Nicola e Alberto Cap: XV Nella latrina
di
Andrea10F09
genere
sadomaso
Questo è l’ultimo capitolo di un percorso nella depravazione, nella degenerazione più immonda e oscena della loro sessualità, se, come tale, si può chiamare, nel quale si potranno intravedere alcuni barlumi verso la vita, come il loro rifiuto fisico di ulteriore accettazione dei soprusi e vessazioni e con il riconoscere il male della schiavitù, come il pentimento da quello successivo e il loro desiderio di vivere e confrontarsi con gioia ed entusiasmo con la loro omosessualità. Queste parole sono dovute al lettore, dato che qualcuno, scandalizzato, ha fatto cancellare il capitolo XIV. Per altre delucidazioni: andrea10f09@libero.it Buona lettura
Nella latrina
“U21, U22, è ora di allestire, predisporre e sistemare la vostra postazione di servizio! Su sveglia! Veloci che non c’è tempo! Gli ospiti vi devono trovare ben puliti e sistemati, svegli, sorridenti e bramosi. Mi raccomando: niente peluria su gambe, ascelle, culo, solo un piccolo ciuffetto sopra il pene.”
Dalle imposte aperte accedeva, mite e leggera, la brezza, accompagnata dal canto dei volatili del mattino. Piccoli chiarori di una imbarcazione lontana, con il loro apparire e sparire rapidamente alla vista, ammiccavano al giorno in arrivo. La luce s’impossessava un po’ per volta della stanza, accarezzando i due, in ascolto, con colori pallido ambrati.
“Inclinatevi a 90°! Celeri! Distanziate le gambe! Ti considero una cagna, U22, per cui ti inserisco un pomello gonfiabile e vibrante, con coda esterna di cane bastardo e rognoso, avente il commando a distanza, che sarà messo a disposizione di chi vuole godere di te e degli happening che vorranno chiederti; e per te, U21, quello con codino di maiale, arricciato, come quello di un verro. Unici lamenti che vi saranno concessi saranno quelli degli animali che rappresentate. Non voglio farvi incedere a quattro zampe, per risparmiarvi escoriazioni che potrebbero sciuparvi, ma appena vi sarete sistemati, vi farete riconoscere per la figura che interpretate. Questo non significa che non possiate essere salutati, da subito, con richiami alla vostra vocazione e schiavitù. U22 sei giunto alla fine del corso e anche tu U21. Superatelo per essere considerati schiavi-bestie, che impersonerete ogniqualvolta farete ritorno in questa casa. Farete colazione sempre prima del servizio per essere a disposizione, poi, di chi vi desidera e per il tempo che vuole. U22 sei arrivato a dove volevi per tua libera scelta, non deludere le attese: il tuo angelo custode, oggi, sarà U1, il capo degli schiavi; mentre tu, U21, condotto in questo luogo per essere rieducato, avrai come maestro il suo aiutante, U2. Costoro, schiavi come voi sono quelli che vi aiuteranno, tuteleranno e inseriranno nel gruppo, che vi preleveranno per farvi eseguire mansioni, controllandovi che siate preparati come richiesto, che eseguiranno le richieste di pene e segnaleranno al medico e al direttore vostre eventuali deficienze di servizio o di comportamento.”
Carlo, l’infermiere, gli aveva svegliati con comandi che non promettevano niente di buono per consegnarli a due armadi possenti, robusti, muscolosi, pelosi come scimmie che potevano prenderli e alzarli con una mano. Erano in quel luogo da tempo. Uno, russo o meglio della minoranza kazaka di Orenburg, individuato dopo una attenta e lunga ricerca dall’organizzazione per vigilare e gestire la mandria di schiavi, sempre in ritardo e quasi mai accondiscendenti verso le richieste degli ospiti. Accettò di essere schiavo e subire le angherie di alcuni, dietro lauto compenso. Alto quasi due metri, due manone, con due tette sode e cosce dure, colme di cheloidi, con un randello che avrebbe deformato, lacerato qualsiasi posteriore, sul viso stoppie bianche di barba incolta. L’altro, entrato nella scuderia qualche anno dopo, proveniente dai boschi della Romania, un po’ più basso, trasandato, scarmigliato, con una faccia molto gonfia, ma non meno marcantonio e villoso. Entrambi con un cockring, erano temuti, riveriti per essere capaci di tracciare su un fondo bianco delle righe parallele senza sbavature e, se richiesto, picchiare con il nodo, dopo aver attorcigliato la frusta sulla vittima, l’anello sfinterico, facendola sobbalzare, ululare, strillare. Nessuno nella stalla bramava star loro accanto, per non trovarsi il culo rotto o le mandibole lussate.
