Lo schiavo Luca
di
Luca the slave
genere
sadomaso
L'oscurità della stanza era interrotta solo da un sottile filo di luce che penetrava dalle tende pesanti. L'aria era densa, carica di un silenzio che parlava di attesa e sottomissione. Sentivo le catene fredde avvolgersi intorno ai miei polsi, un promemoria costante del mio stato di schiavo. Ogni movimento che facevo, ogni respiro, era accompagnato dal tintinnio metallico che mi ricordava il mio ruolo.
Ero in ginocchio, la testa china in segno di rispetto e obbedienza. Il pavimento sotto di me era freddo, ma non osavo lamentarmi. La mia Maestra, l'unica persona che avesse il potere di liberarmi o di infliggermi ancora più piacere, si trovava da qualche parte nella stanza, osservandomi con uno sguardo che potevo sentire sulla pelle.
Il silenzio fu rotto dal suono dei suoi passi lenti e misurati. Ogni passo risuonava come un tamburo nel mio petto, aumentando l'eccitazione e la paura in egual misura. Mi sforzavo di mantenere la posizione, di mostrare la mia dedizione e il mio desiderio di piacere.
"Sei pronto a dimostrare la tua devozione, schiavo?" La sua voce era un sussurro, dolce e tagliente allo stesso tempo.
"Sí, Padrona," risposi, la voce tremante ma determinata.
Sentii la pressione della sua mano sul mio mento, sollevandomi il viso fino a incontrare i suoi occhi. Il suo sguardo era penetrante, scrutando ogni mia emozione, ogni pensiero nascosto.
"Ricorda, la tua volontà non ti appartiene più. Ogni tuo desiderio, ogni tua paura, è sotto il mio controllo." Le sue parole erano una melodia che risuonava nella mia mente, affondando nelle mie vene come un veleno dolce.
Con un gesto elegante, la Padrona estrasse un frustino, facendolo schioccare nell'aria. Il suono fu come una scarica elettrica, percorrendo la mia spina dorsale e intensificando la mia consapevolezza della situazione. Le catene sembravano stringersi ulteriormente, come se volessero impedirmi qualsiasi movimento.
Mi chinai ancora di più, offrendomi completamente alla sua volontà. Ogni colpo del frustino era una lezione, un passo verso la completa sottomissione. Sentivo il calore e il dolore mescolarsi, creando un piacere che solo la Maestra poteva donarmi.
Ad ogni colpo, pronunciavo il suo nome, un mantra di devozione e obbedienza. La mia pelle ardeva, ma il mio spirito era libero, librato nell'abbandono totale.
Finalmente, la Padrona si fermò. Le sue dita si mossero leggere sulla mia pelle segnata, come a ricompensarmi per la mia resistenza e il mio impegno. Mi sollevò ancora una volta il viso, i suoi occhi incontrarono i miei.
"Hai fatto bene, schiavo. Sei mio, completamente." La sua voce era un balsamo che guariva le ferite, riempiendomi di un senso di appartenenza e gratificazione.
Le catene non erano più un peso, ma un simbolo del legame indissolubile tra noi. Ero suo, ora e per sempre, nella mia schiavitù avevo trovato la mia libertà.
La Maestra mi osservava attentamente, gli occhi scintillanti di determinazione e potere. Con movimenti decisi e aggraziati, prese una lunga corda di seta nera, il suo tocco leggero e fermo allo stesso tempo. Mi fece cenno di alzarmi, e io obbedii immediatamente, le catene che tintinnavano mentre mi muovevo.
"Vieni qui, schiavo," ordinò, la sua voce come velluto. Mi guidò verso un imponente cavalletto di legno al centro della stanza, le sue superfici lisce e lucide. "Oggi imparerai cosa significa appartenere veramente."
Senza una parola, mi posizionò davanti al cavalletto, facendomi inginocchiare di nuovo. Le sue mani erano abili e precise, mentre legava i miei polsi alle estremità del cavalletto, usando nodi sicuri ma non troppo stretti. Il freddo legno contro la mia pelle nuda era un contrasto alle corde di seta che mi avvolgevano, rafforzando il senso di vulnerabilità e sottomissione.
Sentii il mio cuore battere più forte, l'eccitazione mescolata alla paura. La Maestra si spostò dietro di me, le sue mani che scorrevano lungo la mia schiena, tracciando linee invisibili. "Rilassati, schiavo. Abbandonati completamente a me."
