Mirela, tacchi e piedi - cap.1 (l'approccio)
di
FrancoT
genere
feticismo
Mirela aveva l'ufficio davanti al mio. Non sapevo di cosa si occupasse e nemmeno mi preoccupava la questione perché la odiavo profondamente. Lei e la sua aria di superiorità. Quel suo modo in cui osservava il resto del mondo dal suo piedistallo. Non era una donna bellissima. Non era certamente brutta, aveva un bel fisico ma non era certamente un tipo da lasciare a bocca aperta. Certo, era la donna più bella nel raggio di duecento metri, ma questo non la autorizzava ad avere quel tipo di atteggiamento. Era nata all'estero, emigrata in Italia da molti anni, sposata e con almeno un paio di figli. Questo era ciò che sapevo sul suo conto. Aveva i capelli mossi castano scuri, non era né magra né grassa e dava l'impressione di curare il proprio corpo con attenzione. Io immaginavo che dedicasse almeno quattro ore la settimana alla palestra, forse correva o faceva yoga, non saprei.
Era femmina. Femmina nel senso completo del termine. Sapeva essere sexy anche con un paio di pantaloni neri e dei decolleté senza calze. In tanti anni, non l'avevo mai vista una volta senza tacchi, alti o bassi che fossero. Non eccedeva nel trucco ed aveva delle mani estremamente curate. Le unghie sempre smaltate di rosso ed i capelli quasi sempre sciolti.
Spesso ci incrociavamo in un bar della zona in orario caffè. A metà mattinata o nel primo pomeriggio, ignorandoci a vicenda. Non ci eravamo mai salutati ed ero quasi certo che ella provasse per me lo stesso odio che io avevo per lei.
Molto spesso parcheggiavamo le auto vicine, ma neppure in quel caso scambiavamo saluti. In un paio di occasioni l'avevo incrociata anche con il marito, decisamente un bell'uomo a sua volta. Davano l'impressione di essere una coppia molto unita.
Quando Mirela quel pomeriggio di novembre parcheggiò la sua auto a fianco della mia, entrando con il suo parafango anteriore direttamente nel bel mezzo della mia portiera, non pensai che di lì a brevissimo avremmo parlato più che nei precedenti otto anni.
Ero appena salito in macchina ed ero in attesa di concludere una telefonata, prima di poter partire, quando udii un botto incredibile e la mia auto fu completamente scossa. Feci appena in tempo a chiedermi “che cazzo succedeva” quando, voltandomi a sinistra, vidi l'auto di Mirela completamente contro al mio Mercedes quasi nuovo. Alzai lo sguardo e la vidi stupefatta, al volante, con la bocca aperta. Non nascondo che la prima cosa che pensai fu che adesso sarebbe stata costretta a parlarmi. Io ero immobilizzato nel veicolo. La vidi scendere, girare attorno alla sua auto, constatare velocemente i danni con uno sguardo veloce, per poi chiedermi:”Tutto a posto?”.
“Beh, non direi”, le risposi con aria seccata, dal finestrino che era già precedentemente abbassato e che avevo quindi sentito andare in frantumi.
“Non l'ho fatto apposta!”.
“Lo spero proprio!”.
“Ce la fa ad uscire?”.
“Da questo lato direi proprio di no”, le risposi.
Questa cosa di darsi del lei e di voler quindi mantenere un distacco, suonava piuttosto ridicola visto che entrambi avevamo da poco compiuto quarant'anni.
Scesi dal lato opposto, trovandola già lì ad aspettarmi.
“Sono mortificata”, mi disse.
“Cose che capitano”, risposi con aria sarcastica pensando già alla constatazione amichevole.
“Cosa intende?”, mi chiese quasi stizzita.
“Cosa intendo, cosa?”.
“Con cose che capitano.... Spero non si riferisca al classico caso della donna al volante”.
“Assolutamente no. Non mi metta in bocca parole non mie. Mi riferisco alla disattenzione. Può capitare a tutti ed a lei è capitato oggi. Comunque piacere, io sono Franco”, le risposi e poi allungai la mano verso di lei.
“So benissimo chi è lei”, mi rispose a sua volta allungando la mano e stringendola con un leggero sorriso “Comunque io sono Mirela”.
La sua mano era liscissima ed il suo profumo fresco ed eccitante. Sapeva di patchouli misto a mandorla, qualcosa che non avevo mai sentito.
