Mar Mediterraneo
di
Raccontatore
genere
sentimentali
Il sole splendeva alto nel cielo e irradiava tutto il creato emanando il calore di un torrido luglio che non accennava a rinfrescarsi né di giorno né di notte. La sabbia ardeva cocente, tanto che Elisa aveva deciso di rimanere a con i piedi immersi nell’acqua del mare, pur di non dover sopportare il fuoco sotto ai piedi. Alle spalle aveva quel placido mar mediterraneo, con il suo intenso blu che faceva perdere la testa. Mare e cielo, in quel paradiso terrestre, si confondevano, si mischiavano con pigrizia sotto quel sole bollente. Distinguere l’uno dall’altro era difficile a volte, soprattutto quando l’assenza di nuvole in alto e di barche in basso eliminava quei pochi punti di riferimento che si possono avere in cielo e in mare. Era tutta la mattina che Elisa se ne stava sotto all’ombrellone a contemplare quel paesaggio suggestivo. Ora, il suo corpo era rivolto verso l’hinterland. A parte una spiaggia di cento metri costellata di milioni di miliardi di granelli di sabbia, c’era un piccolo spazio di vegetazione. In realtà, la vegetazione sulle spiagge inizia sempre prima dalla fine della distesa sabbiosa e cespugli ispidi ed erbacce crescono spesso in concomitanza degli ultimi miliardi di granelli di sabbia dando vita ad un paesaggio selvaggio quasi in contrasto con il mare che sembra così aristocratico con la sua magnificente eleganza.
Con i piedi rinfrescati dalle placide onde del mare, Elisa guardava verso l’entroterra aguzzando lo sguardo per osservare quel ragazzo che camminava verso il mare a passo spedito. Probabilmente era alto un metro e ottanta, forse poco più o poco meno. La distanza che li separava era troppa per poterlo rapportare alla sua di statura che comunque era di appena un metro e settanta. Aveva un fisico tonico, ben piazzato, muscoloso ma non troppo. Elisa era sicura fosse un sportivo, ma non avrebbe mai potuto dire quale nello specifico. Forse un po’ di tutto o forse solo palestra, come tanti ragazzi che per addomesticare i loro giovani corpi si dedicavano per ore al sollevamento di pesi specifici e all’utilizzo di macchinari particolari. Un mondo che a Elisa era rimasto sempre sconosciuto. La ragazza riconobbe una certa bellezza in quel corpo. Una bellezza quasi antica e pura, come quella delle statue greche, con i loro corpi scolpiti nella pietra e nella storia, nella leggenda dei tempi e nell’immaginario collettivo. Eroi d’altri tempi che l’avevano sempre affascinata e quel ragazzo glieli ricordava, con i capelli ricci e neri proprio come sicuramente li avevano gli antichi greci.
La spiaggia era completamente deserta. Ad ora di pranzo i pochi visitatori erano tornati alle loro case, camper, tende e stanze d’albergo per pranzare. Solo Elisa era rimasta, con i suoi grandi occhi da sognatrice instancabile, troppo ammaliata dalla vita e dalla natura per lasciare un posto di siffatta bellezza solo per mangiare un veloce piatto di pasta. E ora, forse, non era più sola. Anche quel ragazzo poteva essere un instancabile sognatore come lei, un romantico che crede alle fiabe e alla loro magia, alle storie di antichi eroi e alla mitologia divina e sovraumana sempre piena di così tanti elementi dionisiaci di amore, passione, perversione, stravaganza ma anche di ordine e bei finali speranzosi.
Il ragazzo si fermò solo una volta arrivato a lambire l’acqua con i piedi. Si girò verso Elisa ad una distanza di venti metri e la guardò per qualche istante. La ragazza distolse lo sguardo per fissarlo nel blu del mare, colta da un impeto di timidezza. Un certo nodo allo stomaco la prese per qualche istante e solo il colore dell’acqua in lontananza glielo sciolse. Nel frattempo però il ragazzo la stava ancora fissando, Elisa se lo sentiva sulla pelle. A volte gli occhi degli altri sono pesanti, si possono sentire letteralmente sulla pelle come il calore del sole o come un indumento che ti avvolge le spalle.
Elisa, in piena adolescenza, si sentiva un giorno bella e un giorno brutta. Quel giorno si sentiva brutta. Aveva dormito poco e si era convinta che aveva delle occhiaie troppo vistose. Nonostante il sole che stava prendendo, pensava di essere troppo pallida mentre al contrario quel ragazzo le era sembrato risplendere la luce stessa con la sua pelle dorata. Anche lei sarebbe voluta essere un eroe greco. Magari un’amazzone, una principessa guerriera.
