La mia prima ragazza - cap. 1
di
The Best Of
genere
tradimenti
Sono Lucio, all’epoca avevo 22 anni e frequentavo la facoltà di Economia.
Sono un ragazzo come tanti, né bello né brutto, ma di quelli che le ragazze nemmeno ti vedono per quanto sei insignificante perché non ci sai fare. Sì, sono timido e imbranato e questo ha fatto sì che mi circondassi solo di colleghi sfigati come me, dove nessuno di noi era stato mai visto in compagnia di una ragazza.
E tutti sbavavamo per Alice.
Lei era la più bella, la reginetta, la leader. Lei camminava sempre in testa al suo gruppetto e tutte le altre dietro, con alcune che arrivavano a copiarle i modi di vestire o di atteggiarsi, pur di apparire degne di fare parte del suo Entourage.
Erano un gruppo chiuso e per entrare nella sua cerchia, bisognava superare delle prove. In particolare, una prova: Alice doveva diventare la figura più importante della loro vita.
Gli eventuali ragazzi, pretendenti fidanzati di una del gruppo, dovevano essere valutati da lei. Nessuna delle ragazze poteva fare di testa propria, pena l’immediata espulsione dalla cerchia.
È Alice riteneva tutti i ragazzi della facoltà degli stupidi, ignoranti, cafoni, interessati solo ad un paio di tette e alla figa. Con un grado di cultura zero, interessati più al calcio che ad un serata a teatro, interessati più ad una serata in discoteca che ad una partita al gioco dell’oca, tutti assieme.
Il primo incontro tra me e Alice fu pessimo.
Eravamo in uno dei corridoi dellla facoltà e lei e il suo gruppo erano ferme a parlare tra loro, senza accorgersi che Franco, uno di noi, era fermo dietro una colonna al telefono con la madre, mentre io e Armando stavamo ad una decina di metri da loro, fissandole come ebeti.
Franco ci raccontò cosa si diressero le ragazze.
Giorgia, l'amica di Alice, fu la prima ad accorgersi di noi:" Alice, guarda quei due come ci stanno fissando. Sfigati che possono solamente andare a puttane, oppure una ragazza la possono guardare con il binocolo.”
Ridendo, Alice le rispose: “Ma neanche le puttane li vorrebbero, sono troppo brutti e sfigati.”
Melissa, un'altra compagna di Alice, disse :"Avranno due piselli da bebè e si faranno le seghe tra di loro, pensando a noi. Come se noi non avessimo tante belle mazze tra cui scegliere.” fece un gesto eloquente con la mano, mimando una sega, e tutte incominciarono a ridere.
Alice le bloccò: “Mi stanno guardando. Cosa pensano? Che mi sputtani ricambiando lo sguardo? Pensano che io possa essere interessata ad uno di loro?”
Nessuna delle altre ragazze si permisse di farle notare che, però, lei lo sguardo lo aveva ricambiato. Che ci aveva fissato a lungo, soprattutto a quello sulla sinistra, cioè me.
Alice proseguì: “Ho un'idea. Due sfigati così possono sempre farci comodo. Se volessi uccidere il mio futuro fidanzato, userei uno di quei due sfigati per dar la colpa a lui.” E tutte si misero a ridere.
Se il primo incontro era stato pessimo, il secondo fu atroce. Fu quel giorno che la gelosia iniziò a rodere dentro di me
Ero seduto su una panchina del parco, nella cittadella universitaria, a studiare, quando Giorgia e a Melissa, le ancelle di Alice, mi si sedettero a fianco, senza salutarmi e fingendo di studiare.
Le stronze mi fecero strabuzzare gli occhi perché entrambe indossavano delle gonne abbastanza corte che, sedendosi, erano risalite sopra le loro ginocchia.
Io non potevo non sbirciare ma Melissa se ne accorse e mi apostrofò con: “scusa, ma ti pare? Se vuoi segarti vattene via da qui!”
Rosso per la vergogna, stavo per scappare via quando passò Alice, assieme ad un ragazzo, che salutò le sue due amiche e si allontanò subito.
Io non sapevo chi fosse quel ragazzo, era la prima volta che lo vedevo con Alice, era un bel ragazzo, alto, palestrato, ma, appena i due si allontanarono, ne seppi di più.
Giorgia e Melissa iniziarono a spettegolare, facendosi sentire apposta da me.
Giorgia disse :" Che bello, che e' Marcello. Fa proprio bene Alice ad uscirci assieme"
Melissa rispose: “Se andiamo a cercarli dietro quegli alberi, la troviamo inginocchiata, con il cazzo di Marcello, in bocca.”
Giorgia, ridendo, le rispose:" Ma no, Melissa. Marcello si farà succhiare il cazzo da Alice sulla sua jeep. La sua jeep spesso è parcheggiata, nel parcheggio del centro commerciale di notte.”
Melissa disse :" Chissa' come mai tu lo sai."
Ed entrambe risero, guardandomi con strafottenza.
