Gianni il camionista e mia moglie

di
genere
trio

(I capitolo. Io)

Arrivammo al distributore alle venti e quindici, qualche minuto in ritardo sull’orario che Patrizia aveva concordato con Gianni. Un posto di merda, semi deserto, visto l’orario e la dislocazione molto periferica; un posto da far paura. Supero le pompe di benzina, giro a destra ed imbocco il viale che porta all’area di stazionamento dei camion.
«Che cazzo di posto, sempre peggio!» borbotto scocciato e lei «Sei il solito cacasotto senza palle, stai tranquillo Gianni sa il fatto suo ed è pure armato. Comunque la prossima volta viene a casa, mi hai rotto con tutte queste storie. Non mi frega un cazzo se di sopra abitano i tuoi parenti, tanto lo sanno tutti che sei un cornuto impotente»
Gianni è già lì, seduto su un muretto tutto rotto, vicino al suo camion, fuma una sigaretta, con aria contrariata. Accosto davanti al muso del suo mezzo, come mi dice mia moglie, e scendo dall’auto. «Ciao e scusa il ritardo», faccio allungando la mia mano per stringere la sua; ma lui non mi degna né di una parola né di uno sguardo, poi all’improvviso bestemmia e «Sei in ritardo stronzo! Io lavoro non sto qui a giocare. Chiaro?». Poi, ignorandomi, si avvicina a Patrizia, l’abbraccia stretta e le mette la lingua in bocca per salutarla. Poi abbassa le mani sulle sue natiche e la fa girare di schiena verso di me e, mentre la palpeggia oscenamente, «che cazzo ci hai da guardà, cojone!» e mi sputa sulla maglietta.
Non sono un ingenuo, né è la prima volta che devo accompagnare mia moglie da un suo amante, l’ho fatto anche quando ero fidanzato. So di essere un cornuto, un maschio beta, ed accetto che la montino dei veri uomini. Però questo tipo non mi piace, non mostra alcuna complicità, né gratitudine. Patrizia ci ha già scopato un paio di volte da sola, nella cuccetta del suo camion, ma di giorno, nel parcheggio di Casilina sud. Di sera, col buio, non se l’è sentita di andare da sola, mi ha portato per sua sicurezza. Gianni è il suo tipo, mi è bastato un secondo per capirlo: alto, magro e muscoloso, capelli rasati, pancetta appena accennata, volgare e dominante. Farà follie per lui, a cominciare da quel mio orologio antico che la scorsa volta gli ha regalato, insieme alla sua fica. Li seguo come un pecorone, la trattoria è dall’altra parte della statale.
A tavola si siedono vicini, come fossero marito e moglie e, fin da subito, mi isolano volutamente dalla conversazione. Provo ad introdurmi, più volte, ma vengo trattato da lei con molta sufficienza e da lui in tono contrariato. «Dai caro, che ne sai tu», dice lei, «non interrompermi stronzo, non fai ridere nessuno» seguita lui a voce alta, in modo da farsi sentire dal proprietario del locale e dagli altri suoi colleghi seduti a mangiare. Sono molto seccato dal suo comportamento e quando mi chiama di nuovo cornuto, a voce alta, lo mando a fanculo. «Ora ce ne torniamo a casa e la finiamo con questa pagliacciata!» urlo.

Patrizia è allibita ma Gianni, non risponde; calmo dà un cenno al proprietario del locale. Lui mi si avvicina e mi chiede cortesemente di seguirlo. «Te parlo da amico» mi dice nel retrobottega accendendosi una sigaretta «Gianni lo conosco e so bene che sete venuti a fa’ qui». «Scusa ma cosa dici?» «Fidate, co tutto il rispetto lo so che sei un cornuto, se vede ad un miglio. Non je creà problemi, lo stai a fa’ incazza’, lassa perde’. Lo conosco bene, ce viene spesso qui co’ le puttane come tu’ moje, hai da fa la tua parte e quanno è tutto finito te ne ritorni a casa senza tanti problemi, segui il consiglio»
Interdetto chiedo «Ma perché è un tipo pericoloso?» «Nun me fa domande idiote… lui pe’ venì qui ha allungato er viaggio, sta qui pe fasse tu’ moje, e tu ce lo sapevi bene e ce l’hai pure portata. Mo nun te poi tirà indietro, te lo sconsijo co’ uno come lui. Tanto lui, co’ le bone o co’ le cattive, se l’ha da scopà! Quindi godete la serata e non creà problemi se voi tornà a casa tutto intero. Anzi falli annà che Gianni è lungo, se ne fa due o tre prima de falla scenn»
Rientro in sala tutto rosso, Gianni e Patrizia si stanno baciando e, smettono scocciati solo quando mi siedo davanti a loro.
«Allora? Che cazzo te guardi?» urla Gianni infastidito, paga sto cazzo de conto che c’avemo da fa’» ed escono. Io pago il conto e li seguo, fino alla cabina del camion. «Grazie amore» lei in tono ironico mentre Gianni traffica col cassone del camion «grazie per averci rovinato la serata. Ora si è pure incazzato, non sai mai stare al tuo posto. Bella figura di merda eh?!». Cerco di rispondere qualcosa ma lei mi anticipa «Ora facciamola finita, entra in macchina e stattene buono buono lì dentro che io ho da fare con Gianni». Lui arriva con mezza sigaretta tra le labbra, mi spinge in macchina e «non scendere o spostarti per nessun motivo, fino a che non ho finito» poi chiude lo sportello e prende patrizia per la vita aiutandola a salire in cabina.

