Nella sua gioia, la mia vergogna (Ingrid 16)

di
genere
corna

Non mi pentivo di essere stata una escort. Non provavo rimorso per quello che avevo fatto, anzi, devo dire che mi sono sempre divertita a farlo. Non sentivo vergogna, anzi, ne avevo bisogno. Era più forte di me. Quei mille euro guadagnati nell’ultimo incontro erano stati messi da parte, erano tanti soldi e non sapevo come usarli. Poi arrivò il giorno della laurea di mia figlia Lizzy, e decisi di organizzare una delle feste più belle che si potessero immaginare.
E ora eccomi lì, nella villa che avevo affittato per la sua festa di laurea, circondata da giovani pieni di sogni, mentre cercavo di far finta che la mia vita fosse stata altrettanto pulita e luminosa. Avevo indossato il mio abito migliore, un vestito nero in seta, morbido e leggero, con una scollatura che lasciava scivolare l’attenzione sul décolleté senza mai essere troppo esplicita. I miei tacchi alti risuonavano sul pavimento di marmo della sala principale, mentre mi muovevo tra gli ospiti con un bicchiere di champagne in mano.
Il trucco era impeccabile, almeno all’inizio. Le labbra dipinte di un rosso scuro, le ciglia allungate da un mascara resistente che conoscevo bene, e una spolverata di blush che mi dava un’aria di freschezza che non sentivo più. Eppure, mentre osservavo Lizzy, con il suo abito blu scintillante e il sorriso radioso, mi sembrava di essere un’ombra nella sua luce. Lizzy era perfetta.
Mi aggirai tra i suoi amici, cercando di non sentirmi fuori posto. Erano tutti così giovani, così pieni di speranza. Una ragazza in un vestito rosso aderente mi fece un complimento: "Signora, il suo abito è favoloso. Lizzy ha sicuramente preso da lei."
"Spero solo che non abbia preso tutto," risposi con un sorriso enigmatico, portando il bicchiere alle labbra.
Poi lo vidi: Riccardo, il fidanzato di Lizzy. Alto, con i capelli scuri e uno sguardo sincero. Indossava un abito blu elegante che sembrava cucito addosso a lui. Era educato, forse un po’ troppo, ma c'era qualcosa nel suo atteggiamento che mi aveva sempre attirato. Mi avvicinai con la sicurezza che conoscevo bene, quella che avevo imparato a indossare nei miei giorni di lavoro. Riccardo e io avevamo avuto un passato, e ammetto che, forse, mi ero mezza innamorata di lui.
"Ah, quindi sei tu il fidanzato di Lizzy," dissi con un sorriso, mentre lo guardavo con una punta di divertimento.
"Sì, proprio io," rispose Riccardo, ma non riusciva a nascondere il lieve imbarazzo nei suoi occhi. Sapevamo entrambi che il nostro passato non era mai stato del tutto dimenticato.
"Beh, piacere di vederti di nuovo," continuai, facendo un passo più vicino a lui. "Lizzy è fantastica, ma... riesci a tenerle testa? Non è mica facile, eh."
Riccardo cercò di mantenere il controllo, ma c'era una certa tensione tra noi che non poteva ignorare. Quella tensione che nasceva da quello che avevamo condiviso. Lizzy, forse sentendo il clima che si stava facendo più pesante, si avvicinò rapidamente. "Mamma, basta così," disse, con un tono che era un misto di imbarazzo e desiderio di fermare la situazione.
"Oh, sto solo scherzando, tesoro," risposi, alzando il bicchiere in segno di pace. "È una festa, no?"
Il vino continuava a scorrere e, con esso, anche le mie inibizioni sembravano sciogliersi. Senza neanche accorgermene, mi ritrovai con il microfono in mano, improvvisando un brindisi che speravo divertente. "Un brindisi alla mia meravigliosa figlia, Lizzy!" esclamai, ma le parole uscirono in una sequenza che sembrava confusa, come se avessi perso il controllo della situazione. La risata nervosa che seguì non fece altro che aumentare il senso di imbarazzo che aleggiava nell'aria.
