Il rito
di
InchiostroEMente
genere
incesti
IL RITO
(Il racconto non vuole sostituirsi all'archeologia e all'etnologia, e non pretende quindi di essere un trattato scientifico. E' un racconto basato su di una semplice fantasia.Tutti i personaggi hanno la maggiore età)
AMBIENTAZIONE:
13.300 a.C. Cultura magdaleniana.
Paleolitico Superiore.
IN QUELLA CHE ORA E' LA FRANCIA CENTRO – MERIDIONALE:
I balli dal pomeriggio continuarono per gran parte della notte. I membri della tribù degli Anerak, circa duecentocinquanta persone, avevano messo lance ed amuleti attorno ai fuochi nel grande spiazzo da loro ricavato nel bosco accanto alle nove grotte alle pendici dei Grandi Monti Bianchi, a metà di una grande valle. I fuochi erano alti, più alti di quelli posti nel perimetro del loro stanziamento per tener lontane le belve feroci, e donne e uomini danzavano attorno agli stessi: le donne scoprivano i loro seni e gli uomini i loro possenti fisici atti alla caccia. In quel popolo anche le femmine avevano fisici forti, come anch'esse partecipavano non di rado alla caccia, pur se molte di loro si dedicavano con maggior cura alla crescita della prole e a far misture per poi poter lasciare ciò che vivevano e vedevano all'interno delle grotte, pitturando la loro vita di tutti i giorni. I bambini della tribù scherzavano e ridevano, mentre i membri più grandi, i loro genitori, danzavano in onore e rispetto della Madre Terra, chiedendo venia ai tre megaloceri che avevano uccisi poche ore prima per sfamarsi e per prenderne le pelli. Gli anziani , e soprattutto lei, la Madre degli Anerak, una anziana donna, la più anziana di tutti e di tutte, aveva lo sguardo perso nel fuoco mentre nelle sue mani stringeva delle ossa di uccello.
Ordak guardava quelle scene di giubilo e di rito da pochi metri sopra; seduto sulla roccia che apparteneva ai loro monti. Quella fu l'ultima caccia che il ragazzo vide da spettatore della tribù, giacché pochi giorni dopo anch'egli, come due suoi coetanei, sarebbe stato benedetto dalla Madre degli Anerak con l'antico “rito degli Dèi”. Con questo rito si diveniva parte integrante della tribù, giacchè prima si era solo “figli degli Anerak”. Ciò avveniva trenta notti dopo il risveglio stagionale degli orsi, e dopo venti inverni di vita. Presso gli Anerak non era così scontato raggiungere l'età adulta ed essere veramente parte della tribù. Molti morivano prima del rito per malattie, per attacchi da parte degli orsi delle caverne, dei leoni delle caverne, lupi e, come accadde due inverni prima, da parte di un gruppo in corsa di adlaki (mammut primigenius) che, dopo una caccia andata a male, spaventati, si diressero verso le nove grotte e con il loro passaggio uccisero cinque “figli degli Anerak” aventi età che andavano dai cinque ai diciassette inverni di vita, e due membri adulti di trenta e quarantadue inverni (gli anni presso gli Anerak si contavano in inverni: venti inverni corrispondevano a venti anni, quindi ogni inverno era un anno).
Ordak pensava al rito, aveva paura di non esserne all'altezza. Suo padre possedeva il bastone da comando finemente decorato da lui stesso, mentre sua madre era la più esperta cacciatrice e la sua collana era adorna da sette denti di orso delle caverne. Lui fino ad ora si era limitato ad apprendere tutto ciò e a pitturare sulle pareti delle grotte. Ed in questo era molto bravo. Oltre a ciò fabbricava coltelli ed anche in questa attività eccelleva.
Nel mentre sotto di lui la sua gente rideva e scherzava e pregava gli dèi a voce alta, una mano si poggiò sulla spalla del ragazzo facendolo sussultare:
“tranquillo Ordak, sono tua madre”
“mamma” (non sapendo il linguaggio dell'epoca ed il rispetto che verbalmente si dava rivolgendosi ai genitori, metterò il più antico “tu” e non il “voi” di cortesia nel linguaggio)
“pensieroso?”
“come non lo sono mai stato”
“per il rito o c'è altro che ti spaventa?”
“ora che abbiamo cacciato ed abbiamo ancora provviste della caccia precedente e la nostra gente sta bene, sì, la mia preoccupazione è il rito”.
Il “rito degli Dèi” veniva dall'alba dei tempi. Ogni Madre degli Anerak racconta, generazione dopo generazione, che il rito nacque in onore alla Madre Terra e per questo, visto che è la stessa a forgiare gli uomini e le donne, quando si fa il rito le “madri della tribù” sono chiamate ad aiutare I figli. Ad Ordak questo un poco spaventava, più che altro perché non voleva dar sfoggio negativo di se a sua madre
“non hai nulla di cui preoccuparti figlio; dovrei essere io preoccupata giacché il compito maggiore spetta a me che sono tua madre. Hai passato venti inverni Ordak, ed ora devi entrare negli Anerak come membro integrante della nostra gente, e non come “figlio” della nostra tribù. La Madre Terra ci ha dato e ci dona la vita, così noi madri abbiamo dato la vita a voi che siete I nostri figli. Mi capisci?”
“certo mamma. Io spero solamente di esserne degno poi, dopo il rito...e nel mentre” la madre sorrise
“lo sarai, non ti preoccupare Ordak”.
La madre di Ordak, Dysa, era una donna che aveva passati I cinquanta inverni. Era la moglie del padre di Ordak, Igahal, anch'egli di oltre cinquanta inverni. Era una donna con I capelli scuri e lunghi, aveva un fisico che sembrava essere scolpito su di una roccia, ed era magra. I suoi seni grandi e perfetti, modellati dalla grande attività fisica che metteva nei lavori pesanti della tribù, sia maschili che femminili, giacché l'uguaglianza fra uomini e donne, anche nei lavori, era una colonna portante degli Anerak. Esperta cacciatrice, suo padre aveva avuto il bastone da comando della loro tribù, ora posseduto da Igahal.