La aiutai a spostare l'auto e le proposi un caffé che accettò nonostante l'impressione che ne ebbi fu che non fosse d'accordo. Lo avevo notato fin da subito, quel giorno indossava una gonna nera con delle scarpe blu e delle calze nere. Un giubbotto color panna impediva di vedere cosa indossasse sotto. Nel corso del caffè, che prendemmo rigorosamente in piedi, notai che sotto al giubbotto indossava una camicetta nera, chiusa fino al collo.
Pagai io nonostante ella tentò di estrarre il portafogli dalla borsetta e ci accordammo per incontrarci il giorno successivo presso il suo ufficio. Nel corso del caffè parlammo del più e del meno e scoprii che ella si occupava di finanziamenti e di gestione di società. Mi disse che sapeva già cosa facessi io e non dimostrò molta simpatia nei miei confronti.
Quando al mattino successivo arrivai al suo ufficio, incrociai il marito che era appena uscito. Non mi degnò di uno sguardo, salì sulla propria auto e se ne andò. Suonai il campanello ed ella mi venne ad aprire, aspettandomi in cima ai sette o otto scalini che dovevo salire per arrivare alla sua porta. Non potei non notare le sue scarpe nere, piuttosto alte, con l'oblò davanti dal quale uscivano due delle sue dita, le calze nere e le sue gambe magre fino al ginocchio, parzialmente nascosto da una gonna stretta. Indossava una dolcevita bianca ed i capelli erano sciolti sulle spalle.
Era sola. Mi fece accomodare davanti alla sua scrivania e mi porse un modulo per la constatazione amichevole, già compilato nella sua parte,
Non fu simpatica e nemmeno accogliente.
“Io l'ho già compilato così non le facevo perdere tempo”, mi disse. Notai che non era passata al tu.
“Possiamo darci del tu?”, le chiesi.
“Preferirei di no”, mi rispose stupendomi e facendomi maledire per la mia proposta.
“Però va bene, dai. Proposta accettata”, aggiunse un attimo dopo, sorridendo per la prima volta.
Era altezzosa e dava l'impressione di essere lei a voler gestire la situazione. Compilai il mio modulo e ci arenammo sul disegnino a fare per rendere più chiaro il sinistro. Ella lo interpretava a suo modo, io in quello opposto. Nella sua metà di constatazione aveva già barrato la casella in cui sosteneva di urtare un veicolo fermo, ma sul disegno non ne volle sapere. Poiché lo avevo già rappresentato, le disse cercando di essere paziente, che avremmo dovuto ricompilare il formulario da capo, ma ella non ne volle sapere. Io insistetti.
Fu quando lei disse che non aveva alcuna intenzione di farsi mettere sotto su questa cosa che io decisi di provocarla e le dissi:”E su quali invece lo faresti?!?!”.
Fu quella domanda a cambiare il verso della nostra giornata. Era strano come una semplice conversazione poteva far deviare delle persone dalla loro tranquilla vita quotidiana. Mirela si era appena appoggiata all'indietro sullo schienale ed aveva accavallato le gambe in un modo molto sensuale. Mi guardava fisso, quasi scrutandomi mentre decideva quale sarebbe stata la mossa giusta da fare. Era decisa a mantenere la propria posizione riguardo allo schemino, ma quella domanda ruppe in lei qualcosa. Lo vidi dalla sua espressione, dalle sue gote che si arrossarono leggermente e dalla sua lingua che, prima di parlare, si umettò le labbra.
Aprì un cassetto con la mano destra e ne estrasse un nuovo modulo di constatazione. Me lo porse, con la solita aria scocciata e mi disse:”Adesso fai il disegno come voglio io!”.
“Altrimenti?”, le chiese provocandola ma sapendo di aver colpito nel segno.
“Dalla tua domanda precedente penso sia meglio che tu segua il mio consiglio”, mi rispose con un sorriso malizioso.
Lo feci in un attimo, mentre ella si alzò e venne dal mio lato della scrivania. Percepii il suo profumo e sentii la sua presenza, alla mia sinistra. Poggiò la sua mano sulla mia spalla e poi risalì lentamente carezzandomi la nuca. Infine si piegò leggermente in avanti per osservare il mio disegno che avevo eseguito perfettamente, come da lei richiesto.
