Lattice nero

di
genere
zoofilia

Svolgevo da qualche tempo il mio ruolo di prostituta con successo. Gli incontri si susseguivano, soddisfacendo i miei clienti e, non di meno, anche me stessa. Mi ero abituata a concedere il mio corpo con disinvoltura, assecondando ogni desiderio con naturalezza, quasi con compiacimento. Ma quella circostanza, quella mi costrinse a fermarmi, a riconsiderare tutto, a mettere in discussione il cammino, certo sconsiderato, che avevo intrapreso.
La richiesta era stata formulata in termini volutamente vaghi. Un incontro speciale, una disponibilità particolare in cambio di una somma considerevole. L’intermediaria, una signora dall’aspetto impeccabile e dai modi affabili, mi ricevette in un piccolo ufficio riservato esclusivamente a lei.
Sorridendo, mi chiese con tono gentile: — Ha deciso? — Sono interessata, ma ho delle perplessità. In situazioni simili, la mia priorità è la sicurezza. E, ovviamente, la mia reputazione. — Giustissimo, cara. Stia tranquilla, tutto è stato organizzato nei minimi dettagli per garantirle riservatezza e protezione. Ne sarà soddisfatta, glielo assicuro.
L’elemento che mi convinse definitivamente fu l'uso delle maschere di lattice nero. Nessuno avrebbe visto il mio volto, e io non avrei visto il loro. L’anonimato era un lusso che non potevo permettermi di rifiutare.
La sera stabilita, un’auto di grossa cilindrata, una Bentley se non sbaglio, venne a prendermi direttamente all’albergo. Il viaggio fu silenzioso, il conducente impassibile. L’auto scivolò tra le strade fino a raggiungere una villa isolata, elegante e misteriosa. Mentre mi apprestavo a cambiarmi fui raggiunta mediante il telefono da colui che, presumibilmente, aveva organizzato la serata.
— Vede, mia bella ospite, cerchiamo donne come lei — disse con voce calma e profonda —. Donne vere, autentiche, non quelle bellezze di plastica senz’anima. Lei è una persona stimata, moglie e madre esemplare, professionista apprezzata eppure si consegna, suppongo per un piacere sottile e perverso — oltre che per soldi— a questo gioco. Noi vogliamo il brivido, l’illusione, il piacere che deriva dal proibito. Nulla di pericoloso, glielo garantisco. Al massimo, potrebbe provare un certo disagio psicologico, ma, come ben sa, questo è già previsto nei termini dell’accordo.
Un cameriere discreto mi fece cenno di seguirlo. Attraversammo un lungo corridoio, fino a un salone illuminato da luci soffuse. Alcuni uomini mi attendevano, tutti mascherati, il loro abbigliamento impeccabile, lo sguardo attento.
Il padrone di casa — riconobbi la sua voce udita poco prima —, un uomo elegante dai capelli brizzolati, prese la parola:
— Signori, questa sera abbiamo un privilegio. Questa donna non è una prostituta professionista. No, lei è qualcosa di più. Una donna di valore, rispettabile dalla vita, all’apparenza irreprensibile... eppure alla ricerca dell’illecito immorale come noi, del resto. Questa sera è nostra con le peculiarità così attraenti. Possiamo usare quella che si offre come troia nel modo che vogliamo senza, ovviamente, violare la sua incolumità. Sarà il piacere di un gioco raffinato, anche crudo, prima che materiale, psicologico. Vi invito a tornare indietro nel tempo, a quando eravamo adolescenti e fantasticavamo sulla bella signora che frequentava casa, sulla nostra insegnante, su quella cameriera che sfuggiva al nostro tocco. Oggi il sogno si fa carne. Il mio dono per voi. Buon divertimento.
