La puttanella degli ultimi
di
Boomer 3000
genere
dominazione
La puttana degli ultimi
«Meno male che sei arrivato, non ce la facevamo chiù. Quellu poco che è avanzato lo abbiamo mandato giù a casa per i figli e le mogli… grazie mille, Diu vi benedica!»
«Dovere, figuratevi, sono solo i soliti pacchi di don Aldo, lo sapete, è solo merito suo»
«E’ poco ma ci fa comodo, per una settimana non dobbiamo preoccuparci di fare la spesa» e sbirciando nella busta «bene, anche la stecca di sigarette, grazie. L’hai portata tu vero? Sei sempre gentile»
«Grazie!» risposi arrossendo «lo sapete che le sigarette non sono comprese nei pacchi, non si potrebbe… ma capisco che, insomma, un po’ qualcosina ci vuole»
«Si' nu bravu picciottu. Trasi su, ca ci facciamo nu’ bicchiere, dai, che ti va!»riprese Catello «Ma no, vado di fretta» provai a dire «Ma che fretta e fretta, sei cu’ amici no? Trasi!» e con una spinta decisa mi fece entrare nella baracca. Dentro, seduto sul divano sfasciato, c’era pure Mario il suo compare, in posa scomposta, con una gamba sul bracciolo; stringeva una sigaretta tra le dita e mi scrutava con aria da presa per il culo. «Settiti!» urlò all’improvviso «ca vicino!». «Sì ma solo un attimo» risposi con tono spaventato, «è che devo proprio andare, ho dei compiti. Oggi non posso.». «Ma che non puoi, ca tieni paura? Mica ti mangiamu, stai un po’ con noi, cu’ amici no?»
Da un po’ di tempo, per il tramite della parrocchia, mi ero preso l’impegno di portare un po’ di aiuti alimentari a delle famiglie indigenti che vivevano in baracche abusive alla periferia del quartiere. Giù alle baracche non c’era voluto andare nessuno dei mie compagni, avevano tutti paura di quella gente. Visitavo una volta al mese 10 abitazioni e nell’ultima baracca ci vivevano due calabresi sulla 50ina, Catello e Mario. Due emigranti che si guadagnavano da vivere nei cantieri di periferia e in qualche giretto un po’ losco, ma in linea di massima brave persone che si sacrificavano per la loro famiglia, a cui inviavano tutti i soldi guadagnati. Mi avevano fatto pena fin dall’inizio, così soli, oltre il lavoro, non avevano nulla di gratificante, né, potevano permettersi alcuno svago.
«Facci divertì nu poco, e poi vai!» proseguì Mario sbuffandomi il fumo in faccia. «Non posso, devo andare, ve l’ho detto» ma più cercavo di alzarmi dal divano più mi ributtavano giù. «Avi a stari tranquillu» spiegò Catello «È nu secretu tra amici, mica 'u sapi nisuno, chi t'importa, ti piace puru a te, no?» «Vi prego ragazzi, oggi non posso farlo, non posso» «Comu non ti va, dai, na mezz'ora e poi vai, non ti ‘mpiccicare!».
«Sentimi bonu!» riprese Mario spazientito, scuotendomi per un braccio, accendendosi un’altra sigaretta «Ogni volta tutte queste storie. Perdimu solu tempu. Ci vieni apposta qui! U sapimu! Mo noi tenimo e palle piene e vulemu scopare, ca vui fare?!»
Alcune concessioni iniziali col tempo erano diventate pretese. I beni alimentari non erano più sufficienti, ci volevano anche le sigarette e, se non le portavo, me le mandavano a prendere. E poi? Erano uomini adulti no? «Avemu i nostri bisogni, hai a capì! tantu ti piaci. Nun ti devi vergognà». No non mi dovevo vergognare, loro tenevano la bocca chiusa, figuriamoci! Era solo una stupida impuntatura non permetterglielo, questo pensavano, ed allora «Fallu, sennu no peggio pe' tia!» disse Catello.