“Bravo. Hai fatto la scelta giusta”, mi disse passando lentamente le dita tra i miei capelli che a quel tempo tenevo lunghi sopra le orecchie. Abbassai lo sguardo ed osservai i suoi piedi e le sue scarpe, provando immediatamente il desiderio di possederla.
“Grazie”, risposi e poi aggiunsi “E complimenti anche te per le scarpe, sai sempre scegliere dei bellissimi modelli”.
“Ti piacciono?” mi chiese puntando il tacco destro nel tappeto e roteando poi il piede.
“Altroché”, le risposi.
“Anche tu mi piaci”, mi disse spiazzandomi leggermente “però non mi sei simpatico”.
“Nemmeno tu lo sei”, le risposi. Poi allungai la mano sinistra infilandola tra le sue gambe, alla altezza del ginocchio. Lei era ancora alzata vicino a me ed io seduto sulla sedia. Lentamente risalii lungo il suo interno coscia. Era calda, liscia e tonica. Lentamente, senza che lei facesse alcuna opposizione, superai l'elastico della autoreggente e scoprii la sua pelle liscia. Da lì raggiunsi il pizzo del suo slip sotto al quale percepii la presenza del suo pelo pubico.
“Lo so. Me lo dicono in molti”, mi rispose lasciandomi fare “ma in queste cose non c'è alcun bisogno della simpatia”.
Allargò leggermente i piedi e la gonna le si sollevò un poco.
Da quel momento la cosa assunse un ritmo incredibile.
Un attimo dopo mi alzai dalla sedia e ci baciammo. Per la prima volta percepii il suo sapore e scoprii di averla desiderata, nonostante la avessi odiata, da diverso tempo. La sua bocca era morbida e delicata, a differenza del suo modo di essere. La feci salire sulla scrivania ed ella comprese immediatamente cosa volessi. Si sollevò la gonna senza che le chiedessi nulla e poggiò i tacchi sul piano di legno massiccio. Presi i suoi slip per l'elastico e glieli sfilai scoprendo il suo pelo bruno e folto.
Non ci fu bisogno che ella mi dicesse di leccarla. Affondai subito il volto tra le sue cosce e percepii l'eccitazione del momento che stava conquistando anche lei. La costrinsi a divaricare le gambe poggiando le mani sulle sue toniche cosce e e lei mi lasciò fare, aprendosi immediatamente grazie alla mia azione ed alla mia lingua che si dedicò per almeno un quarto d'ora totalmente al suo sesso ed al suo piacere.
Venne una prima volta e nonostante avessi voluto che ella mi restituisse in qualche modo il favore, decisi di abbassarmi i pantaloni e di possederla subito. Non ci fu bisogno di aiuto, quando abbassai i pantaloni ero già pronto per penetrarla.
“Mettimi sotto, ti prego”, mi disse.
Allora la tirai vicino al bordo della scrivania e poggiai il mio membro contro al suo sesso. Entrai nel suo corpo con facilità e semplicità. La scoprii calda ed accogliente, morbida e vellutata. Sollevò leggermente le gambe per favorire la mia azione e mi chiese di spingere più forte. Lo feci subito, senza esitare. Mi sentivo un treno ed ebbi la netta sensazione che ad ella piacesse un sacco. Aprì al massimo le gambe, tenendole divaricate ed io la aiutai a sostenerle prendendole le caviglie.
In un istante mi chiesi quanto potesse cambiare la vita parcheggiare in uno spazio piuttosto che in un altro.
Scoprii che sessualmente era un tipo completamente diverso da quello che avevo immaginato. Calda, vogliosa ed estremamente esigente. Non era una a cui piaceva subire l'azione, ma le piaceva essere complice ed attrice in prima persona.
Quando venne una seconda volta, si sfilò il dolcevita bianco ed il reggiseno che indossava sotto ad essa. I suoi seni non erano né grossi né piccoli, ma erano certamente rifatti. Li presi tra le mani e li strinsi, senza smettere di penetrarla.
“Ehi, vacci piano. Mi sono costate uno sproposito!”, mi disse.
“Ok, non ti preoccupare. Bel lavoro comunque!!!”.
“Trasferiamoci sul divanetto, dai, saremo più comodi”, mi disse. La aiutai a scendere dalla scrivania e ci spostammo sul divanetto rosso che era posizionato su una delle pareti laterali. La osservai mentre ci spostammo e non potei fare a meno di notare il suo fisico quasi perfetto. Era davvero in ottima forma a differenza di me che avevo tre o quattro chili di troppo.
