Morbosa Corrispondenza – Capitolo 17

di
genere
incesti

Anna
“Chi era quella?” Chiese Anna, senza preamboli.
Luigi non alzò subito lo sguardo. “Te l’ho detto, è solo Marta, una collega.”
"Dopo venticinque anni da solo… non ci vedo nulla di male, papà." Rispose lei, annuendo piano.
"Appunto."
"Non capisco perché lo neghi, allora."
"Non sto negando." Bofonchiò lui e si schiarì la voce, imbarazzato.
"Hai detto «solo una collega». Perché non ammetti che state assieme?"
"È una frequentazione. Niente di... serio."
Anna lo fissò per qualche secondo.
"Cosa trovi in lei?"
Lui sbuffò. "Non lo so. È diversa."
"È volgare."
"Non sempre, Anna. È anche.. "
Lei abbassò gli occhi e concluse la frase: “..sguaiata.”
Luigi si alzò, come per dire qualcosa. Poi ci rinunciò.
"Non è importante."
"Non per te, papà."
Anna uscì dalla cucina senza voltarsi. La nausea le saliva in gola, lenta e opprimente. Raggiunse la sua stanza, chiuse la porta.
Il diario era lì, sotto al tavolo. Prese la penna e iniziò a scarabocchiare delle parole: "preferirei tradire tutto il mondo, piuttosto che sia il mondo a tradire me."
Chiuse il libricino di scatto e si lasciò scivolare sul letto, come una foglia che si arrende alla terra.

Luca
Il pennellino a setole morbide scivolava lento, quasi timido, sulla fiancata rossa del modellino di Ferrari SF1000 GP Tuscany BBR Models 1:43.
Le mani di Luca tremavano appena, ma non per paura: era l’emozione silenziosa di un lavoro ben fatto. Ogni dettaglio era sacro. Lo specchietto laterale, il cerchio posteriore, la minuscola griglia del motore—nulla sfuggiva a quella pulizia meticolosa.
Sarebbe restato seduto per ore al suo tavolo da lavoro, immerso in una pace fragile e silenziosa. Fuori, il mondo non poteva fargli male.
Ogni soffio di vento portava la voce tirannica di sua madre.
La stanza odorava di plastica, colla e un filo di malinconia.
Gli mancava Lia, sua sorella. Le aveva scritto quella mattina, un semplice “Come stai?” con una foto del nuovo modellino. Lei aveva risposto dopo ore dicendo “bello” e nulla più.
Da quando lei studiava al nord era diventata un’ombra, lontana, distante.
E a Luca, quella distanza pesava più del silenzio.
Le sue giornate passavano sempre allo stesso modo: la mattinata dedicata al modellismo e il pomeriggio alla masturbazione.
Pensava a sua sorella, alle sue dolci e irraggiungibili curve, al suo visino angelico.
Eppure non riusciva nemmeno a godersi una bella sega come si deve.
Il cuore in gola, lo sguardo fisso verso la porta chiusa, il pene di colpo floscio, come un riflesso condizionato.
Ogni cigolo, ogni passo nel corridoio, ogni silenzio improvviso bastavano a farlo sussultare.
Temeva che la porta potesse spalancarsi e che la madre fosse lì, con la cintura tra le mani. Le sembrava quasi di sentirla urlare.
“LUCA!”
Preso da queste paure, le sue sessioni masturbatorie erano diventate asfissianti. Spesso era costretto a riprendere erezioni perse; altre volte il suo membro rimaneva floscio e inerte. Nonostante ciò, continuava a masturbarsi, frizionando il pisello semiduro mentre guardava un video di una bionda prosperosa, sperando che l’erezione tornasse.
Alla fine, riusciva a venire con un tenue schizzo di sperma, unica testimonianza di quel momento frustrante. Ma l'orgasmo era poco appagante e lasciava un senso di vuoto dentro di lui.
Era irrazionale, lo sapeva. Ma il corpo non dimentica facilmente i maltrattamenti. E l’anima, ancora meno.
Ma oggi non importava. Oggi c’era solo lui, il modellino, e un lieve ricordo di Lia, che sembrava avere di meglio da fare che rispondergli.
