Confessioni di una madre di paese
di
InchiostroEMente
genere
incesti
(racconto di pura fantasia)
Com'è bello in estate quando il mio paese di collina è adorno dalle luci a festa. Per me, ora 50 enne, fin da piccola è sempre stato una gioia uscire per i vicoli e vedere tutto ciò. Per chi oramai è avvezzo ad una vita cittadina può sembrar niente, ma per me è tanto e sempre un piacere. Sì perché io, togliendo i paesi limitrofi, non sono mai andata oltre le colline che circondano il borgo dove vivo; massimo mi sono spinta nei borghi accanto al mio. La piazza, il campanile, il castello e la chiesa del mio borgo per me sono “casa”. Avete presente una classica donna mediterranea di paese: formosa ma non grassa, bensì robusta, non molto bassa e non molto alta e con un grande seno come d'immaginario popolare? Ecco, sono io. Sicuramente non una donna del XIX secolo che si trascura; casalinga sì, ma ci tengo all'eleganza; d'altronde in paese le voci girano su tutti e le occhiate lasciamo perdere, quindi meglio apparire bene che male.
Sono una donna di 50 anni, sposata da ventiquattro e con un figlio di 23, Giulio. Ho studiato nella cittadina a pochi km dal borgo dove vivo, ma non ho continuato gli studi per migliorare il mio futuro, poiché sposai l'uomo sbagliato. Mio marito Anselmo lavora nei campi appena fuori le mura paesane, mentre mio figlio lavora in un ristorantino locale. Ha finito gli studi, ha fatto solo il liceo e non ne ha più voluto sapere di studiare. Avrei voluto il contrario, certo, ma sono una madre comprensiva e premurosa.
Voglio la felicità per mio figlio, e se la sua felicità è lavorare e star tranquillo così nel suo paesino, alla fine ben venga. Non voglio sia costretto a far qualcosa che non sente di fare.
Mio figlio e suo padre non vanno molto d'accordo, vuoi per i caratteri differenti: padre un po' all'antica e burbero che vorrebbe suo figlio nei campi come un secolo fa, non fa che accentuare questo loro distacco. Nonché il mio verso mio marito. Io cerco sempre di far da paciere e mi riesce bene, soprattutto con Giulio. Sì perché mio marito Anselmo , oltre a star tutto il giorno nei campi, non è tipo da attenzioni, al contrario del figlio, che, pur essendo mio figlio, da quando aveva 20 anni non è avaro di apprezzamenti nei miei confronti. I primi tempi il tutto era sullo scherzo: ringraziavo, sorridevo, ci scherzavo su fino a che gli apprezzamenti divennero seri qualche tempo dopo. Ringraziavo allora con una punta di imbarazzo e con dentro i miei pensieri un punto interrogativo, soprattutto perché il novanta per cento degli apprezzamenti erano rivolti alla mia settima di seno che, grazie al reggiseno che ho sempre portato in vita mia, ancora stanno su. Non certo come una volta ma non sono da buttare.
Attenzioni di un figlio, premure su sua madre ben lungi da quel calore che suo marito doveva darle.
Risa, scherzi, complimenti e così via per un anno intero.
Quando Giulio fece 21 anni i complimenti non furono solo verbali, ma anche manuali:
“ti aiuto in cucina mamma?” chiedeva spesso mentre facevo i piatti o cucinavo, e quella frase echeggiava dietro di me che sentivo il suo respiro sul collo ed una certa protuberanza premere sulle natiche, ma specialmente le sue mani che osavano sui seni. Certo era un osare quasi non voluto, come a non farlo di proposito, ma erano mani che osavano. Io ringraziavo ma declinavo il suo aiuto; alle volte però accettavo per la spossatezza giornaliera alla sera, ed ecco che Giulio lavava tutti i piatti o continuava a cucinare così da potermi far riposare
“Che amore di figlio !” dicevo fra me e me ringraziando Dio per avermelo dato.