Forte, bella, impavida, invincibile.
Il fato e gli dèi quel giorno le erano favorevoli e desideravano donarle l’opportunità di essere un’eroina, metterla innanzi ad una prova da affrontare, proprio come nell’antichità. I suoi pensieri infatti, furono interrotti da alcune grida provenienti dal mare. Un uomo in lontananza agitava le braccia e urlava disperato. Quello stesso placido, immenso, aristocratico e benevolo mar mediterraneo stava inghiottendo qualcuno nel suo profondo ventre liquido. Tanto spietato quanto affascinante, tanto pericoloso quanto attraente. In una parola: sublime.
Elisa usò una mano per pararsi dal sole e cercò di spingere lo sguardo verso l’uomo. Una volta individuato cominciò ad avanzare verso di lui. Il ragazzo riccio a venti metri di distanza aveva preso a fare la stessa cosa, lo vedeva con la coda dell’occhio. Elisa voleva impressionarlo, fare bella figura, mostrarsi forte. Quando l’acqua le arrivò alla vita si slanciò in avanti tuffandosi e cominciò a muovere le braccia tenendo la testa bassa e il fiato nei polmoni. Procedette in quel modo per qualche secondo, sopportando il bruciore del sale negli occhi, poi alzò la testa continuando a vorticare le braccia. Sentiva ancora la voce dell’uomo e ne intravedeva un braccio appena sopra il livello dell’acqua. Il riccioluto eroe della Grecia antica invece, era rimasto un po’ più indietro e in un impeto di adrenalina Elisa accelerò ancor di più il ritmo fino a sentire i muscoli delle braccia appesantiti. Trecento? No, dovevano essere almeno quattrocento metri di distanza tra la spiaggia e l’uomo, pensò Elisa. Ancora un minuto circa e sarebbe arrivata. Quando tirò su la testa di nuovo però, la voce dell’uomo era scomparsa. Elisa pompò l’acqua con gambe e braccia e si sollevò di venti o trenta centimetri per guardarsi intorno, ma non riusciva a scorgere più nessuno. In quel momento stava arrivando il ragazzo riccioluto che non aveva mai abbassato la testa nell’acqua per non perdere di vista l’uomo da salvare.
“Sotto di noi!” Urlò il ragazzo mentre copriva gli ultimi metri.
Elisa prese fiato e in un attimo fu sott’acqua. Il mare da quelle parti era limpido, non aveva alcun segreto da nascondere. La ragazza scorse una figura umana che affondava ed era già a qualche metro di profondità. Elisa tornò in superficie per prendere nuovamente fiato e poi si immerse di nuovo per andare in profondità. Il ragazzo fece la stessa cosa e la raggiunse mentre si calavano verso il fondale sempre più freddo e sempre più buio. Elisa afferrò il braccio dell’uomo che aveva già perso conoscenza e un istante dopo, anche il ragazzo riccioluto fece altrettanto. I due poi, mirarono alla superficie spingendo l’acqua sotto di loro con potenti gambate a rana. Ce ne vollero almeno quattro ad Elisa prima di rompere tutta quella parete d’acqua e tornare finalmente a respirare ossigeno in superficie, proprio quando i suoi polmoni stavano per implodere. La pressione causata dalla profondità le aveva tappato le orecchie, ma ci avrebbe pensato più tardi.
“Portiamolo in due!” Disse il ragazzo con il fiatone.
Elisa non gli rispose per risparmiare quel prezioso ossigeno che ora viaggiava attraverso il sangue in ogni muscolo del suo corpo per garantirle la miglior prestazione possibile. Mentre nuotavano verso la riva, sperava solo che quell’uomo ce la facesse a sopravvivere. Il ragazzo però, arrancava e accusava una certa fatica, lei invece era molto più in forma e riusciva a contribuire di più al trasporto, almeno fino a quando non arrivarono al punto in cui si toccava.
Giunti sul bagno asciuga, Elisa si trovò di fronte alla triste realtà: non sapeva come rianimare il poveretto. Il ragazzo riccioluto però, cominciò una manovra di rianimazione e in pochi secondi l’uomo sputò l’acqua nei polmoni risvegliandosi. Gli ci volle qualche minuto per rimettersi in piedi e riprendersi completamente. Era intorno alla sessantina ed era alquanto provato dall’esperienza vissuta. Sfiorare la morte doveva essere una vera esperienza trascendente, pensava Elisa, tanto da cambiare la vita delle persone il più delle volte.