Prese lo spray antistatico e lo nebulizzò leggermente sui fari. La soddisfazione di essere bravi nel proprio hobby.
“LUCA!”
Il tonfo improvviso della voce materna gli fece quasi cadere lo spray dalle mani, il cuore gli schizzò in gola.
“LUCA!!”
Non fece in tempo a rialzarsi che la porta si spalancò con un colpo secco. Teodora piombò nella stanza come un temporale di pioggia sabbiosa.
“Ma sei sordo?! C’è qualcuno che suona alla porta! Vai ad aprire, scemo di guerra!”
Gli strappò lo spray dalle mani e lo gettò a terra con rabbia. Il tappo rotolò sotto il mobile.
Luca si alzò, tremante e si diresse verso la porta.
Aprì.
Suo cugino Toni era lì, sorridente. I capelli scompigliati dal vento, la felpa sportiva tirata sulle spalle larghe.
“Ciao Luca! Disturbo? C’è la zia?”

Mena
“Ciao Francesca..”
“Ciao Papy… tutto ok? Era un po' che non ci sentivamo.”
“Ho avuto dei casini, purtroppo. Mia figlia è arrabbiata con me.”
“Perché? Che hai combinato?”
“Ha scoperto che sto frequentando un’altra persona. Non l’ha presa bene.”
“Ma… scusa, e cosa c’è di male?”
“Lei è sempre stata abituata ad avermi lì. Per lei.”
“Dopo così tanti anni da solo… perché ti sei fidanzato proprio ora?”
“Perché ho conosciuto lei… che è diversa. Per certi aspetti, ti somiglia. Capisce le mie.. esigenze. Le soddisfa...”
“Mmm.. in che modo?”
“Sa di questa mia.. passione. La asseconda. Nei gesti. Nel tono. Nei messaggi. A volte perfino nei vestiti. Mi eccita. Mi travolge.”
“Mi sembra che questa tua amante sia piuttosto sfacciata..”
“Ieri mi ha fatto impazzire. Ha trovato il diario di mia figlia e ha letto dei passaggi.. intimi. Non ho capito più niente..”
“Secondo te, tua figlia lo sa?”
“Forse. Forse lo intuisce. E forse è proprio questo che la ferisce di più.”
“E a te, cosa ferisce?”
“Ho il timore che la mia attrazione possa distruggere l’affetto che c'è tra noi…”
“Sai, Papy… mi è tornato in mente un segreto su mio figlio. Non credo di averti mai parlato di lui, vero?”
“Non mi pare..”
“Mio figlio è sempre stato legato a me, fin da piccolo. Lo dico con tenerezza, quasi con orgoglio.”
“Un mammone?”
“Un po'.. Non nel senso che fosse dipendente o appiccicoso — no, lui era autonomo, curioso, pieno di iniziativa. Ma aveva quella naturale inclinazione a cercarmi, a starmi vicino, come se il mio corpo e la mia presenza fossero per lui un’estensione del mondo. E io, lo ammetto, me lo sono goduto fino all’ultima goccia.”
“Cosa vuoi raccontarmi?”
“Prima, avevamo un’abitudine tutta nostra: il solletico del dopo pranzo. Era un rito silenzioso, un appuntamento segreto che ci passavamo sottovoce ogni giorno. Dopo aver sparecchiato, mentre il sole entrava pigro dalle finestre del soggiorno e il ventilatore muoveva appena l’aria, io mi stendevo sul divano, in vestaglia o con una canottiera leggera.”
“Bellissima..”
“Lui si avvicinava in punta di piedi, scalzo, e già io sentivo l’elettricità nell’aria. Era diventato abilissimo a trovare ogni scusa per farmi il solletico: «Mà, aspetta… hai una briciola qui!»
Con un indice, fingeva di toglierla dal mio fianco, ma subito dopo le sue dita cominciavano a correre rapide sulla pelle scoperta, tra l’elastico dei pantaloncini e la curva morbida della mia pancia. Un solletico calibrato al millimetro: né troppo forte né troppo leggero. Bastava.”
“Bastava?”