Non so bene come successe, ma improvvisamente mi trovai a togliere la giacca, quasi in un gesto teatrale che intendevo essere spensierato, ma che invece risultò grottesco. Ogni movimento che facevo sembrava esporre un lato di me che non volevo fosse visto. Il silenzio che seguì fu palpabile, e la mia consapevolezza di essere al centro dell’attenzione mi colse con forza. Mi avvicinai a Riccardo, il fidanzato di Lizzy, cercando di mascherare il disagio con un sorriso, ma ogni passo che facevo sembrava amplificare la tensione.
In un momento di disattenzione, il mio vestito scivolò via, e mi resi conto che il mio seno, completamente scoperto, era ora visibile a tutti. La sensazione di essere osservata da ogni angolo della stanza mi fece sentire esposta e vulnerabile. Gli sguardi di chi mi circondava tradivano un misto di sorpresa e imbarazzo, e Riccardo, visibilmente a disagio, cercò di mantenere la calma, ma non poteva nascondere la sua espressione tesa e la sua evidente eccitazione, comprovata dalla sua erezione sotto i pantaloni.
Fu allora che lo vidi: il mio ex marito. Era fermo vicino alla porta, con le braccia incrociate, e mi guardava con uno sguardo che mi fece sentire un misto di disagio e nostalgia. Quello sguardo, che avevo imparato a conoscere nei nostri anni insieme, non lasciava spazio a fraintendimenti.
Si avvicinò con passi decisi, afferrandomi il braccio con fermezza. Non c’era rabbia, solo una calma inquietante. Senza dire una parola, mi portò fuori dalla stanza. Il suo silenzio mi opprimeva più di qualsiasi parola potesse dire.
Mentre mi trascinava verso l’uscita, mi accorsi che, con uno scatto rapido, raccolse il vestito che avevo lasciato a terra. Lo sollevò con la stessa indifferenza con cui avrebbe raccolto un oggetto, e lo portò con sé. Quando arrivammo in un corridoio più isolato della casa, mi spinse delicatamente in una stanza vuota. La porta si chiuse dietro di noi, creando una barriera invisibile tra noi e il resto del mondo.
Mi fece sedere sul letto, e rimase in piedi davanti a me, con il vestito ancora nelle mani.
"Rivestiti," disse infine, con tono basso ma deciso, mentre mi guardava. La sua voce non tradiva rabbia, ma c'era qualcosa di imperativo che non riuscivo a ignorare.
La stanza era avvolta dal silenzio, ma nonostante tutto, sentivo una strana energia in me, un mix di emozioni confusa tra il desiderio di essere compresa e l'istinto di riprendere il controllo su ciò che sentivo perso. Mi sentivo ancora viva, forse più di prima, ma con un’ombra di fragilità che non riuscivo a nascondere. Il mio corpo, che in passato avevo sempre usato per sfuggire alle mie paure, ora era la mia unica arma, ma non volevo che fosse solo quello. Non volevo essere quella di una volta.
Mentre mi alzavo lentamente dal letto, mi avvicinai a lui, cercando di non sembrare troppo vulnerabile, nonostante tutto. Sentivo i suoi occhi su di me, ma non riuscivo a capire cosa stesse pensando. Il suo sguardo era serio, profondo, ma anche distaccato.
"Non fare questo," mi disse, con una voce che cercava di mantenere un tono fermo, ma che tradiva un’incredibile confusione. "Non voglio che tu faccia cose di cui poi ti pentirai."