Mi sforzai di rilassarmi, di lasciare andare ogni pensiero e preoccupazione. La sua presenza era tutto ciò che contava, il suo controllo totale su di me era una fonte di conforto e sicurezza.
Iniziò a legarmi con maggiore intensità, le corde che avvolgevano i miei gomiti, stringendosi intorno al mio petto, incrociandosi e formando un intricato disegno che mi teneva saldamente in posizione. Ogni nodo era un passo verso la mia completa sottomissione, un segno tangibile del suo dominio su di me.
Le sue mani si mossero lungo i miei fianchi, legando le mie gambe al cavalletto, immobilizzandomi completamente. Ero alla sua mercé, ogni movimento limitato, ogni respiro sotto il suo controllo.
Quando ebbe finito, la Maestra si fermò un momento ad ammirare il suo lavoro. Potevo sentire il suo sguardo su di me, valutando ogni dettaglio, ogni nodo. Mi sentivo esposto, vulnerabile, ma anche incredibilmente eccitato. Il mio corpo tremava leggermente, ma non di paura, bensì di un desiderio profondo e incontrollabile.
"Adesso sei pronto," disse infine, la sua voce un sussurro che riecheggiava nella stanza. Con un ultimo tocco, mi accarezzò la guancia, un gesto di tenerezza che contrastava con la severità delle corde che mi tenevano prigioniero.
La Padrona prese la frusta e si posizionò di nuovo dietro di me. Ogni colpo era calibrato, un perfetto equilibrio tra piacere e dolore, e ogni volta che la frusta colpiva la mia pelle, il mio corpo si tendeva e poi si rilassava, abbandonandosi ancora di più al suo controllo.
Ogni colpo era accompagnato dalle sue parole, dolci e severe allo stesso tempo, che mi guidavano nel mio viaggio di sottomissione. "Sei mio, completamente. Ogni respiro, ogni battito del tuo cuore, appartiene a me."
Con il tempo, il dolore divenne piacere, e il piacere divenne una forma di adorazione. Ero legato, sì, ma in quelle corde trovavo la mia vera libertà. Ogni colpo, ogni nodo, ogni parola della Maestra era una dimostrazione del legame profondo che ci univa.
Quando finalmente si fermò, la Padrona si avvicinò a me, il suo respiro caldo contro la mia pelle. Mi slegò con la stessa cura con cui mi aveva legato, le sue mani leggere e sicure. Quando fui finalmente libero dalle corde, crollai nelle sue braccia, esausto ma felice, sentendo una connessione profonda e inestricabile.
"Sono tuo, Padrona," sussurrai, la voce piena di gratitudine e devozione.
"Sì, sei mio," rispose lei, stringendomi a sé. E in quel momento, sapevo che avevo trovato il mio posto.
L'oscurità della stanza era spezzata solo dalla luce delle candele, che gettavano ombre danzanti sulle pareti. La Maestra si avvicinò a me con un'espressione di assoluta padronanza, il frustino in mano e uno sguardo deciso che non lasciava spazio a dubbi.
"Alzati, schiavo," ordinò con una voce ferma e autoritaria. Mi alzai con fatica, i muscoli già tesi per l'anticipazione di ciò che sarebbe successo. Mi condusse verso un robusto gancio fissato al soffitto, e con mani esperte mi legò i polsi con robuste cinghie di cuoio. Sentii la tensione sulle spalle mentre mi sollevava leggermente da terra, i piedi che appena toccavano il pavimento.
Ero completamente esposto, il corpo teso e vulnerabile. Sentivo il mio respiro accelerare, il cuore battere forte nel petto. La Maestra si mosse lentamente attorno a me, apprezzando la mia posizione, il mio stato di totale sottomissione.
"Devi imparare cosa significa davvero obbedire," disse, la sua voce un sussurro che mi fece rabbrividire. Il primo colpo della bull whip mi colpì con una precisione tagliente, lasciando una striscia di dolore sulla mia schiena. Non potei trattenere un gemito, ma mi sforzai di rimanere immobile, di accettare ogni colpo come un segno del suo dominio.
La bull whip scese ancora e ancora, ogni colpo un'esplosione di dolore che attraversava il mio corpo. Mi sentivo come se fossi in trance, il confine tra dolore e piacere diventava sempre più sfumato. Ogni colpo era un'affermazione del suo potere su di me, una lezione di obbedienza e devozione.
Dopo quello che sembrò un'eternità, la Padrona si fermò. Il mio corpo era coperto di segni rossi, ogni respiro era una lotta. La sentii avvicinarsi, il suo tocco leggero sulla mia pelle calda e pulsante.
