Chiara

di
genere
saffico

Notte.
Francesca ha gli occhi spalancati sul soffitto bianco. Pesante, sopra di lei, suo marito la sta scopando con il consueto rituale. Tra poco lui godrà, lo sente dal rantoloso respiro via via più frequente e rumoroso. Poi uscirà fuori da lei lasciandosi scivolare, sudato, al suo fianco e aspettando che lei lo pulisca con la bocca e la lingua prima di girarsi su un fianco brontolando il solito “Ma sei venuta anche tu?” e addormentarsi in pochi istanti.
Francesca, come quasi sempre, non ha goduto affatto, nemmeno ci è arrivata vicina.
E ora, nuda e inappagata, rimane fuori dalle coperte a fissare il soffitto in un continuo dormiveglia fino alle prime luci dell’alba.
Ripensa al mattino. Si sentiva stupida, non sapeva bene che fare. Dentro di sè era ben conscia che non doveva fare quella telefonata ma era anche certa che l’avrebbe fatta.
Da alcuni giorni aveva il numero di Chiara, la giovane donna che da alcuni mesi riempiva le sue giornate e le notti, talvolta e sempre più spesso passate sveglia, guardando il soffitto senza vederlo e al fianco del profondo e roco respiro di un uomo che forse un tempo aveva amato.
Sul bianco riquadro sopra di lei in quelle notti, una dopo l’altra, aveva imparato a disegnare il viso di Chiara di cui non aveva mai nemmeno visto una fotografia. Ricorreva ai pochi dettagli che aveva memorizzato e che lei le aveva fornito. Il cielo azzurro degli occhi, il castano chiaro dei capelli, l’acconciatura irriverente e un po’ disordinata, il diritto profilo del naso, il taglio delle labbra sottili, spesso serrate e solo talvolta dischiuse sul bianco nitore dei denti.
Notte dopo notte il disegno si era andato perfezionando, soprattutto nelle ore che precedono l’alba, in quelle ore in cui la città trovava pace dall’aggressione feroce del traffico e il soffitto non era più percorso da riflessi di fari che inseguendosi senza tregua apparente disturbavano le linee tracciate dalla sua fantasia a occhi aperti…
Disegnava con i pochi elementi di cui disponeva, disturbata dal leggero russare del corpo al suo fianco. A volte coperto da uno stropicciato pigiama, a volte nudo, come si addormentava dopo la scopata di rito, il cazzo molle e lucido di saliva e di sperma seccato.
Disegnava un longilineo corpo magro. I seni, i chiari capezzoli. Le lunghe cosce allenate, le morbide braccia distese e aperte in un silenzioso invito. L’addome piatto coronato dal tenero e dolce ombelico da colmare di baci. Il pube, il pube liscio e nudo che lasciava indovinare le labbra già gonfie e umide per l’atteso piacere. Chiara, la sua Chiara, l’impossibile e improbabile presenza che le riempiva da mesi il cuore e il corpo, donandole inattesi e solitari piaceri da tempo quasi dimenticati.
Con il cuore al galoppo, quasi ogni notte, Francesca ridisegnava il giovane corpo. Lasciava passare le ore aggiungendo nuovi e inebrianti particolari. Un incisivo scheggiato, un piccolo neo, una minuscola voglia, la rosea lingua che accarezzava lenta il labbro, i piedi magri, le dita nervose…
Poi, improvvisa e inattesa, Chiara le aveva inviato per mail il suo numero di telefono accompagnato da poche parole “Chiama quando sei libera e sola”.
Si era spaventata, Francesca. Temeva di inoltrarsi in terreni ancor più sconosciuti. Ma poi aveva deciso che era tempo. Quel mattino, quando era più sicura della sua solitudine, con un dito tremante aveva composto quel numero. Una prima volta aveva subito chiuso, prima ancora che il telefono desse il segnale di chiamata in uscita. Era andata in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Poi, di nuovo, si era decisa, aveva richiamate e atteso la risposta. Pochi istanti, una voce un po’ roca.