“Scoppiavo a ridere ogni volta; le gambe si contraevano, le braccia cercavano di fermarlo. Ma lui era più veloce, agile come un cucciolo. Mi bloccava con un ginocchio sulle cosce e continuava imperterrito, mentre io mi arrendevo tra una risata e l’altra. Ridevo fino alle lacrime.”
“Un gioco innocente..”
“Poi ci fu quel giorno, in camera da letto”.
“Eh..”
“Mio figlio aveva tredici anni, forse quattordici. Era in quella fase strana e bellissima in cui la voce gli si abbassava a tratti, e sulla pelle chiara del petto e delle gambe spuntavano i primi peli biondi, sottili come fili d’erba al mattino.”
“Il suo corpo stava cambiando..”
“Stava diventando un uomo.. comunque, faceva caldo, le finestre aperte, l’aria sapeva di panni stesi al sole e gelsomino. Indossavo una maglietta leggera, le spalle nude o quasi, i capelli raccolti, la pelle ancora calda del forno acceso e delle faccende appena finite.
Io stavo leggendo a letto, quando l’ho sentito arrivare, indossava una tuta sportiva. Si sdraiò accanto a mi sfiorò: «Mamma, quei nei sulla spalla… ce li hai sempre avuti?» disse, con voce seria.
«Dove?» chiesi, seduta sul letto, con una spallina della canottiera scivolata sul braccio.
«Qui!»
“Sfiorò la mia scapola con la punta dell’indice, lento, concentrato… e poi, di colpo, le sue mani si infilarono sotto il braccio, e scoppiò il solletico più preciso di sempre!”
“Un agguato!”
“Scoppiai a ridere, piegandomi in avanti per sfuggirgli, ma lui era già lì, saldo dietro di me, con la sicurezza di chi conosce a memoria ogni punto debole del corpo di sua madre.
«Controllo dermatologico!» Rideva: «È una questione di salute!»
Mi divincolavo. Ridevo. Ridevo tanto da non riuscire a respirare, le ginocchia che si piegavano, la voce che mi usciva rotta e squillante.
Riuscii a divincolarmi dalla sua stretta e afferrai un cuscino, colpendolo al volto con un colpo secco. Lui restò un attimo stordito, poi scoppiò a ridere.
Era sdraiato sul letto, le braccia incrociate dietro la testa, rilassato, sfrontato. E io lo avevo appena sfidato.
Ridevo anch’io. Sapevo esattamente cosa stavo facendo.
Gli avevo lanciato la provocazione.
«Sei pronta a pagarla?» disse, con un lampo negli occhi. Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere.
La sua mano era già su di me.
Non fu una carezza. Fu una presa.
Decisa. Sicura.
Mi afferrò il fianco e il solletico ricominciò, travolgente, inesorabile.
Mi bloccava le gambe con le sue, e la sua gamba destra si premeva sulla mia pancia mentre cercava di impedirmi la fuga.
Ogni sfregamento era un messaggio.
Sentivo il calore dei suoi pantaloni contro la mia pelle nuda, il suo ginocchio che mi spingeva contro il tappeto, e ogni scontro tra le nostre gambe accendeva brividi inaspettati.”
“Si era fatto audace?”
“Involontariamente audace. La sua mano scivolò lungo il mio fianco fino alla schiena, poi tornò in avanti, sulla mia pancia.
Premeva, impastava la pelle, le dita massicce si aprivano come in un massaggio, ma era sempre gioco. Sempre solletico.
Quando salì più su, verso la curva del seno, mi irrigidii per un istante. Ero senza reggiseno.
Lui si fermò, solo un secondo.
Poi continuò.
La sua mano si mosse come se stesse suonando uno strumento.
Ogni tocco produceva una reazione: risa, scatti, tremiti.”
“La situazione si scalda, Franci…”
“Già.. Ogni volta che mi accarezzava, anche solo sfiorandomi un braccio, il seno, il ventre... il desiderio mi scivolava più in basso, mi prendeva da dentro, lento e profondo. Come un richiamo silenzioso, il clitoride pulsava appena, quasi timido.
“Quanto vorrei vedere quel fremito.”
“Ridevo e insieme tremavo.
«Amore… ti prego…» dissi tra le risate. Ma non era un vero basta. Era un “vai avanti, fammi impazzire”. Era un riso che si mischiava a un brivido caldo, quasi colpevole.
