Naja - diario vintage di un frocetto al militare negli anni ottanta. 1 puntata
di
Boomer 3000
genere
dominazione
1985, 290 giorni all’alba
«Ecco, bravo, accussì dai, sopra e sotta, dai, piano piano» mi sussurra Pasquale nell'ultimo cesso della camerata; il suo cesso, quello in cui non osa entrare nessuno se non per pulirlo, se non vuole avere problemi seri. L’ho dovuto fare io stasera, caro diario, con cura, come faccio da qualche giorno, prima che si spengano le luci della caserma. E’ la mia mansione ora, lustrare il pavimento, le pareti e sopratutto la turca; quella deve risplendere «addà brillà». Ci possono andare solo quelli della cricca di Pasquale, dopo avergli chiesto il permesso ed io sono diventato il loro sguattero, lo sguattero dei casertani.
«Si’ na brava zoccola, accussì, lecc' 'o sott', lento però... mmmm» dice mentre il suo cazzo duro entra ed esce dalla mia bocca.
Mi ha avvertito stamattina «’Stasera devo svuotà 'e palle. Ma prima pulisc' 'o cesso, poi ce divertimm' nu poco, va buono?». Ho provato a replicare che negli accordi dovevo solo pulire il cesso e rifare le brande ai suoi amici, ma lui non mi ha nemmeno ascoltato. «Sta vota me lo ha ‘dda fa' buono, comme dico io! O' hai da piglià tutto 'n mocca, fino a che nun so' fernuto!» «Ti prego, lasciami stare…» «E femmene ca parlano troppo nun m’ piacciono, guagliò! Tu ha’ fa’ chello ca dic’ io, sennò so’ guai!».
Appena finito di pulire il cesso, sono tornato in branda ed ho atteso che si spegnessero le luci. Per una mezz’ora buona non è successo nulla, tanto che mi sono illuso che ci avesse ripensato, che l’avesse detto solo per spaventarmi. Invece, all'improvviso, lo vedo arrivare. Spavaldo e sicuro di se, in slip e ciabatte di gomma.
Mi alzo dalla branda al suo «iamme»; al buio non vedo bene, mi sembra che ridacchi soddisfatto però, mentre con una mano si massaggia il cazzo attraverso le mutande, liberandone l’odore che mi arriva diritto alle narici. «Spogliate nud!» «Ma qui mi vedono tutti, che sei matto!» mi lamento, «Spogliate, zoccola! tant’ o sann’ tutt!» a voce alta, mollandomi un ceffone che rimbomba nel silenzio della camerata. Li sento tutti gli altri, protetti dal lenzuolo sollevato sul viso, tutti che fanno finta di dormire per paura, sollevati che non è toccato a loro. Mi spinge tutto nudo fino al bagno, facendomi traversare tutto il corridoio lentamente, come una preda ed un monito per gli altri, come fosse il capobranco.
Nel cesso non c’è bisogno di accendere la luce. Quella che filtra dall'ingresso basta ed avanza, «basta chesta!», per quello che deve fare. Mi spinge con una mano in ginocchio, poi, senza alcuna ragione, mi molla un altro schiaffo sulla stessa guancia di prima, ma più forte, che mi fa rimanere senza fiato. «Devi capì chi comanna e 'mparà a stà zitto! Tu si' femmena! Devi aprì 'a vocca sulo pe' piglià 'o pesce!»
Da qualche anno un lieve scompenso ormonale ha gonfiato innaturalmente il mio petto. Ho delle tettine appuntite che vanno verso l’alto, come di ragazzina adolescente, sormontate da due capezzoli grossi e rossi come due prugne mature. Sono molto sensibili e mi fanno dolore solo a sfiorarle.Vestito non si nota quasi nulla, ma se mi spoglio, davanti ai miei coetanei è molto umiliante.
I due schiaffi mi hanno un po’ stordito ed uniti alla vergogna di stare lì nudo, in ginocchio davanti ad un ragazzo eccitato, hanno fatto sì che prima il viso e poi il corpo sia divenuto tutto rosso e caldo. Piacevolmente bollente ad essere onesti, caro diario, e le mie tette si sono gonfiate più del solito e mi fanno un male cane. E’ proprio in questo frangente che Pasquale, divertito «che belle zizze che tiene» mi prende i capezzoli con le mani e me li stringe. Fa male da morire ma non faccio nulla, ed invece di provare a fermarlo inizio ad abbassare con delicatezza i suoi slip luridi incontrando subito la resistenza del suo pene duro. «Piano…» ridacchia e con la mano destra, lasciato il mio capezzolo, libera il pene che come una molla mi sbatte sul viso. Mi lascia, gli sfilo le mutande dopo avergliele abbassate fino ai piedi e le appendo ad un gancetto che mi ha mostrato l’altra volta.
