Segreti di una giovane sposa

di
genere
confessioni

Le scrivo perché sento il bisogno di dare forma a questa vicenda, di vederla scorrere sulla carta come qualcosa di reale, tangibile, di fissarla, cristallizzarla. Nella confusione dei piani operata dal ricordo, infatti, sembra quasi appartenere non a me, bensì ad altra storia. Perché ciò che è accaduto non è stato un momento fugace, un errore da archiviare in silenzio. È stato molto di più. Non ho opposto resistenza. Non sarebbe stato sincero dire il contrario. Ho ceduto perché lo volevo, perché il desiderio aveva ormai scavato troppo in profondità per poterlo ignorare. Perché, per la prima volta, qualcuno non si limitava a prendermi: mi possedeva, mi modellava a suo piacimento. E la cosa più sconvolgente? Mi piaceva. Mi esaltava. Lapo sapeva esattamente cosa fare con me. Conosceva i tempi, le distanze, il piacere dell’attesa. Mi lasciava sospesa, languida di desiderio, solo per riapparire quando voleva, quando decideva che era il momento. E io ero lì, pronta, docile, impaziente di essere presa. Mi ha portata oltre i confini che credevo di avere, mi ha fatto scoprire quanto può essere dolce arrendersi, lasciarsi guidare, perdere ogni controllo. So che mio marito legge questa rubrica. È un’abitudine che non ha mai perso. Si lascia coinvolgere da queste storie, a volte mi legge ad alta voce i passaggi che trova più audaci, con un sorriso divertito e complice, ma che commenta con ipocrita riprovazione. Non potrà immaginare, né sospettare. Sono certa che non mi riconoscerà. O forse, nel profondo, sentirà qualcosa di familiare senza riuscire a dargli un nome. Non scrivo per pentirmi. Né per trovare giustificazioni. Lo faccio perché questa storia è stata troppo intensa per restare solo un ricordo. E perché, a volte, il desiderio merita di essere rivissuto, anche solo attraverso le parole.”*
N.B. i nomi sono ovviamente di fantasia

“Eravamo tornati da poco dalla luna di miele. Avevo seguito Ugo in una nuova città, dove lo attendeva un lavoro interessante. Avevo tempo per ultimare la mia tesi, che avrei dovuto discutere di lì a pochi mesi. Ero giunta vergine al matrimonio, fedele alla nostra scelta morale piuttosto rigida che ci eravamo dati, e tanta era l’emozione e l’attesa per quella prima volta, così agognata, sognata, desiderata. Ma dovetti confessare a me stessa la delusione: l’aspettativa di un’esperienza sublime, favoleggiata a lungo, si scontrò con una realtà banale, sbrigativa, priva di emozione. Un rapporto consumato al buio, in silenzio, senza trasporto. Non ne parlai con Ugo, ma una grande insoddisfazione pervadeva le mie giornate di giovane sposa. Nel palazzo dove abitavamo notai, e soprattutto venni notata da, Lapo. Un uomo di bell’aspetto, un debosciato perdigiorno che viveva di rendita, esercitava su di me un fascino oscuro, pericoloso. Lui, che di tempo libero ne aveva in abbondanza, iniziò a corteggiarmi infischiandosene della mia ostentata pruderie. Il tutto esordì come un gioco di sguardi lunghi, tocchi fugaci e frasi sussurrate. Lungi dall’esserne infastidita, mi sentivo lusingata. Mi sorpresi a desiderare impazientemente quegli attimi rubati, a mettermi nella condizione di favorirli. La mia educazione e il rispetto per Ugo rappresentavano ancora un freno, ma non sapevo fino a quando sarei riuscita a rintuzzare i suoi assalti incalzanti. Una mattina ero ancora in pigiama, con il sapore del caffè in bocca. Ugo era appena uscito, la sua valigetta stretta in mano, quando un bussare discreto alla porta fece vibrare l’aria immobile della casa. Aprii. Lapo era lì.Intraprendente, non perse tempo. Mi spinse dentro con dolce fermezza, richiuse la porta e in un attimo mi trovai con la schiena contro il legno freddo, un contrasto stridente con il calore che mi saliva dal ventre. Volevo protestare, dire qualcosa, ricordargli che ero sposata. Ma il mio corpo mi tradiva. Lapo sfiorò con le dita il bordo del pigiama, il tessuto sottile che separava la mia