“Hembè …!” Ghermendo i due per i capelli spingendoli verso il basso.
“No, non avete tempo per saggiarli! Conduceteli subito alle postazioni e fate far loro collazione, visto che conoscete il programma della giornata.”
“Come mai una coda così dimessa, stentata, bassa? Sono bestie in calore, che vogliono essere montate! Infermiere del cazzo, consegnaci il commando! Le code devono star su, alte e poi come potrebbero ricevere i nostri perni, perché, per il sommo Giove, gli prenderanno in bocca e in culo già da stasera!”
“Calma, U22 andrà a casa dopodomani e non deve essere rotto o almeno … U21 rimarrà ancora qui per un po’, potrete metterlo a dormire fra voi.”
“Infermiere, la cagna ha una notte da trascorrere nella stalla e noi vogliamo la nostra fetta di dolce, che ci spetta per contratto o preferisci, merlo del cazzo, prendere il suo posto, ora?”
“Beh, forse suo padre …”
“Non me ne frega nulla di suo padre, se lo può riprendere anche tutto rotto! Ora mi hai fatto imbestialire! Andiamo a lavorare, avanti bestie da monta!” e presi i telecomandi al sanitario, pigiandone con cattiveria i tasti, impressero un repentino rialzo delle code con i versi degli animali rappresentati.
“Giù, a gattoni e a noi le code; e poi con quel sottocoda! Sono due giovani femmine, che sfrigolano, spumeggiano al vento di primavera e ansimano, anelano di essere ingravidate, fecondate.” E ridevano, alzandoli e spingendoli per la coda a gattonare, ad avanzare verso le latrine degli ospiti, seguiti dagli aiutanti e dagli altri schiavi.
“Avete preso quello che serve per la loro colazione e per la raccolta delle urine?” rivolgendosi ai loro collaboratori.”
“Sì, prete cazzissimo, abbiamo quello che ci ha raccomandato e anche le liane in budella di maiale.”
“Siamo arrivati. Ponete le colazioni davanti alle loro postazioni e copritele con la vostra prima raccolta. Mangeranno quando lo comanderò loro. Vogliamo vedere le code dondolarsi, muoversi, alzarsi, drizzarsi ancora di più; gradiamo osservare le loro bocche aprirsi per essere ristorate, riempite, farcite, ricoperte, inondate. U21, U22 sedetevi sui talloni e reggete la caraffa di raccolta sotto il mento con entrambe le mani, poiché i vostri primi clienti stanno per raggiungervi. Invitateli con gli occhi, con le labbra socchiuse, sorridete.”
“Ohhh, finalmente i novizi. Tutti al centro ne parlano, come fiori che si stanno schiudendo al giorno della vita. Finalmente! Ho una pisciata! E questo che cos’è, un telecomando?” e mentre bagnava e irrorava il volto per riempire la caraffa di orina, premette il commando a distanza, ottenendo un grugnito lungo, lamentoso, modulato. “Ohh, mi chiede di dargliene in bocca! Che ragazzo, che voglia di godere che palesi e come chiedi! Sì te ne do in bocca; su bevi, dissetati della mia pioggia dorata. È calda, dovrebbe avere un retrogusto di caviale e champagne. Spumeggia dalle tue labbra come il più pregiato Louis Roederer Cristal. Ohh puliscimelo, asciugamelo dalle ultime gocce e poi, essendomi stato ordinato di defecare sulla mela e sulle bucce di patata, invitami a farlo con il leccarmi il culo. Sarà il calore e la morbidezza, la dolcezza della tua lingua a forzarmi a fare quello che mi hanno suggerito. Ohh piacere sconosciuto, che fruga e lappa il mio buco posteriore, che lo ammolla e infradicia di salive zuccherine, mielose, briose, effervescenti! Che lingua ho incontrato!” e scostatosi, ricoperse di feci, quello che doveva essere assunto per colazione da U21. Questo Signore si era aggiudicato, accaparrato la prima volta di U21 e aveva firmato anche un assegno per averlo e goderlo nel giorno del dopo riposo, ossia dopo due giorni dalla prima volta. Attorno un crogiolo di persone si saziava dello spettacolo, facendosi pulire e svuotare da altri schiavi. Ulteriori deiezioni copersero quello che doveva essere il breakfast di Alberto, sotto il controllo di U1. Un sibilo, segni prima bianco-pallido, poi rossi e successivamente violacei rivestirono i piedi del ragazzo, seguiti da un pianto di maiale al macello.