Il gioco cambiò. Il tocco diventò più fermo. Le dita non solleticavano più: accarezzavano, esploravano. I suoi polpastrelli tracciavano la linea delle costole, salivano sotto il seno, poi scendevano lungo la curva dei fianchi. Le sue mani erano calde, delicate, precise. Quando mi ha toccata proprio lì, sull’interno coscia, la risata si è spezzata. È uscita come un gemito.”
“È normale che a quell’età si abbiano certe pulsioni.. E la madre è la prima persona a conoscerle, spesso..”
“Erano pulsioni forti già allora. A un certo punto, mi voltai di lato e il mio viso strusciò contro la sua coscia rigida.
Sentii la stoffa della tuta graffiarmi la guancia, e il profumo della sua pelle – misto al sapone e a un odore forte virile – mi entrò nel naso. Un odore caldo, giovane, vivo. Inconfondibile.”
“Profumo di ormoni… Dico bene?”
“Sì.. Mi fermai un istante, incollata a quella presenza.
Poi fui ribaltata di nuovo. Le nostre gambe si intrecciarono, e il mio piede si appoggiò per sbaglio sul suo inguine. Sentii un sussulto. Un irrigidimento.”
“Un sussulto?”
“Il gioco si fermò. Mi strinsi contro di lui, il petto premuto al suo fianco, il calore del mio seno che si adattava alla curva del suo torace. Il mio respiro era lento, ma denso..”
“Eri bagnata?”
“Fradicia. Le mie cosce si premevano alle sue, cercavano l'incastro, il contatto pieno. E tra le gambe, una tensione crescente: una fame liquida, una pressione interna che mi faceva mordere piano le labbra. La sua mano tornò a muoversi, scivolando prima sulla mia spalla, poi giù lungo il braccio. Istintivamente, la presi e la portai contro il dorso della mia, accarezzandola piano.
Rimanemmo così. Fermi, o quasi. Avevo la gola secca e un sapore salato sulle labbra.
Non era sudore. Era voglia.”
«Mà…»
“Il suo sussurro mi attraversò come una scossa elettrica.”
“Anche lui era eccitato?”
“Sì. Lo sentivo. Il suo corpo contro il mio diventava sempre più aderente, sempre più impaziente. Un rigonfiamento cercava spazio tra noi. Era chiaro. Dovevo fare qualcosa per calmarlo o non sapevo come sarebbe andata a finire quella lotta.
“Che hai fatto?”
“L’ho baciato.”
“Cosa???”
“Un bacetto. Sulle labbra. A stampo. Un bacio innocente, come a dire «Va tutto bene. È solo un gioco», ma lui sobbalzò.”
“Sei tremenda..”
“Sembrava perso, come se il suo corpo non sapesse più cosa fare.
Lo baciai ancora, a stampo. Sempre così, lieve. E più lo facevo, più le sue guance si arrossavano, il respiro diventava corto, tremante.”
“Quante volte lo hai baciato?”
“Non ricordo, erano tanti piccoli teneri schiocchi. Davano sollievo anche a me. Intanto, i miei fianchi si muovevano, seguendo un ritmo proprio. Ogni mio gesto diventava contatto: il mio inguine contro la sua gamba, le mie labbra sulle sue, le mie mani che sfioravano le sue guance. “
“Mentre lo baciavo, sentivo che qualcosa in lui stava cambiando.
Il respiro più pesante.
Le spalle tese.
Il bacino rigido.
E sotto la tuta, qualcosa cresceva.”
“Lo hai fatto venire duro a tuo figlio, porcellina?”
“Eccome se era duro. Sentivo il suo membro crescere sotto i miei tocchi, pulsante e caldo. Era come se avesse una vita propria, spingendosi contro il mio corpo con una forza irresistibile.”
“A cosa pensavi?”
“Pensavo che per la sua età doveva essere un bel carotino, sodo e ben proporzionato. Una parte di me era orgogliosa di aver messo al mondo un ragazzo così bello, sano, vigoroso.”
“E…?”