Poi, senza preavviso, sentii il freddo liquido dell'alcool colpire le mie ferite. Il dolore esplose in modo acuto, facendomi gridare. Le mie braccia tiravano contro le cinghie, il corpo contorcendosi in una danza di agonia.
"Devi imparare a sopportare," sussurrò la Padrona con tono sadico. "Questo è il prezzo della tua obbedienza, della tua devozione."
Ogni goccia di alcool era una fiamma che bruciava sulla mia pelle, intensificando il dolore. Le lacrime scorrevano sul mio viso, ma non osavo implorare pietà. Sapevo che questa era la sua volontà, che dovevo dimostrare la mia sottomissione accettando tutto ciò che lei decideva di infliggermi.
Infine, quando sembrava che non potessi più sopportare, la Padrona smise. Mi lasciò appeso lì per un momento, il mio respiro affannoso e irregolare, il corpo che tremava. Poi, con la stessa cura con cui mi aveva legato, iniziò a liberarmi.
Caddi nelle sue braccia, esausto e vulnerabile. Sentii le sue mani che mi accarezzavano dolcemente, un contrasto incredibile con il dolore appena inflitto.
"Sei mio," disse con un tono soddisfatto. "Hai fatto bene, schiavo. Ricorda questo momento. Ricorda chi sei e a chi appartieni."
"Sí, Padrona," risposi con un filo di voce, la mia mente e il mio corpo completamente abbandonati a lei.
E in quel momento, sapevo che la mia sottomissione era completa, che ero suo in ogni senso possibile. E mentre il dolore svaniva lentamente, una sensazione di profonda appartenenza e gratitudine riempiva il mio cuore.
L'aria nella stanza era densa e carica di tensione. Il mio corpo era segnato dai tormenti appena inflitti, ogni muscolo dolorante, ogni respiro un promemoria del mio stato di totale sottomissione. La Padrona mi osservava con occhi gelidi e implacabili, la terribile frusta ancora stretta nella sua mano.
"Adesso," disse con voce calma e ferma, "imparerai cosa significa appartenere a me completamente."
Senza ulteriori parole, mi afferrò per i capelli, tirandomi in piedi con una forza che non avrei mai immaginato possibile in una figura così elegante. Le mie ginocchia tremavano, il corpo esausto, ma obbedii senza protestare, la testa china in segno di obbedienza.
Prese dei pesanti ceppi di ferro e iniziò a chiudermeli intorno alle caviglie. Ogni scatto del metallo contro la mia pelle era un'ulteriore conferma della mia condizione di schiavo. Poi passò ai polsi, assicurandomeli con altrettanti ceppi, collegati a una catena che pendeva da un collare di ferro che mi mise intorno al collo. Il peso del collare e delle catene era opprimente, ogni movimento una lotta contro il metallo freddo e inesorabile.
La Padrona mi condusse poi verso una porta nascosta in un angolo della stanza. Le catene tintinnavano ad ogni mio passo, un suono che sembrava rimbombare nelle mie orecchie, un'eco della mia prigionia. Aprì la porta, rivelando una scalinata che conduceva giù, nelle profondità della casa.
"Avanti," ordinò, e io obbedii, scendendo i gradini con difficoltà. Ogni passo era un'impresa, ma la volontà della Padrona era tutto ciò che contava. Arrivammo in un corridoio buio e umido, le pareti di pietra che trasudavano umidità e freddo.
Alla fine del corridoio, c'era una pesante porta di ferro. La Padrona la aprì con un chiave di bronzo, rivelando una piccola cella, spoglia e fredda. Mi spinse dentro senza esitazione, chiudendo la porta dietro di me. Le catene si tesero, limitando ulteriormente i miei movimenti.
"Qui rimarrai," disse attraverso le sbarre, "fino a quando non sarai pronto a dimostrare la tua devozione in modo ancora più completo."
Le sue parole risuonarono nella mia mente mentre la porta si chiudeva con un clangore definitivo. Ero solo, incatenato al buio, il freddo della cella che penetrava nelle ossa. Il tempo sembrava dilatarsi, ogni minuto un'eternità.
Ma nonostante il dolore e la solitudine, sentii una strana sensazione di pace. Ero lì per servire la Padrona, e ogni tormento, ogni catena, era un segno del suo dominio su di me. Ero suo, completamente, e in quella prigione trovavo la mia vera libertà.