«E’ che la scorsa volta mi avete fatto male… ricordi?» piagnucolai «Ma dai, non fare il ragazzino, ti brucia sulu nu pocu u culu.. Ti metto nu’ poche burro, dai, quello che ci hai portato, frisco frisco». “Non ci vengo più qui” pensavo ogni volta “col cazzo che mi rivedete!” ma poi, il mese successivo, mi ripresentavo lì con i miei bei pacchi e una stecca o due di sigarette per regalo.
La prima volta era stato tutto molto narturale. Mi avevano offerto il vino molto forte del loro paese «bevi chi fa sangue» un bicchiere, poi un altro. Mi sentivo piacevolmente accaldato quando mi fecero sedere sul divano in mezzo al loro. Mario mi mostrava le riviste pornografiche, ne aveva una montagna, quelle con sui si facevano le seghe la sera, unte e bisunte, tutto da ridere ed anch’io ridevo. I loro corpi duri e spigolosi si strusciavano sul mio con decisione mentre i discorsi si facevano sempre più spinti. Quando cominciarono a carezzarmi le cosce e le natiche «ti va a fari a fimmina? Sulu nu pocu» pensai scherzassero. Ero rosso come un papavero, mezzo ubriaco, ma non volevo perdere il controllo. Il cazzo di Mario spuntò fuori all’improvviso, tra gli sghignazzi del suo amico «senti che puzza!» ed il suo odore forte impregnò immediatamente tutta la stanza. Era grosso come non ne avevo mai visti, scappellato e viola come una prugna.
“Adesso si fa una sega questo porco” pensai “che maiale!” non dovevo guardarlo, non avrei dovuto, ma non ci riuscivo. “Dovrei tirarlo fuori anche io, far vedere che non mi vergognavo, farmi una sega con loro, non c’è nulla di male” allora tiro giù un altro bicchiere tutto d’un fiato, loro dicono qualcosa in dialetto stretto che non capisco, Catello mi spinge con decisione tra le gambe di Mario e lui si prende il cazzo e me lo punta sulle labbra; «Apri e suga» mi ordina arrapato, ubbidisco, «Apri bene chistu cazzu di bocca ca mi fai male cu 'i denti!». La apro più che posso ed il suo uccello arrivò immediatamente in gola, soffocandomi. «Dai fai come quella troia sul giornale che ti ho fatto vedere prima, dai ca’ ci vo’». I primi conati di vomito li fanno sbellicare ma Mario non la smise di infilarmelo fino alla gola, «pigliati tuttu, puttana!» poi soddisfatto dal gioco sadico «Mo suga e move su e giù». Sembrava come se l’avessi sempre fatto, su e giù, mentre lui mi indica il ritmo con la mano sulla nuca, finché non mi sborra in bocca. Alla fine si scusa ma non di quello che mi ha fatto ma di essere venuto subito, aveva le palle piene, se no mi faceva divertire di più.
Immediatamente prese il suo posto Catello. «Dai, piano piano, leccalo tutto intorno sulla cappella, dai bravo, così, ahhh» non mi ha chiesto il permesso ma nemmeno il suo amico e se l’ho fatto ad uno mi sembra doveroso che devo farlo pure all’altro. Il suo cazzo aveva un sapore disgustoso, ma era duro come l’acciaio, bollente e ansioso di eruttare. «Dai puliscilo bene, così non puzza, bravo. Pigghia tutto, così, su e giù, su e giù… si così, non ti fermare dai… troia, dai, dai». La sborrata arrivò intensa «Bevi! Chesto è tuttu to’!»
Dopo essere stati soddisfatti ripresero un atteggiamento civile e mi chiesero se era stata la prima volta, dando per scontato che mi fosse piaciuto. «Sì non lo avevo mai fatto, vi prego ma non ditelo a nessuno, vi scongiuro…» «Non ti preoccupare, non lo dicimo a nessuno, si na brava femmini veru?» «Ma no, vi prego è stato un errore!» «Tranquillu, o saccio che si’ fimmina e lo sai pure tu. E’ normale che ti piace. Ci hai fatto svuotare le palle, bravu! Avemu puru nu dirittu, no?». Certo hanno diritto pure loro a svuotare le palle, certo, penso. Scappai come un fulmine, tra i loro sorrisetti soddisfatti. A casa cercai di lavarmi bene i denti ma il sapore del loro sperma ritornava su ogni volta ed ogni volta li rivedevo godere ed ogni volta dovevo correre in bagno a masturbami.