Nel finire dell'estate dei suoi 21 anni, Giulio si fece ancora più premuroso e attento: regali, andava a fare la spesa nel paesello sotto il nostro; andava anche in città per le spese importanti di casa, per tornare qualche ora dopo e...
“ti aiuto a cucinare mamma?” la solita frase che da molti mesi faceva da apri porta alla sua ostentazione manuale. Il solito gonfiore che sentivo pesante e pressante sulle mie natiche, e le sue mani che, dopo mesi, non erano più timide. Così, a fine estate dei suoi 21 anni, due anni fa, il mio girare il sugo, il mio far la pasta, il mio cucinare era condito dagli oramai giornalieri e naturali palpeggi di mio figlio, dal suo soppesarmi i seni spesso ponendo le sue mani dentro la mia scollatura. Io che lasciavo fare perché non sapevo dir di no a mio figlio. Non sapevo dirgli di no per le sue attenzioni che da anni erano mancanti da parte di Anselmo, per i suoi apprezzamenti che ancora mi facevano sentire bella e per i suoi innumerevoli aiuti che alleggerivano le mie giornate senza l'aiuto di mio marito.
“Giulio ti ho fatto una lista; mi vai a prendere l'occorrente per domenica che abbiamo gli zii a pranzo?
“tranquilla mamma, vado a prenderti tutto dopo che torno da lavoro. Dammi la lista”
gli facevo la lista e, pur stanco dal lavoro, quando staccava per la pausa pranzo, si recava ai negozi fuori paese, quelli aperti, per alleggerire il mio carico di lavoro e responsabilità di una classica madre di famiglia. Sapeva che al suo ritorno non fermavo le sue mani sui miei seni.
Andando avanti nei mesi le ricompense per il suo aiuto ed attenzioni si erano trasferite dapprima sul divano del nostro piccolo salone, poi sul letto. La televisione accesa, io seduta, lui accanto che mi succhiava i seni, li leccava, li baciava. Amoreggiava espertamente con gli stessi con tutta tranquillità. Io che gli carezzavo i capelli lasciandomi andare a dei piccoli gemiti quando il ritmo della sua lingua e la sua giovanile voracità crescevano.
Nel corso dei suoi 22 anni il tutto andò crescendo, e Giulio poteva masturbarsi in tutta libertà davanti sua madre, per poi finire il suo godimento giornaliero sui miei seni.
Tutte le sue attenzioni, da figlio e non da figlio, erano oramai entrate nel quotidiano, all'insaputa di ogni persona: la sveglia di mio marito squillava e ci svegliava tutti alle 4:35. Colazione ed Anselmo alle 5:00 andava per i campi e su per giù in un orario compreso fra le 5:10 e le 6:30 mio figlio riceveva il suo risveglio, condito da una sega e da una esplorazione orale che gli permettevo fra le mie gambe. Dopo anni tornavo a gemere come una ragazza: spasmi continui cagionati dalla bravura della sua lingua, dalla sua calma iniziale e foga finale. Il “buongiorno” nei mesi andava cambiando e per la fine della primavera si era tradotto in un “pre colazione”, spesso seduto lui sul tavolino della cucina ed io seduta sulla sedia, intenta a masturbargli il pene fra i miei seni. Da poco avevo scoperto, grazie a Giulio che mi informò di ciò, che quell'arte la chiamavano da tempo “spagnola”, almeno qua in Italia. Giulio la adorava, tanto da chiederla anche in vari momenti della giornata, spesso condita con dell'olio da cucina, anche se ciò non mi trovava propriamente in accordo con lui, visto lo spreco dell'olio stesso.
