La puttananella degli ultimi. 2° capitolo

di
genere
dominazione

2° capitolo


«Oggi nun hai portato un cazzo eh? Tutte porcherie» dice Amilcare mentre con la destra mi spinge la nuca sul suo uccello duro «apri bene troia, tutto dentro, fino a giù, forza!. «Ci hai ragione Ami’» continua Er Salamandra «a quei terroni der cazzo, tutto je portava! Tutte le vorte, me l’hanno riferito!». Glielo avevo spiegato molte volte che non era possibile fare come con Catello e Mario, loro erano abusivi in quella casa, e Don Aldo sapeva bene che gli altri due erano partiti. «Sì va bhe, ma chi cazzo ha fatto la spia? Tu no? ce lo so!» insiste Er Salamandra, dandosi il cambio con Amilcare «apri, dai, tutto giù, bravo, così» solo per provocare. «So tutte scuse daje. Comunque sei ubbidiente ce porti quarcheccosa tutte le vorte! Daltronde me pare giusto no?». «Suga bene, dai, che me rode pure er culo oggi! Le sigarette le devi da portà sempre! E pure la sambuca. No ogni tanto. E ste quattro cose da magnà de merda tiettele a casa tua, te l’ho detto un sacco de vorte» e giù un pugno sulla nuca «Ogni vorta che vieni ce devi portà due stecche de Marlboro, du’ sambuche e cinquanta mila lire, è er minimo, o no?!». Ad ogni cambio i loro cazzi sono sempre più duri, più minacciano più si eccitano, non gli frega delle mia risposta. «Questo è er minimo sindacale, te devi da da fa. Er cazzo ar culo costa, ‘sto vizietto se paga!». «Si bello» prosegue l’altro «Noi te damo er cazzo, e che cazzi! Du’ cazzi così a ‘ndo li trovi?» e giù un altro pugno sulla nuca. «Va bhe, mo spojate e preparate che oggi c’avemo amici, gente importante!»

Doveva essere l’ultimo pomeriggio che andavo da Catello e Mario, «Poi partono, portagli il pacco e salutameli tanto; sono bravi cristi» mi aveva detto don Aldo. «Glieli saluterò volentieri» avevo risposto e mi ero incamminato verso la baracca, con molto anticipo. Avrei fatto quella cosa per l’ultima volta, poi quella storia sarebbe finita e sarei tornato alla vita di prima. Ma quando arrivai lì, trovai due energumeni romani, Amilcare e Fabio, detto Er Salamandra che avevano preso il posto degli altri. «Se ne so’ dovuti annà de corsa, lasciace a noi la roba dai, c’hanno spiegato tutto!» e dopo che gliela ebbi mollata «Entra daje!». Rimasi fermo sull’uscio, un po’ perplesso, «T’ho detto de entrà!» ripetè scocciato Er Salamandra e con uno strattone mi buttò dentro e chiuse la porta. «Ma come mai? sono partiti? Non hanno detto niente a don Aldo» «Nun fa troppe domande, so partiti! Punto e basta! Mo qui ce stamo noi e tu non lo dichi a nessuno, si no so cazzi tua!» «Si non vi preoccupate, non dirò nulla, ma don Aldo già lo sa. Ecco i viveri ora vado» e mi girai per andarmene.
«Ma ‘ndo cazzo vai?» aveva sbraitato Amilcare scuotendomi per un braccio. «Sì, infatti, ‘ndo cazzo vai? Che c’hai fretta?» aveva continuato l’altro. «Quelle due merde che staveno qui c’hanno detto che te piace er cazzo! Ma è vero?» «Sì, così hanno detto, dice che sei ‘na puttanella!» ridette Er Salamandra. «Ma no, erano solo degli stronzi, lo avete detto pure voi, hanno inventato tutto per prendervi in giro» «Va bhe noi però ce credemo a quei due, provamo dai, vedemo se è vero, vedemo si te piace o nun te piace» e con sicurezza Amilcare si abbassò i pantaloni e scoprì il cazzo già duro. Divenni immediatamente tutto rosso in viso, le orecchie presero a bollirmi e loro presero a ridersela tutti soddisfatti.
Prima di uscire, per andare giù alle baracche, mi ero preparato con cura a dire il vero. Mi ero fatto due bei clisteri, “bhe, se volessero farlo, almeno…” pensavo “mica mi posso tirare indietro proprio oggi no? Sarebbe l’ultima volta…” e mi ero improfumato, indossato mutandine da ragazza. “Sono stati degli stronzi, mi hanno sfruttato ma, a questo punto” ed avevo trangugiato un whisky “meglio bere un po’, per essere più sciolti”. Anche se non volevo ammetterlo avevo voglia di farmi scopare un ultima volta per bene, in modo indimenticabile.
Amilcare aveva parlato con quei due che lo avevano preceduto, la sua sicurezza parlava chiaro e anche il suo uccello arrapato. Era imbarazzante che, senza conoscermi, mi considerasse già una “puttanella” ma il suo desiderio mi lusingava. E poi, senza alcun dubbio, lui non mi dispiaceva affatto come maschio.
Quando mi fece inginocchiare davanti al suo pube, non opposi resistenza, lo guardai con aria da martire “se proprio mi costringi lo faccio”, e lo presi in bocca. L’altro rideva soddisfatto «pure a me dopo, pure io». Non ci volle molto, un paio di minuti, mi sborrò in bocca rapidamente, abbondante e sicuro di se e, senza che me lo chiedesse, ingoiai il suo sperma. Anche Er Salamandra si fece un giro. Qualche minuto in più, ma anche lui aveva impellenza. «E’ che semo usciti de galera da poco» cominciò proprio Er Salandra «apposta avemo fatto così veloce, me spiace, eravamo pieni» giustificandosi. «Non si preoccupi» risposi con la bocca ancora piena di sborra. «In galera c’era uno come te, pensa c’aveva la fila, e si non je davi li sordi non te faceva nemmeno ‘na sega» rise Amilcare «Tu, invece, aggratis, ci hai fatto ‘na pompa stratosferica, coll’ingoio. Sei ‘na brava bocchinara, con rispetto, complimenti!» seguitò l’altro «E’ un bravo ragazzo e c’ha pure un ber culo, Ami!» e giù a ridere. Mi ero sputtanato in pochi minuti, avevo fatto la figura della troia; ma, tanto, sarebbe stata la prima ed ultima volta. Mai più da quei due.