Se i primi due incontri erano stati uno schifo, dopo il terzo mi ritrovai, in strada, appoggiato ad un palo per non cadere, mentre rimettevo l’anima per i nervi.
Ero rimasto a studiare in biblioteca fino l’orario di chiusura e, messo il giubbotto, stavo andando via. Ero nel corridoio, ormai deserto, quando sentii una voce provenire da un’aula e, facendo finta di niente, mi fermai ad origliare.
Rimasi sconcertato da quello che sentii, ed ebbi un’erezione immediata: “Dai puttana, succhiamela bene la minchia, e ficcatela tutta in bocca, che in gola deve arrivare. Minchia, ma sei scarsa. Sei una puttanella incapace, altro che reginetta. Almeno leccami la cappella bene, beneeee! Cazzo! Vuoi fare tanto la capetta, la regina del cazzo, ma le tue amiche sono molto più brave a farmi le pompe. Loro si che sono delle pompinare."
Era la voce di Marcello quella che sentivo. Con lui c’era una che gli stava facendo una pompa, e lui si lamentava che non era brava, ma io avrei pagato per essere al posto suo, con la mia minchia dentro quella bocca.
Ma chi c’era con lui? Marcello l’aveva chiamata reginetta, caletta. Era Alice!? Il cuore mi si fermò, ma il cazzo si indurì da farmi male. Stavo per abbassare la cerniera e portarlo fuori quando Marcello urlò:
“Ma che cazzo fai, schifosa troietta! Hai fatto cadere tutta la sborra, per terra, invece di ingoiarla. La devi ingoiare, hai capito? La prossima volta la ingoi. Ora lecchi la sborra direttamente dal pavimento."
No! L’immagine di Alice che leccava la sborra di Marcello sul pavimento mi rodeva dentro ma me lo fece diventare sempre più duro. Rischiavo di sborrarmi nelle mutande e dovevo portarlo fuori, ma il mio cellulare squillò. Lo chiusi subito, ma il danno era fatto e fui costretto a scappare.
Uscii di corsa. Un bus stava partendo, con la mano, gli feci cenno di aspettarmi e salii. Trovai posto accanto ad una ragazza, tutta imbacuccata, che guardava il finestrino. Arrivai alla mia fermata e scesi, ma restai fermo e lasciai partire il bus. La ragazza, che era seduta accanto a me sul bus, guardava ancora fuori. Non si era mossa e una mi guardò. Era Alice.
Il bus sparì dalla mia vista ed io mi appoggiai ad un palo e iniziai a rimettere l’anima.
Sono un ragazzo come tanti, né bello né brutto, ma di quelli che le ragazze nemmeno ti vedono per quanto sei insignificante perché non ci sai fare. Sì, sono timido e imbranato e questo ha fatto sì che mi circondassi solo di colleghi sfigati come me, dove nessuno di noi era stato mai visto in compagnia di una ragazza.
E tutti sbavavamo per Alice.
Lei era la più bella, la reginetta, la leader. Lei camminava sempre in testa al suo gruppetto e tutte le altre dietro, con alcune che arrivavano a copiarle i modi di vestire o di atteggiarsi, pur di apparire degne di fare parte del suo Entourage.
Erano un gruppo chiuso e per entrare nella sua cerchia, bisognava superare delle prove. In particolare, una prova: Alice doveva diventare la figura più importante della loro vita.
Gli eventuali ragazzi, pretendenti fidanzati di una del gruppo, dovevano essere valutati da lei. Nessuna delle ragazze poteva fare di testa propria, pena l’immediata espulsione dalla cerchia.
È Alice riteneva tutti i ragazzi della facoltà degli stupidi, ignoranti, cafoni, interessati solo ad un paio di tette e alla figa. Con un grado di cultura zero, interessati più al calcio che ad un serata a teatro, interessati più ad una serata in discoteca che ad una partita al gioco dell’oca, tutti assieme.
Il primo incontro tra me e Alice fu pessimo.
Eravamo in uno dei corridoi dellla facoltà e lei e il suo gruppo erano ferme a parlare tra loro, senza accorgersi che Franco, uno di noi, era fermo dietro una colonna al telefono con la madre, mentre io e Armando stavamo ad una decina di metri da loro, fissandole come ebeti.
Franco ci raccontò cosa si diressero le ragazze.
Giorgia, l'amica di Alice, fu la prima ad accorgersi di noi:" Alice, guarda quei due come ci stanno fissando. Sfigati che possono solamente andare a puttane, oppure una ragazza la possono guardare con il binocolo.”
Ridendo, Alice le rispose: “Ma neanche le puttane li vorrebbero, sono troppo brutti e sfigati.”
Melissa, un'altra compagna di Alice, disse :"Avranno due piselli da bebè e si faranno le seghe tra di loro, pensando a noi. Come se noi non avessimo tante belle mazze tra cui scegliere.” fece un gesto eloquente con la mano, mimando una sega, e tutte incominciarono a ridere.