“Grufola, razzola, raspa, rovista e trova la tua colazione. Sali sul piano, mostra il tuo culo avido, affamato, desideroso di essere saturato, riempito; abbassa la testa, cerca e mangia dall’albio!” Per quanto Alberto cercasse di resistere a quelle violenze accettando quegli stupri, con la coda che ballava per nuovi colpi e per i dolori causati dall’eccessivo gonfiore interno, non riuscì a nascondere il disgusto, la repulsione, la ripugnanza, per quello che il sibilo, subito sulla pianta dei piedi, gli aveva procurato. Un verso disumano, un gesto di insofferenza lo iscrissero e condannarono a salire sul palco dei puniti di quel giorno. Scavò, disseppellì e trovò con il naso il cibo. Mangiò senza aiuto di mani, con il viso nella merda, sforzandosi di …, ma conati, bordi anali brunastri e dolenti, urine, lacrime. Nuove frustate, sobbalzi, urli, malore e perdita dei sensi. Gli cucirono con la merda avanzata il grembiulino della cameriera, anche se incosciente. Gli levarono il codino da scrofa.
“U21 ha fallito la prima, U22 sta a te rialzare il prestigio della stalla. Sappiamo che desideravi, bramavi vivere il momento della raccolta: ecco per te il tuo primo cliente. Ti vedo un po’ stanco, affaticato, spento; non deludere. Il primo getto ti riempie il volto di dorata rugiada. Finalmente sorridi e posso vederti risvegliato, invogliato, scosso. La tua lingua esce e rientra portandosi appresso liquidi caldi, salati, un po’ asprigni, ma portatori di eccitazione, di languori paradisiaci. Sei cagna: bevi e trangugi alla fonte dell’eros. La tua caraffa si sta riempendo e tu hai sete e chiedi, implori, tremi. Mostra come muovi la coda, se sei contento, se ti basta quello che ti è stato dato o preferisci bere anche quello che hai nella brocca?” Un sussulto, un ululato, un urlo cupo di bestia ferita, un boato e il boccale in frantumi. Il culo del ragazzino si sbiancò per una scudisciata attorcigliatasi attorno al pube, seguita da versi di sorpresa degli spettatori.
“Non sei degno di pascerti, di cibarti della merda del tuo cliente: mangerai quella che i miei collaboratori hanno raccolto da altri.” Il sibilo della frusta fendette l’aria per fermarsi e lisciare le chiappe del giovane. Nuovo urlo, nuovi ululati, nuovo rigonfiamento e la testa di Nicola che sprofonda nella nauseante fanghiglia. Lappa, mangia, ingoia. La lingua si muove da uno stronzo alla melma, … porta via, … pulisce. Lacrime.
“Masturbatelo e fategli un grembiule anche per lui. Sfinitelo, sfilategli la coda e conducetelo sul palco per la punizione che gli spetta. Appendetelo alla trave con il suo gemello, con le gambe distanziate, poiché, noi loro maestri, gli confezioneremo dei boxer a rombi sulle loro bianche natiche e delle decorazioni sui grembiuli. Gli voglio vedere pisciare a colpi e cagare morbido. Infami, inadeguati, inetti, femminucce!”
Perché vi siete fatti pescare, arpionare, prendere? Non ci sono argomentazioni che giustifichino l’essere appesi, nudi, assenti, coperti dal petto al pube da uno strato di merda. Siete lì, con gli occhi nel vuoto, con i glutei bianchi in attesa di conoscere, di esser accarezzati dalla frusta, costruita con budella di bestia. Tremate, i colpi arrivano, perdete i sensi più di qualche volta e ogni volta acqua ghiacciata e sale vi risvegliano e urlate. I vostri sederi impreziositi da culottes trasparenti, rigate con linee intersecantesi a rombo mettono in evidenza perdite, che scivolano brunastre giù per le gambe. I vostri piselli, mentre piangono, vengono salutati da erbe urticanti. Perché? Vi piace? Vi divaricano le natiche per affondare in voi. Vi sbattono, vi riempiono. Colate, sgocciolate di continuo. La sborra scorre sulle vostre gambe, qualcuno salendo su uno scranno vi copre, vi decora il viso. Siete osceni, legati, appesi, cagne, troie; schiavi della lussuria vostra e dei padroni. Non so se godete: mani colpiscono le vostre natiche, nei vostri occhi una luce brilla, forse una lacrima per un nuovo sussulto. Da voi fluiscono lente, colanti lunghe gocce lattescenti.