Mentre il buio mi avvolgeva, mi rannicchiai sul pavimento, lasciando che la stanchezza e l'esaustione prendessero il sopravvento. Le catene erano pesanti, ma il loro peso era anche un conforto. E così, tra il freddo e l'umidità, mi addormentai, sognando la Padrona e il suo potere su di me.
Ero in ginocchio, la testa china in segno di rispetto e obbedienza. Il pavimento sotto di me era freddo, ma non osavo lamentarmi. La mia Maestra, l'unica persona che avesse il potere di liberarmi o di infliggermi ancora più piacere, si trovava da qualche parte nella stanza, osservandomi con uno sguardo che potevo sentire sulla pelle.
Il silenzio fu rotto dal suono dei suoi passi lenti e misurati. Ogni passo risuonava come un tamburo nel mio petto, aumentando l'eccitazione e la paura in egual misura. Mi sforzavo di mantenere la posizione, di mostrare la mia dedizione e il mio desiderio di piacere.
"Sei pronto a dimostrare la tua devozione, schiavo?" La sua voce era un sussurro, dolce e tagliente allo stesso tempo.
"Sí, Padrona," risposi, la voce tremante ma determinata.
Sentii la pressione della sua mano sul mio mento, sollevandomi il viso fino a incontrare i suoi occhi. Il suo sguardo era penetrante, scrutando ogni mia emozione, ogni pensiero nascosto.
"Ricorda, la tua volontà non ti appartiene più. Ogni tuo desiderio, ogni tua paura, è sotto il mio controllo." Le sue parole erano una melodia che risuonava nella mia mente, affondando nelle mie vene come un veleno dolce.
Con un gesto elegante, la Padrona estrasse un frustino, facendolo schioccare nell'aria. Il suono fu come una scarica elettrica, percorrendo la mia spina dorsale e intensificando la mia consapevolezza della situazione. Le catene sembravano stringersi ulteriormente, come se volessero impedirmi qualsiasi movimento.
Mi chinai ancora di più, offrendomi completamente alla sua volontà. Ogni colpo del frustino era una lezione, un passo verso la completa sottomissione. Sentivo il calore e il dolore mescolarsi, creando un piacere che solo la Maestra poteva donarmi.
Ad ogni colpo, pronunciavo il suo nome, un mantra di devozione e obbedienza. La mia pelle ardeva, ma il mio spirito era libero, librato nell'abbandono totale.
Finalmente, la Padrona si fermò. Le sue dita si mossero leggere sulla mia pelle segnata, come a ricompensarmi per la mia resistenza e il mio impegno. Mi sollevò ancora una volta il viso, i suoi occhi incontrarono i miei.
"Hai fatto bene, schiavo. Sei mio, completamente." La sua voce era un balsamo che guariva le ferite, riempiendomi di un senso di appartenenza e gratificazione.
Le catene non erano più un peso, ma un simbolo del legame indissolubile tra noi. Ero suo, ora e per sempre, nella mia schiavitù avevo trovato la mia libertà.
La Maestra mi osservava attentamente, gli occhi scintillanti di determinazione e potere. Con movimenti decisi e aggraziati, prese una lunga corda di seta nera, il suo tocco leggero e fermo allo stesso tempo. Mi fece cenno di alzarmi, e io obbedii immediatamente, le catene che tintinnavano mentre mi muovevo.
"Vieni qui, schiavo," ordinò, la sua voce come velluto. Mi guidò verso un imponente cavalletto di legno al centro della stanza, le sue superfici lisce e lucide. "Oggi imparerai cosa significa appartenere veramente."
Senza una parola, mi posizionò davanti al cavalletto, facendomi inginocchiare di nuovo. Le sue mani erano abili e precise, mentre legava i miei polsi alle estremità del cavalletto, usando nodi sicuri ma non troppo stretti. Il freddo legno contro la mia pelle nuda era un contrasto alle corde di seta che mi avvolgevano, rafforzando il senso di vulnerabilità e sottomissione.
Sentii il mio cuore battere più forte, l'eccitazione mescolata alla paura. La Maestra si spostò dietro di me, le sue mani che scorrevano lungo la mia schiena, tracciando linee invisibili. "Rilassati, schiavo. Abbandonati completamente a me."
Mi sforzai di rilassarmi, di lasciare andare ogni pensiero e preoccupazione. La sua presenza era tutto ciò che contava, il suo controllo totale su di me era una fonte di conforto e sicurezza.
