La Villa. Centro Benessere

di
genere
etero

Da quasi un anno dirigo il Centro Benessere di un grande albergo di La Villa, in Alta Badia. Non vi dirò il nome dell’albergo, troppo famoso e troppo facile capire quindi chi sono. Diciamo che è letteralmente a due passi dall’arrivo della cabinovia e dell’incrocio di tutti gli impianti del comprensorio.
Sono quindi responsabile di una spa di grande richiamo per turisti e clienti sia durante la stagione dello sci che durante la stagione estiva. La proprietà mi ha dato fiducia fidandosi delle mie capacità organizzative e del mio carisma con il giovane personale alle prime armi e, soprattutto, con quello più esperto e che quindi si sente autorizzato a fare quello che ritiene più comodo per i suoi orari lavorativi.
Sono una donna in mezzo a molti uomini che prestano la loro attività nelle tante spa rinomate della zona. Lo dico anche con orgoglio perché sono ancora giovane come dimostra il mio fisico che, per ora, non dimostra i suoi 43 anni grazie ad anni di trattamenti e di continui allenamenti nelle palestre e nelle spa dove ho lavorato dopo essermi diplomata.
Sono felicemente sposata da oltre 10 anni con uno dei gestori della principale scuola di sci della cittadina e sono mamma di figli ormai adolescenti. Insomma, come molte donne, devo ogni giorno dimostrare la mia serietà professionale e la mia capacità di gestire il personale che tende quasi sempre a sottovalutare “una donna al comando”, soprattutto in un ambiente, come quello alberghiero, dove da sempre sono gli uomini a rivestire le posizioni di responsabilità.
E oggi, per l’ennesima volta, al mio arrivo di prima mattina nei locali della spa trovo un completo disordine. Ieri sono andata via un po’ prima per un impegno familiare e mi ero raccomandata di mettere tutto in ordine prima di chìudere tutto e di spegnere le luci, puntuali alle 23. Niente da fare. Se non ci sono io è sempre il caos: asciugamani, teli spugna, detergenti, oli profumati, accappatoi ovunque, come fosse tutta roba da buttare.
“Devo proprio parlare a muso duro con tutti, soprattutto con le ragazze responsabili del ricevimento e a cui spetta registrare gli ingressi e distribuire e ritirare i materiali d’uso della clientela. Non si può lasciare in questo casino il magazzino” penso con una furia che cresce dentro di me mentre cerco di mettere ordine tra teli di spugna ammucchiati senza tener conto di misure e colori. Gli accappatoi di spugna appoggiati sul medesimo scaffale senza considerare le taglie. I flaconi di oli profumati per i massaggi mescolati ai flaconi di doccia-schiuma.
Sono sempre più fuori di me, sono io la responsabile e quindi sono io a risponderne alla proprietà e alla direzione, soprattutto al Direttore sempre pronto a criticare il mio lavoro ben sapendo che il suo candidato era un cugino della moglie che ambiva al mio posto e che già lavorava (e ahimè lavora ancora qui!) come massaggiatore.
E’ ancora presto ma sento la porta del magazzino che si apre mentre in piedi sullo sgabello cerco di raggiungere il ripiano più in alto. Immagino che sia Clara, la più affidabile delle ragazze e che forse è arrivata presto per cercare di mettere ordine prima del mio arrivo e sperare così di risparmiarsi i rimproveri. “Meno male che è lei” penso dentro di me, ben sapendo che il mio camice è troppo corto e che mi sta appena appena.
Immagino lo spettacolo che devo offrire così arrampicata sullo sgabello e con le braccia tese verso l’alto. Mi rendo di sorridere perché, in realtà, la scelta di un camice così attillato l’ho fatta consapevolmente (si, una scelta un po’ da furbetta!) da quando ho notato che se la stoffa mi tira un pochino sul sedere e ancora di più sul seno la clientela, soprattutto maschile (ma non solo, a dire la verità), sembra più soddisfatta e curiosa dei servizi della zona benessere. So bene cosa si mette in testa certa gente, mica sono scema ma queste sono cose che non succedono in un grande albergo come questo, frequentato da persone e famiglie abbienti.
Quindi, quando la porta si apre e sento il passo leggero, mi preparo a scendere dallo sgabello per farmi sentire con la voce e il tono delle grandi sfuriate. Ma, impreviste e improvvise, due mani, forti, grandi, decise mi afferrano subito sotto i glutei scivolando sulla leggera tela del camice. Non è Clara! Non è Clara!!!!
“Aspetta, ti aiuto” una voce maschile. La riconosco, è quella di Massimo, per tutti Max, il parente del Direttore, quello che in effetti ha più anzianità di servizio nella spa e che, a detta del Direttore, avrebbe avuto più titolo per ricoprire il mio ruolo. Max ha 51 anni, sposato con una addetta alla reception dell’albergo, figlio di gente del posto, tre figli adolescenti.