Nella latrina
“U21, U22, è ora di allestire, predisporre e sistemare la vostra postazione di servizio! Su sveglia! Veloci che non c’è tempo! Gli ospiti vi devono trovare ben puliti e sistemati, svegli, sorridenti e bramosi. Mi raccomando: niente peluria su gambe, ascelle, culo, solo un piccolo ciuffetto sopra il pene.”
Dalle imposte aperte accedeva, mite e leggera, la brezza, accompagnata dal canto dei volatili del mattino. Piccoli chiarori di una imbarcazione lontana, con il loro apparire e sparire rapidamente alla vista, ammiccavano al giorno in arrivo. La luce s’impossessava un po’ per volta della stanza, accarezzando i due, in ascolto, con colori pallido ambrati.
“Inclinatevi a 90°! Celeri! Distanziate le gambe! Ti considero una cagna, U22, per cui ti inserisco un pomello gonfiabile e vibrante, con coda esterna di cane bastardo e rognoso, avente il commando a distanza, che sarà messo a disposizione di chi vuole godere di te e degli happening che vorranno chiederti; e per te, U21, quello con codino di maiale, arricciato, come quello di un verro. Unici lamenti che vi saranno concessi saranno quelli degli animali che rappresentate. Non voglio farvi incedere a quattro zampe, per risparmiarvi escoriazioni che potrebbero sciuparvi, ma appena vi sarete sistemati, vi farete riconoscere per la figura che interpretate. Questo non significa che non possiate essere salutati, da subito, con richiami alla vostra vocazione e schiavitù. U22 sei giunto alla fine del corso e anche tu U21. Superatelo per essere considerati schiavi-bestie, che impersonerete ogniqualvolta farete ritorno in questa casa. Farete colazione sempre prima del servizio per essere a disposizione, poi, di chi vi desidera e per il tempo che vuole. U22 sei arrivato a dove volevi per tua libera scelta, non deludere le attese: il tuo angelo custode, oggi, sarà U1, il capo degli schiavi; mentre tu, U21, condotto in questo luogo per essere rieducato, avrai come maestro il suo aiutante, U2. Costoro, schiavi come voi sono quelli che vi aiuteranno, tuteleranno e inseriranno nel gruppo, che vi preleveranno per farvi eseguire mansioni, controllandovi che siate preparati come richiesto, che eseguiranno le richieste di pene e segnaleranno al medico e al direttore vostre eventuali deficienze di servizio o di comportamento.”
Carlo, l’infermiere, gli aveva svegliati con comandi che non promettevano niente di buono per consegnarli a due armadi possenti, robusti, muscolosi, pelosi come scimmie che potevano prenderli e alzarli con una mano. Erano in quel luogo da tempo. Uno, russo o meglio della minoranza kazaka di Orenburg, individuato dopo una attenta e lunga ricerca dall’organizzazione per vigilare e gestire la mandria di schiavi, sempre in ritardo e quasi mai accondiscendenti verso le richieste degli ospiti. Accettò di essere schiavo e subire le angherie di alcuni, dietro lauto compenso. Alto quasi due metri, due manone, con due tette sode e cosce dure, colme di cheloidi, con un randello che avrebbe deformato, lacerato qualsiasi posteriore, sul viso stoppie bianche di barba incolta. L’altro, entrato nella scuderia qualche anno dopo, proveniente dai boschi della Romania, un po’ più basso, trasandato, scarmigliato, con una faccia molto gonfia, ma non meno marcantonio e villoso. Entrambi con un cockring, erano temuti, riveriti per essere capaci di tracciare su un fondo bianco delle righe parallele senza sbavature e, se richiesto, picchiare con il nodo, dopo aver attorcigliato la frusta sulla vittima, l’anello sfinterico, facendola sobbalzare, ululare, strillare. Nessuno nella stalla bramava star loro accanto, per non trovarsi il culo rotto o le mandibole lussate.
“Hembè …!” Ghermendo i due per i capelli spingendoli verso il basso.