Mi fermai a pochi passi da lui. Il suo rifiuto, seppur gentile, mi colpì come un pugno. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, ma non sapevo nemmeno cosa dire. L’attrazione era evidente, ma non eravamo più gli stessi. Eppure, c'era una tensione che ci legava in modo inaspettato. Il desiderio di sentirci vicini, di trovare una sorta di riscatto attraverso il nostro incontro, mi sembrava naturale, ma non era mai stato così difficile come in quel momento.
"Lo so che è quello che vuoi," dissi, cercando di nascondere il tremore nella voce, ma non riuscendo a farlo del tutto. Le emozioni che avevo cercato di tenere a bada si agitavano dentro di me. Mi avvicinai ancora un po', ma questa volta fu lui a fare un passo indietro, come se volesse mantenere quella distanza che sembrava impossibile da colmare.
"Siamo troppo lontani, Ingrid," disse finalmente, guardandomi negli occhi con una durezza che non avevo mai visto prima. "Non possiamo tornare indietro."
Mi fermai. Quelle parole mi colpirono come un pugno allo stomaco. Non sapevo se stesse dicendo la verità o se stesse cercando di convincermi che fosse così, ma ormai la realtà era lì, davanti a me. Non avevamo mai parlato in modo così diretto, e ora, in quel momento, stavo affrontando una verità che mi faceva tremare.
"Lo so," sussurrai, sentendo il peso del suo rifiuto su di me. "Ma non so cosa fare con tutto questo."
Era come se le parole non potessero alleviare il peso che sentivo nel petto. Il mio corpo reagiva come se non potessi più controllarlo. L’alcol che avevo bevuto continuava a fluire nelle mie vene, mi rendeva leggera e priva di inibizioni. E, in quel momento, non riuscivo più a fermarmi.
Feci un passo avanti, senza pensarci, come se tutto ciò che avevo dentro volesse esplodere. Il mio respiro si fece più affannoso mentre mi avvicinavo a lui. In un attimo di impulso, lo baciai. Le mie labbra cercarono le sue, in un gesto che non avevo pianificato, ma che sembrava necessario in quel momento di confusione totale. Volevo sentire il contatto, volevo sentire che c’era ancora qualcosa tra di noi.
Il bacio fu impetuoso, quasi rabbioso. Non c’era dolcezza, solo una frenesia di emozioni non espresse. Mi staccai da lui, ma non riuscivo a fermarmi. Sentivo che il mio corpo parlava per me, cercando di risolvere un dolore che non riuscivo più a contenere.
Lui, però, non ricambiò subito. Le sue labbra restarono ferme, quasi congelate contro le mie. Poi, lentamente, si separò da me. I suoi occhi erano pieni di una tristezza che non avevo mai visto prima, un dolore che non riuscivo a ignorare.
"Non possiamo farlo, Ingrid," disse, il tono ancora deciso ma più dolce. "Non è ciò che voglio."
"Lo so che è quello che vuoi," dissi, cercando di nascondere il tremore nella voce, ma non riuscendo a farlo del tutto. Le emozioni che avevo cercato di tenere a bada si agitavano dentro di me. Mi avvicinai ancora un po', ma questa volta fu lui a fare un passo indietro, come se volesse mantenere quella distanza che sembrava impossibile da colmare.
"Siamo troppo lontani, Ingrid," disse finalmente, guardandomi negli occhi con una durezza che non avevo mai visto prima. "Non possiamo tornare indietro."
Mi fermai. Quelle parole mi colpirono come un pugno allo stomaco. Non sapevo se stesse dicendo la verità o se stesse cercando di convincermi che fosse così, ma ormai la realtà era lì, davanti a me. Non avevamo mai parlato in modo così diretto, e ora, in quel momento, stavo affrontando una verità che mi faceva tremare.
"Lo so," sussurrai, sentendo il peso del suo rifiuto su di me. "Ma non so cosa fare con tutto questo."
Era come se le parole non potessero alleviare il peso che sentivo nel petto. Il mio corpo reagiva come se non potessi più controllarlo. L’alcol che avevo bevuto continuava a fluire nelle mie vene, mi rendeva leggera e priva di inibizioni. E, in quel momento, non riuscivo più a fermarmi.