“E.. mi eccitava sapere che ero io a provocargli quella reazione. Continuai a massaggiarlo lentamente, godendomi ogni istante di quel contatto intimo e proibito.”
“E lui…
Non diceva nulla.
Continuava a toccarmi.
E baciarmi.
Senza parole. Solo pelle.
E schiocchi di labbra.
Le sue dita scivolarono sotto la maglietta con una lentezza criminale. Se non sapessi che era nel pallone, avrei pensato di aver a che fare con un amante lussurioso.”
“E forse lo era..”
“Non so che gli passò per la mente ma sembrò leggermi nel pensiero e, finalmente, raggiunse i miei capezzoli.”
“Sei una porca..”
“Ci arrivò facendo scivolare le mani sotto le costole, lungo i fianchi, passando per la curva del seno che strinse pianissimo, intimorito.”
“Beato lui..”
“Io mi contorcevo, senza via di fuga. Il calore tra le cosce era quasi insopportabile.
Ogni muscolo teso, in attesa. Il contatto umido, caldo, familiare.”
“A che pensavi, mammina?”
“Avrei voluto fermarmi, ma ero in paradiso e non ragionavo lucidamente. Il respiro mi usciva in piccoli gemiti trattenuti, la sua gamba era ancora sotto di me, e io — senza accorgermene — mi stavo cullando su di lei.
Un movimento lento, circolare.”
“Mi stai facendo eccitare tremendamente, lo sai?”
“Pensa a com'ero eccitata io.. Bagnata fradicia, mi stavo strusciando su di lui come una gatta in calore: mi muovevo lentamente contro la sua gamba, il mio respiro accelerandosi a ogni sfregamento.”
“Maledetta..”
“Avevo addosso solo un piccolo pantaloncino e delle mutandine così sottili che potevo sentire ogni contorno del suo giovane membro contro di me. Le mie grandi labbra erano umide e calde, madide di liquido vischioso, si aprivano e si chiudevano mentre mi muovevo avanti e indietro sulla sua gamba.”
“ Continua..”
“Ogni tanto sentivo il mio clitoride indurirsi e spingersi contro di lui, in cerca di più contatto. Le mie mani afferravano i suoi fianchi e lo tiravano verso di me, mentre la mia bocca ansimante cercava la sua. Ero completamente fuori controllo, preda di un giocattolo lussurioso.”
“E tu?”
“E io… mi lasciai andare.
Completamente. Venni.”
“Cazzo.. Un orgasmo interessante..”
“Intimo, direi. In quell’abbandono totale, capii una cosa: non c’era niente di più erotico dell’essere toccata da qualcuno che hai messo al mondo.
Come se il mio corpo non aspettasse altro che il suo ritorno.
Con lentezza.
Con malizia.
Con desiderio sincero.”
“E..dopo?”
“Cosa pensi che abbia fatto, dopo essergli venuta sulla gamba?”
“Sarai scappata..”
“Quello fu il mio primo pensiero..”
“Ecco..”
“Ma….”
“Ma???”
“Quando riaprii gli occhi, lui era lì, fermo, con lo sguardo acceso. Il suo respiro era più profondo, e sotto la tuta si vedeva chiaramente la sagoma del carotino. Mi strinsi a lui, gli baciai piano il collo. Con tenerezza —come farebbe una madre che sa che il figlio ha bisogno di conforto — gli posai il dorso della mano sulla patta, accarezzando la sua giovane virilità con dolcezza. Un gesto semplice. Ma dentro di me esplose come un tuono sommesso.
«Mà…»..« Sssh.. Adesso ci sono io», gli sussurrai.”
“Cosa hai provato davvero in quel momento?”
“ Toccare il cazzo duro di mio figlio mi ha mandato su di giri.. Teso. Turgido. Gli avevo fatto il bagnetto tante volte ma non era esattamente la stessa cosa. Gonfio. Vibrante. Come se cercasse la mia mano. E io gliela diedi..“.
“Mi stai facendo impazzire, Franci..”
“Bastò la prima carezza per farlo sospirare. Un suono basso, gutturale, che mi entrò nelle pieghe della fica. Mi sentii stringere le cosce. Mi sembrava di colare dentro le mutandine, sentivo il tessuto aderire, appiccicarsi, risucchiato dalle mie labbra.”