«Spogliati nudu!» ricominciò Mario dal divano, la sigaretta tra le labbra ed un bicchiere di vino sul tavolino «È 'na vita ca non chiavu comu si deve, cazzo!»
«Ma l’ha fatto l’altra volta… poco tempo fa… la prego!»
«Nudu, hai dda stari zitta, puttana!» sbraitò con la voce rotta dall’alcool e dalla rabbia. «Aiutalo no? lascia sta cu li problemi!» caricò Catello «Vuoi che diciamo a Don Aldo che te piace u pesce? Nun ci far fare l’anima cattiva! Che bisogno tieni?».
Ogni volta ritornava questo ricatto. Sapevo bene che non lo avrebbero mai potuto raccontare a don Aldo per ovvi motivi. Ma preferivo che pensassero che ne avessi paura sul serio, che mi tenessero sotto scacco. In fondo mi faceva sentire meno in colpa fare queste cose immaginandomici costretto. Sarebbe bastato non andare più in quella baracca infatti, lasciar perdere questa mia missione e tutto sarebbe finito senza conseguenze. Invece, ogni mese, continuavo a tornarci ben consapevole di cosa mi avrebbero fatto; e se ogni volta cercavo di creare delle piccole difficoltà, come se non volessi più farmi scopare, era per evidenziare che lo facevo solo per loro. Erano, come ho detto, in linea di massima due brave persone ma subivano ogni giorno umiliazioni ed angherie, dovevano inghiottire bocconi amari. Con me diventavano padroni, potevano trattarmi da troia ed usarmi, essere anche violenti.
Mi spogliai rapidamente, e rimasi nudo vicino al divano. Mario stava ancora fumando e bevendo, quando si abbassò i pantaloni e le mutande fino ai piedi, e mi fece inginocchiare davanti a lui. Il cazzo era già duro; glielo scappellai con delicatezza, e immediatamente riconobbi il suo odore. “Per lui ora sono solo una troia con cui sfogarsi” pensavo “non se l’è nemmeno lavato questo porco, ha intorno alla cappella tutta roba bianca”. «Embè? Che sei diventato schizzinoso? Suga, daj!» mi disse come se mi avesse letto nel pensiero. “Ne va fiero lo stronzo, lo ha fatto apposta, lo sapevo”, «Chi vò che mi lavo puru 'u cazzu cu nu comu a tia? Suga che è mejo!». Cominciò a scoparmi la bocca, lento, con noncuranza sbuffando il fumo della sigaretta “E’ uno stronzo, lo odio, ma mi piace farglielo” il cazzo era sempre più duro “ha bisogno poverino, chissà che giornata di merda ha avuto”.
«Piano con quei denti, te lu dicu sempri» e giù una bestemmia «Piano, apri bene bottana, daj. So’ pronto, ti vogghiu sbattiri u culu bene, bene». Poi mi fece mettere a pecora sul divano e giù manate sulle chiappe, forti, da togliere il fiato. «Mi fai male, ti prego» piagnucolai cercando di coprirmi con la mano, ma lui mi storse il braccio sulla schiena e giù, un’altra manata. Poi mi infilò un dito nel culo «stai fermo, che è peggio sennò». Rimasi fermo, prima la saliva, poi un dito, poi due, poi un po’ di burro.