“No, non avete tempo per saggiarli! Conduceteli subito alle postazioni e fate far loro collazione, visto che conoscete il programma della giornata.”
“Come mai una coda così dimessa, stentata, bassa? Sono bestie in calore, che vogliono essere montate! Infermiere del cazzo, consegnaci il commando! Le code devono star su, alte e poi come potrebbero ricevere i nostri perni, perché, per il sommo Giove, gli prenderanno in bocca e in culo già da stasera!”
“Calma, U22 andrà a casa dopodomani e non deve essere rotto o almeno … U21 rimarrà ancora qui per un po’, potrete metterlo a dormire fra voi.”
“Infermiere, la cagna ha una notte da trascorrere nella stalla e noi vogliamo la nostra fetta di dolce, che ci spetta per contratto o preferisci, merlo del cazzo, prendere il suo posto, ora?”
“Beh, forse suo padre …”
“Non me ne frega nulla di suo padre, se lo può riprendere anche tutto rotto! Ora mi hai fatto imbestialire! Andiamo a lavorare, avanti bestie da monta!” e presi i telecomandi al sanitario, pigiandone con cattiveria i tasti, impressero un repentino rialzo delle code con i versi degli animali rappresentati.
“Giù, a gattoni e a noi le code; e poi con quel sottocoda! Sono due giovani femmine, che sfrigolano, spumeggiano al vento di primavera e ansimano, anelano di essere ingravidate, fecondate.” E ridevano, alzandoli e spingendoli per la coda a gattonare, ad avanzare verso le latrine degli ospiti, seguiti dagli aiutanti e dagli altri schiavi.
“Avete preso quello che serve per la loro colazione e per la raccolta delle urine?” rivolgendosi ai loro collaboratori.”
“Sì, prete cazzissimo, abbiamo quello che ci ha raccomandato e anche le liane in budella di maiale.”
“Siamo arrivati. Ponete le colazioni davanti alle loro postazioni e copritele con la vostra prima raccolta. Mangeranno quando lo comanderò loro. Vogliamo vedere le code dondolarsi, muoversi, alzarsi, drizzarsi ancora di più; gradiamo osservare le loro bocche aprirsi per essere ristorate, riempite, farcite, ricoperte, inondate. U21, U22 sedetevi sui talloni e reggete la caraffa di raccolta sotto il mento con entrambe le mani, poiché i vostri primi clienti stanno per raggiungervi. Invitateli con gli occhi, con le labbra socchiuse, sorridete.”
“Ohhh, finalmente i novizi. Tutti al centro ne parlano, come fiori che si stanno schiudendo al giorno della vita. Finalmente! Ho una pisciata! E questo che cos’è, un telecomando?” e mentre bagnava e irrorava il volto per riempire la caraffa di orina, premette il commando a distanza, ottenendo un grugnito lungo, lamentoso, modulato. “Ohh, mi chiede di dargliene in bocca! Che ragazzo, che voglia di godere che palesi e come chiedi! Sì te ne do in bocca; su bevi, dissetati della mia pioggia dorata. È calda, dovrebbe avere un retrogusto di caviale e champagne. Spumeggia dalle tue labbra come il più pregiato Louis Roederer Cristal. Ohh puliscimelo, asciugamelo dalle ultime gocce e poi, essendomi stato ordinato di defecare sulla mela e sulle bucce di patata, invitami a farlo con il leccarmi il culo. Sarà il calore e la morbidezza, la dolcezza della tua lingua a forzarmi a fare quello che mi hanno suggerito. Ohh piacere sconosciuto, che fruga e lappa il mio buco posteriore, che lo ammolla e infradicia di salive zuccherine, mielose, briose, effervescenti! Che lingua ho incontrato!” e scostatosi, ricoperse di feci, quello che doveva essere assunto per colazione da U21. Questo Signore si era aggiudicato, accaparrato la prima volta di U21 e aveva firmato anche un assegno per averlo e goderlo nel giorno del dopo riposo, ossia dopo due giorni dalla prima volta. Attorno un crogiolo di persone si saziava dello spettacolo, facendosi pulire e svuotare da altri schiavi. Ulteriori deiezioni copersero quello che doveva essere il breakfast di Alberto, sotto il controllo di U1. Un sibilo, segni prima bianco-pallido, poi rossi e successivamente violacei rivestirono i piedi del ragazzo, seguiti da un pianto di maiale al macello.
