Frocetto per pastori parte 2
di
Boomer 3000
genere
dominazione
Fadil mi teneva stretto per il collo, controllando la presa per permettermi di respirare solo quando rimanevo completamente immobile. Impossibile liberarsi, era un uomo forte e brutale che non avrei potuto in alcun modo contrastare ed il suo cazzo sembrava un bastone di legno duro e nodoso che scorreva nel mio ventre con energia. Mi guardava senza alcun imbarazzo, lo sguardo truce e gli occhi iniettati di sangue, alzando di scatto il mento ad ogni colpo del suo bacino, con quell’aria arrogante di chi sta dando una lezione a qualcuno che se l’è cercata.
Quando l’anno successivo salii da Gaetano, per salutarlo, i suoi vecchi lavoranti non c’erano più. «Li tempi cagnano» mi aveva detto ed ora sono arrivati dall’est queste persone, che hanno bisogno di starsene un po’ nascoste, lontani dal consorzio civile. «Piglianu nu pocu e stanne bonu» mi aveva detto «sòne pòveri Criste» e vogliono solo che nessuno gli rompa i «cuglione». Senza preavviso e con molta naturalezza, mentre parlava mi si avvicinò e si aprì i pantaloni. «Che mo vò' l’invito?» disse un po’ ironico, tirando fuori il cazzo dritto «Vène ccà!» e spintomi a terra me lo mise in bocca, tutto soddisfatto. Quando ebbe finito si ricompose e si accese una sigaretta e, tra un tiro e l’altro, mi spiegò confusamente la storia di Fadil e Klevi, due uomini fuggiti dall’Albania e ricercati in Italia per alcuni reati violenti. «Ma però nun hànne fattë gnente. So' bravi…»
«Conosco te» mi disse Fadil appena mi fu presentato «tu voi questo» e afferratami la mano se la mise sul pacco duro, tra le risatine soddisfatte di Gaetano. «Falle divertì 'nu poco! Ha 'n' bisogn' assaj» continuò verso di me e «portatelo ne lu capanne» verso di lui. Fadil non se lo fece ripetere due volte e, incurante della mia volontà, mi trascinò nel capanno. «Fa vedere nudo!» sbraitò mentre chiudeva il chiavistello e siccome ero rimasto fermo «fa vedere nudo, ho detto!» ripetè dandomi uno schiaffo.
La storia che mi aveva raccontato Gaetano era poco chiara. Comunque era gente pericolosa, e non ero tranquillo. Insisteva che erano amici, che non mi dovevo preoccupare «non te fanno ninte, t'ê lo mette sulu 'ndó lu culu» continuava ridendo. «Ok ma per ora solo conoscerci» avevo detto e lui aveva acconsentito, sì, solo conoscerci, va bene. Invece la presentazione non c’era stata e Gaetano mi aveva affidato a Fadil senza fare storie, come se quei due lo tenessero in pugno. Fatto sta che ora, per la mia imprudenza, mi ritrovavo nudo nel capanno insieme ad un uomo arrapato e potenzialmente pericoloso.
Fadil mi girò intorno minaccioso, osservando attentamente il mio corpo glabro, un po’ in sovrappeso; poi sorrise, indicando il mio cazzetto moscio «ma hai bel culo, mi piace, sali su tavolo che ti faccio fare femmina». Dopo un altro paio di schiaffi «nu perde tempo» mi sedetti sul tavolaccio. Lui si abbassò i pantaloni fino ai piedi e, tenendomi stretto per il collo, si leccò il medio della destra e me lo infilò nel culo, facendomi sobbalzare. Gli occhi fissi nei miei, senza alcuna pietà, fece entrare la cappella dura dentro di me in un batter d’occhio, mentre gli succhiavo il dito che mi aveva prima messo nel culo. Poi lo vidi sopra di me, sudato con la fronte che gocciolava sul mio addome e, ad ogni bordata del suo bacino potente, le mie tettine tremavano come due budini. Mi teneva fermo con la mano su collo, a disposizione del suo piacere e quando cominciò a venire le bordate si fecero più profonde, come volesse fecondarmi e non sprecare nemmeno una goccia del suo sperma.