Poco prima dei suoi attuali 23 anni, dalle quotidiane spagnole iniziai anche a dargli piacere, specialmente quando staccava da lavoro, facendogli dei pompini. Inizialmente molto titubante, poi il tutto fu in discesa ed anche ciò entrò nel quotidiano:
spagnola al mattino prima della colazione. Poi la mattina i servizi di casa, l'andare alla posta, al Comune, in giro per faccende varie e così via la vita di una donna di casa. Il pranzo, spesso da sola, ed il dopo pranzo quando mio figlio staccava da lavoro che, venendo a casa, mangiava e si sdraiava sul letto con me che di solito lo facevo rilassare con una sega o pompino. Il suo ritornare poi al lavoro dopo un riposo. Se poi non aveva il turno di sera, spesso si prodigava nell'aiutarmi in casa od in giro come suddetto per compere. Un pompino e poi la cena con suo padre che intanto ritornava dalla campagna. La “buonanotte” poi era da poco entrata nel contesto giornaliero, aspettando che mio marito si addormentasse. Solitamente era una buonanotte fatta da un altro pompino. Indubbiamente fra tutte le mie “attenzioni” nei suoi riguardi, era ciò che preferiva.
La festa del paese era da poco terminata. Mio marito naturalmente neppure aveva posto un complimento al mio vestito scuro ed al mio gloss rosso che ha suscitato i complimenti ed ammirazione di tutti, nonché qualche occhiataccia dalle immancabili comare di paese. Mi stava veramente bene, ma non era la prima volta che lo mettevo. Sia prima che dopo la festa avevo fatto con lo stesso dei pompini a Giulio con sua espressa richiesta di metterlo per farglieli. Uno glie lo feci anche in macchina, mentre andavamo a prendere mia sorella nel borgo di fronte al nostro.
Quel giorno ne aveva veramente molta da buttar fuori.
La litigata del dopo festa con mio marito mi aveva spinta a ritornare in casa mentre lui, tranquillo al bar con gli amici e la birra, se ne fregava di avermi offesa.
Non so con quanta foga, ma mio figlio rimase stupefatto, cavalcai quella sera Giulio. La rabbia mi aveva resa una furia. Non una volta, ma tre volte quella sera facemmo l'amore; direi però più sesso giacché era per me come uno sfogo per la situazione di decenni trascorsi con Anselmo. Giulio al mio star sopra preferiva la pecorina e la seconda volta lo accontentai. Mio marito tanto era fuori in piazza a bere. Mentre lui affondava l'alcool in pancia, mio figlio affondava il suo pene nella mia vagina, per poi con ausilio di molto olio entrarmi nel sedere. Non mi preoccupai di gemere ad alta voce visto che il vicinato era tutto alla festa. I nostri corpi sudati attecchivano l'un l'altro, e mio figlio affondava la sua virilità giovanile tenendomi fortemente per i fianchi. Dal tavolino della cucina al letto, la passione echeggiava fra le mura domestiche della nostra casetta nel borgo.
Spossata dopo il terzo orgasmo, sdraiata a pancia su sul letto di mio figlio, tenevo stretta il suo giovane e grande pene fra i seni aspettando la sua esplosione. Non avevo bisogno di condirmi i seni con l'olio per far scivolare la sua irruenta virilità: il sudore di quella sera bagnava il mio corpo ed il pene di Giulio scivolava senza alcun problema. Fiotti densi di sperma mi inondarono il petto per arrivare a colpirmi bocca, naso e parte della guancia sinistra. Neppure tolsi lo sperma da sopra il mio seno e dal mio viso. Giulio si accasciò vicino sua madre, entrambi in un respiro stremato ma felice. Rimanemmo mano nella mano per alcuni minuti, per poi alzarmi per recarmi in bagno a pulirmi, a nascondere l'odore di quell'amore incestuoso, al borgo e a tutti ignaro. La vestaglia appena messa mi copriva le generose forme mediterranee. Mio figlio ancora era nudo sul letto che mi guardava senza dir niente. Mi sorrideva dolcemente.
I fuochi d'artificio segnavano oramai la fine della festa, seppure Anselmo come di consueto era solito trattenersi oltre. Da fuori si sentivano le voci dei paesani rincasare mentre io, da madre premurosa, attenta ed ora scevra da falsi moralismi, ripulivo con la mia bocca lo sperma di mio figlio che ancora gli colava dal pene.