“Grufola, razzola, raspa, rovista e trova la tua colazione. Sali sul piano, mostra il tuo culo avido, affamato, desideroso di essere saturato, riempito; abbassa la testa, cerca e mangia dall’albio!” Per quanto Alberto cercasse di resistere a quelle violenze accettando quegli stupri, con la coda che ballava per nuovi colpi e per i dolori causati dall’eccessivo gonfiore interno, non riuscì a nascondere il disgusto, la repulsione, la ripugnanza, per quello che il sibilo, subito sulla pianta dei piedi, gli aveva procurato. Un verso disumano, un gesto di insofferenza lo iscrissero e condannarono a salire sul palco dei puniti di quel giorno. Scavò, disseppellì e trovò con il naso il cibo. Mangiò senza aiuto di mani, con il viso nella merda, sforzandosi di …, ma conati, bordi anali brunastri e dolenti, urine, lacrime. Nuove frustate, sobbalzi, urli, malore e perdita dei sensi. Gli cucirono con la merda avanzata il grembiulino della cameriera, anche se incosciente. Gli levarono il codino da scrofa.
“U21 ha fallito la prima, U22 sta a te rialzare il prestigio della stalla. Sappiamo che desideravi, bramavi vivere il momento della raccolta: ecco per te il tuo primo cliente. Ti vedo un po’ stanco, affaticato, spento; non deludere. Il primo getto ti riempie il volto di dorata rugiada. Finalmente sorridi e posso vederti risvegliato, invogliato, scosso. La tua lingua esce e rientra portandosi appresso liquidi caldi, salati, un po’ asprigni, ma portatori di eccitazione, di languori paradisiaci. Sei cagna: bevi e trangugi alla fonte dell’eros. La tua caraffa si sta riempendo e tu hai sete e chiedi, implori, tremi. Mostra come muovi la coda, se sei contento, se ti basta quello che ti è stato dato o preferisci bere anche quello che hai nella brocca?” Un sussulto, un ululato, un urlo cupo di bestia ferita, un boato e il boccale in frantumi. Il culo del ragazzino si sbiancò per una scudisciata attorcigliatasi attorno al pube, seguita da versi di sorpresa degli spettatori.
“Non sei degno di pascerti, di cibarti della merda del tuo cliente: mangerai quella che i miei collaboratori hanno raccolto da altri.” Il sibilo della frusta fendette l’aria per fermarsi e lisciare le chiappe del giovane. Nuovo urlo, nuovi ululati, nuovo rigonfiamento e la testa di Nicola che sprofonda nella nauseante fanghiglia. Lappa, mangia, ingoia. La lingua si muove da uno stronzo alla melma, … porta via, … pulisce. Lacrime.
“Masturbatelo e fategli un grembiule anche per lui. Sfinitelo, sfilategli la coda e conducetelo sul palco per la punizione che gli spetta. Appendetelo alla trave con il suo gemello, con le gambe distanziate, poiché, noi loro maestri, gli confezioneremo dei boxer a rombi sulle loro bianche natiche e delle decorazioni sui grembiuli. Gli voglio vedere pisciare a colpi e cagare morbido. Infami, inadeguati, inetti, femminucce!”
Perché vi siete fatti pescare, arpionare, prendere? Non ci sono argomentazioni che giustifichino l’essere appesi, nudi, assenti, coperti dal petto al pube da uno strato di merda. Siete lì, con gli occhi nel vuoto, con i glutei bianchi in attesa di conoscere, di esser accarezzati dalla frusta, costruita con budella di bestia. Tremate, i colpi arrivano, perdete i sensi più di qualche volta e ogni volta acqua ghiacciata e sale vi risvegliano e urlate. I vostri sederi impreziositi da culottes trasparenti, rigate con linee intersecantesi a rombo mettono in evidenza perdite, che scivolano brunastre giù per le gambe. I vostri piselli, mentre piangono, vengono salutati da erbe urticanti. Perché? Vi piace? Vi divaricano le natiche per affondare in voi. Vi sbattono, vi riempiono. Colate, sgocciolate di continuo. La sborra scorre sulle vostre gambe, qualcuno salendo su uno scranno vi copre, vi decora il viso. Siete osceni, legati, appesi, cagne, troie; schiavi della lussuria vostra e dei padroni. Non so se godete: mani colpiscono le vostre natiche, nei vostri occhi una luce brilla, forse una lacrima per un nuovo sussulto. Da voi fluiscono lente, colanti lunghe gocce lattescenti.
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