«Firma!» mentre mi strofinava la cappella tra le natiche «Stai fermu, capito? È megghiu pe' tia ca fazzu prima. Si ti movi e ti lamenti, ci mettu cchiù tempi, capistu?» “Sì ok… ahia, Mario mi fai male, ti prego piano, piano…”
Mi strinse per i fianchi con forza, impedendomi di muovermi, finché il suo grosso cazzo non fu tutto dentro il mio culo ed il dolore si affievolì. Lo conoscevo ormai bene quel momento, lo avevo già provato. Il corpo si scalda, i capezzoli si gonfiano, il cazzo sparisce tra i peli del pube e quella violenza cominci a giustificarla; non è crudeltà é solo la sua natura violenta di maschio, il suo bisogno di provare piacere, sentirsi virile e padrone. Devi sopportare, stare li fermo, aspettare.
Non ci mise molto, come aveva promesso. Lo sentii ejaculare dentro di me mentre si muoveva a scatti concentrato sul suo orgasmo. Prima uno schizzo, poi ancora, fino a che non si accasciò sulla mia schiena senza tirarlo fuori.
Rimase quasi un minuto così. Il cazzo diventava morbido dentro di me, mentre mi sbavava la schiena ed il suo sperma colava tra le mie cosce. “Vorrei mi dicesse che gli è piaciuto, adesso che lo tira fuori” invece, «lavete!» mi disse. Mi sedetti sul catino per lavarmi «Puliscilo bbuono» e me lo mise di nuovo in bocca per farselo pulire.
Catello, eccitato dalla scena che si era gustato, si stava menando il cazzo sul divano. «Vieni dai, che ora tocca a me».
Glielo leccai per bene, accuratamente. Dalle palle fino alla cappella, mentre lui gemeva di piacere. «Bravo. Che puttana che sei» mi diceva, mentre il suo cazzo diventava duro come marmo. Mi sedetti sul suo cazzo e lasciai che lentamente mi penetrasse tutto, fino in fondo. E solo quando sentii le sue palle bollenti sulle natiche, presi ad andare sue e giù sul suo palo, finché non lo vidi tremare di piacere. Solo allora mi afferrò per i fianchi e mi mosse con forza sulla sua asta, al ritmo del suo piacere e degli schizzi del suo sperma.
Non mi lavai nemmeno. Mi rivestii velocemente, come per scappare da quel luogo, mentre loro se la ridevano soddisfatti.
segue
«Meno male che sei arrivato, non ce la facevamo chiù. Quellu poco che è avanzato lo abbiamo mandato giù a casa per i figli e le mogli… grazie mille, Diu vi benedica!»
«Dovere, figuratevi, sono solo i soliti pacchi di don Aldo, lo sapete, è solo merito suo»
«E’ poco ma ci fa comodo, per una settimana non dobbiamo preoccuparci di fare la spesa» e sbirciando nella busta «bene, anche la stecca di sigarette, grazie. L’hai portata tu vero? Sei sempre gentile»
«Grazie!» risposi arrossendo «lo sapete che le sigarette non sono comprese nei pacchi, non si potrebbe… ma capisco che, insomma, un po’ qualcosina ci vuole»
«Si' nu bravu picciottu. Trasi su, ca ci facciamo nu’ bicchiere, dai, che ti va!»riprese Catello «Ma no, vado di fretta» provai a dire «Ma che fretta e fretta, sei cu’ amici no? Trasi!» e con una spinta decisa mi fece entrare nella baracca. Dentro, seduto sul divano sfasciato, c’era pure Mario il suo compare, in posa scomposta, con una gamba sul bracciolo; stringeva una sigaretta tra le dita e mi scrutava con aria da presa per il culo. «Settiti!» urlò all’improvviso «ca vicino!». «Sì ma solo un attimo» risposi con tono spaventato, «è che devo proprio andare, ho dei compiti. Oggi non posso.». «Ma che non puoi, ca tieni paura? Mica ti mangiamu, stai un po’ con noi, cu’ amici no?»