Alice le bloccò: “Mi stanno guardando. Cosa pensano? Che mi sputtani ricambiando lo sguardo? Pensano che io possa essere interessata ad uno di loro?”
Nessuna delle altre ragazze si permisse di farle notare che, però, lei lo sguardo lo aveva ricambiato. Che ci aveva fissato a lungo, soprattutto a quello sulla sinistra, cioè me.
Alice proseguì: “Ho un'idea. Due sfigati così possono sempre farci comodo. Se volessi uccidere il mio futuro fidanzato, userei uno di quei due sfigati per dar la colpa a lui.” E tutte si misero a ridere.
Se il primo incontro era stato pessimo, il secondo fu atroce. Fu quel giorno che la gelosia iniziò a rodere dentro di me
Ero seduto su una panchina del parco, nella cittadella universitaria, a studiare, quando Giorgia e a Melissa, le ancelle di Alice, mi si sedettero a fianco, senza salutarmi e fingendo di studiare.
Le stronze mi fecero strabuzzare gli occhi perché entrambe indossavano delle gonne abbastanza corte che, sedendosi, erano risalite sopra le loro ginocchia.
Io non potevo non sbirciare ma Melissa se ne accorse e mi apostrofò con: “scusa, ma ti pare? Se vuoi segarti vattene via da qui!”
Rosso per la vergogna, stavo per scappare via quando passò Alice, assieme ad un ragazzo, che salutò le sue due amiche e si allontanò subito.
Io non sapevo chi fosse quel ragazzo, era la prima volta che lo vedevo con Alice, era un bel ragazzo, alto, palestrato, ma, appena i due si allontanarono, ne seppi di più.
Giorgia e Melissa iniziarono a spettegolare, facendosi sentire apposta da me.
Giorgia disse :" Che bello, che e' Marcello. Fa proprio bene Alice ad uscirci assieme"
Melissa rispose: “Se andiamo a cercarli dietro quegli alberi, la troviamo inginocchiata, con il cazzo di Marcello, in bocca.”
Giorgia, ridendo, le rispose:" Ma no, Melissa. Marcello si farà succhiare il cazzo da Alice sulla sua jeep. La sua jeep spesso è parcheggiata, nel parcheggio del centro commerciale di notte.”
Melissa disse :" Chissa' come mai tu lo sai."
Ed entrambe risero, guardandomi con strafottenza.
Se i primi due incontri erano stati uno schifo, dopo il terzo mi ritrovai, in strada, appoggiato ad un palo per non cadere, mentre rimettevo l’anima per i nervi.
Ero rimasto a studiare in biblioteca fino l’orario di chiusura e, messo il giubbotto, stavo andando via. Ero nel corridoio, ormai deserto, quando sentii una voce provenire da un’aula e, facendo finta di niente, mi fermai ad origliare.
Rimasi sconcertato da quello che sentii, ed ebbi un’erezione immediata: “Dai puttana, succhiamela bene la minchia, e ficcatela tutta in bocca, che in gola deve arrivare. Minchia, ma sei scarsa. Sei una puttanella incapace, altro che reginetta. Almeno leccami la cappella bene, beneeee! Cazzo! Vuoi fare tanto la capetta, la regina del cazzo, ma le tue amiche sono molto più brave a farmi le pompe. Loro si che sono delle pompinare."
Era la voce di Marcello quella che sentivo. Con lui c’era una che gli stava facendo una pompa, e lui si lamentava che non era brava, ma io avrei pagato per essere al posto suo, con la mia minchia dentro quella bocca.
Ma chi c’era con lui? Marcello l’aveva chiamata reginetta, caletta. Era Alice!? Il cuore mi si fermò, ma il cazzo si indurì da farmi male. Stavo per abbassare la cerniera e portarlo fuori quando Marcello urlò:
“Ma che cazzo fai, schifosa troietta! Hai fatto cadere tutta la sborra, per terra, invece di ingoiarla. La devi ingoiare, hai capito? La prossima volta la ingoi. Ora lecchi la sborra direttamente dal pavimento."
No! L’immagine di Alice che leccava la sborra di Marcello sul pavimento mi rodeva dentro ma me lo fece diventare sempre più duro. Rischiavo di sborrarmi nelle mutande e dovevo portarlo fuori, ma il mio cellulare squillò. Lo chiusi subito, ma il danno era fatto e fui costretto a scappare.
Uscii di corsa. Un bus stava partendo, con la mano, gli feci cenno di aspettarmi e salii. Trovai posto accanto ad una ragazza, tutta imbacuccata, che guardava il finestrino. Arrivai alla mia fermata e scesi, ma restai fermo e lasciai partire il bus. La ragazza, che era seduta accanto a me sul bus, guardava ancora fuori. Non si era mossa e una mi guardò. Era Alice.
Il bus sparì dalla mia vista ed io mi appoggiai ad un palo e iniziai a rimettere l’anima.
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