Naja

di
genere
gay

Con Pasquale non l’avevo ancora mai fatto. Appena spente le luci e passato il controllo si presentò davanti alla mia branda, ancora in tuta mimetica. Un tipo di poche parole, atteggiamento arrogante, uno, insomma, con cui è meglio non discutere. Mi fece spogliare e percorrere nudo, con lui dietro, tutta la camerata fino ai cessi, tra le risatine dei suoi compari.
Deve svuotare le palle, mi aveva detto Giuseppe, il mio protettore in caserma; non ti preoccupare, ho tutto sotto controllo, è un amico, uno che devi rispettare. È settimane che non si fa una bella scopata, fallo divertire. Alle mie timide rimostranze, visto che da dove veniva aveva pestato a sangue alcuni commilitoni, non rompere i coglioni, continuò, gli fai quello che vuole senza fare storie e se te lo vuole anche mettere nel culo, allarghi le chiappe e fai il tuo dovere. Lui non mi deve chiedere il permesso!
Nel cesso, in ginocchio, cominciai a sbottonargli i pantaloni con cura, e glieli calai fino ai piedi. La cappella fuoriusciva dall’elastico degli slip, già turgida ed umida ed emanava un forte odore di muschio ed urina rappresa. Prendilo in bocca, mi disse all’improvviso, abbassandosi gli slip da solo, contrariato dalla mia delicatezza che ostacolava la sua impellenza di eiaculare. Conoscevo bene questa reazione, non siamo qui per giocare, sei solo un frocio da sfondare. Me lo fece arrivare in gola un paio di volte, imprecò perché mi veniva la tosse, mi diede qualche schiaffo per farmi capire chi comandasse; poi, visibilmente alterato, mi spinse giù carponi, e bloccandomi con forza mi si mise dietro, puntando l’uccello tra le mie natiche.
Giuseppe era già in caserma da qualche mese quando ero arrivato. Ero, come si diceva allora, una spina e lui un nonno. Il caso volle che capitassi in quella camerata di campani malavitosi, rispettati e temuti da tutti. Facevano il bello ed il cattivo tempo, e tra una bravata e l’altra, aspettavano il congedo. Lui era il capobanda e gli altri gli facevano da scagnozzi ubbidienti.
Benché non avessi avuto modo di lubrificarmi e Pasquale avesse ovviato soltanto con un paio di sputi, feci in modo di farlo entrare, senza fare storie. Il dolore era forte, date le dimensioni del suo uccello, e perché lui mi teneva fermo stringendo brutalmente i miei fianchi con le sue mani enormi. Solo lui doveva godere, lo sapevamo ambedue, ero solo un buco per lui.
È normale, le devono fare tutti ai nonni, qualche sega la sera, tanto per dormire meglio, poi le faranno pure a te è un giro. Così mi aveva detto Pelle, dopo qualche giorno che ero arrivato. Il tono era stato falsamente gentile, più una minaccia che una richiesta. La sera, al cesso, una bella sega e via. Anche due, se c’era bisogno. In compenso se c’era una corvée da effettuare, una guardia o altro servizio io venivo esentato e gli scagnozzi prendevano il mio posto. Tu mi fai le seghe ed io ti proteggo, ti aiuto. Uno come te qui non sopravvive se non ha un protettore, diceva, mentre saliva con le pretese; ma devi essere ragionevole, non creare problemi, se ti dico di ingoiare la sburrata, devi farlo, senza fiatare.
Quando il cazzo di Pasquale fu tutto dentro, arrivò in pochi secondi il suo gemito di gradimento. Ero suo ormai, era pronto a marcare il terreno, pronto al suo diritto di maschio. Mi vergognavo molto di quello che mi lasciavo fare da questi avanzi di galera, ma in fondo mi confortava l’idea di sentirmici costretto, che prima o poi sarebbe finito, nessuno lo avrebbe saputo.
Buzzi si è fatto due corvée al posto tuo è ora che lo ringrazi, mi diceva Pelle, Russo ha fatto la guardia, dovresti fargli qualcosa. E così, la mattina, quando in camerata non c’era nessuno Pelle mi scopava con comodo e la sera, a luci spente, al bagno, uno alla volta mi facevo gli scagnozzi. Una sera, dopo aver svuotato il cazzo ad Auriemma nel cesso, uscimmo all’aperto a fumare una sigaretta. Sei un ragazzo rispettoso, mi disse, e questo va bene, ci fai stare bene a tutti e stai bene tu. Certo, lo capisco che ti da fastidio, ma tanto questi non la smettono. Ci devi prendere gusto a farlo, vedrai che è meglio, devi capire cosa sei. È natura, c’è chi piglia e c’è chi da!
Quando cominciò a muoversi, a montarmi, come piaceva dire a loro, iniziò lentamente quella sensazione di impotente sottomissione che avevo imparato ad apprezzare con gli altri. Pasquale non poteva dirsi un bel ragazzo, mostrava più anni di quelli che aveva; era tozzo, non troppo alto. Ma aveva una forza spaventosa ed una virilità esuberante. Era anche un violento, certo, uno che ce l’aveva col mondo, uno che avrebbe potuto sopprimermi in un attimo e che mi considerava meno di una nullità. Ma ora era lì, sopra di me, con il suo cazzo conficcato nel mio culo, pronto a prendersi il suo piacere, la sua rivincita.
Pasquale era stato trasferito da un’altra caserma alla nostra camerata a causa di una violenta rissa. Era un prepotente conosciuto e temuto da tutti. Si era affiancato a Pelle quasi subito; si rispettavano insomma. Per un paio di settimane era stato buono, ma poi, probabilmente, aveva preteso di essere inserito nel giro. Svuotare le palle era il loro mantra, il loro unico bisogno, oltre alle canne. Solo che lui faceva paura.
Mi scopò per un po’, quasi tutti i giorni, spesso insieme a Pelle, qualche volta con un suo amico sui cinquanta, un pregiudicato che ci ospitava a casa sua durante la libera uscita. Dopo un mese, fu congedato e l’ultima sera offrì il mio culo a tutti i maiali della nostra camerata. Tornato a Napoli perì in un conflitto a fuoco che ancora mi bruciava il culo per l’ultima sera.

scritto il
2024-06-28
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