Da un po’ di tempo, per il tramite della parrocchia, mi ero preso l’impegno di portare un po’ di aiuti alimentari a delle famiglie indigenti che vivevano in baracche abusive alla periferia del quartiere. Giù alle baracche non c’era voluto andare nessuno dei mie compagni, avevano tutti paura di quella gente. Visitavo una volta al mese 10 abitazioni e nell’ultima baracca ci vivevano due calabresi sulla 50ina, Catello e Mario. Due emigranti che si guadagnavano da vivere nei cantieri di periferia e in qualche giretto un po’ losco, ma in linea di massima brave persone che si sacrificavano per la loro famiglia, a cui inviavano tutti i soldi guadagnati. Mi avevano fatto pena fin dall’inizio, così soli, oltre il lavoro, non avevano nulla di gratificante, né, potevano permettersi alcuno svago.
«Facci divertì nu poco, e poi vai!» proseguì Mario sbuffandomi il fumo in faccia. «Non posso, devo andare, ve l’ho detto» ma più cercavo di alzarmi dal divano più mi ributtavano giù. «Avi a stari tranquillu» spiegò Catello «È nu secretu tra amici, mica 'u sapi nisuno, chi t'importa, ti piace puru a te, no?» «Vi prego ragazzi, oggi non posso farlo, non posso» «Comu non ti va, dai, na mezz'ora e poi vai, non ti ‘mpiccicare!».
«Sentimi bonu!» riprese Mario spazientito, scuotendomi per un braccio, accendendosi un’altra sigaretta «Ogni volta tutte queste storie. Perdimu solu tempu. Ci vieni apposta qui! U sapimu! Mo noi tenimo e palle piene e vulemu scopare, ca vui fare?!»
Alcune concessioni iniziali col tempo erano diventate pretese. I beni alimentari non erano più sufficienti, ci volevano anche le sigarette e, se non le portavo, me le mandavano a prendere. E poi? Erano uomini adulti no? «Avemu i nostri bisogni, hai a capì! tantu ti piaci. Nun ti devi vergognà». No non mi dovevo vergognare, loro tenevano la bocca chiusa, figuriamoci! Era solo una stupida impuntatura non permetterglielo, questo pensavano, ed allora «Fallu, sennu no peggio pe' tia!» disse Catello.
«E’ che la scorsa volta mi avete fatto male… ricordi?» piagnucolai «Ma dai, non fare il ragazzino, ti brucia sulu nu pocu u culu.. Ti metto nu’ poche burro, dai, quello che ci hai portato, frisco frisco». “Non ci vengo più qui” pensavo ogni volta “col cazzo che mi rivedete!” ma poi, il mese successivo, mi ripresentavo lì con i miei bei pacchi e una stecca o due di sigarette per regalo.
La prima volta era stato tutto molto narturale. Mi avevano offerto il vino molto forte del loro paese «bevi chi fa sangue» un bicchiere, poi un altro. Mi sentivo piacevolmente accaldato quando mi fecero sedere sul divano in mezzo al loro. Mario mi mostrava le riviste pornografiche, ne aveva una montagna, quelle con sui si facevano le seghe la sera, unte e bisunte, tutto da ridere ed anch’io ridevo. I loro corpi duri e spigolosi si strusciavano sul mio con decisione mentre i discorsi si facevano sempre più spinti. Quando cominciarono a carezzarmi le cosce e le natiche «ti va a fari a fimmina? Sulu nu pocu» pensai scherzassero. Ero rosso come un papavero, mezzo ubriaco, ma non volevo perdere il controllo. Il cazzo di Mario spuntò fuori all’improvviso, tra gli sghignazzi del suo amico «senti che puzza!» ed il suo odore forte impregnò immediatamente tutta la stanza. Era grosso come non ne avevo mai visti, scappellato e viola come una prugna.