Dopo un po' di tempo passato con suo figlio, Dysa lo salutò e ritornò accanto alle grotte dove ancora si festeggiava. Giunta alla loro grotta, si sedette guardando la sua gente festeggiare. Il bagliore del fuoco le illuminava il volto sorridente per la fortunata caccia.
Bionda, corpulenta e dai seni prorompenti, la sua amica Asylet, anch'essa con più di cinquanta inverni, le andò accanto con una ciotola contenente carne di megalocero
“Dysa non vieni?”
“sto qua, ho danzato prima”
“allora ti farò compagnia” disse mettendosi a sedere vicino la sua amica donandole la ciotola
“va bene”
“meno male per questa caccia Dysa”
“sì veramente, almeno così avremo provviste per altre stagioni”
“qualcosa non va?”
“no niente” disse sospirando Dysa
“due lune ed anche per Ordak sarà giunta l'ora di essere un Anerak vero e proprio” disse Asylet compiaciuta e sorridente
“sì, già...è giunta l'ora”
“e ciò ti preoccupa?”
“no, è il nostro dovere di madri, no?”. Asylet cercò di rassicurare la sua amica...
“mio figlio lo scorso inverno ha fatto il rito”
“sì, lo so. E' andata bene per te? Non te l'ho mai chiesto”
“sì, anche perchè in quel momento sai che ciò che stai facendo è caro agli Dèi, e come tale è sacro”
“certo” e dicendo ciò entrambe si passarono le mani sul volto come a gettarsi l'aria. Un segno simbolico quando si parlava delle loro divinità
“non ti preoccupare, la fase iniziale spetta alla Madre ed è solo fatto di parole, come sai. Poi il resto avviene fra te e lui e nessuno vedrà”
“mi racconti, se puoi, come andò per te lo scorso inverno?”. Asylet sorrise e prese le mani della sua amica
“dopo le parole della Madre e dopo essere state cosparse di unguenti dalle altre donne, gli anziani fanno delle preghiere. Poi dopo una ragazza mi ha accompagnata all'interno della grotta, dove dietro la pelle d'orso che copriva l'entrata di una parte interna della caverna, c'era Adik, mio figlio”
“come ti sentivi?”
“Dysa, in quel momento ti senti un tutt'uno con gli Dèi, sai che quello che stai facendo è una cosa sacra, lo capirai fra poco non temere”
“come andò?”
“lui anche era unto, come me. Rimanemmo in silenzio, ci mettemmo sdraiati ficino al fuoco e dopo cominciammo...”
“cominciaste...”
“lo sai Dysa”
“sì, già”. Asylet strinse le mani della sua amica
“pochi giorni”
“ma dopo il rito?”
“cosa?”
“lui ti...ha cercata ancora?”
“se ti fercano ancora dopo il rito vuol dire che hai fatto cosa gradita agli Dèi, no? Naturalmente quando poi si uniranno con un'altra donna la madre si tira indietro”
“certo, è per tutti così”
“anche per quelle madri che, benedette ncora di più dagli Dèi, verranno cercate dopo il rito dai figli”.
Le due donne si guardarono negli occhi. Silenzio fra di loro mentre la gioia della caccia conclusasi con successo ancora riecheggiava sotto I Grandi Monti Bianchi.
GIORNI DOPO: IL RITO.
I circa duecentocinquanta membri della tribù degli Anerak di buon mattino erano tutti riuniti nello spiazzo al ridosso dei boschi e sotto le loro montagne. La vallata era silente; solo gli uccelli e gli ululati dei lupi lontani si potevano udire. La natura parlava, viveva tutta attorno a loro. A metà spiazzo due grandi corna di adlaki erano state poste come colonne, come accadeva ogni anno per il “rito degli Dèi”, e fra le stesse la Madre degli Anerak attendeva silente i tre “figli” che sarebbero quel giorno divenuti a tutti gli effetti membri integranti della tribù. I sette anziani della tribù, uno per ogni suddivisione interna del popolo stesso, erano in cerchio attorno alla Madre, con i loro bastoni decorati e le immagini di animali impresse sui loro corpi.
Ordak ed altri due suoi coetanei, Idomin e Nortilak, aventi anch'essi venti inverni di età, uscirono dalla loro caverna di appartenenza familiare, scortati dai loro padri a destra e dalle madri a sinistra. L'uguaglianza era l'unica padrona in questo popolo. Alla vista dei ragazzi, la gente della tribù iniziò a far rumore sbattendo i bastoni l'uno con l'altro, e le donne sbattevano le loro mani facendo echeggiare il tutto per la valle. Il breve tragitto dalla grotta fino a dov'era la Madre sembrò eterno per Ordak ed i suoi amici. Ma finalmente furono dopo pochi istanti avanti agli occhi dell'anziana donna. Il cerchio di anziani che si aprì facendoli entrare, soli, nello stesso, si richiuse al loro passaggio. Così iniziò il rito:
La Madre degli Anerak agitò una cordicella con sopra resti ossei di uccelli e iniziò con la stessa a far rumore e lamenti agitando la mano che teneva la cordicella verso ogni ragazzo. Finito ciò iniziò a parlare:
“Oggi avete passati i venti inverni. Oggi, al trentesimo giorno da quando in questa stagione gli orsi si risvegliano, voi divenite Anerak cessando di essere solo i “figli” degli stessi. Padre Sole, Madre Terra e la Sovrana Morte vi guardano e vi hanno benedetto facendovi giungere sino a questo grande giorno.” Alzò poi le mani verso il cielo “Nostro Padre Sole, benedici con i tuoi raggi la nostra Terra e la nostra gente. Benedici gli animali tutti, gli alberi, i fiumi e le piante ed i frutti che le stesse producono. Madre Terra, tu che ti sposi con il Sole e tramite lo stesso dai forti figli, sostentamento di te stessa e di chi vi abita, onora oggi questi nostri “figli”. Sovrana Morte, te che sei giustizia e terrore, ma naturale e inevitabile ragione d'ogni cosa che vive, padrona sia di chi tiene i bastoni decorati, di chi parla con gli Dèi immortali e di chi poco detiene, benedici questi ragazzi che oggi sono innanzi a voi, tenendoli lontani dal tuo mondo ma che in te trovino una benedizione quando le rughe avranno conquistato il loro corpo”. Dicendo ciò, gli anziani si avvicinarono e, tramite un piccolo bastone forato, soffiarono aria sui volti dei ragazzi che, silenti, chiusero gli occhi per poi riaprirli pochi istanti dopo. La gente sorrideva compiaciuta del rito al quale stava assistendo. Tre Anerak in più da quel momento risiedevano nelle nove grotte.
