Schiavi Di Un Padrone Sadico.
di
Luca the slave
genere
dominazione
Io e mia moglie eravamo partiti molto presto la mattina per raggiungere Villa Verucchio, un paese nell’entroterra riminese. Avevamo appuntamento dal nostro padrone che aveva un possedimento di terra proprio da quelle parti.
Appena arrivati e parcheggiata l’auto dopo un po’ lo vedemmo arrivare su un trattore e dietro un carro bestiame chiuso (quelli col tendone, per intenderci). Ci fece salire sul carro e dopo aver chiuso per bene il tendone, ci ha fatto spogliare entrambi.
Restammo completamente nudi, senza niente addosso, nemmeno bracciali e collanine. Facemmo il viaggio sino alla tenuta sdraiati a pancia in giù sul pianale, incaprettati con i polsi e le caviglie legati dietro la schiena.
Il trasferimento fu piuttosto lungo e disagevole ed inoltre col sole, sotto il telone del carro soffrimmo enormemente il caldo.
Giunti a destinazione ci fece scendere, ci mise dei pesanti ceppi di ferro alle caviglie e a me mi condusse verso una grossa ruota di pietra del mulino dove mi incatenò costringendomi a farla girare a suon di nervate sulla schiena e sulle natiche. Sempre più esausto tentavo a rallentare l’andatura o addirittura a fermarmi, ma ogni volta una dolorosissima frustata mi costringeva ad andare avanti.
Mia moglie fu condotta nella villa padronale e utilizzata come colf .
Ero sotto il sole cocente di luglio, avevo bisogno di acqua e supplicavo il mio padrone un goccio d’acqua per riprendermi dalle fatiche e dal caldo infernale. Quando il sole fu abbastanza alto nel cielo mi staccò dalla ruota e mi condusse all’interno di un cortile. Lì vi erano un centinaio di sacchi di cemento da circa 25 kg che dovevo trasportare a spalla in un altro cortile esterno distante circa 300mt.
A quel punto ero talmente sfinito dalla fatica che il mio rendimento risultò agli occhi del padrone totalmente insoddisfacente, per cui mi sottopose ad una punizione esemplare.
Proprio al centro del cortile impiantò quattro robusti pioli di frassino ai quali mi legò polsi e caviglie, in modo da lasciarmi oscenamente esposto, con le braccia e le gambe ben divaricate sotto il sole cocente del pomeriggio.
Ero sdraiato in mezzo alla polvere ed impossibilitato a muovermi , il mio corpo nudo e sudato attirava centinaia di formiche, mosche e tafani che gustavano avidamente i miei umori. Il mio pisello, normalmente protetto dalla biancheria intima era la parte del mio corpo che soffriva più l’esposizione ai raggi solari. La pelle delicata del mio scroto si arrossiva sempre più ed anche il glande diventava ancora più sensibile di quanto non fosse normalmente.
I morsi che ricevevo dagli insetti in questa parte così delicata del mio corpo erano particolarmente dolorosi. Il mio padrone si divertiva ad infierire, strapazzandolo brutalmente con le sue mani. Anche se ero sfinito e dolorante, a forza di manipolarlo me lo fece diventare durissimo e poi continuò a tirarlo e spremerlo, fino a quando non mi costrinse a sborrare. Mi cosparse, allora il petto con l’abbondante sperma prodotto e, anche questo contribuì ad aumentare l’appetito degli insetti che banchettavano col mio corpo.
Dopo avermi fatto sborrare copiosamente e spalmato il petto col mio sperma caldo e cremoso, mi lasciò ancora a cuocere sotto il sole mentre centinaia di insetti banchettavano avidamente dei miei umori.
Io ero legato e completamente immobilizzato e non potevo fare altro che sopportare questo atroce tormento datomi dall’accanimento dei tafani sul mio pisello. Speravo soltanto cha il sole calasse al più presto e che l’ombra della sera potesse darmi un po’ di pace al mio corpo martoriato. Di tanto in tanto il mio padrone mi bagnava le mie labbra con dell’acqua ma ciò non era sufficiente a placare l’arsura che avevo.
Nel frattempo mia moglie dopo aver rassettato la villa padronale anche lei fu messa a spingere la ruota di pietra del mulino, sotto al sole cocente. Sfinita e dolorante fu appesa per i polsi alla capriata della stalla e tormentata a lungo con la frusta.
il suo corpo nudo, sporco e sudato si contorceva nel vano tentativo di sottrarsi alle frustate che la colpivano ovunque, soprattutto là dove il suo corpo di femmina è più delicato e sensibile al dolore. Sentivo le sue urla e le sue lacrime mentre supplicava di terminare il crudele supplizio a cui il padrone sadicamente la sottoponeva.