FINE
Com'è bello in estate quando il mio paese di collina è adorno dalle luci a festa. Per me, ora 50 enne, fin da piccola è sempre stato una gioia uscire per i vicoli e vedere tutto ciò. Per chi oramai è avvezzo ad una vita cittadina può sembrar niente, ma per me è tanto e sempre un piacere. Sì perché io, togliendo i paesi limitrofi, non sono mai andata oltre le colline che circondano il borgo dove vivo; massimo mi sono spinta nei borghi accanto al mio. La piazza, il campanile, il castello e la chiesa del mio borgo per me sono “casa”. Avete presente una classica donna mediterranea di paese: formosa ma non grassa, bensì robusta, non molto bassa e non molto alta e con un grande seno come d'immaginario popolare? Ecco, sono io. Sicuramente non una donna del XIX secolo che si trascura; casalinga sì, ma ci tengo all'eleganza; d'altronde in paese le voci girano su tutti e le occhiate lasciamo perdere, quindi meglio apparire bene che male.
Sono una donna di 50 anni, sposata da ventiquattro e con un figlio di 23, Giulio. Ho studiato nella cittadina a pochi km dal borgo dove vivo, ma non ho continuato gli studi per migliorare il mio futuro, poiché sposai l'uomo sbagliato. Mio marito Anselmo lavora nei campi appena fuori le mura paesane, mentre mio figlio lavora in un ristorantino locale. Ha finito gli studi, ha fatto solo il liceo e non ne ha più voluto sapere di studiare. Avrei voluto il contrario, certo, ma sono una madre comprensiva e premurosa.
Voglio la felicità per mio figlio, e se la sua felicità è lavorare e star tranquillo così nel suo paesino, alla fine ben venga. Non voglio sia costretto a far qualcosa che non sente di fare.
Mio figlio e suo padre non vanno molto d'accordo, vuoi per i caratteri differenti: padre un po' all'antica e burbero che vorrebbe suo figlio nei campi come un secolo fa, non fa che accentuare questo loro distacco. Nonché il mio verso mio marito. Io cerco sempre di far da paciere e mi riesce bene, soprattutto con Giulio. Sì perché mio marito Anselmo , oltre a star tutto il giorno nei campi, non è tipo da attenzioni, al contrario del figlio, che, pur essendo mio figlio, da quando aveva 20 anni non è avaro di apprezzamenti nei miei confronti. I primi tempi il tutto era sullo scherzo: ringraziavo, sorridevo, ci scherzavo su fino a che gli apprezzamenti divennero seri qualche tempo dopo. Ringraziavo allora con una punta di imbarazzo e con dentro i miei pensieri un punto interrogativo, soprattutto perché il novanta per cento degli apprezzamenti erano rivolti alla mia settima di seno che, grazie al reggiseno che ho sempre portato in vita mia, ancora stanno su. Non certo come una volta ma non sono da buttare.
Attenzioni di un figlio, premure su sua madre ben lungi da quel calore che suo marito doveva darle.
Risa, scherzi, complimenti e così via per un anno intero.
Quando Giulio fece 21 anni i complimenti non furono solo verbali, ma anche manuali:
“ti aiuto in cucina mamma?” chiedeva spesso mentre facevo i piatti o cucinavo, e quella frase echeggiava dietro di me che sentivo il suo respiro sul collo ed una certa protuberanza premere sulle natiche, ma specialmente le sue mani che osavano sui seni. Certo era un osare quasi non voluto, come a non farlo di proposito, ma erano mani che osavano. Io ringraziavo ma declinavo il suo aiuto; alle volte però accettavo per la spossatezza giornaliera alla sera, ed ecco che Giulio lavava tutti i piatti o continuava a cucinare così da potermi far riposare
“Che amore di figlio !” dicevo fra me e me ringraziando Dio per avermelo dato.