Feci un passo avanti, senza pensarci, come se tutto ciò che avevo dentro volesse esplodere. Il mio respiro si fece più affannoso mentre mi avvicinavo a lui. In un attimo di impulso, lo baciai. Le mie labbra cercarono le sue, in un gesto che non avevo pianificato, ma che sembrava necessario in quel momento di confusione totale. Volevo sentire il contatto, volevo sentire che c’era ancora qualcosa tra di noi.
Il bacio fu impetuoso, quasi rabbioso. Non c’era dolcezza, solo una frenesia di emozioni non espresse. Mi staccai da lui, ma non riuscivo a fermarmi. Sentivo che il mio corpo parlava per me, cercando di risolvere un dolore che non riuscivo più a contenere.
Lui, però, non ricambiò subito. Le sue labbra restarono ferme, quasi congelate contro le mie. Poi, lentamente, si separò da me. I suoi occhi erano pieni di una tristezza che non avevo mai visto prima, un dolore che non riuscivo a ignorare.
"Non possiamo farlo, Ingrid," disse, il tono ancora deciso ma più dolce. "Non è ciò che voglio."
Il mio cuore batteva forte nel petto. Le parole di lui mi avevano colpito come un pugno, ma qualcosa dentro di me continuava a bruciare. Forse era il vino che mi rendeva audace, forse era la sensazione di perdere il controllo. Ma, in quel momento, non mi importava più. Mi avvicinai a lui, questa volta con determinazione. La sua freddezza mi feriva, ma la voglia di sentirlo vicino, di spezzare quella distanza, era più forte di ogni altra cosa.
"Lo so che è quello che vuoi," dissi, quasi sussurrando, ma con una certezza che non avevo mai avuto prima. Mi avvicinai ancora, facendo attenzione a muovermi lentamente, lasciando che il mio corpo parlasse per me. Senza dire una parola, il mio corpo si spostò verso di lui, e in un gesto deciso, affondai le mani nel suo petto, facendo sì che i nostri corpi si sfiorassero. Il mio seno, ormai scoperto per l'involontaria caduta del vestito, si avvicinò a lui, come un richiamo silenzioso.
"Non pensare che non lo voglia," mormorai, avvicinandomi al suo orecchio. Sentivo il suo respiro farsi più profondo, ma non mi fermai. "Non mi hai mai dimenticata, vero?"
Antonio sembrava lottare contro il proprio desiderio. Lo vedevo nei suoi occhi, lo sentivo nel modo in cui il suo corpo reagiva alla mia vicinanza, ma c'era qualcosa che lo tratteneva. Il suo volto si distorse leggermente, cercando di mantenere una distanza, ma io non intendevo permetterglielo. Con un movimento rapido, lo attirai verso di me, costringendolo ad affrontare quella tensione che ci aveva sempre separati, ma che ora sembrava imminente.
"Non è così semplice," disse, la sua voce rotta, ma ancora piena di resistenza.
Ma io non lo ascoltavo più. Con un altro passo, lo baciai di nuovo, questa volta più decisa, più affamata. Ogni parte di me gridava per essere sentita, per fare in modo che il passato potesse tornare, anche solo per un istante. Le sue mani, inizialmente ferme, si spostarono verso di me, ma, come prima, c’era qualcosa che lo frenava. Il suo rifiuto sembrava una maschera che stava per cadere, e io continuavo a provocarlo, a spingerlo al limite.
Sei sicuro di non volerlo?" gli sussurrai, le nostre labbra sfiorandosi appena per un istante. I suoi occhi erano fissi nei miei, pieni di confusione, ma anche di un desiderio che non riusciva più a nascondere. Sapevo che, anche se non lo ammetteva, c'era ancora qualcosa tra di noi, qualcosa che non potevamo ignorare.