La tensione nella stanza era palpabile, un misto di eccitazione e attesa sospesa. Ogni uomo presente mi scrutava attraverso la maschera, cercando di cogliere un segnale, un dettaglio che potesse rivelare chi fossi davvero. Il mio cuore martellava nel petto, eppure sorridevo, alimentando il gioco con la mia voce suadente e la postura languida. Sentii il fremito del desiderio misto a un’ombra di inquietudine. Eppure, ero lì. Per scelta. O forse no? Mi trovavo esattamente dove volevo essere. Eppure, quella sottile paura, quell’adrenalina che mi scorreva nelle vene, rendevano l’esperienza ancora più intensa. Il mio respiro si fece più rapido, mentre il gioco prendeva forma attorno a me.
Un uomo si fece avanti, accarezzandomi il polso con un tocco leggero, quasi ipnotico. — Raccontaci di te — disse con voce morbida.— Ti piace stare qui, e ami questa attesa, vero? — Non risposi subito. La mia mente oscillava tra il timore di cedere completamente e il brivido della sottomissione volontaria. Il silenzio divenne una risposta eloquente. Uno degli uomini prese una ciocca dei miei capelli tra le dita, arrotolandola distrattamente.
— Chi sei davvero, oltre questa maschera? Forse ti conosciamo, magari ti incontriamo sul lavoro. Dacci un indizio - Una voce mi incalzò.
Un sorriso imbarazzato sfiorò le mie labbra. Un gioco dentro il gioco. Chi ero davvero? La mia maschera era l’ultima barriera che proteggeva la mia identità. Era oltremodo eccitante muoversi sul filo del rasoio e temere di essere scoperta. I partecipanti fremevano di curiosità mentre la loro fantasia formulava svariate ipotesi.
— Sono il vostro sogno lussurioso di una notte — risposi contraffacendo la voce e inclinando leggermente il capo. Siamo tutti nascosti dietro una maschera — dissi infine, la voce più sicura di quanto mi sentissi realmente.Un mormorio di approvazione percorse il gruppo. Mi sentivo osservata, desiderata, una tela bianca sulla quale avrebbero dipinto la loro fantasia. Un uomo si avvicinò ulteriormente, il suo respiro caldo sfiorò la mia pelle nuda appena sopra la scollatura. Mi sfiorò il mento, sollevandolo leggermente per costringermi a incrociare il suo sguardo, anche se celato dalla maschera. Il suo tocco era fermo, deciso.
— Sei il nostro sogno, dici? — mormorò con un sorriso velato d'ironia. — E i sogni, si sa, sono fatti per essere vissuti, esplorati, consumati.
Il padrone di casa si fece avanti, alzando il calice per un brindisi.— Alla verità dietro le maschere.
I calici si sfiorarono, e con essi, la certezza che quella notte nulla sarebbe stato come prima.
Le mani su di me si moltiplicarono, i gesti si fecero più arditi, mentre il gioco diveniva sempre più crudo. I vestiti mi furono strappati con impazienza, frenesia.
Un uomo mi afferrò per i polsi, immobilizzandomi con decisione. Sentii la seta di un foulard stringersi attorno ai miei polsi, privandomi di ogni possibilità di resistenza.
— Questa notte non devi pensare, puttana — sussurrò un altro, dietro di me, il suo respiro caldo sulla mia pelle nuda. — Sei solo un corpo per farci godere.
Le mani che mi esploravano divennero più audaci, più decise, entrarono dentro di me. Non c’era più solo desiderio: c’era il puro piacere, crudele del possesso, della dominazione, c’era rabbia e un coacervo di sentimenti che si sfogavano su di me. Tremai, un confine invisibile veniva varcato. La turba di uomini mi incalzava, i loro sguardi divoravano ogni centimetro della mia pelle nuda. Il mio corpo divenne allora un campo di battaglia su cui ci si accaniva con furore, un oggetto su cui esprimere la loro brama senza pietà. Mi penetravano senza soluzione di continuità e i miei orifizi erano a loro disposizione in una sarabanda infernale: era un’orgia in cui ero l’unico bersaglio di ogni sorta di sordida voglia. Non riuscivo a proferir parola, neppure un gemito usciva da quella bocca sempre riempita di peni sgocciolanti.
