Un pomeriggio alla settimana

di
genere
etero

Mi chiamo “Roberta”, sono sposata da 18 anni e mi stavo annoiando a morte. No, non ho problemi economici né familiari, proprio nessuno, almeno credo. Anzi il motivo della noia “mortale” è proprio questo, in fondo: il problema di non avere problemi!
E quindi trattamento della noia. Lettura e cucina: breve entusiasmo, complici un tecnologico e-reader e il nuovo Bimby multifunzione. Quindi, cinema e palestra: un corso sul cinema neorealista e sulla “nouvelle vague”, con tanto di dibattito post-proiezione e intervento di critico illustre. Affollate e rumorose sessioni di acquagym con donne giovani e meno giovani ma tutte parimenti annoiate. Shopping compulsivo con le solite amiche. Pettegolezzi. Altra noia.
Ho pensato di “farmi un amante”, solo problemi di scelta tra diversi “amici” che, con entusiasmo, si sarebbero dedicati alla bisogna: per breve tempo ci ho pensato seriamente. Ma poi?? Il timore di passare da una noia casalinga a una noia extra-coniugale, riproporre fuori dal letto di casa le dinamiche di coppia? Con un uomo che prima è tutta passione e poi diventa routine? La solita alcova in qualche squallido, seppur elegante, albergo? Messaggini da leggere di nascosto? Telefonate in momenti inopportuni?
Rifletti “Roberta”, rifletti, mi sono detta! Certo si può sempre cambiare amante, provare qualcosa di nuovo. Una nuova pelle, un nuovo odore, un nuovo sapore. Tecniche e abilità diverse. Dimensioni diverse: uomini alti o bassi, magri o in carne, muscolosi o longilinei, ben dotati o normali (ma cos’è la normalità?), con folti capelli o pelati, giovani o maturi, quasi anziani a sfruttarne l’esperienza che sostituisce il vigore. Riflessioni e idee per far girare le rotelle del cervello di una donna senza problemi apparenti e con troppo tempo libero.
E poi non dimentichiamo la rete, le chat, il sesso digitale (ho imparato quasi subito che si chiama “sexting”!) con uomini nascosti dietro uno schermo, uno schermo uguale a quello dietro cui anch’io mi nascondevo. Proposte oscene, volgari, educate, persino timide a volte. La noia, anche lì, alla fine.
Poi, un pomeriggio mentre, sola in casa, guardavo la tv facendo avanti e indietro sui tanti canali, mi sono imbattuta in un film “Belle de jour”, un film del 1967 (ho cercato su internet in che anno era stato girato… pensa, non ero nemmeno nata!). Un film che in quegli anni di certo doveva aver creato scandalo ma che oggi era quasi per educande! Ma per me… folgorata come San Paolo sulla via di Damasco, se mi si permette l’accostamento un po’ blasfemo! Ero io quella donna annoiata, ci distingueva solo la città in cui vivevamo, Parigi e Milano, e il colore dei capelli (biondi e castani). Beh, lei era più bella… ma insomma..
Mi chiamo “Roberta” e, forse adesso l’avrete capito, mi vendo. Una volta alla settimana mi vendo.
Sono stesa sul lenzuolo di un letto a due piazze che, da solo, occupa quasi tutta la stanza del monolocale arredato in modo anonimo. Un monolocale che ho affittato in un’agenzia immobiliare di una città che non è la mia. Un annuncio a pagamento su un giornale locale, un annuncio e il numero della mia nuova scheda telefonica. “Ambiente molto elegante e confortevole in zona semicentrale. Massimo rispetto della privacy. Trattamenti completi personalizzati. Solo ed esclusivamente su appuntamento. Cell. 347………”.
Poi è bastato aspettare. Aspettare e dominare la paura e l’ansia per quello che stavo facendo. Selezionare con attenzione i messaggi che hanno cominciato ad accumularsi nella memoria dello smartphone “segreto”, scegliendo quelli scritti in un italiano corretto ed educato, corredati da un numero di telefono. E via, un calcio alla noia, il tutto a un’ora di Frecciarossa da casa.