“Non temi che torni tuo marito?”.
“No. So dove andava e non tornerà certamente in fretta. Non arriverà nessuno, non temere”, mi rispose ella mentre si inginocchiò sul divano facendomi capire di prenderla dal dietro. Mi posizionai dietro di lei e le poggiai le mani sui fianchi, Entrarle dentro fu semplice. La sua fica sembrava di burro e mi sentii quasi risucchiare. Mirela indossava solo le autoreggenti nere, le scarpe e la gonna arrotolata in vita, nient'altro. Notai le sue tette che sballonzolavano ad ogni colpo che le davo.
Sentii l'orgasmo avvicinarsi, ma riuscii a tenere duro. Non volevo che finisse troppo presto e non ero assolutamente certo di riuscire a bissare. Nemmeno ero certo che mi sarebbe stata concessa una replica, quindi andai con la mente a cose poco eccitanti e riuscii ad allontanare il mio momento di godimento.
Le tenevo le mani ben salde sui fianchi ed ella teneva a sua volta le mani sullo schienale del divanetto.
Quando uscii un attimo per rallentare l'azione, ella mi disse di sedermi sul divano.
“Voglio sedermi io sopra di te, adesso...”, mi disse dopo essersi sfilata la gonna, mentre si accingeva a togliersi le scarpe.
“Non toglierle, ti prego....”, le dissi.
“Perché?”, mi chiese incuriosita fermandosi con le mani sui fianchi.
“Amo le scarpe ed i tacchi”, risposi semplicemente.
“Oh, oh, oh....”, mi disse Mirela con aria a metà tra il sarcastico e l'ironico “Ho finalmente incontrato nella mia vita un feticista!”.
“Abbastanza”, le risposi io sedendomi sul divano, il cazzo già pronto per lei.
“Sei uno di quelli che si eccita guardando scarpe e piedi?”.
“Sì”, le risposi mentre ella venne verso di me.
“Di quelli a cui piace essere calpestato dai tacchi”.
“No, quello no. Niente sadomaso o fetish, solo amore per scarpe, calze e piedi”.
“E queste ti piacciono?”.
“Altrochè!”, le risposi.
“E le altre che metto negli altri giorni?”.
“Anche quelle ovviamente”, le risposi con sincerità-
“Quindi mi osservi? Noti cosa indosso?”, mi chiese salendo a cavalcioni sopra di me e sistemandosi in modo che il cazzo le entrasse direttamente.
“Noto tutte le scarpe delle donne e le tue in particolare”.
“Fantastico. Mmmhhh....mmmhh....”, mugugnò ella abbassandosi in modo che il mio membro entrasse completamente dentro al suo corpo. Io le poggiai le mani sui fianchi ed ella sulle mie spalle. Le sue tette erano davanti ai miei occhi e ne approfittai per mordicchiarle leggermente un capezzolo.
“Ti eccitano le mie scarpe quando mi vedi passare? Mi guardi? Gli presti attenzione?”.
“Anche i tuoi piedi”.
“Mmmhhh.....fantastico! Ti farò morire da qui in avanti, lo sai?”.
“No, ma lo accetto”, le risposi con candida sincerità, lasciando a lei la gestione del ritmo della scopata. Si alzava ed abbassava a suo piacimento, muovendo il bacino alla ricerca di un piacere sempre più completo e pieno. Talvolta si muoveva avanti ed indietro, sfregando il clitoride contro al mio corpo, ma per la maggior parte del tempo faceva su e giù.
“Quindi mi stai dicendo che ho trovato due piccioni con una fava?”, mi chiese.
“In che senso?”.
“Uno che mi adora e mi osserva e l'altro che mi scopa”, mi rispose.
“Se tu lo vorrai, sarà così”.
“Adesso sto per venire. Ci penserò e ti si saprò dire”, mi disse. Non aggiunse altro e qualche secondo dopo proruppe in un orgasmo incredibilmente forte e lungo. Aveva incrementato il ritmo, poi si era abbassata al massimo mentre io mi ero spinto totalmente dentro di lei. A quel punto si era fermata ed il suo corpo era stato percorso da una vibrazione incredibile. Aveva sussultato ed una scarpa, la destra, le era caduta a terra mentre l'autoreggente sinistra le si era leggermente abbassata.
