Il Ribelle -la polveriera-

di
genere
etero

Miriam a fatica riusciva a tenere il passo della contadinotta davanti a lei, cercando di non prendersi una storta con le scarpette basse da cittadina. Con lo sguardo rivolto a terra non poteva non osservare quei rozzi scarponi con la suola in legno, pensava che dovevano fare un bel male. Era arrivata nel paesino del passo facendo l’autostop e aveva cominciato a interpellare i passanti e i pochi negozianti sulla sorellina. Venne poi avvicinata da questa signorotta dicendo che sapeva dove si trovasse la forestiera, e preso un ripido sentiero fuori dal piccolo paese la seguì. Miriam non si capacitava del perché avesse in corpo tanta fretta e pensò che era un modo poco garbato per dimostrarle la tempra delle genti di montagna. In un ora abbondante e senza fare nemmeno una sosta erano prossime al forte. Miriam non lo aveva ancora visto quand è che a un tratto una raffica di mitra la fece buttare dietro un albero. L’eco degli spari echeggiava roboante sul pendio quando sentì la donna imprecare: “Mi hai fatto fare tardi, l’hanno appena fucilata!”.
Miriam non aveva ancora realizzato ciò che era appena successo, se ne rese conto pochi minuti dopo arrivando al forte. Vide tre uomini scendere da una scarpata e alla base un manipoli di ragazzi ad attenderli, Ariel e altri due giovani erano molto più distanti. Miriam corse loro incontro abbracciando la sorellina che singhiozzava con il viso tra le mani. Appena riconobbe la sorella pianse ma questa volta erano lacrime di gioia, Miriam cercò il suo fazzolettino da dare ad Ariel ma non lo trovò più. Ci pensò Leo porgendole il suo e presentando sé ed Elisa. Andarono a sedersi in un piccolo pianoro erboso e Miriam raccontò loro la sua avventura, vennero interrotti dal vociare animato di due uomini. Brando a passi spediti con il diavolo in corpo stava lasciando il forte rincorso dal comandante, Leo volle andar loro incontro ma fu fermato da Elisa. Brando aveva da poco ripreso i sensi, qualcuno lo aveva tramortito mentre con tutte le sue forze si era messo a difesa di Debra. Il comandante riuscì a fermarlo convincendolo che era meglio che non vedesse il corpo della sua ragazza, i due parlarono e questa volta nessuno dei presenti riuscì a udire cosa si dicevano. Quello che però tutti videro fu il gesto di Brando prima di voltarsi correndo via. Il comandante gli aveva poggiato una mano sulla spalla ma subito Brando se l’era tolta e aveva gettato a terra con forza il mitra che teneva con sé.
Il comandante raccolse da terra quello strumento di morte ed Elisa si accorse che egli aveva gli occhi colmi di lacrime, con il capo chino si ritirò nel suo alloggio.