pelle dalla sua volontà. Il suo tocco era leggero, quasi esplorativo, ma carico di un’intenzione che mi faceva tremare dentro. Il mio respiro si fece più corto mentre la sua mano scivolava più in basso, insinuandosi con una lentezza studiata, come se volesse assaporare ogni minima reazione del mio corpo. Le sue dita tracciarono un sentiero lungo l’interno delle mie cosce, pelle contro pelle, fino a trovare quel luogo segreto dove il calore della mia eccitazione si faceva più intenso. Sentii il suo respiro farsi più profondo mentre scopriva la mia resa silenziosa, il modo in cui il mio corpo - come avesse deciso prima di me - gli si offriva senza bisogno di parole. Il contrasto tra la sua sicurezza e la mia vulnerabilità mi travolse come un’onda. Avrei voluto dire qualcosa, ma le parole si dissolsero in un ansito soffocato e furono bloccate dalle sue labbra sulle mie. Le sue dita affondarono dolcemente tra le mie pieghe umide, sondando con movimenti lenti e pazienti, come un predatore che assapora il momento prima dell’affondo. Il tempo sembrava essersi fermato. Solo il battito sordo del mio cuore e il suono del nostro respiro riempivano lo spazio. Poi, con un sorriso soddisfatto, Lapo sussurrò contro la mia pelle:
- Sapevo che eri pronta per me.
Un gemito mi sfuggì, come se ogni fibra di me fosse programmata per rispondere a quel tocco. Il senso di colpa era un’ombra lontana, spazzata via dal piacere che si accendeva nella mia carne. Le dita di Lapo, umide, impregnate del segreto della mia eccitazione, toccarono le mie labbra. Esitai per un attimo, il cuore in gola, poi socchiusi la bocca e le accolsi, avvolgendole tra le labbra con un languore che mi fece trasalire. Il suo sapore mi colse di sorpresa: intimo, proibito, il marchio tangibile del mio cedimento.
Lapo mi guardava con un sorriso compiaciuto, osservava la mia ingenua inesperienza. - Brava - sussurrò, e la sua voce era una carezza e una catena allo stesso tempo. Quando Lapo mi tolse le dita dalle labbra, mi sollevò il mento, obbligandola a guardarlo negli occhi.
- Vuoi che continui?
Certo, potevo dire di no, fermarlo lì, ma il calore tra le cosce palpitava in un richiamo che non potevo ignorare. I pensieri si disfacevano come neve al sole. Annuii, il respiro spezzato. Giacevo lì, davanti a Lapo il mio corpo esposto, lottando con la mia vergogna. Il seno, piccolo ma sodo, perfetto nelle proporzioni si sollevava al ritmo del respiro affannato. La mia pelle, liscia e morbida, sembrava brillare sotto la luce diffusa della stanza, riflettendo l’innocenza e la sensualità di chi si ritrova a scoprire un nuovo mondo, sentendosi per la prima volta così ammirata nella propria nudità esibita non senza pudore, di essere desiderata fino al punto di essere divorata.Lapo mi scrutava con feroce bramosia, un cacciatore di fronte alla preda ormai rassegnata alla sua sorte. Forse non era solo il mio corpo ad attirarlo, ma qualcosa di più profondo, più nascosto: la resa incondizionata testimoniata dall’accelerazione del mio respiro. Mi sentivo in balia di una corrente sotterranea, qualcosa di ineluttabile e primordiale. Il mio corpo, quel corpo che fino a poco tempo prima aveva conosciuto solo un rituale sessuale scontato, scialbo, ora agiva con una volontà propria, guidato da una pulsione selvaggia che emergeva incontenibile. Le gambe oscenamente divaricate, il respiro incerto, la pelle percorsa da brividi. Lapo mi si inginocchiò davanti, le mani calde e sicure che sfioravano con la lentezza di chi vuole assaporare ogni reazione. Il suo sguardo si fece più intenso quando le dita apprezzarono la morbidezza della mia pelle, il calore che si sprigionava dalla mia intimità. Ero una ragazza semplice, di campagna, poco sofisticata, e sulla mia pelle levigata spiccava, a contrasto, un folto vello bruno, che si estendeva dalla zona pubica al buchetto anale, impregnato del mio naturale odore depositato durante la notte e dalla eccitazione di quel momento. Sorrise, compiaciuto.