“Godo, godo!”, le dissi a quel punto sentendo che era giunto anche il mio momento.
“Stai dentro, ti prego. Stai dentro e riempimi”.
E così feci, senza preoccuparmi delle conseguenze dalle quali, evidentemente, doveva essersi già tutelata lei.
Mi sentii esplodere e percepii il mio caldo sperma riempirle la fica.
A quel punto ella mi strinse a sé ed io affondai la testa, esausto, tra i suoi seni.
Era femmina. Femmina nel senso completo del termine. Sapeva essere sexy anche con un paio di pantaloni neri e dei decolleté senza calze. In tanti anni, non l'avevo mai vista una volta senza tacchi, alti o bassi che fossero. Non eccedeva nel trucco ed aveva delle mani estremamente curate. Le unghie sempre smaltate di rosso ed i capelli quasi sempre sciolti.
Spesso ci incrociavamo in un bar della zona in orario caffè. A metà mattinata o nel primo pomeriggio, ignorandoci a vicenda. Non ci eravamo mai salutati ed ero quasi certo che ella provasse per me lo stesso odio che io avevo per lei.
Molto spesso parcheggiavamo le auto vicine, ma neppure in quel caso scambiavamo saluti. In un paio di occasioni l'avevo incrociata anche con il marito, decisamente un bell'uomo a sua volta. Davano l'impressione di essere una coppia molto unita.
Quando Mirela quel pomeriggio di novembre parcheggiò la sua auto a fianco della mia, entrando con il suo parafango anteriore direttamente nel bel mezzo della mia portiera, non pensai che di lì a brevissimo avremmo parlato più che nei precedenti otto anni.
Ero appena salito in macchina ed ero in attesa di concludere una telefonata, prima di poter partire, quando udii un botto incredibile e la mia auto fu completamente scossa. Feci appena in tempo a chiedermi “che cazzo succedeva” quando, voltandomi a sinistra, vidi l'auto di Mirela completamente contro al mio Mercedes quasi nuovo. Alzai lo sguardo e la vidi stupefatta, al volante, con la bocca aperta. Non nascondo che la prima cosa che pensai fu che adesso sarebbe stata costretta a parlarmi. Io ero immobilizzato nel veicolo. La vidi scendere, girare attorno alla sua auto, constatare velocemente i danni con uno sguardo veloce, per poi chiedermi:”Tutto a posto?”.
“Beh, non direi”, le risposi con aria seccata, dal finestrino che era già precedentemente abbassato e che avevo quindi sentito andare in frantumi.
“Non l'ho fatto apposta!”.
“Lo spero proprio!”.
“Ce la fa ad uscire?”.
“Da questo lato direi proprio di no”, le risposi.
Questa cosa di darsi del lei e di voler quindi mantenere un distacco, suonava piuttosto ridicola visto che entrambi avevamo da poco compiuto quarant'anni.
Scesi dal lato opposto, trovandola già lì ad aspettarmi.
“Sono mortificata”, mi disse.
“Cose che capitano”, risposi con aria sarcastica pensando già alla constatazione amichevole.
“Cosa intende?”, mi chiese quasi stizzita.
“Cosa intendo, cosa?”.
“Con cose che capitano.... Spero non si riferisca al classico caso della donna al volante”.
“Assolutamente no. Non mi metta in bocca parole non mie. Mi riferisco alla disattenzione. Può capitare a tutti ed a lei è capitato oggi. Comunque piacere, io sono Franco”, le risposi e poi allungai la mano verso di lei.
“So benissimo chi è lei”, mi rispose a sua volta allungando la mano e stringendola con un leggero sorriso “Comunque io sono Mirela”.
La sua mano era liscissima ed il suo profumo fresco ed eccitante. Sapeva di patchouli misto a mandorla, qualcosa che non avevo mai sentito.
La aiutai a spostare l'auto e le proposi un caffé che accettò nonostante l'impressione che ne ebbi fu che non fosse d'accordo. Lo avevo notato fin da subito, quel giorno indossava una gonna nera con delle scarpe blu e delle calze nere. Un giubbotto color panna impediva di vedere cosa indossasse sotto. Nel corso del caffè, che prendemmo rigorosamente in piedi, notai che sotto al giubbotto indossava una camicetta nera, chiusa fino al collo.
