Pioggia
di
scopertaeros69
genere
sentimentali
Quando giungo alla tua porta sono uno straccio fradicio, ho camminato per ore , senza meta, senza cognizione del tempo e dello spazio percorso.
Ci deve essere una precisa ragione se sono dinanzi alla tua porta ora, e non sono in un un qualsiasi altro posto; il freddo e l’acqua mi sono penetrati sin nelle ossa, ma ho continuato a camminare sotto la pioggia gelida comunque, forse per il bisogno di sentire male, un dolore che sovrastasse quello non fisico, che non so come arginare, qualcosa con cui possa avere una sorta di connessione logica, razionale.
Ho camminato sino a sentirmi le gambe due pezzi di legno, pesanti come il piombo, di acido lattico, fasciate nella stoffa greve d’acqua.
Poi, prima che la mia coscienza mi avvisasse, ero dinanzi alla tua porta immobile, a chiedermi che cosa ci facevo lì; suonare, bussare o andarmene...la domanda., l’unica che abbia un senso in questo istante preciso.
Decido di andarmene, ed è allora che la porta si apre, sento lo scatto della serratura, la tua voce che mi chiama, il mio nome che sembra provenire da molto lontano, mentre le gocce gelate che striano il mio cuoio capelluto terminano in rivoli gelati sulle ciocche di capelli che precipitano nella schiena.
Decido di ignorarti, decido di allontanarmi di non trascinarti a fondo con me, lo decido io per entrambi, ricomincio a camminare, un dolore costante ad ogni passo.
Il rumore della pioggia battente, poi di acqua pestata, il braccio che viene artigliato e tirato, strattonato che mi costringe a girarmi, il tuo volto tra il preoccupato e l’incazzato...Dio quanto sei incazzata!
Sto per dire qualcosa, ma tu mi precedi: “Non provarci neppure! “ Mi porti in casa,
Non so se vergognarmi di più per essermi mostrato a te in questo stato, nell’ombra di me stesso, o perché ti sto allagando casa grondando acqua da ogni recesso dei miei abiti, da ogni fibra intrisa.
“Fermo stai qui e non ti muovere”, ti allontani e torni con un catino e due asciugamani, “Spogliati del tutto e metti i vestiti bagnati nella bacinella”, ho un esitazione, ma il tuo sguardo non ammette repliche.
Meccanicamente faccio scivolare ogni vestito nel bacile rimanendo in mutande, fradice anch’esse, la casa ha un certo tepore, ma io tremo ugualmente.
“Anche gli slip” ripete stancamente, come si fa con un bambino che non ha voglia di condiscendere il genitore, eseguo rimango nudo.
Non mi vergogno di essere visto così da lei, mi ha visto nudo molto volte, ed io lei, mi vergogno di mostrarmi cosi inerme e vulnerabile.
Mi porge i teli perché mi asciughi sparisce con il catino e ritorna con un accappatoio bianco, lo indosso, lei prende i teli e li butta a terra per arginare la pozza d’acqua che ho fatto in corridoio.
La seguo in cucina a piedi nudi, ha messo su l’acqua per il the, mi scosta una sedia, dal tavolo, mentre traffica tra dispensa e fornelli ogni tanto si gira a guardarmi, mi avvedo solo ora che è in pigiama, alzo lo sguardo verso il muro, dove so essere l’orologio: le tre e mezza.
“E’ tutta la sera che provo a chiamarti sul cellulare...” non rispondo, dopo quella chiamata è volato rovinosamente contro il muro, è stato allora che sono uscito di casa, senza chiavi, senza documenti, senza soldi, senza meta, senza un ombrello…. Ho camminato per quasi sette ore sotto la pioggia.
“Volevi suicidarti con una polmonite? Ci sono metodi più veloci ed efficienti lo sai?”
Non rispondo, non mi muovo neppure quando mi mette nelle mani una tazza bollente che appoggio sul piano, con una lentezza quasi esasperante, che quasi mi scotta le mani.
Nella mente ho il nulla totale, sto affondando, mi sto allontanando dalla superficie, le mani mi circondano il viso tirandomi su la testa, come un braccio teso in un foro tra il ghiaccio ad afferrarmi per trarmi fuori.
Gli sguardi s’incontrano, scoppio a piangere, di debolezza, di rabbia, di dolore… tanto vecchio dolore.
Provo a balbettare qualcosa, forse sono scuse, forse sono suppliche, forse solo commiserazione per me stesso.
Improvviso il caldo mi pervade il viso girandomi la testa; è la prima di una graniuola di sberle, che poi diventano pugni, che si abbattono sulle spalle, sul collo sul petto.
E’ dolore, non quello dei colpi che sto ricevendo, non quello che mi sta mangiando le viscere , è il tuo dolore.
In qualche modo riesco a bloccarti i polsi, mi costa una fatica immane, di nuovo incrocio i tuoi occhi colmi di rabbia e preoccupazione, colmi di lacrime… “Stronzo!”.
Siamo più nudi in questo istante di quanto lo siamo mai stati senza vestiti, ti lascio andare i polsi...ed una altra sberla mi segna il viso, mi sono meritata anche questa, credo.
Mi prende e mi porta in camera da letto, mentre attraverso il corridoio il mio sguardo va agli asciugamani pregni di pioggia sul pavimento, senza quasi volontà mi lascio buttare sul letto, sento l’accappatoio aprirsi, ho coscienza dei miei capelli umidi contro il cuscino.
Nella semioscurità della stanza, rischiarata solo dalle luci della strada e dai lampi , ti vedo spogliarti completamente.
Vorrei dirti che non posso, che non voglio ora, che non è giusto...credo, ma la tua pelle bollente contrasta la mia fredda, così la percepisco nel tuo abbraccio rovente, la fisicità del sesso come affermazione di vita.
Non credo sarò in grado di fare l’amore, il mio corpo la pensa diversamente però, in qualche modo succede prima che perda del tutto conoscenza.
Il sonno è un pozzo nero senza sogni, nel quale precipito cullato da una confortevole insensibilità.
Il risveglio è strano: dapprima la luce che mi ferisce gli occhi, poi il tepore amico del tuo corpo sul mio e la regolarità musicale del tuo respiro.
I capelli che mi solletticano il petto, le guance che mi bruciano ancora intorpidite, quel peso nel petto, presente ma più lieve.
Osservo la sinuosa perfezione della tua pelle, no a dire il vero non è perfetta, è giusta per me, perfetta per me.
Di nuovo ho perso la cognizione del tempo perché quando riporto gli occhi alla tua testa trovo i tuoi occhi che mi fissano.
“Sei un dannato stronzo! Non devi affrontare tutto da solo, ora ci sono anch’io capito?”
NO...non è una domanda… mi chino a cercare le sue labbra; c’era una precisa ragione se sono finito dinanzi alla tua porta.
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