“Adesso si fa una sega questo porco” pensai “che maiale!” non dovevo guardarlo, non avrei dovuto, ma non ci riuscivo. “Dovrei tirarlo fuori anche io, far vedere che non mi vergognavo, farmi una sega con loro, non c’è nulla di male” allora tiro giù un altro bicchiere tutto d’un fiato, loro dicono qualcosa in dialetto stretto che non capisco, Catello mi spinge con decisione tra le gambe di Mario e lui si prende il cazzo e me lo punta sulle labbra; «Apri e suga» mi ordina arrapato, ubbidisco, «Apri bene chistu cazzu di bocca ca mi fai male cu 'i denti!». La apro più che posso ed il suo uccello arrivò immediatamente in gola, soffocandomi. «Dai fai come quella troia sul giornale che ti ho fatto vedere prima, dai ca’ ci vo’». I primi conati di vomito li fanno sbellicare ma Mario non la smise di infilarmelo fino alla gola, «pigliati tuttu, puttana!» poi soddisfatto dal gioco sadico «Mo suga e move su e giù». Sembrava come se l’avessi sempre fatto, su e giù, mentre lui mi indica il ritmo con la mano sulla nuca, finché non mi sborra in bocca. Alla fine si scusa ma non di quello che mi ha fatto ma di essere venuto subito, aveva le palle piene, se no mi faceva divertire di più.
Immediatamente prese il suo posto Catello. «Dai, piano piano, leccalo tutto intorno sulla cappella, dai bravo, così, ahhh» non mi ha chiesto il permesso ma nemmeno il suo amico e se l’ho fatto ad uno mi sembra doveroso che devo farlo pure all’altro. Il suo cazzo aveva un sapore disgustoso, ma era duro come l’acciaio, bollente e ansioso di eruttare. «Dai puliscilo bene, così non puzza, bravo. Pigghia tutto, così, su e giù, su e giù… si così, non ti fermare dai… troia, dai, dai». La sborrata arrivò intensa «Bevi! Chesto è tuttu to’!»
Dopo essere stati soddisfatti ripresero un atteggiamento civile e mi chiesero se era stata la prima volta, dando per scontato che mi fosse piaciuto. «Sì non lo avevo mai fatto, vi prego ma non ditelo a nessuno, vi scongiuro…» «Non ti preoccupare, non lo dicimo a nessuno, si na brava femmini veru?» «Ma no, vi prego è stato un errore!» «Tranquillu, o saccio che si’ fimmina e lo sai pure tu. E’ normale che ti piace. Ci hai fatto svuotare le palle, bravu! Avemu puru nu dirittu, no?». Certo hanno diritto pure loro a svuotare le palle, certo, penso. Scappai come un fulmine, tra i loro sorrisetti soddisfatti. A casa cercai di lavarmi bene i denti ma il sapore del loro sperma ritornava su ogni volta ed ogni volta li rivedevo godere ed ogni volta dovevo correre in bagno a masturbami.
«Spogliati nudu!» ricominciò Mario dal divano, la sigaretta tra le labbra ed un bicchiere di vino sul tavolino «È 'na vita ca non chiavu comu si deve, cazzo!»
«Ma l’ha fatto l’altra volta… poco tempo fa… la prego!»
«Nudu, hai dda stari zitta, puttana!» sbraitò con la voce rotta dall’alcool e dalla rabbia. «Aiutalo no? lascia sta cu li problemi!» caricò Catello «Vuoi che diciamo a Don Aldo che te piace u pesce? Nun ci far fare l’anima cattiva! Che bisogno tieni?».
Ogni volta ritornava questo ricatto. Sapevo bene che non lo avrebbero mai potuto raccontare a don Aldo per ovvi motivi. Ma preferivo che pensassero che ne avessi paura sul serio, che mi tenessero sotto scacco. In fondo mi faceva sentire meno in colpa fare queste cose immaginandomici costretto. Sarebbe bastato non andare più in quella baracca infatti, lasciar perdere questa mia missione e tutto sarebbe finito senza conseguenze. Invece, ogni mese, continuavo a tornarci ben consapevole di cosa mi avrebbero fatto; e se ogni volta cercavo di creare delle piccole difficoltà, come se non volessi più farmi scopare, era per evidenziare che lo facevo solo per loro. Erano, come ho detto, in linea di massima due brave persone ma subivano ogni giorno umiliazioni ed angherie, dovevano inghiottire bocconi amari. Con me diventavano padroni, potevano trattarmi da troia ed usarmi, essere anche violenti.