Pagai io nonostante ella tentò di estrarre il portafogli dalla borsetta e ci accordammo per incontrarci il giorno successivo presso il suo ufficio. Nel corso del caffè parlammo del più e del meno e scoprii che ella si occupava di finanziamenti e di gestione di società. Mi disse che sapeva già cosa facessi io e non dimostrò molta simpatia nei miei confronti.
Quando al mattino successivo arrivai al suo ufficio, incrociai il marito che era appena uscito. Non mi degnò di uno sguardo, salì sulla propria auto e se ne andò. Suonai il campanello ed ella mi venne ad aprire, aspettandomi in cima ai sette o otto scalini che dovevo salire per arrivare alla sua porta. Non potei non notare le sue scarpe nere, piuttosto alte, con l'oblò davanti dal quale uscivano due delle sue dita, le calze nere e le sue gambe magre fino al ginocchio, parzialmente nascosto da una gonna stretta. Indossava una dolcevita bianca ed i capelli erano sciolti sulle spalle.
Era sola. Mi fece accomodare davanti alla sua scrivania e mi porse un modulo per la constatazione amichevole, già compilato nella sua parte,
Non fu simpatica e nemmeno accogliente.
“Io l'ho già compilato così non le facevo perdere tempo”, mi disse. Notai che non era passata al tu.
“Possiamo darci del tu?”, le chiesi.
“Preferirei di no”, mi rispose stupendomi e facendomi maledire per la mia proposta.
“Però va bene, dai. Proposta accettata”, aggiunse un attimo dopo, sorridendo per la prima volta.
Era altezzosa e dava l'impressione di essere lei a voler gestire la situazione. Compilai il mio modulo e ci arenammo sul disegnino a fare per rendere più chiaro il sinistro. Ella lo interpretava a suo modo, io in quello opposto. Nella sua metà di constatazione aveva già barrato la casella in cui sosteneva di urtare un veicolo fermo, ma sul disegno non ne volle sapere. Poiché lo avevo già rappresentato, le disse cercando di essere paziente, che avremmo dovuto ricompilare il formulario da capo, ma ella non ne volle sapere. Io insistetti.
Fu quando lei disse che non aveva alcuna intenzione di farsi mettere sotto su questa cosa che io decisi di provocarla e le dissi:”E su quali invece lo faresti?!?!”.
Fu quella domanda a cambiare il verso della nostra giornata. Era strano come una semplice conversazione poteva far deviare delle persone dalla loro tranquilla vita quotidiana. Mirela si era appena appoggiata all'indietro sullo schienale ed aveva accavallato le gambe in un modo molto sensuale. Mi guardava fisso, quasi scrutandomi mentre decideva quale sarebbe stata la mossa giusta da fare. Era decisa a mantenere la propria posizione riguardo allo schemino, ma quella domanda ruppe in lei qualcosa. Lo vidi dalla sua espressione, dalle sue gote che si arrossarono leggermente e dalla sua lingua che, prima di parlare, si umettò le labbra.
Aprì un cassetto con la mano destra e ne estrasse un nuovo modulo di constatazione. Me lo porse, con la solita aria scocciata e mi disse:”Adesso fai il disegno come voglio io!”.
“Altrimenti?”, le chiese provocandola ma sapendo di aver colpito nel segno.
“Dalla tua domanda precedente penso sia meglio che tu segua il mio consiglio”, mi rispose con un sorriso malizioso.
Lo feci in un attimo, mentre ella si alzò e venne dal mio lato della scrivania. Percepii il suo profumo e sentii la sua presenza, alla mia sinistra. Poggiò la sua mano sulla mia spalla e poi risalì lentamente carezzandomi la nuca. Infine si piegò leggermente in avanti per osservare il mio disegno che avevo eseguito perfettamente, come da lei richiesto.
“Bravo. Hai fatto la scelta giusta”, mi disse passando lentamente le dita tra i miei capelli che a quel tempo tenevo lunghi sopra le orecchie. Abbassai lo sguardo ed osservai i suoi piedi e le sue scarpe, provando immediatamente il desiderio di possederla.
“Grazie”, risposi e poi aggiunsi “E complimenti anche te per le scarpe, sai sempre scegliere dei bellissimi modelli”.
“Ti piacciono?” mi chiese puntando il tacco destro nel tappeto e roteando poi il piede.
“Altroché”, le risposi.
“Anche tu mi piaci”, mi disse spiazzandomi leggermente “però non mi sei simpatico”.