La Madre diede ad ogni ragazzo una collana con un dente di orso delle caverne, che fra quelli che forse accumuleranno nella loro vita, dovrà sempre essere quello centrale.
“Ora, dovete congiungervi da dove siete nati, con la Terra: sentite il suo calore, delle sue grotte esplorate ogni angolo e sentite l'amore ch'ella ha per voi e vi ha donato. Fate di ciò la vostra sapienza infinita”. Così il cerchio si riaprì e tre ragazze entrarono prendendo per mano i tre riconducendoli, fra il battere dei bastoni ed il plauso delle donne, all'interno delle rispettive caverne abitative. Lasciandoli all'entrata, le ragazze tornarono indietro mentre la gente della tribù rimaneva ad osservare fino a che non fossero entrati completamente all'interno delle grotte. Poi, dopo averli persi di vista, la gente della tribù iniziò a danzare e a sbattere ancora i bastoni, affinché il suono accompagnasse i tre nuovi Anerak all'atto più alto del rito.
Ordak avanzava nella caverna fino all'estremità della stessa, dove un cunicolo si apriva. Lo percorse: era breve e le pitture, anche le sue, facevano bella mostra sulle pareti. Avanti a se una pelle di orso delle caverne ostruiva la vista di ciò che era all'interno di una stanza; della stanza dove si doveva recare. Un fuoco però dentro la stessa era acceso. Ordak scansò la pesante pelle d'orso per entrare. Sua madre Dysa, nuda ed unta dagli unguenti che le esperte donne della tribù le avevano spalmati addosso, era seduta accanto al fuoco, la pelliccia d'orso stesa in terra ed alcuni manufatti vicino ad essa
“mamma...”
“Ordek, vieni qua” il ragazzo andò accanto a sua madre. La stessa si alzò e Ordak rimase come impietrito. Mai aveva visto sua madre nuda. La donna era splendida, sembrava una divinità, e forse Ordak se lo stava chiedendo se veramente non lo fosse. Il fisico scolpito dal duro lavoro, sembrava un tutt'uno con la roccia della caverna. Le labbra, anch'esse espertamente unte, anche se da un unguento diverso di quello che ungeva il corpo, splendevano alla luce danzante del fuoco. Il sedere duro e perfetto, la parte dov'era uscito venti inverni prima , adorna di non molti peli ma bellissima. I seni grandi e perfetti, erano in armonia per grandezza con il corpo. “Ora figlio devo ungerti io, è l'altra parte del rito. Sei pronto?”
“sì mamma, sono pronto”
Dysa tolse le vesti di suo figlio, sopra come sotto, accennando ad un sorriso non appena vide le sue parti intime
“che c'è mamma”
“niente Ordak, ma la Madre Terra ha lasciato agli altri ben poca cosa donando molto a te. Disse Dysa sorridendo a suo figlio mentre, presa una ciotola con dentro gli unguenti che le donne avevano spalmato su lei, iniziava a spalmare il corpo di suo figlio iniziando dal collo.
Ordak sorrise alla frase di sua madre
“così come ha fatto con te mamma, ed anche penso con papà” la donna rise
“rimanga fra me e te figlio, ma papà ha solo il bastone del comando...e quello è l'unico bastone degno oramai” risero entrambi a quella frase.
Il corpo di Ordak si stava svegliando al tocco delle esperte e forti mani di sua madre, specialmente quando, con fare molto lento, la stessa iniziò ad ungere il membro, ora semi eretto, di suo figlio. Ordak socchiuse un poco gli occhi. Dysa sorrise. La mano destra di Dysa scorreva avanti e dietro sul pene di suo figlio per poterlo ungere tutto, mentre l'altra ungeva i testicoli
“oh...mamma”
“penso tu sia pronto ora figlio”
“lo credo anche io”
“appoggiati alla roccia Ordak” ed il ragazzo fece come la madre gli stava dicendo. Sì poggiò alla roccia della piccola stanza della caverna. Anche il suo corpo ora stava splendendo, come quello di sua mamma, alla luce danzante del fuoco.
Dysa si avvicinò sorridendo dolcemente a suo figlio
“ora sei un Anerak figlio mio”. Dicendo ciò si mise in ginocchio prendendo con entrambe le mani il pene di Ordak e, dopo un lento su e giù, introdusse il membro nella sua bocca iniziando a succhiarlo. Le mani lasciarono la presa andandosi a posizionare sulle gambe di suo figlio mentre la bocca prendeva sempre più possesso del pene
“ooohhh mammmmaa !!” ansimò forse Ordak mentre sua madre lentamente era intenta a succhiargli il grande membro. Pur largo e lungo, ma Dysa sapeva come comportarsi: con un movimento muscolare della gola , andò sempre più avanti con la testa facendo scomparire il pene di suo figlio per pochi secondi nella sua bocca, per poi farlo riuscire e riprendere fiato
“mmmaaaaa....oooo...Dèiii...aaaaahhhh....”
“ti piace figlio mio?”
“oh mamma sì...oh mamma mia certo che mi piace...”