“E adesso... sei bagnata, vero?”
“Sei un insolente. Comunque, sì.”
“Senti chi parla.. Porcella.”
“Dicevo, continuai a sfiorarlo con delicatezza, seguendo la forma della sua asta.
Immaginai di infilare le dita dentro quell’elastico, di abbassargli la tuta. Di trovarmi quel suo pisellotto lì, in mano, nudo. Caldo. Teso. Pieno. Di chiudere le dita attorno al suo sesso e farlo scivolare piano tra il palmo e la pelle.”
“E..?”
“E.. di abbassarmi e prenderglielo in bocca, sentendolo toccarmi la gola, con la lingua ad accarezzargli la palle..”
“Lo sapevo.. porca..”
“Il solo pensiero di succhiare il cazzo di mio figlio mi fece tremare. E dentro di me cominciò un’eco: lo voglio. Lo voglio. Lo voglio.”
“Cosa ti ha fermata?”
“Mi mancò il coraggio. Già mi sembrava un’enormità accarezzargli il pacco gonfio col dorso della mano. Non me la sentii nemmeno di usare il palmo, per masturbarlo come si deve..”
“Maledetta... quanto mi stai facendo salire la voglia. Perché sei così brava a trattenerti?”
“Adesso non mi sto trattenendo..”
“Nemmeno io.. continua..”
“Mio figlio ansimava. Il bacino si sollevava leggermente verso la mia mano, come se cercasse più contatto, più frizione. I suoi occhi erano chiusi, ma le palpebre tremavano. Le dita dei piedi si incurvavano. Era sul filo.”
“E io con lui..”
“Aumentai il ritmo. Gli accarezzai il membro con movimenti lenti, costanti, decisi ma sensuali. Sentivo la forma completa. Ogni vena, ogni curva. La punta premeva forte, e una macchia calda si era formata sulla tuta. Lo accarezzai proprio lì. E lui gemeva, mordendosi un labbro. Il suono mi fece tremare la fica.”
“Come adesso?”
“All’incirca. Comunque fantasticai di girarmi, di salire sopra di lui e impalarmi, lentamente sul suo pisellone turgido, lasciando che mi schiudesse le piccole labbra vaginali ed entrasse centimetro dopo centimetro. Mi immaginai i suoi fianchi che mi guidavano, la sua voce roca che mi diceva quanto mi voleva. E io che mi lasciavo andare, finalmente. Senza più barriere. Senza più limiti.”
“Poi??”
“Poi.. lui ha chiuso gli occhi. Il suo corpo si è irrigidito. E ha avuto uno squassante, appagante, proibito orgasmo adolescenziale.”
“È bastato il dorso della tua mano a farlo sborrare?”
“Già. Il suo corpo si tese tutto, le mani si aggrapparono al lenzuolo, il bacino scattò verso la mia mano. E subito dopo, un calore umido, abbondante, invase la tuta. Lo sentii tremare, fremere, quasi svuotarsi in un gemito profondo, liberatorio, crudo.”
“Ti ha sporcata? Dio, dimmelo...”
“Non immagini.. Il pantalone era inzuppato di sperma. Un odore fortissimo, pungente, giovanile. Lo sentii colare sotto le dita. Lui ansimava, esausto, come se gli avessi rubato l’aria.”
“Dio, Franci, sto sborrando! Cazzo che orgasmo, non capivo più nulla! Franci? Francesca? Ci sei?”
“Scusami Papi.. Eccomi!”
“Che fine hai fatto? Mi stavo preoccupando!”
“Eh.. Mi sono emozionata un pochino, al ricordo..”
“Hai goduto? Non mi dire!”
“Eh.. Sono umana anch’io..”
“Ti capisco.. In effetti era un ricordo molto intimo..”
“Sì..”
“E com’è finita?”
“Si è accasciato su di me, come un bambino stanco. E si è addormentato. Così, senza dire una parola. La forte emozione lo aveva steso, cuore di mamma. Lo tenni lì, tra le braccia, mentre dormiva come un angioletto. L’odore del suo sperma — caldo, virile, mescolato al cotone — mi restava addosso. Lo guardavo riposare, e gli accarezzavo piano i capelli, la schiena, il petto nudo.