“Nemmeno tu lo sei”, le risposi. Poi allungai la mano sinistra infilandola tra le sue gambe, alla altezza del ginocchio. Lei era ancora alzata vicino a me ed io seduto sulla sedia. Lentamente risalii lungo il suo interno coscia. Era calda, liscia e tonica. Lentamente, senza che lei facesse alcuna opposizione, superai l'elastico della autoreggente e scoprii la sua pelle liscia. Da lì raggiunsi il pizzo del suo slip sotto al quale percepii la presenza del suo pelo pubico.
“Lo so. Me lo dicono in molti”, mi rispose lasciandomi fare “ma in queste cose non c'è alcun bisogno della simpatia”.
Allargò leggermente i piedi e la gonna le si sollevò un poco.
Da quel momento la cosa assunse un ritmo incredibile.
Un attimo dopo mi alzai dalla sedia e ci baciammo. Per la prima volta percepii il suo sapore e scoprii di averla desiderata, nonostante la avessi odiata, da diverso tempo. La sua bocca era morbida e delicata, a differenza del suo modo di essere. La feci salire sulla scrivania ed ella comprese immediatamente cosa volessi. Si sollevò la gonna senza che le chiedessi nulla e poggiò i tacchi sul piano di legno massiccio. Presi i suoi slip per l'elastico e glieli sfilai scoprendo il suo pelo bruno e folto.
Non ci fu bisogno che ella mi dicesse di leccarla. Affondai subito il volto tra le sue cosce e percepii l'eccitazione del momento che stava conquistando anche lei. La costrinsi a divaricare le gambe poggiando le mani sulle sue toniche cosce e e lei mi lasciò fare, aprendosi immediatamente grazie alla mia azione ed alla mia lingua che si dedicò per almeno un quarto d'ora totalmente al suo sesso ed al suo piacere.
Venne una prima volta e nonostante avessi voluto che ella mi restituisse in qualche modo il favore, decisi di abbassarmi i pantaloni e di possederla subito. Non ci fu bisogno di aiuto, quando abbassai i pantaloni ero già pronto per penetrarla.
“Mettimi sotto, ti prego”, mi disse.
Allora la tirai vicino al bordo della scrivania e poggiai il mio membro contro al suo sesso. Entrai nel suo corpo con facilità e semplicità. La scoprii calda ed accogliente, morbida e vellutata. Sollevò leggermente le gambe per favorire la mia azione e mi chiese di spingere più forte. Lo feci subito, senza esitare. Mi sentivo un treno ed ebbi la netta sensazione che ad ella piacesse un sacco. Aprì al massimo le gambe, tenendole divaricate ed io la aiutai a sostenerle prendendole le caviglie.
In un istante mi chiesi quanto potesse cambiare la vita parcheggiare in uno spazio piuttosto che in un altro.
Scoprii che sessualmente era un tipo completamente diverso da quello che avevo immaginato. Calda, vogliosa ed estremamente esigente. Non era una a cui piaceva subire l'azione, ma le piaceva essere complice ed attrice in prima persona.
Quando venne una seconda volta, si sfilò il dolcevita bianco ed il reggiseno che indossava sotto ad essa. I suoi seni non erano né grossi né piccoli, ma erano certamente rifatti. Li presi tra le mani e li strinsi, senza smettere di penetrarla.
“Ehi, vacci piano. Mi sono costate uno sproposito!”, mi disse.
“Ok, non ti preoccupare. Bel lavoro comunque!!!”.
“Trasferiamoci sul divanetto, dai, saremo più comodi”, mi disse. La aiutai a scendere dalla scrivania e ci spostammo sul divanetto rosso che era posizionato su una delle pareti laterali. La osservai mentre ci spostammo e non potei fare a meno di notare il suo fisico quasi perfetto. Era davvero in ottima forma a differenza di me che avevo tre o quattro chili di troppo.
“Non temi che torni tuo marito?”.
“No. So dove andava e non tornerà certamente in fretta. Non arriverà nessuno, non temere”, mi rispose ella mentre si inginocchiò sul divano facendomi capire di prenderla dal dietro. Mi posizionai dietro di lei e le poggiai le mani sui fianchi, Entrarle dentro fu semplice. La sua fica sembrava di burro e mi sentii quasi risucchiare. Mirela indossava solo le autoreggenti nere, le scarpe e la gonna arrotolata in vita, nient'altro. Notai le sue tette che sballonzolavano ad ogni colpo che le davo.