Youssef è un uomo di origine marocchina, dalla carnagione scura; ha un viso scavato solcato da grosse rughe, rovinato dalla dentatura rada. E’ in Italia da più di vent’anni, senza combinare nulla di buono, se non vendere qualche tappeto, cianfrusaglie varie e commettere piccoli furti che lo fanno entrare ed uscire dal carcere di Regina Coeli. Andiamo dietro la parete di cartone e comincio a spogliarmi lentamente, mentre sorseggio la sambuca per dare a lui il tempo di arraparsi ed io stordirmi un po’. Sotto i jeans ho solo le calze e la giarrettiera, niente slip, le chiappe sono belle lisce e sporgenti, i capezzoli gonfi e turgidi. Non lo ammetterebbe mai ma è molto eccitato, lo capisco dagli occhi fissi sul mio corpo nudo, è una situazione imbarazzante ed appagante allo stesso modo. Inghiotto il suo cazzo e lo lascio andare sempre più giù, inesorabile come la lama di un coltello, fino in gola, fino a che non riesco più a respirare; mi tiene fermo e mi scopa la gola con violenza, lo sa che sto soffocando ed ho paura, ma lui continua. Resisto un po’, poi mi manca l’aria, mi dibatto, ma lui è troppo forte per sfuggirgli. Non parla, emette solo suoni di piacere; alla fine sfila il cazzo mi fa respirare un attimo. Mi tira su la testa, mi guarda soddisfatto, «bravo» dice poi, di nuovo, giù, togliendomi di nuovo l’aria. Emetto dei versi gutturali che suscitano l’ilarità degli altri due che ascoltano dalla sottile parete.
Non è la prima volta che mi scopa. Dicono sia un loro amico, uno che stava dentro con loro «In galera stava, un fratello, je piace scopà! je da giù de brutto» «Guarda che te ce diverti» aveva proseguito Osvaldo «In galera ha aperto er culo a un sacco de gente! ‘a ciccia nera è sempre piaciuta, nun di de no!». In effetti ha un cazzo molto bello, opaco e ruvido, lunghissimo, con la punta rossa come un capezzolo che lui usa come un’arma. Alto, magro, molto virile; ma è violento e brutale e non accetta alcun rifiuto. La sua brutalità, però, la rispetto, non mi pesa doverla accettare, anzi a volte la desidero. In fondo ho compassione per lui, per come la vita lo sta trattando, senza una casa, degli affetti, con quella brama di avere la sua piccola rivincita. Fa solo quello che avrebbe diritto di fare un maschio arrapato a cui hanno tolto tutto, anche la speranza.
Il cazzo entra nel culo a fatica, fa male, è troppo duro e mi lamento un po’ ma, ad ogni lagna, mi arriva una pacca sulla schiena o sulle chiappe. «Ti prego…» lui non parla, mi risputa nel culo la sua saliva calda e lo rinfila dentro. Cerco il mio piccolo pene tra i pochi peli che ho sul pube, carezzo il frenulo ed il mio ano si spalanca, accoglie il cazzo di Yousuf; quasi tutto, quanto basta per farlo godere. “Se mi vedesse qualcuno” penso ognivolta “con le calze e le autoreggenti ed il cazzo di un nero nel culo. Dovrei solo ribellarmi e scappare”; ma, invece me ne sto lì buono buono, a fare la troia con un quell’uomo spregevole e senza scrupoli, con il triplo dei miei anni. Mi scopa il culo con cura, lento ed implacabile mentre il suo sudore mi cola sulla schiena. La sborrata è intensa, lunga, un clistere cremoso che irrita il mio intestino provocandomi il desiderio di defecare. «Vado fumare!» dice mentre lo sfila, si tira su i pantaloni ed esce un attimo.