Di lui, dell’uomo che ora è con me, non so nemmeno il nome. Come quasi tutti non me l’ha detto entrando, quando mi ha salutato squadrandomi nella mia vestaglia di seta nera. L’uomo pesante e peloso che da un quarto d’ora, forse di più, è sopra di me, dentro di me. Mi sta scopando con foga, il respiro in affanno.
Spero non si senta male. Non saprei come comportarmi in quel caso. Di mezza età, di certo sposato, forse avrà un negozio o un piccolo laboratorio artigianale. La fantasia mi fa sorridere nella penombra della stanza, tanto lui non mi vede in viso. Tiene la bocca incollata al mio collo, mi fa un po’ schifo la cosa. Ma pazienza! Magari è uno di quelli che spruzza saliva quando si agita e perde la calma. E se fosse un libero professionista? Un avvocato, un ingegnere o un amministratore di condominio? Un geometra? Ecco si, un geometra!
Un po’ mi manca l’aria, forse dovevo mettermi sopra io! Accarezzo con movimenti meccanici la sua testa, la schiena sudata. Ne cerco e scopro le imperfezioni, una cicatrice ipertrofica, qualche nevo in rilievo, un foruncolo, l’adipe che gli gonfia i fianchi ai quali adesso mi aggrappo. Socchiudo la bocca per lasciar uscire un gemito rauco che piace tanto agli uomini che pagano per il mio tempo. Infatti, subito lui aumenta il ritmo. Il suo cazzo ben piantato dentro di me.
Ma in fondo la cosa mi eccita, mi eccita sapere che uomini sconosciuti e spesso maturi e poco attraenti paghino per fare sesso con me. E lui è anche bravo nel compitino che sta svolgendo con diligenza. Seguo il cammino di una mosca che vaga senza meta sul soffitto, ogni tanto si alza per un breve volo e poi si posa poco più in là, verso la finestra socchiusa. Dalle persiane accostate entra una brezza leggera che muove dolce la tenda di mussola bianca da poco prezzo. Mi concentro sull’uomo, non devo distrarmi. Devo fargli capire che mi piace come mi scopa, che mi sta facendo godere.
Mi chiamo “Roberta” e ho 42 anni. Non sono alta ma sono carina. Non direi bella, capelli e occhi castani, un naso un po’ pronunciato, una bocca ben disegnata, una terza piena di seno, appesantito da due gravidanze e due allattamenti. Il culo però è ancora bello rotondo, ora stretto tra le mani dell’uomo sopra di me. Che suda e ansima mentre spinge di più. Il letto cigola, la testiera sbatte contro la parete a ogni sua spinta ma nessuno si lamenterà. Ecco. Il respiro si ferma. Sta venendo, finalmente!
Lui è il primo oggi, poi ci sarà il ragazzo, nella mia testa lo chiamo sempre così: il ragazzo! Mai più di tre, meglio solo due. Poi, dopo, dovrò sbrigarmi a fare la doccia e a correre a prendere il Frecciarossa che mi riporta a casa, a Milano. Cosa faccio stasera per cena? Forse faccio in tempo a fare un risotto! Quello piace sempre a tutti. Con lo zafferano o il taleggio? Smettila, scema, concentrati! Fagli intendere che lui è bravo e ti sta facendo godere. Lo sanno tutti che si fa finta ma tutti vogliono che si faccia finta!
Finalmente è venuto! Si lascia andare su di me, poi scivola di lato con un sospiro soddisfatto. Il pene floscio ancora dentro nel profilattico rosso alla fragola. Se prima devo prenderlo in bocca per farlo diventare bello duro allora che abbia un sapore decente.
Ora si accenderà una sigaretta, odio quell’odore acre ma non posso dirgli di non farlo! Mi guarda e sorride lascivo, manca solo che mi chieda se mi è piaciuto! Certo che mi è piaciuto, caro. Ora rivestiti e sparisci, i soldi sono già nella borsa. Sempre farsi pagare prima, ormai l’ho imparato!