Nel finire dell'estate dei suoi 21 anni, Giulio si fece ancora più premuroso e attento: regali, andava a fare la spesa nel paesello sotto il nostro; andava anche in città per le spese importanti di casa, per tornare qualche ora dopo e...
“ti aiuto a cucinare mamma?” la solita frase che da molti mesi faceva da apri porta alla sua ostentazione manuale. Il solito gonfiore che sentivo pesante e pressante sulle mie natiche, e le sue mani che, dopo mesi, non erano più timide. Così, a fine estate dei suoi 21 anni, due anni fa, il mio girare il sugo, il mio far la pasta, il mio cucinare era condito dagli oramai giornalieri e naturali palpeggi di mio figlio, dal suo soppesarmi i seni spesso ponendo le sue mani dentro la mia scollatura. Io che lasciavo fare perché non sapevo dir di no a mio figlio. Non sapevo dirgli di no per le sue attenzioni che da anni erano mancanti da parte di Anselmo, per i suoi apprezzamenti che ancora mi facevano sentire bella e per i suoi innumerevoli aiuti che alleggerivano le mie giornate senza l'aiuto di mio marito.
“Giulio ti ho fatto una lista; mi vai a prendere l'occorrente per domenica che abbiamo gli zii a pranzo?
“tranquilla mamma, vado a prenderti tutto dopo che torno da lavoro. Dammi la lista”
gli facevo la lista e, pur stanco dal lavoro, quando staccava per la pausa pranzo, si recava ai negozi fuori paese, quelli aperti, per alleggerire il mio carico di lavoro e responsabilità di una classica madre di famiglia. Sapeva che al suo ritorno non fermavo le sue mani sui miei seni.
Andando avanti nei mesi le ricompense per il suo aiuto ed attenzioni si erano trasferite dapprima sul divano del nostro piccolo salone, poi sul letto. La televisione accesa, io seduta, lui accanto che mi succhiava i seni, li leccava, li baciava. Amoreggiava espertamente con gli stessi con tutta tranquillità. Io che gli carezzavo i capelli lasciandomi andare a dei piccoli gemiti quando il ritmo della sua lingua e la sua giovanile voracità crescevano.
Nel corso dei suoi 22 anni il tutto andò crescendo, e Giulio poteva masturbarsi in tutta libertà davanti sua madre, per poi finire il suo godimento giornaliero sui miei seni.
Tutte le sue attenzioni, da figlio e non da figlio, erano oramai entrate nel quotidiano, all'insaputa di ogni persona: la sveglia di mio marito squillava e ci svegliava tutti alle 4:35. Colazione ed Anselmo alle 5:00 andava per i campi e su per giù in un orario compreso fra le 5:10 e le 6:30 mio figlio riceveva il suo risveglio, condito da una sega e da una esplorazione orale che gli permettevo fra le mie gambe. Dopo anni tornavo a gemere come una ragazza: spasmi continui cagionati dalla bravura della sua lingua, dalla sua calma iniziale e foga finale. Il “buongiorno” nei mesi andava cambiando e per la fine della primavera si era tradotto in un “pre colazione”, spesso seduto lui sul tavolino della cucina ed io seduta sulla sedia, intenta a masturbargli il pene fra i miei seni. Da poco avevo scoperto, grazie a Giulio che mi informò di ciò, che quell'arte la chiamavano da tempo “spagnola”, almeno qua in Italia. Giulio la adorava, tanto da chiederla anche in vari momenti della giornata, spesso condita con dell'olio da cucina, anche se ciò non mi trovava propriamente in accordo con lui, visto lo spreco dell'olio stesso.
