Luca lo schiavo (parte 3)
di
Luca the slave
genere
sadomaso
Ero nella mia cella quando, in piena notte, entrò la mia padrona. Mi fece alzare e, sempre in catene, mi condusse fuori. Lei era a cavallo ed io la seguivo dietro, assicurato da una catena. Camminammo per un tempo che sembrò infinito, le pesanti catene rendevano ogni passo un'impresa. Attraversammo un bosco, poi un torrente, e infine un campo coperto di sassolini taglienti che martoriavano i miei piedi nudi.
Quando giungemmo alla radura, vidi una grande croce e due uomini che ci aspettavano. La padrona mi tolse le catene e mi affidò ai due uomini, che mi presero con forza. Mi sbatterono contro la croce, assicurandomi polsi e caviglie con delle cinghie robuste. Poi issarono la croce, procurandomi un dolore acuto quando si stabilizzò.
La mia padrona prese una bull whip e cominciò a percuotermi le gambe e il petto, ogni colpo procurandomi dolori lancinanti. Sentivo la pelle bruciare ad ogni frustata, ma sapevo che questo faceva parte del gioco a cui avevamo acconsentito. Quando terminò, mi lasciò lì, issato sulla croce, a crogiolarmi al sole per tutta la giornata.
Il calore del sole e il dolore pulsante delle frustate si mescolavano, creando una sensazione di tormento e abbandono. Ero al contempo esausto e in uno stato di strana euforia, consapevole che ogni momento di sofferenza era un tributo alla mia padrona e al nostro gioco di potere.
Rimasi issato lì sopra tutto il giorno. Non ne potevo più: ero tutto dolorante, con spasmi ai muscoli che mi tormentavano incessantemente. Ogni tanto, qualcuno mi dissetava con una spugna intrisa d'acqua, ma la mia sofferenza non accennava a diminuire. Il sudore mi colava lungo il corpo, attirando insetti che banchettavano sulla mia pelle. Al calare del sole, fui finalmente levato dalla croce e rimesso in catene.
Mi condussero di nuovo alla mia cella. Il mio corpo era martoriato dal sole, dai morsi degli insetti e dalle punture delle zanzare. Quando entrai nella mia cella, provai un grande sollievo, sperando che la mia padrona fosse soddisfatta delle sofferenze che mi aveva inflitto. Mi portarono dell'acqua e del cibo, e ringraziai la mia signora per questo dono. Dopo essermi rifocillato, mi fece distendere su un tavolaccio, legandomi con gli arti divaricati. Mi lasciò così per tutta la notte.
Le corde che mi tenevano immobilizzato scavavano nella mia pelle, amplificando il dolore già presente. Ogni movimento, anche il più piccolo, mi ricordava la mia condizione di totale sottomissione. Nonostante tutto, un senso di appartenenza e devozione verso la mia padrona mi pervadeva, rendendo ogni sofferenza una prova del mio impegno e della mia fedeltà.
Quando giungemmo alla radura, vidi una grande croce e due uomini che ci aspettavano. La padrona mi tolse le catene e mi affidò ai due uomini, che mi presero con forza. Mi sbatterono contro la croce, assicurandomi polsi e caviglie con delle cinghie robuste. Poi issarono la croce, procurandomi un dolore acuto quando si stabilizzò.
La mia padrona prese una bull whip e cominciò a percuotermi le gambe e il petto, ogni colpo procurandomi dolori lancinanti. Sentivo la pelle bruciare ad ogni frustata, ma sapevo che questo faceva parte del gioco a cui avevamo acconsentito. Quando terminò, mi lasciò lì, issato sulla croce, a crogiolarmi al sole per tutta la giornata.
Il calore del sole e il dolore pulsante delle frustate si mescolavano, creando una sensazione di tormento e abbandono. Ero al contempo esausto e in uno stato di strana euforia, consapevole che ogni momento di sofferenza era un tributo alla mia padrona e al nostro gioco di potere.
Rimasi issato lì sopra tutto il giorno. Non ne potevo più: ero tutto dolorante, con spasmi ai muscoli che mi tormentavano incessantemente. Ogni tanto, qualcuno mi dissetava con una spugna intrisa d'acqua, ma la mia sofferenza non accennava a diminuire. Il sudore mi colava lungo il corpo, attirando insetti che banchettavano sulla mia pelle. Al calare del sole, fui finalmente levato dalla croce e rimesso in catene.
Mi condussero di nuovo alla mia cella. Il mio corpo era martoriato dal sole, dai morsi degli insetti e dalle punture delle zanzare. Quando entrai nella mia cella, provai un grande sollievo, sperando che la mia padrona fosse soddisfatta delle sofferenze che mi aveva inflitto. Mi portarono dell'acqua e del cibo, e ringraziai la mia signora per questo dono. Dopo essermi rifocillato, mi fece distendere su un tavolaccio, legandomi con gli arti divaricati. Mi lasciò così per tutta la notte.
Le corde che mi tenevano immobilizzato scavavano nella mia pelle, amplificando il dolore già presente. Ogni movimento, anche il più piccolo, mi ricordava la mia condizione di totale sottomissione. Nonostante tutto, un senso di appartenenza e devozione verso la mia padrona mi pervadeva, rendendo ogni sofferenza una prova del mio impegno e della mia fedeltà.
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