Il mio tocco fece centro, e sentii il suo corpo rispondere: il pene che conoscevo così bene si svegliò sotto i suoi pantaloni, premeva contro il mio ventre, caldo e insistente. Sorrisi, senza dire una parola, e accarezzai dolcemente da sopra il tessuto, aumentando piano la pressione, godendo di ogni movimento che lo faceva reagire.
"Amore," mi chiamò, e il suo tono mi fece capire che, pur cercando di nascondere il desiderio, era combattuto. "Lo sai che non possiamo, lo sai che ho costruito un'altra famiglia."
"Adesso stai zitto," risposi, sentendo una forza nuova crescere dentro di me. Quella sensazione mi dava coraggio. Senza pensarci, lo baciai di nuovo, stavolta con più intensità, con la lingua. Nonostante i suoi tentativi di respingermi, lui rispose al bacio.
Eravamo così vicini che sentivo il calore del suo corpo contro il mio. Il mio seno nudo toccava la sua camicia, e il suo cuore sembrava battere forte, pulsando in risposta alla vicinanza. Ancora in piedi, gli sbottonai i pantaloni, e con un gesto deciso, accarezzai il suo pene, facendogli sentire il mio desiderio. Mi era mancato, e lo sapevo.
Leccai le dita della mano destra e lo accarezzai come piaceva a lui, con due dita sulla cappella scoperta. Ora era mio, la sua nuova compagna era uscita dalla sua mente. Mi premeva le sue forti mani contro il seno e aspirava il mio latte materno, come faceva quando ero incinta.
Sentivo il suo respiro affannoso sul mio seno, il desiderio cresceva a dismisura. Mi liberai dell'ultimo indumento e mi strinsi a lui, percependo la sua erezione premere contro di me. 'No, no, non posso farlo', mormorò. Ma la mia voglia era più forte di qualsiasi proibizione.
Avvolsi una gamba attorno alla sua vita e lo guidai dentro di me, come tante altre volte. Una volta unita a lui, inarcai la schiena, abbandonandomi al piacere. Avrei preferito essere con Riccardo quella sera, ma il mio ex marito si rivelò un'alternativa più che soddisfacente
‘E ora la tua compagna dove è?’, le urlai contro, più per provocarlo che per altro. Lui, forse stordito dall’alcol, forse eccitato dalla mia sfida, mi afferrò con violenza e mi schiantò contro il muro. I suoi denti affondarono nel mio collo mentre la sua grossa cappella mi trapassava con una brutalità appassionata. La sua lingua, calda e umida, tracciava un percorso infuocato sulla mia pelle.
La musica pulsava dall'altra parte della porta, un battito cardiaco indifferente al nostro duello. Mi spinse con rabbia contro il muro, la sua mano stringendomi la gola. I suoi occhi, iniettati di sangue, erano fissi sui miei. 'Sei sempre stata una troia', sibilò, la voce rauca. Mi penetrò con una brutalità cieca, la sua erezione calda e dura come un pugnale. Mi misi a ridere
Forse la mia risata lo irritò. Mi voltò, offrendomi con un gesto sprezzante. 'Non ne sei capace', lo sfidai, il mio tono più provocatorio che mai. Lui rise, un suono secco e spietato. 'Vedrai', mi rispose. E senza preavviso, mi penetrò da dietro. Durante il matrimonio, quell'atto era stato raro, quasi un tabù. Ora, invece, era una punizione, un'umiliazione. 'Hai fatto la troia davanti a tutti, come hai sempre fatto con i miei colleghi, zoccola', mi sussurrò all'orecchio. Sentii il suo membro spingersi in profondità, invadendomi senza pietà. Un gemito mi sfuggì dalle labbra. Stranamente, in quel momento di dolore e umiliazione, provai un senso di liberazione, come se avessi finalmente gettato la maschera.