Dysa riprese a succhiare il pene di suo figlio, questa volta con ritmo molto più passionale ed incalzante. La sua testa si muoveva veloce come un leone delle caverne e forte come l'orso. Continuò ancora per un poco dando piacere a suo figlio usando la bocca, quando, staccatasi, si alzò in piedi
“oh mamma continua per favore” disse Ordak ansimando. Dysa lo prese per mano
“sdraiamoci, vieni figlio mio”
“mamma mi sdraio io...” e detto ciò si sdraiò a pancia sua. Sua madre comprese. Si avvicinò al figlio che si era sdragliato, andando con la testa verso il pene succhiandoglielo un altro poco alternando anche poderose leccate lungo l'asta e giocando un poco con i testicoli. Dopodichè Dysa lasciò il pene con la bocca e si posizionò a cavalcioni sul figlio, posizionando il suo membro all'entrata della sua caverna materna
“oh figlio...è...dovresti avere tu il bastone” disse ridendo “è...grosso”
Ordak spinse un poco verso l'entrata di sua madre
“mmmhhh figlio...ecco...aaaaaahhh”. Una volta entrato, Dysa iniziò a cavalcare , dapprima piano, poi poco più forte, poi con un grande e crescente vigore suo figlio che intanto le toccava i seni e le afferrava i fianchi. Dysa cavalcava possente Ordak mentre giocava la danza del fuoco su di lei. Il sudore di entrambi ora si mescolava agli unguenti sui loro corpi. Dysa cavalcava, saltava eretta per poi cavalcare solo con il bacino. Urlava di piacere accompagnata dai forti gemiti di Ordak. I corpi di madre e figlio ora erano l'una sopra l'altro: Dysa si accasciava su suo figlio abbracciandolo mentre lo stesso spingeva il pene più che poteva fra i gemiti di piacere di sua madre. Il ragazzo afferrava il sedere sodo di sua madre mentre con il bacino spingeva più che poteva. Nuovamente Dysa ritornò eretta. Ora si muoveva con pià calma gustando tutta la baldanza del pene di suo figlio facendo roteare il bacino sull'intimità di Ordak
“aaaahhh mammaaa così...ooohh mamma sto per...” Dysa allora si tolse da sopra suo figlio
“aspetta figlio, non arrivare ora...”
“aaah mamma...”
“calmo...”
“sì mamma...”
Dysa allora fece spostare suo figlio e si mise nella posizione del lupo dando il sedere a suo figlio
“mettilo dietro Ordak”
il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Si posizionò dietro sua madre ed entrò nell'orefizio anale
“aaahh Ordak...Ordak aaaahhh figlio mio !!” urlava Dysa di piacere accompagnando le spinte di suo figlio. Il ragazzo metteva molta passione nelle sue spinte. Aveva preso sua madre per i fianchi e la stava dominando con molta forza. Le afferrò i capelli con tutte e due le mani ed aumentò di gran lena il vigore di quell'accoppiamento
“mamma ci sono mamma...ci sono...”
“aaahh to....togliti Ordak...” il ragazzo uscì dall'intimità anale di sua madre. La stessa si sdraiò sulla pelle d'orso che riscaldava la terra della grotta ed invitò suo figlio a mettere il pene fra i suoi seni. Ordak posizionò il membro fra i seni di sua madre che, stringendoli, intimò al figlio di muoversi come stava facendo prima
“aah che bello !! Maamma sìììì...mamma arrivo...mamma....”
Ordak eiaculò un fiume in piena sul petto e volto di sua madre Dysa
“mammaaaaaa aaahhh mmmmmmmmhhh !!!”
Dysa chiuse gli occhi e sorrise mentre suo figlio le inondava petto e volto. Molte volte il seme uscì dal membro di Ordak, I primi cinque schizzi forono molto forti, poi pian piano i futuri quattro furono meno vigorosi
“mamma...oohh Dèi...”
roteando la lingua sul glande del figlio, Dysa lo asciugò regalandogli ancora qualche bacio e qualche lenta e dolce succhiata.
Ordak dopo si accasciò vicino sua madre che invece si alzò andando a lavarsi il volto con l'acqua che aveva dentro una grande ciotola, per poi sdraiarsi accanto a suo figlio
“ora figlio mio sei un membro a tutti gli effetti del nostro popolo; gli Anerak”
“mamma ne sono felice. Tu...tu mamma hai la forza di una femmina di leone delle caverne, hai la forza di venti lupi mamma” Dysa rise
“è solo amore figlio mio”
“tu pensi mamma che...potremmo ancora passare del tempo come ora?”
“sei benedetto dagli Dèi figlio mio. Non vedo ostacoli ma...tuo padre non dovrà saperlo”
Ordak si girò verso sua madre
“Kaydak continua con la madre” Dysa, sapendo di ciò, sorrise e baciò il petto di suo figlio, mentre con la mano sinistra impugnò nuovamente il pene di Ordak e pian piano quelli che erano baci sul petto, finirono per essere nuovamente lenti e poi forti baci sul pene.
Ordak quel giorno del rito venne più volte.
Dieci ore stettero dentro la grotta, fra l'accoppiarsi ed il riposarsi; mangiare ed accoppiarsi nuovamente.
La luna si alzò nel cielo. La stagione dei fiori e del risveglio degli orsi delle caverne oramai aveva preso il suo forte piede. Il marito di Dysa, padre di Ordak, quel giorno lo passò nel prendere dei cervi, cacciando ed affilando dei pugnali. Alzò gli occhi da sopra la montagna e vide la luna nel cielo. Si sdraiò godendo del suo piccolo bottino di caccia di quel pomeriggio: un coniglio. La valle sotto di lui si stava preparando per la notte accendendo la tribù i fuochi per mantener lontani lupi ed orsi.
Il fuoco si stava spegnendo dopo essere stato acceso diverse volte. La luce stava quasi andando via. Coperti dalla pelle d'orso, Ordak e sua madre dormivano abbracciati, e continuarono a dormire beati e felici quando il fuoco, dopo un poco, si spense.