Ad un certo momento mi tolse da quel tormento e mi crocefisse alla capriata difronte a quella sulla quale mia moglie era appesa, in modo da poterla osservare bene mentre, anch'essa completamente nuda e sudata, piangeva, urlava e si dimenava sotto i colpi della frusta. Io non potevo che assistere a questa scena impotente, completamente nudo, sporco, sudato, ferito.
Poi il padrone le diede un po' di tregua, ma soltanto per permetterle di assistere al mio spettacolo che, nudo e crocifisso, venivo frustato brutalmente, con ancora più crudeltà di quanto abbia fatto con lei.
Dopo avermi frustato mi staccò dalla croce, ma solo per legarmi di nuovo a terra, a pancia in su, con le braccia e le gambe bene divaricate.
A quel punto slegò anche mia moglie e la face sdraiare sopra di me a pancia in giù, in modo che restassimo petto contro petto. Legò i suoi polsi e le sue caviglie con i miei, in modo che anche lei rimanesse con le braccia e le gambe bene divaricate, ma a pancia in giù (sopra di me). In questo modo il padrone manipolò il mio pisello per farlo diventare sufficientemente duro, così da poter infilare il mio fallo dentro la sua vagina, bene in profondità. Così da poter stare perfettamente accoppiati, l’una sopra l’altro.
Così immobilizzati, ricominciò a frustate mia moglie sulle cosce, sui glutei e sulla schiena. Ogni volta che lei riceveva una frustata, io potevo percepire le sue contrazioni, perché la sua vagina si stringeva inevitabilmente attorno al mio fallo.
Io ero in pena nell’assistere al suo supplizio, ma le continue contrazioni della sua vagina attorno al mio fallo, mi costrinsero a sborrare, riversando copioso il mio sperma caldo dentro di lei.
Potevo solo immaginare cosa lei potesse pensare di me quando io sarei venuto dentro di lei in preda all’orgasmo, sicuramente penserà che io avessi goduto del suo supplizio e temo che mi odierà.
Quale punizione può essere per me più crudele di questa?
Alla fine della giornata questo supplizio cessò. Fummo staccati, ci mise ad entrambi i ceppi ai polsi e alla caviglie e collare in ferro e ci condusse all’interno della cantina. All’interno vi erano due celle dove ci rinchiuse dentro ad ognuno. Ci fissò ad una grossa catena al muro attaccandola al nostro collare e rimanemmo tutta la notte doloranti e feriti dai supplizi ricevuti durante la giornata, pensando a cosa potesse succederci il giorno seguente.
Appena arrivati e parcheggiata l’auto dopo un po’ lo vedemmo arrivare su un trattore e dietro un carro bestiame chiuso (quelli col tendone, per intenderci). Ci fece salire sul carro e dopo aver chiuso per bene il tendone, ci ha fatto spogliare entrambi.
Restammo completamente nudi, senza niente addosso, nemmeno bracciali e collanine. Facemmo il viaggio sino alla tenuta sdraiati a pancia in giù sul pianale, incaprettati con i polsi e le caviglie legati dietro la schiena.
Il trasferimento fu piuttosto lungo e disagevole ed inoltre col sole, sotto il telone del carro soffrimmo enormemente il caldo.
Giunti a destinazione ci fece scendere, ci mise dei pesanti ceppi di ferro alle caviglie e a me mi condusse verso una grossa ruota di pietra del mulino dove mi incatenò costringendomi a farla girare a suon di nervate sulla schiena e sulle natiche. Sempre più esausto tentavo a rallentare l’andatura o addirittura a fermarmi, ma ogni volta una dolorosissima frustata mi costringeva ad andare avanti.
Mia moglie fu condotta nella villa padronale e utilizzata come colf .
Ero sotto il sole cocente di luglio, avevo bisogno di acqua e supplicavo il mio padrone un goccio d’acqua per riprendermi dalle fatiche e dal caldo infernale. Quando il sole fu abbastanza alto nel cielo mi staccò dalla ruota e mi condusse all’interno di un cortile. Lì vi erano un centinaio di sacchi di cemento da circa 25 kg che dovevo trasportare a spalla in un altro cortile esterno distante circa 300mt.
A quel punto ero talmente sfinito dalla fatica che il mio rendimento risultò agli occhi del padrone totalmente insoddisfacente, per cui mi sottopose ad una punizione esemplare.
Proprio al centro del cortile impiantò quattro robusti pioli di frassino ai quali mi legò polsi e caviglie, in modo da lasciarmi oscenamente esposto, con le braccia e le gambe ben divaricate sotto il sole cocente del pomeriggio.