«Nun te vestì!» mi disse Klevi entrando con calma nel capanno e chiudendo il paletto. Fadil si era fatto succhiare un po’ l’uccello per farselo pulire prima di andarsene, mi aveva tranquillizzato e poi si era tirato su i pantaloni ed era uscito lasciando la porta aperta per Klevi che aspettava impaziente. Klevi era un uomo, di poche parole. Voleva solo farsi una scopata con una troia, tutto qui, diceva. Quando se lo tirò fuori, per mettermelo in bocca però, una zaffata maleodorante ci investì ambedue e lo mise in evidente imbarazzo. Il cazzo duro, grosso e voglioso si ammosciò visibilmente e capii immediatamente che stavamo rischiando di rovinare tutto.
Non sapevo ancora che Klevi era un pericoloso criminale senza pietà, che aveva ucciso e sfruttato al suo paese. Mi era ben chiaro però che fosse uno che non meritava alcuna comprensione; tuttavia non mi andava che dovesse rinunciare ad una scopata appagante, al suo desiderio di sentirsi maschio e padrone con una puttana remissiva ed ubbidiente. Per questo aprii la bocca senza fiatare e cominciai a succhiarglielo con passione, finché non divenne di nuovo aggressivo e sicuro di sè. «Sono ancora sporco» gli dissi mostrandogli lo sperma del suo amico tra le cosce. «Zuske! troia…» urlò tirandomi due manate sulle chiappe dopo avermi fatto girare carponi, ed infilando subito dopo il suo cazzo bagnato nel mio culo.
Gli rodeva di non essere stato il primo, per non aver potuto marcare il suo territorio, ma nello stesso tempo la sborrata del suo amico lo eccitava e gli fece perdere subito il controllo. La prima fu molto veloce poi continuò, col cazzo un po’ più morbido, finché non se ne fece un’altra. Ero turbato ma anche molto spaventato, così mi rivestii veloce e scappai.
«Quisti ànno da scopà. So’ nervusi» mi disse Gaetano due giorni dopo, quando finalmente tornai in montagna. “Non ci vado più, è troppo pericoloso”, mi ero detto, “sono stato un pazzo!”. Oltretutto mi faceva così male il culo che non riuscivo nemmeno a stare seduto a lungo. «Quì ci vènni e zìtt. Se nu' so' cazzi tuoje» aveva continuato Gaetano dandomi uno schiaffetto, e per il culo non dovevo preoccuparmi, era normale, perché era da un anno che non mi chiavavano e mi ero disabituato. «Lu culu deve fà male, è cchiù bellu… po' te ‘mbiuti. Fai vedé!» e per vedere mi abbassò i pantaloncini da tennis e mi mise un dito dentro al culo, dopo averlo unto nel burro. Rimasi fermo a farmi sditalinare un po’ poi, eccitato, mi sedetti sul suo cazzo duro e lo feci venire. «Porte 'u burre!» portati il burro, mi disse, spedendomi dai due aguzzini.
Benchè Klevi e Fadil non fossero più così giovani la loro carica virile era enorme. Di solito mi chiavavano almeno un paio di volte per uno ma poteva capitare anche di più. Sapevo bene che per quei due ero solo un buco dove mettere i loro cazzi arrapati, un debole da usare solo per svuotarsi le palle. Non c’era mai complicità nei mie confronti, loro erano i duri, i maschi, gli adulti ed io solo un ragazzetto da comandare e sfottere con ostentato disprezzo per quello che mi lasciavo fare senza ribellarmi. Ciò nonostante, sebbene delle volte ci rimanessi male, ogni pomeriggio salivo su dai miei aguzzini e continuavo a subire ogni umiliazione e angheria che ritenessero necessaria per rendere più appagante il loro orgasmo. Era proprio quel momento clou che aspettavo ogni volta con ansia, quando al culmine della mia degradazione e sofferenza arrivava il loro piacere e delle volte riuscivo a percepire la loro inconfessabile gratitudine. Finché i due albanesi non erano completamente soddisfatti non andavo mai via, aspettavo anche ore, fino l’ultima goccia di sperma e di piacere.