Naturalmente non fu la prima e l’ultima volta, come mi ero illuso. Non avevo resistito, nella baracca ci tornai dopo una ventina di giorni, con una stecca di Marlboro. «T’è piaciuto er servizietto dell’artra vorta eh?» mi disse sulla porta Osvaldo, appena mi vide. «Sono solo venuto per vedere se stavate bene e portare delle sigarette signor Osvaldo» «Bravo, sei pure un regazzetto educato e rispettoso, me lo avevano detto i terroni, ah ah» «Eh sì, ci mancherebbe».
«Daje entra, che cazzo stai a fa qui fori che fa freddo!» ed una volta entrati «mettete in piedi qui davanti a me, senza fa er timido, nun te devo vergognà» mi disse gettandosi sul divano ed accendendosi una sigaretta «che te vojo vedè bene!». Stette a squadrarmi per qualche minuto, senza parlare, facendomi salire l’ansia. «Vedi» continuò «Er Salamandra mo nun c’è, è escito, ma posso parlà pure pe’ lui, lo conosco troppo bene» «Sì, capisco!» «Aspetta, statte zitto! Parla quanno te lo dico io. Allora, dicevo, m’hai fatto perde er filo. Ah, sì, parlamose chiaramente, a noi ce piaceno le femmine quindi nun te mette in testa idee strane. Nulla toglie però che, un ber culetto giovane nun se lo famo scappà, anche perchè mo de femmine nun ce ne so molte a disposizione, si nu le paghi. Quindi, saresti una specie de ripiego, hai capito bene? Mo di sì o no!» «Sì, ho capito» «Mettete dritto co la schiena, petto in fori e pure culo in fori, inarca la schiena, bravo così, dritto immobile! devo studiatte!» e una volta presa la posizione, di nuovo si zittì e riprese ad osservarmi con attenzione. Poi, all’improvviso: «Co’ quei due lo pijavi pure in culo no?» «Sì…» risposi con un filo di voce «Cor guanto o senza?» «Scusi non ho capito…» «Se mettevano er cappuccio sur cazzo? er preservativo? Come cazzo lo chiami? hai capito?» «No signore… non mi pare» «Hai capito sti fiji de ‘na mignotta?» sbottò ridendo «Sborrata libera! tanto nun rimanevi in cinto!» e giù a ridere. «So stati i primi cazzi che hai preso ve’?» «Sì signore».