(Il racconto non vuole sostituirsi all'archeologia e all'etnologia, e non pretende quindi di essere un trattato scientifico. E' un racconto basato su di una semplice fantasia.Tutti i personaggi hanno la maggiore età)
AMBIENTAZIONE:
13.300 a.C. Cultura magdaleniana.
Paleolitico Superiore.
IN QUELLA CHE ORA E' LA FRANCIA CENTRO – MERIDIONALE:
I balli dal pomeriggio continuarono per gran parte della notte. I membri della tribù degli Anerak, circa duecentocinquanta persone, avevano messo lance ed amuleti attorno ai fuochi nel grande spiazzo da loro ricavato nel bosco accanto alle nove grotte alle pendici dei Grandi Monti Bianchi, a metà di una grande valle. I fuochi erano alti, più alti di quelli posti nel perimetro del loro stanziamento per tener lontane le belve feroci, e donne e uomini danzavano attorno agli stessi: le donne scoprivano i loro seni e gli uomini i loro possenti fisici atti alla caccia. In quel popolo anche le femmine avevano fisici forti, come anch'esse partecipavano non di rado alla caccia, pur se molte di loro si dedicavano con maggior cura alla crescita della prole e a far misture per poi poter lasciare ciò che vivevano e vedevano all'interno delle grotte, pitturando la loro vita di tutti i giorni. I bambini della tribù scherzavano e ridevano, mentre i membri più grandi, i loro genitori, danzavano in onore e rispetto della Madre Terra, chiedendo venia ai tre megaloceri che avevano uccisi poche ore prima per sfamarsi e per prenderne le pelli. Gli anziani , e soprattutto lei, la Madre degli Anerak, una anziana donna, la più anziana di tutti e di tutte, aveva lo sguardo perso nel fuoco mentre nelle sue mani stringeva delle ossa di uccello.
Ordak guardava quelle scene di giubilo e di rito da pochi metri sopra; seduto sulla roccia che apparteneva ai loro monti. Quella fu l'ultima caccia che il ragazzo vide da spettatore della tribù, giacché pochi giorni dopo anch'egli, come due suoi coetanei, sarebbe stato benedetto dalla Madre degli Anerak con l'antico “rito degli Dèi”. Con questo rito si diveniva parte integrante della tribù, giacchè prima si era solo “figli degli Anerak”. Ciò avveniva trenta notti dopo il risveglio stagionale degli orsi, e dopo venti inverni di vita. Presso gli Anerak non era così scontato raggiungere l'età adulta ed essere veramente parte della tribù. Molti morivano prima del rito per malattie, per attacchi da parte degli orsi delle caverne, dei leoni delle caverne, lupi e, come accadde due inverni prima, da parte di un gruppo in corsa di adlaki (mammut primigenius) che, dopo una caccia andata a male, spaventati, si diressero verso le nove grotte e con il loro passaggio uccisero cinque “figli degli Anerak” aventi età che andavano dai cinque ai diciassette inverni di vita, e due membri adulti di trenta e quarantadue inverni (gli anni presso gli Anerak si contavano in inverni: venti inverni corrispondevano a venti anni, quindi ogni inverno era un anno).
Ordak pensava al rito, aveva paura di non esserne all'altezza. Suo padre possedeva il bastone da comando finemente decorato da lui stesso, mentre sua madre era la più esperta cacciatrice e la sua collana era adorna da sette denti di orso delle caverne. Lui fino ad ora si era limitato ad apprendere tutto ciò e a pitturare sulle pareti delle grotte. Ed in questo era molto bravo. Oltre a ciò fabbricava coltelli ed anche in questa attività eccelleva.
Nel mentre sotto di lui la sua gente rideva e scherzava e pregava gli dèi a voce alta, una mano si poggiò sulla spalla del ragazzo facendolo sussultare:
“tranquillo Ordak, sono tua madre”
“mamma” (non sapendo il linguaggio dell'epoca ed il rispetto che verbalmente si dava rivolgendosi ai genitori, metterò il più antico “tu” e non il “voi” di cortesia nel linguaggio)
“pensieroso?”
“come non lo sono mai stato”
“per il rito o c'è altro che ti spaventa?”
“ora che abbiamo cacciato ed abbiamo ancora provviste della caccia precedente e la nostra gente sta bene, sì, la mia preoccupazione è il rito”.
Il “rito degli Dèi” veniva dall'alba dei tempi. Ogni Madre degli Anerak racconta, generazione dopo generazione, che il rito nacque in onore alla Madre Terra e per questo, visto che è la stessa a forgiare gli uomini e le donne, quando si fa il rito le “madri della tribù” sono chiamate ad aiutare I figli. Ad Ordak questo un poco spaventava, più che altro perché non voleva dar sfoggio negativo di se a sua madre
“non hai nulla di cui preoccuparti figlio; dovrei essere io preoccupata giacché il compito maggiore spetta a me che sono tua madre. Hai passato venti inverni Ordak, ed ora devi entrare negli Anerak come membro integrante della nostra gente, e non come “figlio” della nostra tribù. La Madre Terra ci ha dato e ci dona la vita, così noi madri abbiamo dato la vita a voi che siete I nostri figli. Mi capisci?”
“certo mamma. Io spero solamente di esserne degno poi, dopo il rito...e nel mentre” la madre sorrise
“lo sarai, non ti preoccupare Ordak”.
La madre di Ordak, Dysa, era una donna che aveva passati I cinquanta inverni. Era la moglie del padre di Ordak, Igahal, anch'egli di oltre cinquanta inverni. Era una donna con I capelli scuri e lunghi, aveva un fisico che sembrava essere scolpito su di una roccia, ed era magra. I suoi seni grandi e perfetti, modellati dalla grande attività fisica che metteva nei lavori pesanti della tribù, sia maschili che femminili, giacché l'uguaglianza fra uomini e donne, anche nei lavori, era una colonna portante degli Anerak. Esperta cacciatrice, suo padre aveva avuto il bastone da comando della loro tribù, ora posseduto da Igahal.