Iniziò a legarmi con maggiore intensità, le corde che avvolgevano i miei gomiti, stringendosi intorno al mio petto, incrociandosi e formando un intricato disegno che mi teneva saldamente in posizione. Ogni nodo era un passo verso la mia completa sottomissione, un segno tangibile del suo dominio su di me.
Le sue mani si mossero lungo i miei fianchi, legando le mie gambe al cavalletto, immobilizzandomi completamente. Ero alla sua mercé, ogni movimento limitato, ogni respiro sotto il suo controllo.
Quando ebbe finito, la Maestra si fermò un momento ad ammirare il suo lavoro. Potevo sentire il suo sguardo su di me, valutando ogni dettaglio, ogni nodo. Mi sentivo esposto, vulnerabile, ma anche incredibilmente eccitato. Il mio corpo tremava leggermente, ma non di paura, bensì di un desiderio profondo e incontrollabile.
"Adesso sei pronto," disse infine, la sua voce un sussurro che riecheggiava nella stanza. Con un ultimo tocco, mi accarezzò la guancia, un gesto di tenerezza che contrastava con la severità delle corde che mi tenevano prigioniero.
La Padrona prese la frusta e si posizionò di nuovo dietro di me. Ogni colpo era calibrato, un perfetto equilibrio tra piacere e dolore, e ogni volta che la frusta colpiva la mia pelle, il mio corpo si tendeva e poi si rilassava, abbandonandosi ancora di più al suo controllo.
Ogni colpo era accompagnato dalle sue parole, dolci e severe allo stesso tempo, che mi guidavano nel mio viaggio di sottomissione. "Sei mio, completamente. Ogni respiro, ogni battito del tuo cuore, appartiene a me."
Con il tempo, il dolore divenne piacere, e il piacere divenne una forma di adorazione. Ero legato, sì, ma in quelle corde trovavo la mia vera libertà. Ogni colpo, ogni nodo, ogni parola della Maestra era una dimostrazione del legame profondo che ci univa.
Quando finalmente si fermò, la Padrona si avvicinò a me, il suo respiro caldo contro la mia pelle. Mi slegò con la stessa cura con cui mi aveva legato, le sue mani leggere e sicure. Quando fui finalmente libero dalle corde, crollai nelle sue braccia, esausto ma felice, sentendo una connessione profonda e inestricabile.
"Sono tuo, Padrona," sussurrai, la voce piena di gratitudine e devozione.
"Sì, sei mio," rispose lei, stringendomi a sé. E in quel momento, sapevo che avevo trovato il mio posto.
L'oscurità della stanza era spezzata solo dalla luce delle candele, che gettavano ombre danzanti sulle pareti. La Maestra si avvicinò a me con un'espressione di assoluta padronanza, il frustino in mano e uno sguardo deciso che non lasciava spazio a dubbi.
"Alzati, schiavo," ordinò con una voce ferma e autoritaria. Mi alzai con fatica, i muscoli già tesi per l'anticipazione di ciò che sarebbe successo. Mi condusse verso un robusto gancio fissato al soffitto, e con mani esperte mi legò i polsi con robuste cinghie di cuoio. Sentii la tensione sulle spalle mentre mi sollevava leggermente da terra, i piedi che appena toccavano il pavimento.
Ero completamente esposto, il corpo teso e vulnerabile. Sentivo il mio respiro accelerare, il cuore battere forte nel petto. La Maestra si mosse lentamente attorno a me, apprezzando la mia posizione, il mio stato di totale sottomissione.
"Devi imparare cosa significa davvero obbedire," disse, la sua voce un sussurro che mi fece rabbrividire. Il primo colpo della bull whip mi colpì con una precisione tagliente, lasciando una striscia di dolore sulla mia schiena. Non potei trattenere un gemito, ma mi sforzai di rimanere immobile, di accettare ogni colpo come un segno del suo dominio.
La bull whip scese ancora e ancora, ogni colpo un'esplosione di dolore che attraversava il mio corpo. Mi sentivo come se fossi in trance, il confine tra dolore e piacere diventava sempre più sfumato. Ogni colpo era un'affermazione del suo potere su di me, una lezione di obbedienza e devozione.
Dopo quello che sembrò un'eternità, la Padrona si fermò. Il mio corpo era coperto di segni rossi, ogni respiro era una lotta. La sentii avvicinarsi, il suo tocco leggero sulla mia pelle calda e pulsante.
Poi, senza preavviso, sentii il freddo liquido dell'alcool colpire le mie ferite. Il dolore esplose in modo acuto, facendomi gridare. Le mie braccia tiravano contro le cinghie, il corpo contorcendosi in una danza di agonia.