Le mie tette rimbalzavano sotto i suoi colpi, un ritmo frenetico che rispecchiava la tempesta che imperversava dentro di me. Il suo corpo, potente e muscoloso, mi incastonava come un puzzle, ogni movimento una sinfonia di piacere e dolore. Mi girai, incrociando il suo sguardo. "Sai cosa mi piace", sussurrai, la voce interrotta. Lui sorrise, un ghigno soddisfatto. Senza indugio, le sue mani si abbattevano sui miei glutei, lasciando segni rossi e brucianti. 'Sì, hai fatto la cattiva ragazza stasera', mi disse, la voce roca di desiderio. Le sue sberle si fecero più forti, più precise, fino a raggiungere le mie tette. Era la mia punizione, certo, ma era anche la mia ricompensa, una danza perversa tra dolore e piacere.
Il tappeto scivolò via da sotto i miei piedi, e mi ritrovai a terra, la schiena nuda contro il freddo parquet. Lui si fermò un istante, ma solo per prendere la mira. Con un ghigno soddisfatto, si posizionò sopra di me, le gambe ai lati dei miei fianchi. Afferrò il suo membro con una presa sicura e lo conficcò in me con un movimento deciso. Lo guardai negli occhi, sfidandolo, e mi leccai le labbra, poi passai la lingua sulle mie tette, in un gesto provocatorio. Il suo sguardo si incupì, e con un ringhio mi penetrò ancora più a fondo.
Mi prese le gambe, allungandomi come un arco teso. La posizione era scomoda, quasi dolorosa, ma un'eccitazione bruciante mi avvolgeva. Amavo quel suo modo di farmi venire prima degli altri, di farmi sentire unica. Sentivo il mio corpo pulsare, ogni fibra tesa in attesa dell'esplosione. Il clitoride mi bruciava, le labbra si erano gonfiate, accogliendolo con avidità. Era come se ogni cellula del mio corpo vibrasse all'unisono. E poi, improvviso e inarrestabile, l'orgasmo mi travolse. Un'onda di piacere mi investì, lasciandomi tremante e senza fiato. Ma la mia sete non era ancora sazia. Lo guardai negli occhi, sfidandolo, pronta a dargli tutto me stessa.
Con un sospiro, mi sollevai sulle ginocchia. Le mie mani scivolarono sui suoi pantaloni, afferrando il suo membro turgido. Lo accarezzai con delicatezza, la mia lingua danzando sulla sua cappella. Lo fissai negli occhi, sfidandolo. 'Vienimi in faccia, come ai vecchi tempi', sussurrai, la voce roca. Mi chinai, inghiottendolo tutto d'un fiato. Esplorai la sua intimità con la lingua, scoprendo ogni angolo, ogni segreto. Lui mi afferrò i capelli, stringendoli con forza. Un urlo mi sfuggì dalle labbra quando lo sentii contrarsi. Un getto caldo e vischioso mi riempì la bocca, scorrendo lungo il mio mento. Esplose di nuovo, colpendo il mio viso con una violenza inaspettata. Un'ultima espulsione, e il suo sperma mi accecò l'occhio destro.
Entrambi ansimavamo, e il silenzio che seguì sembrò carico di tensione. Dopo qualche secondo, lui si rimise in fretta e sbrigativamente, scivolando via come se volesse fuggire da tutto. Io, invece, non riuscii a trattenermi: scoppiai a ridere, una risata così intensa che mi fece contorcere sul pavimento. Quando la risata cessò, mi rialzai, cercai un bagno per rimettermi in ordine, cercando di liberarmi dalla vergogna che cominciava a salire.
Con un sospiro, decisi di dirigermi verso la mia macchina. Non c’era altro da fare se non tornare a casa, lasciando che la gioventù festeggiasse da sola, mentre io mi allontanavo, cercando di capire cosa fosse appena accaduto.
scritto il
2024-12-25
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