Dopo un po' di tempo passato con suo figlio, Dysa lo salutò e ritornò accanto alle grotte dove ancora si festeggiava. Giunta alla loro grotta, si sedette guardando la sua gente festeggiare. Il bagliore del fuoco le illuminava il volto sorridente per la fortunata caccia.
Bionda, corpulenta e dai seni prorompenti, la sua amica Asylet, anch'essa con più di cinquanta inverni, le andò accanto con una ciotola contenente carne di megalocero
“Dysa non vieni?”
“sto qua, ho danzato prima”
“allora ti farò compagnia” disse mettendosi a sedere vicino la sua amica donandole la ciotola
“va bene”
“meno male per questa caccia Dysa”
“sì veramente, almeno così avremo provviste per altre stagioni”
“qualcosa non va?”
“no niente” disse sospirando Dysa
“due lune ed anche per Ordak sarà giunta l'ora di essere un Anerak vero e proprio” disse Asylet compiaciuta e sorridente
“sì, già...è giunta l'ora”
“e ciò ti preoccupa?”
“no, è il nostro dovere di madri, no?”. Asylet cercò di rassicurare la sua amica...
“mio figlio lo scorso inverno ha fatto il rito”
“sì, lo so. E' andata bene per te? Non te l'ho mai chiesto”
“sì, anche perchè in quel momento sai che ciò che stai facendo è caro agli Dèi, e come tale è sacro”
“certo” e dicendo ciò entrambe si passarono le mani sul volto come a gettarsi l'aria. Un segno simbolico quando si parlava delle loro divinità
“non ti preoccupare, la fase iniziale spetta alla Madre ed è solo fatto di parole, come sai. Poi il resto avviene fra te e lui e nessuno vedrà”
“mi racconti, se puoi, come andò per te lo scorso inverno?”. Asylet sorrise e prese le mani della sua amica
“dopo le parole della Madre e dopo essere state cosparse di unguenti dalle altre donne, gli anziani fanno delle preghiere. Poi dopo una ragazza mi ha accompagnata all'interno della grotta, dove dietro la pelle d'orso che copriva l'entrata di una parte interna della caverna, c'era Adik, mio figlio”
“come ti sentivi?”
“Dysa, in quel momento ti senti un tutt'uno con gli Dèi, sai che quello che stai facendo è una cosa sacra, lo capirai fra poco non temere”
“come andò?”
“lui anche era unto, come me. Rimanemmo in silenzio, ci mettemmo sdraiati ficino al fuoco e dopo cominciammo...”
“cominciaste...”
“lo sai Dysa”
“sì, già”. Asylet strinse le mani della sua amica
“pochi giorni”
“ma dopo il rito?”
“cosa?”
“lui ti...ha cercata ancora?”
“se ti fercano ancora dopo il rito vuol dire che hai fatto cosa gradita agli Dèi, no? Naturalmente quando poi si uniranno con un'altra donna la madre si tira indietro”
“certo, è per tutti così”
“anche per quelle madri che, benedette ncora di più dagli Dèi, verranno cercate dopo il rito dai figli”.
Le due donne si guardarono negli occhi. Silenzio fra di loro mentre la gioia della caccia conclusasi con successo ancora riecheggiava sotto I Grandi Monti Bianchi.
GIORNI DOPO: IL RITO.
I circa duecentocinquanta membri della tribù degli Anerak di buon mattino erano tutti riuniti nello spiazzo al ridosso dei boschi e sotto le loro montagne. La vallata era silente; solo gli uccelli e gli ululati dei lupi lontani si potevano udire. La natura parlava, viveva tutta attorno a loro. A metà spiazzo due grandi corna di adlaki erano state poste come colonne, come accadeva ogni anno per il “rito degli Dèi”, e fra le stesse la Madre degli Anerak attendeva silente i tre “figli” che sarebbero quel giorno divenuti a tutti gli effetti membri integranti della tribù. I sette anziani della tribù, uno per ogni suddivisione interna del popolo stesso, erano in cerchio attorno alla Madre, con i loro bastoni decorati e le immagini di animali impresse sui loro corpi.
Ordak ed altri due suoi coetanei, Idomin e Nortilak, aventi anch'essi venti inverni di età, uscirono dalla loro caverna di appartenenza familiare, scortati dai loro padri a destra e dalle madri a sinistra. L'uguaglianza era l'unica padrona in questo popolo. Alla vista dei ragazzi, la gente della tribù iniziò a far rumore sbattendo i bastoni l'uno con l'altro, e le donne sbattevano le loro mani facendo echeggiare il tutto per la valle. Il breve tragitto dalla grotta fino a dov'era la Madre sembrò eterno per Ordak ed i suoi amici. Ma finalmente furono dopo pochi istanti avanti agli occhi dell'anziana donna. Il cerchio di anziani che si aprì facendoli entrare, soli, nello stesso, si richiuse al loro passaggio. Così iniziò il rito:
La Madre degli Anerak agitò una cordicella con sopra resti ossei di uccelli e iniziò con la stessa a far rumore e lamenti agitando la mano che teneva la cordicella verso ogni ragazzo. Finito ciò iniziò a parlare:
“Oggi avete passati i venti inverni. Oggi, al trentesimo giorno da quando in questa stagione gli orsi si risvegliano, voi divenite Anerak cessando di essere solo i “figli” degli stessi. Padre Sole, Madre Terra e la Sovrana Morte vi guardano e vi hanno benedetto facendovi giungere sino a questo grande giorno.” Alzò poi le mani verso il cielo “Nostro Padre Sole, benedici con i tuoi raggi la nostra Terra e la nostra gente. Benedici gli animali tutti, gli alberi, i fiumi e le piante ed i frutti che le stesse producono. Madre Terra, tu che ti sposi con il Sole e tramite lo stesso dai forti figli, sostentamento di te stessa e di chi vi abita, onora oggi questi nostri “figli”. Sovrana Morte, te che sei giustizia e terrore, ma naturale e inevitabile ragione d'ogni cosa che vive, padrona sia di chi tiene i bastoni decorati, di chi parla con gli Dèi immortali e di chi poco detiene, benedici questi ragazzi che oggi sono innanzi a voi, tenendoli lontani dal tuo mondo ma che in te trovino una benedizione quando le rughe avranno conquistato il loro corpo”. Dicendo ciò, gli anziani si avvicinarono e, tramite un piccolo bastone forato, soffiarono aria sui volti dei ragazzi che, silenti, chiusero gli occhi per poi riaprirli pochi istanti dopo. La gente sorrideva compiaciuta del rito al quale stava assistendo. Tre Anerak in più da quel momento risiedevano nelle nove grotte.