Poco prima dei suoi attuali 23 anni, dalle quotidiane spagnole iniziai anche a dargli piacere, specialmente quando staccava da lavoro, facendogli dei pompini. Inizialmente molto titubante, poi il tutto fu in discesa ed anche ciò entrò nel quotidiano:
spagnola al mattino prima della colazione. Poi la mattina i servizi di casa, l'andare alla posta, al Comune, in giro per faccende varie e così via la vita di una donna di casa. Il pranzo, spesso da sola, ed il dopo pranzo quando mio figlio staccava da lavoro che, venendo a casa, mangiava e si sdraiava sul letto con me che di solito lo facevo rilassare con una sega o pompino. Il suo ritornare poi al lavoro dopo un riposo. Se poi non aveva il turno di sera, spesso si prodigava nell'aiutarmi in casa od in giro come suddetto per compere. Un pompino e poi la cena con suo padre che intanto ritornava dalla campagna. La “buonanotte” poi era da poco entrata nel contesto giornaliero, aspettando che mio marito si addormentasse. Solitamente era una buonanotte fatta da un altro pompino. Indubbiamente fra tutte le mie “attenzioni” nei suoi riguardi, era ciò che preferiva.
La festa del paese era da poco terminata. Mio marito naturalmente neppure aveva posto un complimento al mio vestito scuro ed al mio gloss rosso che ha suscitato i complimenti ed ammirazione di tutti, nonché qualche occhiataccia dalle immancabili comare di paese. Mi stava veramente bene, ma non era la prima volta che lo mettevo. Sia prima che dopo la festa avevo fatto con lo stesso dei pompini a Giulio con sua espressa richiesta di metterlo per farglieli. Uno glie lo feci anche in macchina, mentre andavamo a prendere mia sorella nel borgo di fronte al nostro.
Quel giorno ne aveva veramente molta da buttar fuori.
La litigata del dopo festa con mio marito mi aveva spinta a ritornare in casa mentre lui, tranquillo al bar con gli amici e la birra, se ne fregava di avermi offesa.
Non so con quanta foga, ma mio figlio rimase stupefatto, cavalcai quella sera Giulio. La rabbia mi aveva resa una furia. Non una volta, ma tre volte quella sera facemmo l'amore; direi però più sesso giacché era per me come uno sfogo per la situazione di decenni trascorsi con Anselmo. Giulio al mio star sopra preferiva la pecorina e la seconda volta lo accontentai. Mio marito tanto era fuori in piazza a bere. Mentre lui affondava l'alcool in pancia, mio figlio affondava il suo pene nella mia vagina, per poi con ausilio di molto olio entrarmi nel sedere. Non mi preoccupai di gemere ad alta voce visto che il vicinato era tutto alla festa. I nostri corpi sudati attecchivano l'un l'altro, e mio figlio affondava la sua virilità giovanile tenendomi fortemente per i fianchi. Dal tavolino della cucina al letto, la passione echeggiava fra le mura domestiche della nostra casetta nel borgo.
Spossata dopo il terzo orgasmo, sdraiata a pancia su sul letto di mio figlio, tenevo stretta il suo giovane e grande pene fra i seni aspettando la sua esplosione. Non avevo bisogno di condirmi i seni con l'olio per far scivolare la sua irruenta virilità: il sudore di quella sera bagnava il mio corpo ed il pene di Giulio scivolava senza alcun problema. Fiotti densi di sperma mi inondarono il petto per arrivare a colpirmi bocca, naso e parte della guancia sinistra. Neppure tolsi lo sperma da sopra il mio seno e dal mio viso. Giulio si accasciò vicino sua madre, entrambi in un respiro stremato ma felice. Rimanemmo mano nella mano per alcuni minuti, per poi alzarmi per recarmi in bagno a pulirmi, a nascondere l'odore di quell'amore incestuoso, al borgo e a tutti ignaro. La vestaglia appena messa mi copriva le generose forme mediterranee. Mio figlio ancora era nudo sul letto che mi guardava senza dir niente. Mi sorrideva dolcemente.
I fuochi d'artificio segnavano oramai la fine della festa, seppure Anselmo come di consueto era solito trattenersi oltre. Da fuori si sentivano le voci dei paesani rincasare mentre io, da madre premurosa, attenta ed ora scevra da falsi moralismi, ripulivo con la mia bocca lo sperma di mio figlio che ancora gli colava dal pene.
FINE
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Commenti dei lettori al racconto erotico