Ero sdraiato in mezzo alla polvere ed impossibilitato a muovermi , il mio corpo nudo e sudato attirava centinaia di formiche, mosche e tafani che gustavano avidamente i miei umori. Il mio pisello, normalmente protetto dalla biancheria intima era la parte del mio corpo che soffriva più l’esposizione ai raggi solari. La pelle delicata del mio scroto si arrossiva sempre più ed anche il glande diventava ancora più sensibile di quanto non fosse normalmente.
I morsi che ricevevo dagli insetti in questa parte così delicata del mio corpo erano particolarmente dolorosi. Il mio padrone si divertiva ad infierire, strapazzandolo brutalmente con le sue mani. Anche se ero sfinito e dolorante, a forza di manipolarlo me lo fece diventare durissimo e poi continuò a tirarlo e spremerlo, fino a quando non mi costrinse a sborrare. Mi cosparse, allora il petto con l’abbondante sperma prodotto e, anche questo contribuì ad aumentare l’appetito degli insetti che banchettavano col mio corpo.
Dopo avermi fatto sborrare copiosamente e spalmato il petto col mio sperma caldo e cremoso, mi lasciò ancora a cuocere sotto il sole mentre centinaia di insetti banchettavano avidamente dei miei umori.
Io ero legato e completamente immobilizzato e non potevo fare altro che sopportare questo atroce tormento datomi dall’accanimento dei tafani sul mio pisello. Speravo soltanto cha il sole calasse al più presto e che l’ombra della sera potesse darmi un po’ di pace al mio corpo martoriato. Di tanto in tanto il mio padrone mi bagnava le mie labbra con dell’acqua ma ciò non era sufficiente a placare l’arsura che avevo.
Nel frattempo mia moglie dopo aver rassettato la villa padronale anche lei fu messa a spingere la ruota di pietra del mulino, sotto al sole cocente. Sfinita e dolorante fu appesa per i polsi alla capriata della stalla e tormentata a lungo con la frusta.
il suo corpo nudo, sporco e sudato si contorceva nel vano tentativo di sottrarsi alle frustate che la colpivano ovunque, soprattutto là dove il suo corpo di femmina è più delicato e sensibile al dolore. Sentivo le sue urla e le sue lacrime mentre supplicava di terminare il crudele supplizio a cui il padrone sadicamente la sottoponeva.
Ad un certo momento mi tolse da quel tormento e mi crocefisse alla capriata difronte a quella sulla quale mia moglie era appesa, in modo da poterla osservare bene mentre, anch'essa completamente nuda e sudata, piangeva, urlava e si dimenava sotto i colpi della frusta. Io non potevo che assistere a questa scena impotente, completamente nudo, sporco, sudato, ferito.
Poi il padrone le diede un po' di tregua, ma soltanto per permetterle di assistere al mio spettacolo che, nudo e crocifisso, venivo frustato brutalmente, con ancora più crudeltà di quanto abbia fatto con lei.
Dopo avermi frustato mi staccò dalla croce, ma solo per legarmi di nuovo a terra, a pancia in su, con le braccia e le gambe bene divaricate.
A quel punto slegò anche mia moglie e la face sdraiare sopra di me a pancia in giù, in modo che restassimo petto contro petto. Legò i suoi polsi e le sue caviglie con i miei, in modo che anche lei rimanesse con le braccia e le gambe bene divaricate, ma a pancia in giù (sopra di me). In questo modo il padrone manipolò il mio pisello per farlo diventare sufficientemente duro, così da poter infilare il mio fallo dentro la sua vagina, bene in profondità. Così da poter stare perfettamente accoppiati, l’una sopra l’altro.
Così immobilizzati, ricominciò a frustate mia moglie sulle cosce, sui glutei e sulla schiena. Ogni volta che lei riceveva una frustata, io potevo percepire le sue contrazioni, perché la sua vagina si stringeva inevitabilmente attorno al mio fallo.
Io ero in pena nell’assistere al suo supplizio, ma le continue contrazioni della sua vagina attorno al mio fallo, mi costrinsero a sborrare, riversando copioso il mio sperma caldo dentro di lei.
Potevo solo immaginare cosa lei potesse pensare di me quando io sarei venuto dentro di lei in preda all’orgasmo, sicuramente penserà che io avessi goduto del suo supplizio e temo che mi odierà.
Quale punizione può essere per me più crudele di questa?
Alla fine della giornata questo supplizio cessò. Fummo staccati, ci mise ad entrambi i ceppi ai polsi e alla caviglie e collare in ferro e ci condusse all’interno della cantina. All’interno vi erano due celle dove ci rinchiuse dentro ad ognuno. Ci fissò ad una grossa catena al muro attaccandola al nostro collare e rimanemmo tutta la notte doloranti e feriti dai supplizi ricevuti durante la giornata, pensando a cosa potesse succederci il giorno seguente.
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