Mi sorride con quel faccione sudato. Sorrido anch’io ma non a lui. In realtà non lo vedo nemmeno il faccione. Penso al giovane uomo, al ragazzo che starà su questo letto tra poco, dopo di lui. Simone, così giovane, vent’anni mi ha detto la prima volta. Di certo non deve averne di più, anche se in genere vado a occhio e non chiedo i documenti come un carabiniere. Simone, così magro, quasi ossuto, con quei folti ricci bruni. Simone, sempre che davvero si chiami così. Lo vedo ogni due settimane. Ormai è un rituale: entra, sorride, mi chiama per nome…con il mio vero nome, l’unico a cui l’ho detto.
La prima volta era così emozionato! Come se non fosse mai stato con una donna e forse davvero non c’era mai stato. Non riusciva nemmeno a guardarmi in faccia mentre mi allungava la busta con le banconote. I soldi in una busta, mai mi era successo! Mi ha persino chiesto con un filo di voce se doveva pagare prima o dopo. Mi ha fatto tenerezza a fronte dei tanti adulti frettolosi e irrispettosi che ho “conosciuto” in questi mesi.
Lui, Simone, la prima volta ho dovuto aiutarlo con la mano e con la bocca. Tremava quando l’ho fatto stendere sul letto e nuda sono salita sopra di lui. Gliel’ho preso in mano e l’ho fatto entrare dentro di me. Poi gli ho preso le mani e le ho appoggiate sui seni. E’ venuto quasi subito, con gli occhi chiusi e un sorriso nervoso. Sono andata in bagno a lavarmi e quando sono tornata in camera era già vestito, pronto ad andare. Gli ho accarezzato i capelli, puliti, profumavano di shampoo e di amore. Mi ha chiesto se poteva tornare!
Ricordo che in quel momento ho pensato di dover controllare meglio l’espressione del viso. Mi ha sorriso, ora più sicuro di sé. Mi ha detto che i soldi non erano un problema, padre e madre non glieli avevano mai lesinati “..anche se non pensano che li spenda così…”. Possibile che fosse così leggibile la domanda che subito mi ero fatta?
Dopo quella volta ce ne sono state altre, diverse. Non saprei dire quante. E mi sono ritrovata ogni volta ad aspettare con emozione crescente che Simone arrivasse, suonasse al citofono e salisse da me, portandomi quel sorriso timido e strafottente, quei suoi capelli sempre disordinati e quel profumo di shampoo e di amore. Posava la busta con il denaro sul piccolo tavolo vicino all’ingresso. La prima cosa che faceva, quasi di nascosto, come se fosse una cosa sbagliata. Era sempre il secondo, sempre l’ultimo, così da potergli dedicare più attenzione, senza fretta, senza dover sbirciare di nascosto l’orologio che a volte è fermo e a volte corre impazzito. Volevo andare via con il suo odore nel naso, il suo sapore in bocca, i suoi colori negli occhi.
Anche oggi è arrivato, puntuale come suo solito. Anche oggi è il secondo, l’ultimo. Si toglie di tasca la busta ma questa volta lo fermo, lo guardo negli occhi. Sorride, capisce e mi sembra felice. Come faccio dal nostro secondo incontro lo spoglio con movimenti studiati, lo guardo negli occhi con l’ombra di un sorriso a incresparmi le labbra. Lui è già pronto! L’eccitazione della meravigliosa gioventù. Gli ho insegnato a non avere fretta, a prendersi il tempo che ci vuole. Io sono come ho capito che lui mi vuole: nuda sotto la leggera vestaglia di seta. I capelli sciolti, gli occhi truccati e le labbra pulite. Un leggero profumo.