La Madre diede ad ogni ragazzo una collana con un dente di orso delle caverne, che fra quelli che forse accumuleranno nella loro vita, dovrà sempre essere quello centrale.
“Ora, dovete congiungervi da dove siete nati, con la Terra: sentite il suo calore, delle sue grotte esplorate ogni angolo e sentite l'amore ch'ella ha per voi e vi ha donato. Fate di ciò la vostra sapienza infinita”. Così il cerchio si riaprì e tre ragazze entrarono prendendo per mano i tre riconducendoli, fra il battere dei bastoni ed il plauso delle donne, all'interno delle rispettive caverne abitative. Lasciandoli all'entrata, le ragazze tornarono indietro mentre la gente della tribù rimaneva ad osservare fino a che non fossero entrati completamente all'interno delle grotte. Poi, dopo averli persi di vista, la gente della tribù iniziò a danzare e a sbattere ancora i bastoni, affinché il suono accompagnasse i tre nuovi Anerak all'atto più alto del rito.
Ordak avanzava nella caverna fino all'estremità della stessa, dove un cunicolo si apriva. Lo percorse: era breve e le pitture, anche le sue, facevano bella mostra sulle pareti. Avanti a se una pelle di orso delle caverne ostruiva la vista di ciò che era all'interno di una stanza; della stanza dove si doveva recare. Un fuoco però dentro la stessa era acceso. Ordak scansò la pesante pelle d'orso per entrare. Sua madre Dysa, nuda ed unta dagli unguenti che le esperte donne della tribù le avevano spalmati addosso, era seduta accanto al fuoco, la pelliccia d'orso stesa in terra ed alcuni manufatti vicino ad essa
“mamma...”
“Ordek, vieni qua” il ragazzo andò accanto a sua madre. La stessa si alzò e Ordak rimase come impietrito. Mai aveva visto sua madre nuda. La donna era splendida, sembrava una divinità, e forse Ordak se lo stava chiedendo se veramente non lo fosse. Il fisico scolpito dal duro lavoro, sembrava un tutt'uno con la roccia della caverna. Le labbra, anch'esse espertamente unte, anche se da un unguento diverso di quello che ungeva il corpo, splendevano alla luce danzante del fuoco. Il sedere duro e perfetto, la parte dov'era uscito venti inverni prima , adorna di non molti peli ma bellissima. I seni grandi e perfetti, erano in armonia per grandezza con il corpo. “Ora figlio devo ungerti io, è l'altra parte del rito. Sei pronto?”
“sì mamma, sono pronto”
Dysa tolse le vesti di suo figlio, sopra come sotto, accennando ad un sorriso non appena vide le sue parti intime
“che c'è mamma”
“niente Ordak, ma la Madre Terra ha lasciato agli altri ben poca cosa donando molto a te. Disse Dysa sorridendo a suo figlio mentre, presa una ciotola con dentro gli unguenti che le donne avevano spalmato su lei, iniziava a spalmare il corpo di suo figlio iniziando dal collo.
Ordak sorrise alla frase di sua madre
“così come ha fatto con te mamma, ed anche penso con papà” la donna rise
“rimanga fra me e te figlio, ma papà ha solo il bastone del comando...e quello è l'unico bastone degno oramai” risero entrambi a quella frase.
Il corpo di Ordak si stava svegliando al tocco delle esperte e forti mani di sua madre, specialmente quando, con fare molto lento, la stessa iniziò ad ungere il membro, ora semi eretto, di suo figlio. Ordak socchiuse un poco gli occhi. Dysa sorrise. La mano destra di Dysa scorreva avanti e dietro sul pene di suo figlio per poterlo ungere tutto, mentre l'altra ungeva i testicoli
“oh...mamma”
“penso tu sia pronto ora figlio”
“lo credo anche io”
“appoggiati alla roccia Ordak” ed il ragazzo fece come la madre gli stava dicendo. Sì poggiò alla roccia della piccola stanza della caverna. Anche il suo corpo ora stava splendendo, come quello di sua mamma, alla luce danzante del fuoco.
Dysa si avvicinò sorridendo dolcemente a suo figlio
“ora sei un Anerak figlio mio”. Dicendo ciò si mise in ginocchio prendendo con entrambe le mani il pene di Ordak e, dopo un lento su e giù, introdusse il membro nella sua bocca iniziando a succhiarlo. Le mani lasciarono la presa andandosi a posizionare sulle gambe di suo figlio mentre la bocca prendeva sempre più possesso del pene
“ooohhh mammmmaa !!” ansimò forse Ordak mentre sua madre lentamente era intenta a succhiargli il grande membro. Pur largo e lungo, ma Dysa sapeva come comportarsi: con un movimento muscolare della gola , andò sempre più avanti con la testa facendo scomparire il pene di suo figlio per pochi secondi nella sua bocca, per poi farlo riuscire e riprendere fiato
“mmmaaaaa....oooo...Dèiii...aaaaahhhh....”
“ti piace figlio mio?”
“oh mamma sì...oh mamma mia certo che mi piace...”