(II capitolo. Patrizia)
«Il coglione di tuo marito ha capito che non deve rompermi il cazzo?» tuonò Gianni furioso «che cazzo te lo sei portato a fare?»
«Dai amore, mi spiace, ma non sapevo come venire da sola fin qui» gli risposi timorosa». Mi piaceva quell’uomo, era un vero maschio e ci avevo scopato già una decina di volte, con lui ed anche due suoi amici sudamericani, ma di sera tardi non ci eravamo mai incontrati, in un parcheggio isolato alla periferia della città. Avevo preferito farmi accompagnare da Paolo, avevo avuto paura.
«Statti zitta e comincia a succhiarmi il cazzo, non lo vedi che ho voglia?» Il suo cazzo era enorme, duro e tempestato di vene pulsanti; mi incuteva timore. Cominciai a leccargli la canna, la cappella e le palle. Lo vedevo contorcersi dal piacere. «Prendilo tutto il bocca, fino in gola troia» e, così dicendo, mi spinse con la testa sul cazzo, finché non mi mancò il respiro. «Mi fai male così dai» gemetti con le lacrime agli occhi. «Falla finita puttana, stai zitta e succhia, fai quello che dico io»
Gianni era un tipo orrendo, un poco di buono ed un violento, ma mentre mi trattava in quel modo, mentre il suo cazzo mi stuprava la gola, la mia fica si inondava, senza nemmeno che la sfiorassi. Lui lo sapeva bene e se ne sincerò infilandomi un dito duro e calloso dentro. «Ti piace troia, vero? Ti piace il mio cazzo vero? Sei abituata con quel mezzo frocio di tuo marito, non vedevi l’ora».
Gianni aveva i pantaloni e le mutande calati fino ai piedi, seduto sul sedile passeggero, mentre io facevo acrobazie inginocchiata chissà dove, con la testa prigioniera sul suo cazzo di pietra. Il mio profumo forte non riusciva a sovrastare il suo odore selvatico; tutta la cabina sapeva del suo cazzo arrapato, ogni atomo di aria li dentro. Era giunto il momento, lo sapevo. Doveva sentirsi maschio, padrone.
Hai fatto i calcoli giusti? Mi chiese tenendomi per i capelli ed alzandomi dal suo pene con forza. Sì, sono fertile tutta la settimana. L’avevo capito dalla tua fica, sei bollente, togliti le mutande. Ubbidii, come fossi una sua cosa.
Me lo aveva chiesto la volta prima, molto chiaramente. «Se vuoi incontrarmi di nuovo ti voglio nei giorni che sei fertile, senza pillola. Devi essere solo mia» «Ma sei matto? Dai... Ho 45 anni, è difficile che possa rimanere in cinta, ma mi sembra una pazzia». «Ti voglio così. Se rimani in cinta hai un marito, non me ne frega un cazzo, ma mi eccita così. Ho già ingravidato una decina di mogli, con mariti felici ed ignari, non preoccuparti». Lo avevo accettato. Avevo accettato quella pericolosa umiliazione perché non mi ero mai sentita così femmina, come con lui.
Mi tolsi del tutto il mio vestitino leggero, poi feci volare via gli slip. Le scarpe tienile, mi piacciono, mi disse. Sembri più troia. Salii a cavalcioni sul suo cazzo, facendolo penetrare lentamente nella mia fica bagnata, finché non fu tutto dentro di me, con i testicoli gonfi sotto le mie natiche. Andai su è giù lentamente, facendolo morire di piacere. Poi le sue mani potenti mi strinsero per i fianchi e divenni un giocattolo per il suo uccello. Lo vidi chiudere gli occhi, vibrare, urlare. Il suo sperma fluiva dentro di me, riempiendomi la fica, riscaldandomi.
«Godi amore, sono tua, sono la tua donna...»

(III capitolo. Io,Gianni e Patrizia)
«Pe’ mette in cinta tu’ moje ce so voluti venti giorni»
«Ma che sei scemo? Ma chi te l’ha chiesto scusa?»
«Guarda che ce lo so che sei impotente e mezzo frocio. Se la semo scopata in tre, sempre venuti in fica, avemo rinunciato pure ar culo per ingravidalla, armeno un pranzo ce lo potresti offrì»
«Sono basito»
«Come cazzo parli? Nun me fa incazzà. Paga sto cazzo de pranzo e portame i cinquemila euro pattuiti»
«Si amore dai, non fare sempre problemi, con tutto quello che ha fatto per noi Gianni»
«Comunque a parte tutto sei sempre una gran troia, una gran scopata»
«Stronzo!»
scritto il
2024-07-14
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