segue
PS graditi commenti, critiche, suggerimenti per il seguito
Quando l’anno successivo salii da Gaetano, per salutarlo, i suoi vecchi lavoranti non c’erano più. «Li tempi cagnano» mi aveva detto ed ora sono arrivati dall’est queste persone, che hanno bisogno di starsene un po’ nascoste, lontani dal consorzio civile. «Piglianu nu pocu e stanne bonu» mi aveva detto «sòne pòveri Criste» e vogliono solo che nessuno gli rompa i «cuglione». Senza preavviso e con molta naturalezza, mentre parlava mi si avvicinò e si aprì i pantaloni. «Che mo vò' l’invito?» disse un po’ ironico, tirando fuori il cazzo dritto «Vène ccà!» e spintomi a terra me lo mise in bocca, tutto soddisfatto. Quando ebbe finito si ricompose e si accese una sigaretta e, tra un tiro e l’altro, mi spiegò confusamente la storia di Fadil e Klevi, due uomini fuggiti dall’Albania e ricercati in Italia per alcuni reati violenti. «Ma però nun hànne fattë gnente. So' bravi…»
«Conosco te» mi disse Fadil appena mi fu presentato «tu voi questo» e afferratami la mano se la mise sul pacco duro, tra le risatine soddisfatte di Gaetano. «Falle divertì 'nu poco! Ha 'n' bisogn' assaj» continuò verso di me e «portatelo ne lu capanne» verso di lui. Fadil non se lo fece ripetere due volte e, incurante della mia volontà, mi trascinò nel capanno. «Fa vedere nudo!» sbraitò mentre chiudeva il chiavistello e siccome ero rimasto fermo «fa vedere nudo, ho detto!» ripetè dandomi uno schiaffo.
La storia che mi aveva raccontato Gaetano era poco chiara. Comunque era gente pericolosa, e non ero tranquillo. Insisteva che erano amici, che non mi dovevo preoccupare «non te fanno ninte, t'ê lo mette sulu 'ndó lu culu» continuava ridendo. «Ok ma per ora solo conoscerci» avevo detto e lui aveva acconsentito, sì, solo conoscerci, va bene. Invece la presentazione non c’era stata e Gaetano mi aveva affidato a Fadil senza fare storie, come se quei due lo tenessero in pugno. Fatto sta che ora, per la mia imprudenza, mi ritrovavo nudo nel capanno insieme ad un uomo arrapato e potenzialmente pericoloso.
Fadil mi girò intorno minaccioso, osservando attentamente il mio corpo glabro, un po’ in sovrappeso; poi sorrise, indicando il mio cazzetto moscio «ma hai bel culo, mi piace, sali su tavolo che ti faccio fare femmina». Dopo un altro paio di schiaffi «nu perde tempo» mi sedetti sul tavolaccio. Lui si abbassò i pantaloni fino ai piedi e, tenendomi stretto per il collo, si leccò il medio della destra e me lo infilò nel culo, facendomi sobbalzare. Gli occhi fissi nei miei, senza alcuna pietà, fece entrare la cappella dura dentro di me in un batter d’occhio, mentre gli succhiavo il dito che mi aveva prima messo nel culo. Poi lo vidi sopra di me, sudato con la fronte che gocciolava sul mio addome e, ad ogni bordata del suo bacino potente, le mie tettine tremavano come due budini. Mi teneva fermo con la mano su collo, a disposizione del suo piacere e quando cominciò a venire le bordate si fecero più profonde, come volesse fecondarmi e non sprecare nemmeno una goccia del suo sperma.
