un paesano.”
A da puttana, u pittarunu rintra u stratune: “Rita, gran buttana si.” Dario non c’era picchì nuatri amici siamo. Iddu al bar era, cu tutti.
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