Una voce un po’ roca ma per questo ancor più sensuale. Una voce umida, calda, di gola. Francesca aveva chiuso gli occhi e immaginato le labbra di Chiara che si muovevano mentre parlava, la lingua che sfiorava le labbra, gli occhi che guardavano una casa a lei sconosciuta.
Lentamente, le parole furono meno difficili. Le voci più soffici e tiepide. Ricordi comuni di mail inviate, sensazioni vissute dopo una frase scritta o letta.
“Dove sei?” le aveva chiesto Chiara a un tratto. “Sono su una poltrona in salotto. E tu dove sei?” aveva risposto Francesca.
“Io sono a letto, credevo fossi a letto anche tu! Lo speravo…” “No, non sono a letto, ma sono sola e sono con te, finalmente”.
Le parole erano diventate ancora più leggere, come colorate farfalle che dal microfono entravano in gola e scendevano giù nella pancia a danzare impazzite. Parole leggere, voci sempre più morbide e calde, sospiri umidi per l’emozione e l’eccitazione nascente.
Brevi silenzi pieni di parole inespresse. Il respiro di Chiara nell’orecchio sudato. Le labbra a sfiorare il microfono per essere ancora più vicina, come a posarsi sulle quelle labbra così desiderate.
Stava accadendo quello che aveva temuto, sperato, desiderato, odiato. Quello che aveva saputo da subito, dal primo momento, dal primo contatto. Quello che era diventato certezza nel momento in cui dal telefono era uscita il suono, la melodia eccitante della voce di lei.
La mano di Francesca già da qualche minuto aveva slacciato il bottone del morbido jeans e abbassato la lucida cerniera ramata. Inesistente era stato il confine del piccolo slip umido già scivolato in mezzo alle labbra del suo desiderio. Le dita avevano cercato il loro nido che le aveva accolte e subito imprigionate. Erano le dita di Chiara che si muovevano in lei al ritmo dei suoi sospiri, le labbra di Chiara che stringevano il bocciolo odoroso.
“Cosa fai?” le aveva chiesto. “Lo sai, non chiedere. Fammi sentire il tuo respiro”.
Francesca aveva spiato i sospiri di Chiara, il suo desiderio non più trattenuto, la voce calda e lontana che chiamava il suo nome, il piacere che esplodeva nel cervello e nel corpo senza nessun freno e limite. L’aveva accompagnata nel viaggio percorrendo la medesima strada e giungendo con lei, nello stesso momento, al solitario punto d’arrivo.
Quando aveva ripreso coscienza si era scoperta quasi nuda, le dita abbandonate dentro di sè e il pollice che accarezzava lento e instancabile il pube sudato. I capezzoli le facevano quasi male tanto erano duri e spingevano contro la stoffa della camicia.
Nell’orecchio sentiva ancora il respiro, ora quasi quieto, di Chiara. Poi, inatteso come era cominciato, tutto era finito. In un sussurro Chiara le aveva detto “Ti amo” e aveva chiuso la telefonata senza attendere la sua risposta.
Francesca era rimasta così, nuda e tremante, fino a quando si era resa conto dell’ora e che era tempo di riprendersi e tornare alla vita vissuta ogni giorno, ben sapendo che non sarebbe stata più la stessa.
Ora, nel chiarore del primo mattino, Francesca ritorna con la mente a quella telefonata, alla voce di lei, ai suoi sospiri. E la mano scende lenta in mezzo alle tiepide cosce, le dita scivolano tra le labbra dischiuse a cercare il bocciolo eccitato e bagnato di miele. Basta un attimo, pochi secondi. Facilmente Francesca supera il confine labile che la separa dal piacere cercato. Un lungo e silenzioso sospiro, la schiena si inarca, un infinito tremito la scuote. Gli occhi si chiudono sullo schermo bianco dove Chiara ora sorride.
scritto il
2024-07-26
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