E devo ammettere che è un bell’uomo, capelli folti e con le tempie brizzolate, alto, massiccio, due occhi neri che ti bruciano l’anima. Lui è consapevole di essere bello e se ne va in giro con fare arrogante e superbo. Sa di piacere alle donne e gli sguardi che manda a tutte quelle al di sotto dei 60 anni ne sono l’eloquente conferma. Credo che qualcuna delle ragazze sia stata, per così dire, “tra le sue braccia”. Di certo ci è stata Renata, una che è stata mandata via l’anno scorso, per intervento del Direttore, sollecitato dalla cugina addetta alla reception.
In effetti, se non fosse così odioso, non sarebbe indifferente nemmeno a me. Ma non sono il tipo da avventure, soprattutto con colleghi di lavoro o sottoposti. Non sono il tipo da “una botta e via”, proprio no. E poi da quando sono la responsabile sto ancora più attenta a non dare impressioni sbagliate. In ogni caso non può certo comportarsi così. Tutto questo mi passa come un lampo nel cervello mentre “Cosa fai!!??” gli urlo rabbiosa da sopra la spalla e cerco di girarmi.
Le sue mani non me lo permettono. Riesco solo a vedere per un istante il suo viso. Non sorride ora e non parla. Mi fissa con occhi che sembrano volermi strappare tutto di dosso. Sento un brivido percorrermi tutta la schiena, non so se di paura o di altro. Ho caldo e poi freddo. Il silenzio mi rimbomba nelle orecchie.
Quelle mani non mi lasciano, nonostante io cerchi in tutti i modi di liberarmi. Anzi, scivolano lente più su, verso i fianchi, alzando ancora un poco di più il camice. Se non avessi timore per quello che sta succedendo, se non fossi quasi paralizzata da una tempesta di sensazioni e di emozioni diverse ci sarebbe quasi da ridere: una situazione quasi da film commedia anni ’70, con me nella parte che avrebbero ricoperto la Fenech o la Antonelli.
Sono in piedi su uno sgabello con un camice che ormai è salito in vita rivelando il piccolo tanga bianco che ora fa bella mostra di sé davanti al viso di Max che ora tiene gli occhi incollati al mio sedere.
“Cosa fai, stronzo!!?? Vuoi che parli a tua moglie o lo dica in direzione?? Lasciami andare subito e vattene!” gli urlo di nuovo. Ma mi rendo conto che la voce suona insicura. Max non risponde. Con facilità mi solleva e mi mette a terra in piedi davanti a lui. E’ parecchio più alto di me, ora mi sovrasta e io mi sento indifesa, inerme e un po’ strana. Incazzata ma inerme.
Nel centro benessere a quest’ora non c’è ancora nessuno. La prima cliente è prenotata tra una mezzora abbondante. E anche le ragazze non arriveranno prima. ”Siamo soli. Adesso che faccio? Anche se mi metto a gridare non ci sente nessuno!” penso dentro di me. Cerco di dargli uno schiaffo, un pugno. Senza sforzo mi afferra il polso e lo inchioda agli scaffali dietro di me. Sento il morbido del cotone dei teli di spugna impilati. Le labbra di Max sul mio collo. Un brivido incontrollato quando sento la lingua correre sulla pelle.
“Cosa fai!!? Fermati! Può arrivare qualcuno” gli dico di nuovo. La voce ora trema. Sono schiacciata dal suo peso contro la scaffalatura, è dura, fa male alla schiena. Ma non importa quando sento il turgore del suo cazzo che spinge contro il mio ventre. Sono quasi certa che non riuscirò a fermarlo. Sono certa che non voglio fermarlo.
Le sue mani slacciano rapide e nervose i bottoni del camice. Il filo di una cucitura salta e sento il rumore del bottone che cade sul pavimento di marmo. Rimbalza un paio di volte con un piccolo suono poi si ferma: mi ritrovo a pensare che dopo dovrò cercarlo. Dopo??
Dopo!!
Con la mano libera afferra un seno ancora coperto dal reggiseno. Lo stringe con forza. Mi fa quasi male ma il cervello trasforma il dolore in attesa di altro. Un morso bagnato sulla spalla ora nuda. Abbassa le coppe di cotone leggero e in un attimo diventa padrone dei miei seni, gioca con i capezzoli che già rispondono al gioco e diventano piccoli chiodi. La mia mano costretta contro lo scaffale di legno ora è libera dalla sua.
“Perché smetti!!??” penso con rabbia e sconcerto quando la mano abbandona il seno esposto alla luce dei suoi occhi scuri e in fiamme. Cedo. Sto cedendo e la situazione mi eccita come non pensavo possibile.
E’ solo un attimo, poi lui afferra la mia mano e se la porta sul cazzo, che sento libero sotto il leggero tessuto del pantalone di cotone. Fingo una resistenza, breve, quasi solo accennata. Ora ho voglia di lui.