- Che foresta lussureggiante…- esclamò con una nota divertita, facendomi arrossire.
Abbassai lo sguardo, le guance incendiate in un misto di vergogna e bramosia. Ma quando lui affondò il viso tra le mie cosce, la sua lingua a saettare, la vergogna si sciolse in un miagolio soffocato. Mi aggrappai alla stoffa del divano, il piacere che montava in un’onda lenta ma inarrestabile, il mondo intero ridotto a quel tocco, a quella bocca, a quella fame che Ugo non aveva mai manifestato. Poi, con una naturalezza che mi fece tremare, Lapo si sollevò, mi fissò con un sorriso di pura conquista e portò il suo membro alle mie labbra. Esitai, incerta, il respiro spezzato. Lui si accarezzò piano la punta, sfiorando la mia bocca.
- Forza, apri la bocca e assapora.- incoraggiò, la voce bassa, roca di desiderio.
Il cuore mi martellava nel petto, avevo la sensazione di essere goffa, inesperta, ma quando le mie labbra si chiusero sul cazzo e le mani di Lapo guidarono dolcemente il ritmo, mi entusiasmai. Non c’era più esitazione, solo il piacere di abbandonarmi, di scoprire, di lasciarmi condurre in un territorio sconosciuto e proibito.Lui gemette piano, il suo respiro si faceva più irregolare. Ogni sua reazione era un segnale, un’indicazione sottile che mi portava più a fondo in quel gioco nuovo, in quella danza intima che ora mi apparteneva tanto quanto a lui. Ma poi il gioco della scoperta terminò: ora mi voleva, completamente, senza resistenze.La sua bocca cercò la mia, affamata, i nostri sapori a unirci in un bacio profondo, mentre le sue mani mi afferravano con vigore. Fui sollevata, avvolta dalla sua presa; non c’era più spazio per il pensiero, per il pudore, per il confine tra ciò che era lecito e ciò che non lo era. Solo il calore bruciante dei nostri corpi, il battito irregolare, la pelle che cercava altra pelle. Le mani che scorrevano lungo la curva dei miei fianchi, i denti che mi sfioravano, mordevano i capezzoli induriti. Ormai c’era un filo invisibile che mi legava completamente a lui, alla sua volontà. Lapo mi spinse piano contro il divano, la sua voce un sussurro roco contro il suo orecchio.
- Non c’è più ritorno, lo sai?-La mano di Lapo scese lungo il suo ventre, scivolando esattamente dove voleva, esattamente dove la rendeva folle.
- Dillo.- La voce di Lapo era un ordine roco all'orecchio.
Mordendomi il labbro, cercando di opporre un ultimo, inutile briciolo di resistenza, in un soffio:
- Sono tua….
- Di’ tutto, veramente.-
- Sono la tua…puttana…- ammisi, libera da vergogna, remore, costrizioni morali. Lapo rise, soddisfatto, e mi ribaltò con un solo gesto sicuro. Incapace di rispondere, ansiosa di quello che sarebbe accaduto. Il suo peso su di me a immobilizzarmi, quasi a soffocarmi. Con una foga quasi brutale, affondò in me con un’unica, prepotente spinta, spezzando l’ultimo residuo di esitazione, facendomi inarcare la schiena con un urlo strozzato. Ero invasa, colmata, il piacere che esplodeva in ondate disordinate mentre mi possedeva con un ritmo potente, instancabile, spietato e famelico come si volesse nutrire della mia carne. Venivo spinta sempre più in profondità nel vortice del piacere. Scomparivano confini, inibizioni, ero strappata ogni parvenza di razionalità, c’era solo istinto animale, il godimento che si riversava come un fiume in piena, le mie unghie che affondavano nella sua pelle, le mie gambe che lo stringevano per non lasciarlo più andare, per sentirlo più dentro.
Il mondo era sparito. Restavo lì, sognante, persa in una nuvola di appagamento.”
di
scritto il
2025-02-09
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