Sentii l'orgasmo avvicinarsi, ma riuscii a tenere duro. Non volevo che finisse troppo presto e non ero assolutamente certo di riuscire a bissare. Nemmeno ero certo che mi sarebbe stata concessa una replica, quindi andai con la mente a cose poco eccitanti e riuscii ad allontanare il mio momento di godimento.
Le tenevo le mani ben salde sui fianchi ed ella teneva a sua volta le mani sullo schienale del divanetto.
Quando uscii un attimo per rallentare l'azione, ella mi disse di sedermi sul divano.
“Voglio sedermi io sopra di te, adesso...”, mi disse dopo essersi sfilata la gonna, mentre si accingeva a togliersi le scarpe.
“Non toglierle, ti prego....”, le dissi.
“Perché?”, mi chiese incuriosita fermandosi con le mani sui fianchi.
“Amo le scarpe ed i tacchi”, risposi semplicemente.
“Oh, oh, oh....”, mi disse Mirela con aria a metà tra il sarcastico e l'ironico “Ho finalmente incontrato nella mia vita un feticista!”.
“Abbastanza”, le risposi io sedendomi sul divano, il cazzo già pronto per lei.
“Sei uno di quelli che si eccita guardando scarpe e piedi?”.
“Sì”, le risposi mentre ella venne verso di me.
“Di quelli a cui piace essere calpestato dai tacchi”.
“No, quello no. Niente sadomaso o fetish, solo amore per scarpe, calze e piedi”.
“E queste ti piacciono?”.
“Altrochè!”, le risposi.
“E le altre che metto negli altri giorni?”.
“Anche quelle ovviamente”, le risposi con sincerità-
“Quindi mi osservi? Noti cosa indosso?”, mi chiese salendo a cavalcioni sopra di me e sistemandosi in modo che il cazzo le entrasse direttamente.
“Noto tutte le scarpe delle donne e le tue in particolare”.
“Fantastico. Mmmhhh....mmmhh....”, mugugnò ella abbassandosi in modo che il mio membro entrasse completamente dentro al suo corpo. Io le poggiai le mani sui fianchi ed ella sulle mie spalle. Le sue tette erano davanti ai miei occhi e ne approfittai per mordicchiarle leggermente un capezzolo.
“Ti eccitano le mie scarpe quando mi vedi passare? Mi guardi? Gli presti attenzione?”.
“Anche i tuoi piedi”.
“Mmmhhh.....fantastico! Ti farò morire da qui in avanti, lo sai?”.
“No, ma lo accetto”, le risposi con candida sincerità, lasciando a lei la gestione del ritmo della scopata. Si alzava ed abbassava a suo piacimento, muovendo il bacino alla ricerca di un piacere sempre più completo e pieno. Talvolta si muoveva avanti ed indietro, sfregando il clitoride contro al mio corpo, ma per la maggior parte del tempo faceva su e giù.
“Quindi mi stai dicendo che ho trovato due piccioni con una fava?”, mi chiese.
“In che senso?”.
“Uno che mi adora e mi osserva e l'altro che mi scopa”, mi rispose.
“Se tu lo vorrai, sarà così”.
“Adesso sto per venire. Ci penserò e ti si saprò dire”, mi disse. Non aggiunse altro e qualche secondo dopo proruppe in un orgasmo incredibilmente forte e lungo. Aveva incrementato il ritmo, poi si era abbassata al massimo mentre io mi ero spinto totalmente dentro di lei. A quel punto si era fermata ed il suo corpo era stato percorso da una vibrazione incredibile. Aveva sussultato ed una scarpa, la destra, le era caduta a terra mentre l'autoreggente sinistra le si era leggermente abbassata.
“Godo, godo!”, le dissi a quel punto sentendo che era giunto anche il mio momento.
“Stai dentro, ti prego. Stai dentro e riempimi”.
E così feci, senza preoccuparmi delle conseguenze dalle quali, evidentemente, doveva essersi già tutelata lei.
Mi sentii esplodere e percepii il mio caldo sperma riempirle la fica.
A quel punto ella mi strinse a sé ed io affondai la testa, esausto, tra i suoi seni.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Maria José cap.4 - I vicini di camera d'albergoracconto sucessivo
Mirela, tacchi e piedi - cap.2 (approfondimento)
Commenti dei lettori al racconto erotico