“Ripensi mai a quell’odore?”
“Ogni tanto.. Comunque, quando mio figlio si svegliò, mezz’ora dopo, mi limitai a sorridere e dirgli: «Metti le robe sporche nel cesto…» e non aggiunsi altro.”
“E poi? Ne avete parlato?”
“No. Mai. Non ne parlammo più. Sono passati più di dieci anni, probabilmente non ha mai rielaborato quell’evento. Sospetto lo abbia addirittura rimosso.”
“E tu?”
“Io ho lavato la tuta e i boxer con detersivo abbondante, come nuovi.”
“Eddai.. Avresti voluto un altro finale? Ancora ci pensi, vero?”
“Sì. Più spesso di quanto dovrei. A volte mi tornano alla mente le sue mani. Quelle mani forti, calde, affamate. E penso a come sarebbe stato sentirle su di me, aprirmi con le dita, accarezzarmi piano, poi con più decisione, fino a farmi tremare. E allora, nel silenzio della mia stanza, mi sfioro piano, ad occhi chiusi.”
“Perché mi hai raccontato questa storia, Franci? Per farmi godere? Per soldi?”
“Perché speravo che la mia esperienza ti aiutasse, Papy. Avrei potuto approfittare di quel momento di eccitazione di mio figlio. Ma non sarebbe stato giusto. Io ero l’Adulta, la persona matura.”
“Non ci riesco, Franci… è una tentazione irresistibile. A volte penso che sia meglio litigare con mia figlia per non perdere queste scopate con la mia amante.. mentre penso alla mia bambina.”
“Già. Un cane che si morde la coda. Ma sai, Papy… a volte è meglio fare quello che è giusto, non quello che è facile.”
“E cos’è giusto?”
“Non deluderli. Non farli soffrire.”

Luca
“Ciao Toni.. Mamma è dentro. Ti faccio strada.” Chissà che voleva suo cugino, si chiese oziosamente.
Toni entrò e appena mise piede nel salotto, Teodora si voltò. Il suo viso severo si illuminò come un falò estivo.
“Toni! Che piacevole sorpresa.” La sua voce era stranamente cordiale, quasi… musicale.
Toni si avvicinò con il suo solito passo sicuro e le diede due baci sulle guance.
“Zia, mi chiedevo se avessi bisogno di una mano con qualcosa. Un lavoretto, anche occasionale. Sto cercando di risparmiare dei soldi per il mio futuro..”
“Ma certo che ho qualcosa per te, nipotino!” Esclamò, con un entusiasmo che suonava quasi sinistro.
“Il giardino! È un disastro. Tu saresti perfetto per rimetterlo in sesto.”
Toni sorrise, sorpreso. “Davvero?”
Luca, ancora in piedi vicino alla porta, strinse gli occhi. “Ma… mamma.. abbiamo già un giardiniere. Sanjiva.”
Teodora si girò di scatto verso di lui, la dolcezza svanita in un istante, il volto seccato.
“Sanjiva è un incapace,” disse con tono gelido. “Avrei dovuto licenziarlo mesi fa. Ma non l’ho fatto perché…”
Si fermò un attimo, fissando Luca e insistendo su ogni sillaba: “…in questa casa mancava un UOMO. Uno vero. Qualcuno che sapesse cosa vuol dire lavorare. E ora che sei arrivato tu, Toni, finalmente posso liberarmi di quello scansafatiche!”
Toni arrossì appena, lusingato. “Grazie, zia. Davvero. Inizio quando vuoi.”
“Domani. Alle otto. Ti farò trovare i guanti e gli attrezzi pronti.”
Toni annuì, ancora sorridente e le diede un altro bacio sulla guancia. “Perfetto. Ci vediamo domani.”
Quando Toni uscì, Luca rimase immobile, fissando sua madre.
“Cos’hai da guardare?” Chiese lei, di nuovo irritata.
“Niente..”
Abbassò lo sguardo e quella donna imprevedibile lo congedò con un cenno di sufficienza.