E’ la seconda volta che me lo mette in bocca. Prima gli ho dovuto dare dei soldi ma non è bastato; poi ho fatto le loro brande, pulito i cessi. Ho fatto delle seghe ma non è bastato. L’altro ieri glielo ho dovuto prendere un po’ in bocca al cesso, poi gli ho fatto una sega. Ma non è bastato nemmeno questo per essere lasciato in pace. Mi rimetto in ginocchio e lui riprende a tastarmi le tette. Il cazzo davanti al mio viso è grosso e duro, vibra visibilmente per l’eccitazione. Con le mani mi fa molto male, lo fa volutamente, ma più stringe più il suo cazzo diventa duro, sempre di più. Si eccita a farmi male e desidera la mia bocca; la apro. Fa tutto lui io sto solo lì a disposizione, e quando arriva il suo piacere, lascio che mi tenga con le mani ferma la testa. Mi tiene bloccato e col bacino asseconda il fluire dello sperma, mi riempie la bocca con calma, fino all’ultima goccia. «Statti ferma, troia! Beve tutto, sennò so' cazzi tuoi». Sono costretto a farlo o, almeno, mi piace pensarlo, sia a me che a lui. Comunque non mi sarei mosso, diciamola tutta, non mi sarei mai mosso, perché lui è qui per godere.
«Mo’ che si' ccà, fai 'nu amico mio stasera» mi dice dopo essersi rimesso gli slip. Caro diario questo non lo sapevo. In cuor mio immaginavo che sarebbe successo, ma non stasera, non dopo di lui. Il suo amico, anche se ancora non l’ho visto, so già chi è. Lo chiamano “‘o animale”, ed è facile immaginare perchè. Mi ha preso di mira qualche tempo fa, quando ero appena arrivato in caserma, ma un superiore lo ha allontanato. Lui mi odia per questo, immagino, mi ritiene uno spione da punire. «Me devi sulo leccà 'e piedi, doppo te lasso stà» mi aveva detto e dopo una serie di fastidiose angherie ho accettato di leccargli i piedi, come voleva lui. Se non che è passato il tenente e lo ha allontanato dalla nostra camerata.
«Ce vedimm' n'ata vota, eh! Ma nun t'adda fa paura» mi dice appena entrato nel cesso «M’ha ditto Pasquale ca si' na brava femminuccia. Guarda che belle zizze che tène. Tu me fai passa' 'na bella serata e ce scordamme d'o passato. Ma mo mettete 'nterra ca voglio mettete 'n mocca». Mi inginocchio e lo guardo dal basso. E’ spaventoso e quando si toglie le mutande tira fuori un cazzo enorme «Te piace 'o pesce, eh?» dice alludendo alla mia espressione sorpresa. Mi sale di nuovo il calore, non so cosa mi succede. Mi abbasso con la bocca sui suoi piedi nudi e comincio a leccarglieli «Brava, troia, vuò fa' pace, eh» «Devi credermi, il tenente non l’ho chiamato io» e mi riabbasso e lecco tra le sue dita. Lui si masturba un po’, se la gode «Ce crerò, ce crerò, m' pare ca a te te piace pure leccà. Mo lecca bene i palle, daje». Gli lecco le palle poi il cazzo, poi ancora le palle ed i piedi e di nuovo la punta del cazzo; è durissimo, eccitato «mo famme frikà!» dice con voce roca ed in un attimo sono faccia al muro, le sue mani che impugnano decise le mie tette e la sua cappella dura che spinge tra le mie chiappe. «No ti prego… questo no»
«Tranquillo, nun t'aggia fà male. Respira forte che po' te piace». Ho mezzo cazzo nel culo, fa male e lui continua a spingere; mi basterebbe girarmi un po’ di lato e sfilarlo, smetterla con questa follia invece… spingo col culo verso di lui, lo aiuto, gli carezzo da dietro le palle per farlo arrapare ancora di più. «Troia! 'O vedi ca t' piace!». Non so, caro diario, se veramente mi piace come dice lui; però sento di doverlo fare come fosse la cosa più naturale di questo mondo. Vincenzo, o’animale, ne approfitta e con un paio di colpi, dopo avermi sputato tra le chiappe, entra tutto dentro. Il calore del mio corpo ora è così alto che sembra io abbia la febbre. «Mo fa' a femmena» mi sussurra all’orecchio e comincia a chiavarmi sul serio, su e giù col cazzo che entra ed esce dal mio ano, senza che io faccia un fiato, benché il dolore sia a momenti lancinante.
«M’ hai fatto fa' na bella chiavata, bravo! Ce rivedimmo prest… Aggio capito che nun l'avevi mai fatto, si' vergine!» dandomi un buffetto sulle guance. Mi ha sborrato nel culo ed ora il suo sperma cola ancora caldo tra le mie cosce, mi fa un po’ male e mi vergogno da morire.