"Devi imparare a sopportare," sussurrò la Padrona con tono sadico. "Questo è il prezzo della tua obbedienza, della tua devozione."
Ogni goccia di alcool era una fiamma che bruciava sulla mia pelle, intensificando il dolore. Le lacrime scorrevano sul mio viso, ma non osavo implorare pietà. Sapevo che questa era la sua volontà, che dovevo dimostrare la mia sottomissione accettando tutto ciò che lei decideva di infliggermi.
Infine, quando sembrava che non potessi più sopportare, la Padrona smise. Mi lasciò appeso lì per un momento, il mio respiro affannoso e irregolare, il corpo che tremava. Poi, con la stessa cura con cui mi aveva legato, iniziò a liberarmi.
Caddi nelle sue braccia, esausto e vulnerabile. Sentii le sue mani che mi accarezzavano dolcemente, un contrasto incredibile con il dolore appena inflitto.
"Sei mio," disse con un tono soddisfatto. "Hai fatto bene, schiavo. Ricorda questo momento. Ricorda chi sei e a chi appartieni."
"Sí, Padrona," risposi con un filo di voce, la mia mente e il mio corpo completamente abbandonati a lei.
E in quel momento, sapevo che la mia sottomissione era completa, che ero suo in ogni senso possibile. E mentre il dolore svaniva lentamente, una sensazione di profonda appartenenza e gratitudine riempiva il mio cuore.
L'aria nella stanza era densa e carica di tensione. Il mio corpo era segnato dai tormenti appena inflitti, ogni muscolo dolorante, ogni respiro un promemoria del mio stato di totale sottomissione. La Padrona mi osservava con occhi gelidi e implacabili, la terribile frusta ancora stretta nella sua mano.
"Adesso," disse con voce calma e ferma, "imparerai cosa significa appartenere a me completamente."
Senza ulteriori parole, mi afferrò per i capelli, tirandomi in piedi con una forza che non avrei mai immaginato possibile in una figura così elegante. Le mie ginocchia tremavano, il corpo esausto, ma obbedii senza protestare, la testa china in segno di obbedienza.
Prese dei pesanti ceppi di ferro e iniziò a chiudermeli intorno alle caviglie. Ogni scatto del metallo contro la mia pelle era un'ulteriore conferma della mia condizione di schiavo. Poi passò ai polsi, assicurandomeli con altrettanti ceppi, collegati a una catena che pendeva da un collare di ferro che mi mise intorno al collo. Il peso del collare e delle catene era opprimente, ogni movimento una lotta contro il metallo freddo e inesorabile.
La Padrona mi condusse poi verso una porta nascosta in un angolo della stanza. Le catene tintinnavano ad ogni mio passo, un suono che sembrava rimbombare nelle mie orecchie, un'eco della mia prigionia. Aprì la porta, rivelando una scalinata che conduceva giù, nelle profondità della casa.
"Avanti," ordinò, e io obbedii, scendendo i gradini con difficoltà. Ogni passo era un'impresa, ma la volontà della Padrona era tutto ciò che contava. Arrivammo in un corridoio buio e umido, le pareti di pietra che trasudavano umidità e freddo.
Alla fine del corridoio, c'era una pesante porta di ferro. La Padrona la aprì con un chiave di bronzo, rivelando una piccola cella, spoglia e fredda. Mi spinse dentro senza esitazione, chiudendo la porta dietro di me. Le catene si tesero, limitando ulteriormente i miei movimenti.
"Qui rimarrai," disse attraverso le sbarre, "fino a quando non sarai pronto a dimostrare la tua devozione in modo ancora più completo."
Le sue parole risuonarono nella mia mente mentre la porta si chiudeva con un clangore definitivo. Ero solo, incatenato al buio, il freddo della cella che penetrava nelle ossa. Il tempo sembrava dilatarsi, ogni minuto un'eternità.
Ma nonostante il dolore e la solitudine, sentii una strana sensazione di pace. Ero lì per servire la Padrona, e ogni tormento, ogni catena, era un segno del suo dominio su di me. Ero suo, completamente, e in quella prigione trovavo la mia vera libertà.
Mentre il buio mi avvolgeva, mi rannicchiai sul pavimento, lasciando che la stanchezza e l'esaustione prendessero il sopravvento. Le catene erano pesanti, ma il loro peso era anche un conforto. E così, tra il freddo e l'umidità, mi addormentai, sognando la Padrona e il suo potere su di me.
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