Dysa riprese a succhiare il pene di suo figlio, questa volta con ritmo molto più passionale ed incalzante. La sua testa si muoveva veloce come un leone delle caverne e forte come l'orso. Continuò ancora per un poco dando piacere a suo figlio usando la bocca, quando, staccatasi, si alzò in piedi
“oh mamma continua per favore” disse Ordak ansimando. Dysa lo prese per mano
“sdraiamoci, vieni figlio mio”
“mamma mi sdraio io...” e detto ciò si sdraiò a pancia sua. Sua madre comprese. Si avvicinò al figlio che si era sdragliato, andando con la testa verso il pene succhiandoglielo un altro poco alternando anche poderose leccate lungo l'asta e giocando un poco con i testicoli. Dopodichè Dysa lasciò il pene con la bocca e si posizionò a cavalcioni sul figlio, posizionando il suo membro all'entrata della sua caverna materna
“oh figlio...è...dovresti avere tu il bastone” disse ridendo “è...grosso”
Ordak spinse un poco verso l'entrata di sua madre
“mmmhhh figlio...ecco...aaaaaahhh”. Una volta entrato, Dysa iniziò a cavalcare , dapprima piano, poi poco più forte, poi con un grande e crescente vigore suo figlio che intanto le toccava i seni e le afferrava i fianchi. Dysa cavalcava possente Ordak mentre giocava la danza del fuoco su di lei. Il sudore di entrambi ora si mescolava agli unguenti sui loro corpi. Dysa cavalcava, saltava eretta per poi cavalcare solo con il bacino. Urlava di piacere accompagnata dai forti gemiti di Ordak. I corpi di madre e figlio ora erano l'una sopra l'altro: Dysa si accasciava su suo figlio abbracciandolo mentre lo stesso spingeva il pene più che poteva fra i gemiti di piacere di sua madre. Il ragazzo afferrava il sedere sodo di sua madre mentre con il bacino spingeva più che poteva. Nuovamente Dysa ritornò eretta. Ora si muoveva con pià calma gustando tutta la baldanza del pene di suo figlio facendo roteare il bacino sull'intimità di Ordak
“aaaahhh mammaaa così...ooohh mamma sto per...” Dysa allora si tolse da sopra suo figlio
“aspetta figlio, non arrivare ora...”
“aaah mamma...”
“calmo...”
“sì mamma...”
Dysa allora fece spostare suo figlio e si mise nella posizione del lupo dando il sedere a suo figlio
“mettilo dietro Ordak”
il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Si posizionò dietro sua madre ed entrò nell'orefizio anale
“aaahh Ordak...Ordak aaaahhh figlio mio !!” urlava Dysa di piacere accompagnando le spinte di suo figlio. Il ragazzo metteva molta passione nelle sue spinte. Aveva preso sua madre per i fianchi e la stava dominando con molta forza. Le afferrò i capelli con tutte e due le mani ed aumentò di gran lena il vigore di quell'accoppiamento
“mamma ci sono mamma...ci sono...”
“aaahh to....togliti Ordak...” il ragazzo uscì dall'intimità anale di sua madre. La stessa si sdraiò sulla pelle d'orso che riscaldava la terra della grotta ed invitò suo figlio a mettere il pene fra i suoi seni. Ordak posizionò il membro fra i seni di sua madre che, stringendoli, intimò al figlio di muoversi come stava facendo prima
“aah che bello !! Maamma sìììì...mamma arrivo...mamma....”
Ordak eiaculò un fiume in piena sul petto e volto di sua madre Dysa
“mammaaaaaa aaahhh mmmmmmmmhhh !!!”
Dysa chiuse gli occhi e sorrise mentre suo figlio le inondava petto e volto. Molte volte il seme uscì dal membro di Ordak, I primi cinque schizzi forono molto forti, poi pian piano i futuri quattro furono meno vigorosi
“mamma...oohh Dèi...”
roteando la lingua sul glande del figlio, Dysa lo asciugò regalandogli ancora qualche bacio e qualche lenta e dolce succhiata.
Ordak dopo si accasciò vicino sua madre che invece si alzò andando a lavarsi il volto con l'acqua che aveva dentro una grande ciotola, per poi sdraiarsi accanto a suo figlio
“ora figlio mio sei un membro a tutti gli effetti del nostro popolo; gli Anerak”
“mamma ne sono felice. Tu...tu mamma hai la forza di una femmina di leone delle caverne, hai la forza di venti lupi mamma” Dysa rise
“è solo amore figlio mio”
“tu pensi mamma che...potremmo ancora passare del tempo come ora?”
“sei benedetto dagli Dèi figlio mio. Non vedo ostacoli ma...tuo padre non dovrà saperlo”
Ordak si girò verso sua madre
“Kaydak continua con la madre” Dysa, sapendo di ciò, sorrise e baciò il petto di suo figlio, mentre con la mano sinistra impugnò nuovamente il pene di Ordak e pian piano quelli che erano baci sul petto, finirono per essere nuovamente lenti e poi forti baci sul pene.
Ordak quel giorno del rito venne più volte.
Dieci ore stettero dentro la grotta, fra l'accoppiarsi ed il riposarsi; mangiare ed accoppiarsi nuovamente.
La luna si alzò nel cielo. La stagione dei fiori e del risveglio degli orsi delle caverne oramai aveva preso il suo forte piede. Il marito di Dysa, padre di Ordak, quel giorno lo passò nel prendere dei cervi, cacciando ed affilando dei pugnali. Alzò gli occhi da sopra la montagna e vide la luna nel cielo. Si sdraiò godendo del suo piccolo bottino di caccia di quel pomeriggio: un coniglio. La valle sotto di lui si stava preparando per la notte accendendo la tribù i fuochi per mantener lontani lupi ed orsi.
Il fuoco si stava spegnendo dopo essere stato acceso diverse volte. La luce stava quasi andando via. Coperti dalla pelle d'orso, Ordak e sua madre dormivano abbracciati, e continuarono a dormire beati e felici quando il fuoco, dopo un poco, si spense.
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