Passate alcune ore e sentendosi fuori posto in mezzo a Leo e alle due sorelle, Elisa prese a vagare nel forte pensierosa. La morte di quella che per lei era solo una maledetta spia dei nazisti aveva fatto crollare l’animo di ogni combattente. Era rimasta male a vedere Brando trattare così il suo comandante, lei provava per quell’uomo una forte considerazione. Era affascinata dal portamento e dal carisma che infondeva nei suoi uomini. Stava percorrendo il corridoio che portava alla stanza del comandante quando in lontananza lo vide uscire dal suo alloggio. La camminata tradiva che era immerso nei propri pensieri e sembrava vagare senza una meta precisa. Lo vide prendere delle scale e lo seguì, si stava dirigendo alla polveriera del forte. Scesa le scale si appoggiò alla parete ad osservare, lui era in piedi in mezzo alla camera. Lo vide aprire una cassa contenente i preziosi fucili mitragliatori e presone uno lo guardava distaccato. Lei si avvicinò piano nel timore di spaventarlo, avvicinandosi cercò di far sentire i suoi passi. L’uomo che evidentemente si era accorto della sua presenza la invitò a entrare. La stanza era spoglia con pezzi di calcinacci a terra cascati dalla grande volta a botte, al centro la luce flebile di una lampadina. Da dietro Elisa osservò i capelli brizzolati dell’uomo e le sue spalle, si immaginò il peso delle enormi responsabilità che la sua posizione gli imponeva di sorreggere. Lui si voltò verso di lei, le sue mani imbracciavano il mitra. Guardandola fisso negli occhi le disse: “Possiamo anche avere queste armi micidiali, ma senza uomini di cuore questa guerra è persa!”. Elisa guardava i suoi occhi vacillare, era demoralizzato e si struggeva per la scelta che aveva fatto. Nella piazzetta del forte quella mattina non aveva perso il suo braccio destro e nemmeno il migliore dei suoi uomini ma colui che amava come il figlio che non aveva mai avuto. Lei lo osservava trovandolo affascinante forte eppure così sensibile, dentro di lei sentiva agitarsi qualcosa all’altezza. Era attratta da quell’uomo e desiderava essere sua, lui però era troppo distante dall’accorgersene. Decise allora di fare lei la prima mossa e lentamente portò le sue manine sopra quelle del comandante. Il calore delle sue mani tranquillizzarono l’uomo che posò l’arma, lei allora cercò di nuovo quel contatto. Ora si stavano tenendo le mani e i loro sguardi si fecero fermi, Elisa guardava quel viso segnato dal tempo ma ancora così mascolino. I solchi nella fronte e le sopracciglia gentili, quegli occhi verdi circondati da una corona grigiastra. Il pizzo nero curato con riflessi argentei e quel collo arrossato dal sole, i peli del petto che creavano piccoli riccioli, mentre lo esplorava da vicino si sentiva lentamente sciogliere. La mente di lui si fermò elaborando ora le immagini che i suoi occhi catturavano di quella ragazza. La chioma rossa e quell’incarnato roseo e compatto che faceva risplendere la sua giovane età, il nasino all’insù e quelle labbra carnose ma delicate. Anche lui percorse con lo sguardo l’esile collo ma venne rapito dalla generosa scollatura del petto di lei. Osservava la zona sempre più scura tra quei due seni e desiderò per un istante di trovarsi li. Lei che lo stava osservando si premurò di sbottonarsi i tre bottoncini liberando nell’aria il suo lieve profumo. La salivazione si era azzerata e il comandante provava a trovare almeno quel lieve sollievo deglutendo, i suoi battiti inoltre erano sensibilmente aumentati. Elisa si accorse del suo imbarazzo e per non rovinare tutto continuò, ora le sue mani iniziarono a percorrere gli avambracci di quell’uomo salendo su verso le spalle. Una volta lì cercò di afferrarlo e facendo una lieve pressione lo spinse a chinarsi verso il suo viso. Salendo in punta di piedi lo baciò leggermente, le sue mani ora lo cingevano dietro la nuca. Finalmente lo sentì sciogliersi un po’, prese coraggio e cominciò a partecipare. Erano decenni che non stava con una donna e si sentiva impacciato ed arrugginito, quella rossa sotto di lui però sapeva il fatto suo ed era felice di quell’intraprendenza.
Fortunatamente l’eccitazione nel baciare quella giovane ragazza stava aumentando sempre di più la sua libido e così prese lui le redini della situazione. I baci dell’uomo erano più intensi e le sue grosse mani iniziavano ad esplorare quel nuovo terreno per tanto tempo inesplorato. Elisa si sentì stringere verso di lui, adorava gli stimoli dati dai palpeggiamenti prima tenui e poi via via più intensi. Si stava bagnando sempre di più e desiderava che presto se ne accorgesse anche lui. Iniziava a sentirsi le gambe pesanti e alternava il peso da un piede all’altro. Lui accortosene dopo aver spostato il mitra la fece sedere sulla cassa di munizioni, da lì poteva slacciargli la cintura e sbottonare i ruvidi pantaloni. Calate le mutande si avvicinò al pene, era a riposo e odorava di urina. Lo prese in bocca cercando di farlo drizzare, il comandante si staccò dicendole che era a riposo da parecchio tempo ma che sapeva come farlo svegliare. Inginocchiatosi davanti a lei la spogliò e respirò profondamente la sua passerina dal sopra delle mutandine. Sentendole umide gliele sfilò andando con le labbra a contatto con le grandi labbra di lei. Il respiro dell’uomo su di lei la faceva tremare dal desiderio, quando sentì la lingua muoversi su e giù lungo la fessurina emise gridolini di piacere.
L’odore inebriante della sua femminilità conferì all’uomo la virilità di un tempo, rialzatosi in piedi Elisa poté vedere quel pene turgido e pulsante. Non era lungo ma assai dotato in spessore, la cappella lucente si intravedeva appena dal prepuzio. Lo afferrò con la mano portandolo a contatto con la sua vulva arrossata, lo fece scorrere su e giù un attimo giusto il tempo per indirizzarlo meglio nella sua vagina. Entrò lentamente ma sempre più a fondo, si sentì aprire al passaggio di quel pisello. L’uomo con la bocca schiusa si sentiva avvolgere da quel calore, intenso e accogliente. Pensò con una certa nostalgia a ciò che si era perso in tutti quegli anni, la sensazione di muoversi dentro il corpo di una donna è tra le cose più belle della vita di un uomo. Elisa si stuzzicava i capezzoli mentre con gli occhi socchiusi guardava il volto trasognato del suo uomo, lo vedeva gustarsi la penetrazione e desiderava fargli provare tutte le posizioni che conosceva.
La prese a pecorina facendola reclinare su altre casse piene d’armi affondandole colpi decisi nel ventre. Stava sfogando sempre più i desideri e le voglie soffocate da anni e anni, Elisa adorava farsi sbattere in quel modo. Amava essere posseduta con foga perché agli occhi degli uomini lei doveva sembrare uno spirito libero, difficile da contenere. Il piacere stava cominciando la scalata verso l’apice sia dentro di lei che nelle fibre dell’uomo dietro di sé. Arrivarono quasi simultaneamente all’orgasmo, lei gridando il suo piacere mentre lui con una voce sforzata rotta dall’intesità degli spasmi. La quantità di seme denso e caldo che le riversò nell’utero la fece mugolare dalla gioia, si sentiva ricolma del suo nettare. Voleva baciarlo e fargli sentire la passione che provava per lui, non appena lo sentì sfilarsi si girò desiderosa di abbracciarlo. Nel movimento urtò una piccola cassetta di legno facendola rovinare a terra. Dalla scatola fuoriuscirono rotolarono sul pavimento alcune sfere metalliche grosse quanto un punto, lei sgranò gli occhi dicendo: “Granate!” e li serrò terrorizzata. Venne abbracciata dal comandante che con voce calma e amorevole le sussurrò: ”Non temere piccola mia, non sono innescate”, e cercando la sua bocca si abbandonarono ad un lungo e suadente bacio.

Continua…
scritto il
2016-05-02
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