E’ più alto di me, con mani ormai sicure mi fa scivolare sulla pelle la seta leggera e mi guarda per un lungo momento. Mi emoziona il suo sguardo, non l’avrei mai creduto possibile. Mi accarezza il viso con mano gentile, poi prende tra due dita un capezzolo, lo stringe, mi mordo il labbro. Mi avvicino con la bocca al profumo dei suoi vent’anni e con la lingua disegno una strada sulla sua pelle. La mano tra i capelli mi guida nel viaggio, dalla gola al petto ancora scarno e lontano dalla maturità, mordo un capezzolo, geme, abbandono la dolce tortura. Mi chino a rendere onore all’addome teso e glabro, al piccolo ombelico, ai primi riccioli scuri.
In ginocchio contemplo il giovane membro eccitato. Lo sfioro con cura, lo bacio leggera, ne annuso il profumo, lenta la lingua lo accarezza. Poi, con cambio di ritmo, lo afferro alla base e scopro il glande già umido. Lo masturbo adagio e veloce, veloce e di nuovo adagio. Poi rallento, voglio che prenda il suo tempo, che non abbia fretta. Il suo respiro rallenta, diventa meno superficiale, l’addome non è più contratto. Simone si è preso il suo tempo. La mano tra i capelli ora mi guida verso il cazzo pulsante, lo bacio di nuovo, socchiudo le labbra e lo accolgo. Gioca la lingua sul glande bagnato, scivolano le labbra lungo l’asta fino a sfiorare con il naso il pelo umido e scuro del pube. Scivolo di nuovo fuori e lo spio mentre ancora mi riempie la bocca, mi toglie il respiro.
Lo sento al limite (“Prendi il tuo tempo, Simone, respira, aspetta.. Non è ancora il momento” gli sussurra in silenzio il mio pensiero). Lucido di saliva e rosso di sangue il suo cazzo quando lo libero dalla morbida prigione della mia bocca. Un ultimo bacio. Poi mi stendo sul letto e lo invito con la mano e con gli occhi. E’ così giovane il mio amante, così morbido quando si stende su me. Pelle sudata sulla mia pelle nuda. Eccolo, lo sento. Dentro di me. Le gambe incrociate sulla sua schiena lo imprigionano, senza possibile né cercata via di fuga dal mio nido bagnato.
Ma ora è tempo. Cresce il vigore delle sue spinte, accelera forte il respiro, dalla sua bocca un gemito rauco. Le mani sulla sua schiena, sulla sua nuca, in mezzo ai riccioli bruni. Un ultimo violento moto del suo bacino contro di me. La meraviglia triste di un piacere che finisce e che non vorresti mai sentir finire. Si lascia scivolare sul letto disfatto, sul lenzuolo sudato. Mi giro verso di lui, lo guardo, ha gli occhi chiusi e un sorriso gli apre le labbra. Accarezzo il suo addome teso, prendo tra le dita il suo cazzo bagnato e ora in riposo. Lo bacio un’ultima volta, lo pulisco con cura. E’ così giovane il mio amante che ora si leva e si veste con timida fretta.
Si volta verso di me, che nuda lo guardo dal letto. Si china a baciarmi un seno, tra le labbra un capezzolo soddisfatto. “Ora vado. Ti chiamo per la prossima volta?”. Con furia mi alzo dal letto, lo abbraccio, lo stringo, lo bacio. La mia bocca mangia la sua. E’ così giovane e bello il mio timido amante. Poi la porta si chiude sul suo sorriso.
Una doccia, mi rivesto, riordino un poco la camera per la prossima volta. Tra una settimana. Una volta alla settimana. Corro verso il mio Frecciarossa, verso casa. Dal finestrino del treno ancora una volta vedrò, senza vedere, il tempo che passa. L’inverno grigio e nebbioso che lascia il campo al verde brillante della primavera. Poi sarà estate, autunno e di nuovo inverno. Nei campi i contadini cominciano a dare il via alle annuali fatiche. Io torno verso le mie consuetudini.
Mi chiamo “Roberta” ma non è il mio nome. Diciamo che è solo un “nom de plume”.
scritto il
2025-04-21
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