«Ecco, bravo, accussì dai, sopra e sotta, dai, piano piano» mi sussurra Pasquale nell'ultimo cesso della camerata; il suo cesso, quello in cui non osa entrare nessuno se non per pulirlo, se non vuole avere problemi seri. L’ho dovuto fare io stasera, caro diario, con cura, come faccio da qualche giorno, prima che si spengano le luci della caserma. E’ la mia mansione ora, lustrare il pavimento, le pareti e sopratutto la turca; quella deve risplendere «addà brillà». Ci possono andare solo quelli della cricca di Pasquale, dopo avergli chiesto il permesso ed io sono diventato il loro sguattero, lo sguattero dei casertani.
«Si’ na brava zoccola, accussì, lecc' 'o sott', lento però... mmmm» dice mentre il suo cazzo duro entra ed esce dalla mia bocca.
Mi ha avvertito stamattina «’Stasera devo svuotà 'e palle. Ma prima pulisc' 'o cesso, poi ce divertimm' nu poco, va buono?». Ho provato a replicare che negli accordi dovevo solo pulire il cesso e rifare le brande ai suoi amici, ma lui non mi ha nemmeno ascoltato. «Sta vota me lo ha ‘dda fa' buono, comme dico io! O' hai da piglià tutto 'n mocca, fino a che nun so' fernuto!» «Ti prego, lasciami stare…» «E femmene ca parlano troppo nun m’ piacciono, guagliò! Tu ha’ fa’ chello ca dic’ io, sennò so’ guai!».
Appena finito di pulire il cesso, sono tornato in branda ed ho atteso che si spegnessero le luci. Per una mezz’ora buona non è successo nulla, tanto che mi sono illuso che ci avesse ripensato, che l’avesse detto solo per spaventarmi. Invece, all'improvviso, lo vedo arrivare. Spavaldo e sicuro di se, in slip e ciabatte di gomma.
Mi alzo dalla branda al suo «iamme»; al buio non vedo bene, mi sembra che ridacchi soddisfatto però, mentre con una mano si massaggia il cazzo attraverso le mutande, liberandone l’odore che mi arriva diritto alle narici. «Spogliate nud!» «Ma qui mi vedono tutti, che sei matto!» mi lamento, «Spogliate, zoccola! tant’ o sann’ tutt!» a voce alta, mollandomi un ceffone che rimbomba nel silenzio della camerata. Li sento tutti gli altri, protetti dal lenzuolo sollevato sul viso, tutti che fanno finta di dormire per paura, sollevati che non è toccato a loro. Mi spinge tutto nudo fino al bagno, facendomi traversare tutto il corridoio lentamente, come una preda ed un monito per gli altri, come fosse il capobranco.
Nel cesso non c’è bisogno di accendere la luce. Quella che filtra dall'ingresso basta ed avanza, «basta chesta!», per quello che deve fare. Mi spinge con una mano in ginocchio, poi, senza alcuna ragione, mi molla un altro schiaffo sulla stessa guancia di prima, ma più forte, che mi fa rimanere senza fiato. «Devi capì chi comanna e 'mparà a stà zitto! Tu si' femmena! Devi aprì 'a vocca sulo pe' piglià 'o pesce!»
Da qualche anno un lieve scompenso ormonale ha gonfiato innaturalmente il mio petto. Ho delle tettine appuntite che vanno verso l’alto, come di ragazzina adolescente, sormontate da due capezzoli grossi e rossi come due prugne mature. Sono molto sensibili e mi fanno dolore solo a sfiorarle.Vestito non si nota quasi nulla, ma se mi spoglio, davanti ai miei coetanei è molto umiliante.
I due schiaffi mi hanno un po’ stordito ed uniti alla vergogna di stare lì nudo, in ginocchio davanti ad un ragazzo eccitato, hanno fatto sì che prima il viso e poi il corpo sia divenuto tutto rosso e caldo. Piacevolmente bollente ad essere onesti, caro diario, e le mie tette si sono gonfiate più del solito e mi fanno un male cane. E’ proprio in questo frangente che Pasquale, divertito «che belle zizze che tiene» mi prende i capezzoli con le mani e me li stringe. Fa male da morire ma non faccio nulla, ed invece di provare a fermarlo inizio ad abbassare con delicatezza i suoi slip luridi incontrando subito la resistenza del suo pene duro. «Piano…» ridacchia e con la mano destra, lasciato il mio capezzolo, libera il pene che come una molla mi sbatte sul viso. Mi lascia, gli sfilo le mutande dopo avergliele abbassate fino ai piedi e le appendo ad un gancetto che mi ha mostrato l’altra volta.