Lia
Dopo una nottata in bianco passata ad accudire il padre dolorante per i crampi, l’umore di Lia non era dei migliori. Decise di aspettare che suo padre si riposasse qualche ora, prima di parlargli.
Sergio entrò in cucina intorno a mezzogiorno, ancora claudicante.
"Buongiorno. Ti ho preparato un po’ di tè," disse lei porgendogli la tazza.
“Grazie.. Immagino che questo sia il momento in cui mi urli addosso.”
"No, papà," replicò Lia con fermezza. "Questo è il momento in cui si cambia passo.”
“Sennò che fai? Mi cacci da casa?”
“Smettila. Non puoi continuare così, a fare la vita che fai. Devi smettere di bere, e devi iniziare a fare qualcosa per i muscoli delle gambe, perché questi crampi non sono normali."
“Che ti importa? Me ne vado se non sono ben accetto. Non mi serve la tua pietà e nemmeno una badante.” Borbottò lui.
“Ti prego, papà..”
“Fallo. Cacciami. Mandami via. È meglio così. Fallo.” Disse Sergio e diede a sua figlia una piccola spinta, provocatorio.
“Ti prego.. Non mi costringere”.
“Dillo. Vattene, papà. Dillo.”
Per un istante Lia pensò di abbandonarsi all’ira, poi sentì qualcosa rompersi dentro di sé e sentì le lacrime solcarle il viso.
" Se non ti prendi cura di te, fra un po' non ti alzi nemmeno dal letto, lo capisci? Non posso più vederti così, papà." Urlò Lia, la voce improvvisamente rotta.
“Lia..”
"Ti prego, papà. Fallo per me. Non voglio perderti di nuovo!"
Quasi incredula della propria reazione, Lia scoppiò a piangere, come una bambina. Il suo florido petto si contrasse in singhiozzi irregolari, il respiro spezzato da piccoli lamenti soffocati. Le lacrime sgorgavano copiose, calde, scivolando rapide lungo le guance rosee, un torrente di emozioni represse che ora si riversava senza freni.
Sergio la abbracciò, quasi sconvolto.
"Tranquilla.. Non vado da nessuna parte".
"Ho avuto tanta paura! Non mi lasciare, ti prego! Ti voglio bene, non mi lasciare sola! Non voglio perderti per colpa mia!"
Lia sentiva il petto bruciare per la troppa aria inspirata tra un singhiozzo e l'altro, le spalle scuotersi in un tremito disperato.
Sergio non rispose subito, ma alla fine, dopo un lungo silenzio, la strinse forte e sussurrò:
"Lo so, Lia… lo so. La verità è che mi sono concesso qualche bevuta di troppo. Ma non è colpa tua. Mi sentivo umiliato per com’ero stato trattato da quella mia... amica con cui ho litigato la scorsa sera."
Lei rise, la voce ancora incrinata. "Me lo ricordo! Quella pazza!" Si sfregò goffamente gli occhi con il dorso della mano, cercando di placare i singhiozzi. Annusò piano l’odore del padre, ancora reduce dalla serata di ieri, il sudore appena accennato, non invadente ma denso di una mascolinità cruda.
"Già!" Rispose lui, ridendo di rimando e accarezzandole i capelli, "quella puttana, semmai!"
Risero insieme e Lia si calmò, concentrandosi su quell’odore, così familiare.
"Scusami, Lia. Non volevo farti preoccupare. Non berrò più. Cercherò di curarmi e stare meglio. Non voglio perderti."
Rimasero così, stretti l’uno all’altra, senza bisogno di parole. Il tempo sembrò fermarsi, cullandoli in quell’abbraccio silenzioso, pesante di cose non dette, di ferite ancora aperte ma, forse, meno dolorose.
Dopo un po’, Sergio sospirò e si scostò appena, stiracchiandosi.
"Dio, sto invecchiando... se resto così un altro minuto, mi viene un crampo!"
Lia alzò il viso verso di lui e i loro occhi si incontrarono. Gli occhi di Sergio, di solito così freddi, sembravano brillare in un modo diverso. Lacrime? Determinazione?
Lia non disse nulla. Si limitò a trattenere ancora qualche secondo quell’istante, senza volerlo spezzare.

scritto il
2025-04-23
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