«Nun te vestì!» mi disse Klevi entrando con calma nel capanno e chiudendo il paletto. Fadil si era fatto succhiare un po’ l’uccello per farselo pulire prima di andarsene, mi aveva tranquillizzato e poi si era tirato su i pantaloni ed era uscito lasciando la porta aperta per Klevi che aspettava impaziente. Klevi era un uomo, di poche parole. Voleva solo farsi una scopata con una troia, tutto qui, diceva. Quando se lo tirò fuori, per mettermelo in bocca però, una zaffata maleodorante ci investì ambedue e lo mise in evidente imbarazzo. Il cazzo duro, grosso e voglioso si ammosciò visibilmente e capii immediatamente che stavamo rischiando di rovinare tutto.
Non sapevo ancora che Klevi era un pericoloso criminale senza pietà, che aveva ucciso e sfruttato al suo paese. Mi era ben chiaro però che fosse uno che non meritava alcuna comprensione; tuttavia non mi andava che dovesse rinunciare ad una scopata appagante, al suo desiderio di sentirsi maschio e padrone con una puttana remissiva ed ubbidiente. Per questo aprii la bocca senza fiatare e cominciai a succhiarglielo con passione, finché non divenne di nuovo aggressivo e sicuro di sè. «Sono ancora sporco» gli dissi mostrandogli lo sperma del suo amico tra le cosce. «Zuske! troia…» urlò tirandomi due manate sulle chiappe dopo avermi fatto girare carponi, ed infilando subito dopo il suo cazzo bagnato nel mio culo.
Gli rodeva di non essere stato il primo, per non aver potuto marcare il suo territorio, ma nello stesso tempo la sborrata del suo amico lo eccitava e gli fece perdere subito il controllo. La prima fu molto veloce poi continuò, col cazzo un po’ più morbido, finché non se ne fece un’altra. Ero turbato ma anche molto spaventato, così mi rivestii veloce e scappai.
«Quisti ànno da scopà. So’ nervusi» mi disse Gaetano due giorni dopo, quando finalmente tornai in montagna. “Non ci vado più, è troppo pericoloso”, mi ero detto, “sono stato un pazzo!”. Oltretutto mi faceva così male il culo che non riuscivo nemmeno a stare seduto a lungo. «Quì ci vènni e zìtt. Se nu' so' cazzi tuoje» aveva continuato Gaetano dandomi uno schiaffetto, e per il culo non dovevo preoccuparmi, era normale, perché era da un anno che non mi chiavavano e mi ero disabituato. «Lu culu deve fà male, è cchiù bellu… po' te ‘mbiuti. Fai vedé!» e per vedere mi abbassò i pantaloncini da tennis e mi mise un dito dentro al culo, dopo averlo unto nel burro. Rimasi fermo a farmi sditalinare un po’ poi, eccitato, mi sedetti sul suo cazzo duro e lo feci venire. «Porte 'u burre!» portati il burro, mi disse, spedendomi dai due aguzzini.
Benchè Klevi e Fadil non fossero più così giovani la loro carica virile era enorme. Di solito mi chiavavano almeno un paio di volte per uno ma poteva capitare anche di più. Sapevo bene che per quei due ero solo un buco dove mettere i loro cazzi arrapati, un debole da usare solo per svuotarsi le palle. Non c’era mai complicità nei mie confronti, loro erano i duri, i maschi, gli adulti ed io solo un ragazzetto da comandare e sfottere con ostentato disprezzo per quello che mi lasciavo fare senza ribellarmi. Ciò nonostante, sebbene delle volte ci rimanessi male, ogni pomeriggio salivo su dai miei aguzzini e continuavo a subire ogni umiliazione e angheria che ritenessero necessaria per rendere più appagante il loro orgasmo. Era proprio quel momento clou che aspettavo ogni volta con ansia, quando al culmine della mia degradazione e sofferenza arrivava il loro piacere e delle volte riuscivo a percepire la loro inconfessabile gratitudine. Finché i due albanesi non erano completamente soddisfatti non andavo mai via, aspettavo anche ore, fino l’ultima goccia di sperma e di piacere.
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