E’ la seconda volta che me lo mette in bocca. Prima gli ho dovuto dare dei soldi ma non è bastato; poi ho fatto le loro brande, pulito i cessi. Ho fatto delle seghe ma non è bastato. L’altro ieri glielo ho dovuto prendere un po’ in bocca al cesso, poi gli ho fatto una sega. Ma non è bastato nemmeno questo per essere lasciato in pace. Mi rimetto in ginocchio e lui riprende a tastarmi le tette. Il cazzo davanti al mio viso è grosso e duro, vibra visibilmente per l’eccitazione. Con le mani mi fa molto male, lo fa volutamente, ma più stringe più il suo cazzo diventa duro, sempre di più. Si eccita a farmi male e desidera la mia bocca; la apro. Fa tutto lui io sto solo lì a disposizione, e quando arriva il suo piacere, lascio che mi tenga con le mani ferma la testa. Mi tiene bloccato e col bacino asseconda il fluire dello sperma, mi riempie la bocca con calma, fino all’ultima goccia. «Statti ferma, troia! Beve tutto, sennò so' cazzi tuoi». Sono costretto a farlo o, almeno, mi piace pensarlo, sia a me che a lui. Comunque non mi sarei mosso, diciamola tutta, non mi sarei mai mosso, perché lui è qui per godere.
«Mo’ che si' ccà, fai 'nu amico mio stasera» mi dice dopo essersi rimesso gli slip. Caro diario questo non lo sapevo. In cuor mio immaginavo che sarebbe successo, ma non stasera, non dopo di lui. Il suo amico, anche se ancora non l’ho visto, so già chi è. Lo chiamano “‘o animale”, ed è facile immaginare perchè. Mi ha preso di mira qualche tempo fa, quando ero appena arrivato in caserma, ma un superiore lo ha allontanato. Lui mi odia per questo, immagino, mi ritiene uno spione da punire. «Me devi sulo leccà 'e piedi, doppo te lasso stà» mi aveva detto e dopo una serie di fastidiose angherie ho accettato di leccargli i piedi, come voleva lui. Se non che è passato il tenente e lo ha allontanato dalla nostra camerata.
«Ce vedimm' n'ata vota, eh! Ma nun t'adda fa paura» mi dice appena entrato nel cesso «M’ha ditto Pasquale ca si' na brava femminuccia. Guarda che belle zizze che tène. Tu me fai passa' 'na bella serata e ce scordamme d'o passato. Ma mo mettete 'nterra ca voglio mettete 'n mocca». Mi inginocchio e lo guardo dal basso. E’ spaventoso e quando si toglie le mutande tira fuori un cazzo enorme «Te piace 'o pesce, eh?» dice alludendo alla mia espressione sorpresa. Mi sale di nuovo il calore, non so cosa mi succede. Mi abbasso con la bocca sui suoi piedi nudi e comincio a leccarglieli «Brava, troia, vuò fa' pace, eh» «Devi credermi, il tenente non l’ho chiamato io» e mi riabbasso e lecco tra le sue dita. Lui si masturba un po’, se la gode «Ce crerò, ce crerò, m' pare ca a te te piace pure leccà. Mo lecca bene i palle, daje». Gli lecco le palle poi il cazzo, poi ancora le palle ed i piedi e di nuovo la punta del cazzo; è durissimo, eccitato «mo famme frikà!» dice con voce roca ed in un attimo sono faccia al muro, le sue mani che impugnano decise le mie tette e la sua cappella dura che spinge tra le mie chiappe. «No ti prego… questo no»
«Tranquillo, nun t'aggia fà male. Respira forte che po' te piace». Ho mezzo cazzo nel culo, fa male e lui continua a spingere; mi basterebbe girarmi un po’ di lato e sfilarlo, smetterla con questa follia invece… spingo col culo verso di lui, lo aiuto, gli carezzo da dietro le palle per farlo arrapare ancora di più. «Troia! 'O vedi ca t' piace!». Non so, caro diario, se veramente mi piace come dice lui; però sento di doverlo fare come fosse la cosa più naturale di questo mondo. Vincenzo, o’animale, ne approfitta e con un paio di colpi, dopo avermi sputato tra le chiappe, entra tutto dentro. Il calore del mio corpo ora è così alto che sembra io abbia la febbre. «Mo fa' a femmena» mi sussurra all’orecchio e comincia a chiavarmi sul serio, su e giù col cazzo che entra ed esce dal mio ano, senza che io faccia un fiato, benché il dolore sia a momenti lancinante.
«M’ hai fatto fa' na bella chiavata, bravo! Ce rivedimmo prest… Aggio capito che nun l'avevi mai fatto, si' vergine!» dandomi un buffetto sulle guance. Mi ha sborrato nel culo ed ora il suo sperma cola ancora caldo tra le mie cosce, mi fa un po’ male e mi vergogno da morire.
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