Mi spogliai rapidamente, e rimasi nudo vicino al divano. Mario stava ancora fumando e bevendo, quando si abbassò i pantaloni e le mutande fino ai piedi, e mi fece inginocchiare davanti a lui. Il cazzo era già duro; glielo scappellai con delicatezza, e immediatamente riconobbi il suo odore. “Per lui ora sono solo una troia con cui sfogarsi” pensavo “non se l’è nemmeno lavato questo porco, ha intorno alla cappella tutta roba bianca”. «Embè? Che sei diventato schizzinoso? Suga, daj!» mi disse come se mi avesse letto nel pensiero. “Ne va fiero lo stronzo, lo ha fatto apposta, lo sapevo”, «Chi vò che mi lavo puru 'u cazzu cu nu comu a tia? Suga che è mejo!». Cominciò a scoparmi la bocca, lento, con noncuranza sbuffando il fumo della sigaretta “E’ uno stronzo, lo odio, ma mi piace farglielo” il cazzo era sempre più duro “ha bisogno poverino, chissà che giornata di merda ha avuto”.
«Piano con quei denti, te lu dicu sempri» e giù una bestemmia «Piano, apri bene bottana, daj. So’ pronto, ti vogghiu sbattiri u culu bene, bene». Poi mi fece mettere a pecora sul divano e giù manate sulle chiappe, forti, da togliere il fiato. «Mi fai male, ti prego» piagnucolai cercando di coprirmi con la mano, ma lui mi storse il braccio sulla schiena e giù, un’altra manata. Poi mi infilò un dito nel culo «stai fermo, che è peggio sennò». Rimasi fermo, prima la saliva, poi un dito, poi due, poi un po’ di burro.
«Firma!» mentre mi strofinava la cappella tra le natiche «Stai fermu, capito? È megghiu pe' tia ca fazzu prima. Si ti movi e ti lamenti, ci mettu cchiù tempi, capistu?» “Sì ok… ahia, Mario mi fai male, ti prego piano, piano…”
Mi strinse per i fianchi con forza, impedendomi di muovermi, finché il suo grosso cazzo non fu tutto dentro il mio culo ed il dolore si affievolì. Lo conoscevo ormai bene quel momento, lo avevo già provato. Il corpo si scalda, i capezzoli si gonfiano, il cazzo sparisce tra i peli del pube e quella violenza cominci a giustificarla; non è crudeltà é solo la sua natura violenta di maschio, il suo bisogno di provare piacere, sentirsi virile e padrone. Devi sopportare, stare li fermo, aspettare.
Non ci mise molto, come aveva promesso. Lo sentii ejaculare dentro di me mentre si muoveva a scatti concentrato sul suo orgasmo. Prima uno schizzo, poi ancora, fino a che non si accasciò sulla mia schiena senza tirarlo fuori.
Rimase quasi un minuto così. Il cazzo diventava morbido dentro di me, mentre mi sbavava la schiena ed il suo sperma colava tra le mie cosce. “Vorrei mi dicesse che gli è piaciuto, adesso che lo tira fuori” invece, «lavete!» mi disse. Mi sedetti sul catino per lavarmi «Puliscilo bbuono» e me lo mise di nuovo in bocca per farselo pulire.
Catello, eccitato dalla scena che si era gustato, si stava menando il cazzo sul divano. «Vieni dai, che ora tocca a me».
Glielo leccai per bene, accuratamente. Dalle palle fino alla cappella, mentre lui gemeva di piacere. «Bravo. Che puttana che sei» mi diceva, mentre il suo cazzo diventava duro come marmo. Mi sedetti sul suo cazzo e lasciai che lentamente mi penetrasse tutto, fino in fondo. E solo quando sentii le sue palle bollenti sulle natiche, presi ad andare sue e giù sul suo palo, finché non lo vidi tremare di piacere. Solo allora mi afferrò per i fianchi e mi mosse con forza sulla sua asta, al ritmo del suo piacere e degli schizzi del suo sperma.
Non mi lavai nemmeno. Mi rivestii velocemente, come per scappare da quel luogo, mentre loro se la ridevano soddisfatti.
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