«Vedi, tu quei cristiani li devi da ringrazià. T’hanno fatto capì chi sei, solo che mo, anche si nun lo dici, era cazzo te manca e c’hai voja de ripijallo vero?» «No, non so, è diverso, ma signore…» «Va bhe te vergogni ce sta, lo capisco. Solo che mo’ m’è diventato duro a parlà, guarda!» e se lo tirò fuori «E vojo che te spoji nudo, qui davanti a me, famme vedè se hai capito chi sei» «Ma ora? ma la prego» «Ho detto spojate e nu me rompe er cazzo! Nun devi parlà, fai solo quello che dico io, ce lo so che te va, te sto solo a aiutà». Quando fui nudo, lui si alzò dal divano e mi venne vicino e «Pijalo in mano dai». Il suo uccello era caldo e bello duro e come presi a carezzarlo anche il mio si indurì. «Vedi quanto te piace? Te sto a fa un favore, t’ho detto, grande come una casa! C’hai er cazzo minuscolo pe’ l’età tua, fatte servì, e poi tiè!» continuò pizzicandomi un capezzolo «guarda che tette che c’hai, proprio da femmina. Fatte servì, io ce lo so, all’età tua cor cazzo ce sfondavo li muri. Dai tocca bene, pure le palle, bravo così. Quelli come te so destinati».
Mi umiliava senza un vero motivo ma più lo faceva e più ci eccitavamo entrambi. «Senti che belle chiappe che c’hai!» e mi strinse una natica con forza fino a farmi urlare e, quando cercai di liberarmi «Statte fermo, tranquillo!» urlò deciso assestandomi un pugno sulla schiena «devi da sta fermo, dritto, immobile, ok?» «Sì, mi scusi…» «Tu perchè sei qua? Risponni frocetto!» «Non so, forse per lei» «Esatto, stai qui pe’ famme addrizzà er cazzo così poi te posso rompe er culo mejo, ok?» «Sì» ed intanto mi mise un dito nel culo e cominciò la sua ispezione.
Non ho ancora finito con Yussuf. Rientra di nuovo, ha ancora la sigaretta tra le labbra ed in mano un frustino da cavallo. Devo capire da solo quello che vuole, senza che me lo dica lui, altrimenti diventa una bestia. Mi avvicino carponi mentre lui, rapidamente, si toglie le scarpe da lavoro ed i calzini. Gli lecco con cura i piedi, reprimendo i conati di vomito, mentre lui mi bacchetta le chiappe col frustino. Sono sporchi e maleodoranti ed il frustino fa un male cane. Assesta i colpi con cura, fra le natiche, facendomi saltare per il dolore. «Allarga bene le cosce!» mi urla Salamandra che deve essere entrato a godersi lo spettacolo. «Daje Yussuf» gli strilla di nuovo, non appena ho ben allargato le gambe e, in quel momento, arriva un colpo preciso sui miei testicoli che mi fa rotolare a terra dal dolore, fra le loro fragorose risate. «E nun fa tutta sta scena, dai» ride «co’ quelle due noccioline che c’hai che sarà mai!».
Ma Yussuf non è ancora contento. Si abbassa i pantaloni; il cazzo è di nuovo duro. Me lo infila con destrezza fino in gola e mi blocca la testa. Intanto, da dietro, Er Salamandra mi allarga con piede le gambe e, quando comincio a soffocare arriva un nuovo colpo sulle palle, preciso e doloroso.

Osvaldo, mentre ispezionava col dito il mio ano, continuò a parlarmi, a spiegarmi la sua filosofia di vita. «Devi abituatte alla tua natura, se così volemo chiamalla. Tu sei una femmina, nun sei come l’artri ragazzetti amici tua, fattene ‘na ragione. Stai qui tutto nudo, bono e tranquillo e non vedi l’ora che me te faccio. Sei una puttanella, ce lo sai. Ma io te vojo aiutà però me devi sta a sentì. Devi esse rispettoso e sottomesso ar maschio, te lo avranno detto pure quell’altri, penso, devi accettà che sei inferiore a noantri, è così. E se ogni tanto se volemo divertì un po’ co’ te, nun te la devi prende, anzi! Devi esse contento de fa er dovere tuo». I suoi discorsi mi turbavano, certo, ma allo stesso tempo mi facevano desiderare di stare lì con lui, in quella condizione di estremo degrado. «Sei bello largo e caldo, te stai rilassando, è arrivato er momento de pijallo in culo. Mettete a pecora sur divano, testa ar muro, che c’ho le palle piene!».

Perdo il controllo del tutto, ho un conato di vomito, Yussuf mi libera ed io mi rotolo a terra per il dolore, tra le loro fragorose risate. Un attimo di tregua poi Yussuf mi è di nuovo sopra, mi fa stendere supino e col suo pube in faccia mi ricaccia il cazzo in gola e comincia a scoparmela mentre Er Salandra mi stringe le palle con forza. “Questa volta mi ammazzano!” penso, ma la sambuca sta facendo effetto, resisto e in pochi minuti la situazione si sblocca. Il cazzo di Yussuf entra deciso nel mio culo, mi possiede con vigore, con colpi regolari e ben assestati. “Mi piace, lo desidero” penso “sì lo desidero questo animale!” e quando finalmente gode dentro di me capisco che farei per lui qualsiasi cosa per renderlo appagato come in questo momento.

segue
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2024-12-01
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