In pochi minuti la paura, la resistenza, la furia e la rabbia sono svanite. Quando lui abbandona la mia mano io la lascio dove l’ha portata. Le dita lo circondano il cazzo che stringo attraverso la stoffa bagnata… grosso, duro, caldo. Il camice scivola sul pavimento. Ora la sua mano accompagna la mia dentro il leggero tessuto del pantalone. Non indossa slip, subito le mie dita circondano la sua pelle bollente. Faccio scivolare il prepuzio a liberare il glande già umido del primo piacere, lo accarezzo con il pollice, ne saggio le dimensioni, lo sento vibrare, le vene già gonfie di sangue.
Lo immagino già dentro di me. Non credevo che fosse possibile, non pensavo che bastasse così poco per farmi perdere la testa. Solo sentire il suo desiderio, le sue mani e la bocca sulla mia pelle, sentire la sua voglia nella mia mano.
Comincio una lenta e continua masturbazione. Lui stacca la bocca dal collo, mi guarda con occhi che bruciano l’anima. Poi mi bacia, la lingua forza le labbra e comincia a giocare con la mia, lui sa di tabacco e di profumo maschile. Guardo l’orologio a muro. E’ ancora presto, abbiamo ancora un po’ di tempo. La prima cliente è prenotata tra poco meno di un’ora.
Slaccio il cordino che tiene allacciati in vita i suoi pantaloni. Cadono a terra, il suo cazzo ora libero è stretto nella mia mano, piccola. Non riesco nemmeno a cingerlo per intero. “Dio, come è grosso e duro!!”. Dalla gola esce un rauco mugolio che non trattengo.
Lui mi guarda e sorride. Non ha detto più nulla dopo quelle prime parole “Aspetta, ti aiuto”. La mano ora scende sul mio ventre, afferra il piccolo tanga, lo strappa e questo mi fa sciogliere del tutto, non riesco più a controllare il mio desiderio, la mia voglia di lui.
“Si, così… Fallo così, duro, violento, deciso. Abbiamo ancora tempo” dico in silenzio e ormai senza difesa.
Poi la mano si posa sulla mia spalla e mi spinge in ginocchio. Questo vuole ora. Sa di maschio, di voglia, di sudore e di urina. Quasi un conato quando entra profondo in bocca, scivola sulla lingua, tra i denti, fin quasi in gola. La punta del naso a sfiorare il suo ventre peloso. Con le mani afferro i glutei nudi e muscolosi, assecondo il ritmo che mi danno le spinte del suo bacino. Lo sento pulsare, non voglio che mi venga in gola.
Lo voglio dentro di me. Gli tolgo la mano che mi tiene sulla testa, la mano che mi afferra i capelli. Mi alzo, lo guardo. Con gli occhi gli dico di prendermi, di scoparmi come fossi la troia che sono in questo momento, la troia che non sapevo di essere.
Di nuovo ride. “Lo sapevo! Sapevo che volevi questo. L’ho capito appena ti ho vista entrare con quella faccia da santa dipinta e quell’aria arrogante. E invece sei una troia. Lo sa tuo marito che troia ha sposato?”
Poi mi solleva come fossi una piuma. Le gambe intorno ai suoi fianchi. E finalmente, con un solo colpo è dentro di me.
“Fai presto, abbiamo pochi minuti…” e questa volta la mia voce risuona tremante nel silenzio del magazzino.
Lui affonda deciso i suoi colpi. Mi incendio. Non sento più rumori o suoni, solo i brividi che corrono lungo la schiena, le sue contrazioni dentro di me. L’onda del piacere che sale, è bollente il suo sperma che mi riempie e poi cola lungo le cosce fino ai miei piedi. Gli mordo il collo. Lui mi blocca la testa, poi mi bacia di nuovo. Nell’aria ferma del piccolo locale c’è odore di sudore e profumo di nostri piaceri.
Il campanello della reception. “Non c’è nessuno?” una voce di donna, la cliente. IL tempo è volato.
Lui ride in silenzio. Scivola fuori di me. Si inginocchia, mi lecca e mi bacia in mezzo alle cosce. Mi porge il camice stropicciato che giace ai miei piedi. Lo indosso, lo abbottono in fretta, manca un bottone all’altezza del seno. Esco dal magazzino.
So di avere un aspetto strano, so che si vede che sotto il camice non ho nulla. La cliente mi aspetta guardandosi in giro nervosa. Mi fissa incuriosita, forse qualcosa ha capito, forse più di qualcosa.
“Buongiorno, signora Scotti. Scusi il ritardo, il massaggiatore arriva subito, si accomodi intanto di là in sala 1”.
La signora mi fissa perplessa e poi, sculettando sotto il morbido accappatoio di spugna, si avvia verso la zona massaggi.
Subito dopo dal magazzino esce Max, un poco sudato, spettinato, un segno rosso sul collo, i miei denti. I pantaloni allacciati di nuovo in vita e tenuti su dal cordino. Sotto si muove libero da costrizioni quel cazzo che mi ha dato brividi intensi e inattesi. L’erezione non ancora del tutto scomparsa. Lui mi passa vicino, mi sorride senza curarsi del pantalone bagnato all’altezza del glande. Mi guarda con occhi lascivi e si avvia verso la zona massaggi. La signora Scotti lo aspetta.
scritto il
2024-11-16
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