Quando finalmente tutto parve esser finito, non restava nulla di me. Mi sentivo svuotata, estranea a me stessa. Il mio corpo era sudato, imbrattato di sperma che scolava dalle mie cavità così violate e di cui avvertivo il sapore dolciastro. Ma quel baccanale forsennato non aveva raggiunto il culmine.
— Ora questa puttana merita qualcosa che soddisfi di più la sua natura di cagna.
Liberarono le mie mani e mi costrinsero a quattro zampe, trascinandomi per un guinzaglio come un animale sottomesso perché ognuno potesse osservare la scena. I miei seni procaci, penduli oscillavano sensualmente e scuotevo le mie natiche nell’incedere.
Non capivo ma ben presto mi resi pienamente conto di cosa si stesse preparando per me.
Udii il latrato prima ancora di vedere quel grosso cane dal pelo color antrace precipitarsi su di me. Ero paralizzata dalla paura, temendo potesse sbranarmi, ma la bestia voleva altro. Il cane pareva impazzito: mi girava attorno, mi saltava sopra e io era impotente di fronte a quella foga così possente. Insinuò il muso fra le gambe ad annusarmi e leccarmi la vagina con la sua lingua ruvida: ormai aveva solo un obbiettivo, quello di montarmi con lo scopo — per natura impossibile — di fecondarmi. Avvertii il suo peso addosso, mi strinse i fianchi con le sue zampe; cercò la mia fessura. Avvertivo quella punta umida gocciolante contro il pertugio della mia figa; ci entrò dentro con una prepotenza e con una tale forza che mi fu impossibile trattenere un grido. La violenza, la velocità di quei colpi era indescrivibile e quel membro bolliva per una temperatura molto più elevata di quella di un uomo. Sottomessa, cominciai a percepirmi nella dimensione istintuale di un mammifero femmina che si concedeva al suo maschio dominatore, indifferente persino ai salaci commenti degli uomini, disposti a cerchio, che mi osservavano divertiti ed eccitati. Fui presa dal panico nel sentire il sesso del cane ingrossarsi mostruosamente dentro di me — le dimensioni erano approssimativamente quelle di una bibita in lattina —, temendo potesse lacerarmi ma, ben presto le pareti della miafiga si adattarono, ritrovai la calma potendo apprezzare quella massa e i suoi spasmi di piacere divennero anche i miei. La sua pelliccia, sfregando, stimolava il clitoride ed era terribilmente eccitante.
E poi ecco il calore di quel liquido bollente che mi inondava tutta, mentre quel nodo era così saldo dentro di me che mi sentivo totalmente incatenata a lui, schiava del suo cazzo che mi teneva imprigionata ma che mi provocava brividi di piacere antico e sconosciuto e illecito.
Non so quanto durasse quella piacevole tortura — venti, trenta minuti, forse —, ma finalmente il pene del bestione perse consistenza e fuoriuscì da me trascinandosi dietro un’enorme quantità di sperma con cui mi aveva riempito.
Giacqui esausta sul pavimento umiliata, sporca fuori e dentro. Tutti se ne andarono - udii il suono delle voci affievolirsi fino a scomparire — e rimasi sola per un tempo che non riuscii a quantificare.
Sotto la doccia la mia mente si snebbiò progressivamente. Tentai di ricacciare il senso di vergogna che mi pervadeva e decisi che quanto avevo appena vissuto non lo avrei permesso mai più considerando, d’ora in poi, in maniera meno avventata le proposte che mi venivano presentate. In particolare avrei evitato un rapporto bestiale, letteralmente bestiale come quello. Nondimeno mentre infilavo nella borsetta l’ingente somma di denaro che mi era stata corrisposta, dovetti riconoscere l’intenso e formidabile, ma inconfessabile godimento fisico che avevo provato in quella oscena notte.

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scritto il
2025-03-06
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