In pochi minuti sopraggiunsero anche alcuni familiari dell’uomo che insospettiti dal ritardo di quest’ultimo, erano tornati alla spiaggia e avevano ringraziato di cuore i due giovani angeli custodi. Elisa era lusingata e ringraziò per il complimento, ma non voleva sentirsi un angelo, voleva essere un’eroina lei, qualcosa di completamente diverso, di pagano, di vitalistico, di esuberante.
Per tutto quel tempo, Elisa e il misterioso ragazzo riccioluto non avevano più considerato la presenza dell’altro e, solo quando rimasero di nuovo soli, si notarono. Sotto quello stesso sole, su quella spiaggia di nuovo completamente deserta, insieme a quel mare che niente dava e tutto sembrava voler prendere, Elisa conobbe Luciano. Ne era rimasta da subito affascinata, fin dal primo sguardo mentre percorreva la spiaggia verso il mare e la stessa attenzione aveva destato lei in lui.
Elisa si domandava se veramente si fosse trasformata in quella guerriera, in quell’eroina classica che poco prima sognava ad occhi aperti. Tutto sembrava esser giunto ad un finale fiabesco piuttosto, dove una conclusione positiva porta a termine la storia invece che in una tragicità classica dove la sofferenza attanaglia i protagonisti anche dopo la risoluzione degli eventi.
La verità era che nella vita esiste solo un Gran Finale, quello che Elisa e Luciano avevano appena impedito per quell’uomo che rischiava d’annegare. Quella era la vera azione titanica, ovvero impedirlo un finale.
Tutto il resto era solo il termine di un ciclo al quale ne sussegue uno successivo.
Elisa guardò negli occhi il ragazzo riccioluto.
Chissà, pensava, se il prossimo ciclo l’avrebbe trovato proprio in fondo a quegli occhioni neri.
Con i piedi rinfrescati dalle placide onde del mare, Elisa guardava verso l’entroterra aguzzando lo sguardo per osservare quel ragazzo che camminava verso il mare a passo spedito. Probabilmente era alto un metro e ottanta, forse poco più o poco meno. La distanza che li separava era troppa per poterlo rapportare alla sua di statura che comunque era di appena un metro e settanta. Aveva un fisico tonico, ben piazzato, muscoloso ma non troppo. Elisa era sicura fosse un sportivo, ma non avrebbe mai potuto dire quale nello specifico. Forse un po’ di tutto o forse solo palestra, come tanti ragazzi che per addomesticare i loro giovani corpi si dedicavano per ore al sollevamento di pesi specifici e all’utilizzo di macchinari particolari. Un mondo che a Elisa era rimasto sempre sconosciuto. La ragazza riconobbe una certa bellezza in quel corpo. Una bellezza quasi antica e pura, come quella delle statue greche, con i loro corpi scolpiti nella pietra e nella storia, nella leggenda dei tempi e nell’immaginario collettivo. Eroi d’altri tempi che l’avevano sempre affascinata e quel ragazzo glieli ricordava, con i capelli ricci e neri proprio come sicuramente li avevano gli antichi greci.
La spiaggia era completamente deserta. Ad ora di pranzo i pochi visitatori erano tornati alle loro case, camper, tende e stanze d’albergo per pranzare. Solo Elisa era rimasta, con i suoi grandi occhi da sognatrice instancabile, troppo ammaliata dalla vita e dalla natura per lasciare un posto di siffatta bellezza solo per mangiare un veloce piatto di pasta. E ora, forse, non era più sola. Anche quel ragazzo poteva essere un instancabile sognatore come lei, un romantico che crede alle fiabe e alla loro magia, alle storie di antichi eroi e alla mitologia divina e sovraumana sempre piena di così tanti elementi dionisiaci di amore, passione, perversione, stravaganza ma anche di ordine e bei finali speranzosi.
Il ragazzo si fermò solo una volta arrivato a lambire l’acqua con i piedi. Si girò verso Elisa ad una distanza di venti metri e la guardò per qualche istante. La ragazza distolse lo sguardo per fissarlo nel blu del mare, colta da un impeto di timidezza. Un certo nodo allo stomaco la prese per qualche istante e solo il colore dell’acqua in lontananza glielo sciolse. Nel frattempo però il ragazzo la stava ancora fissando, Elisa se lo sentiva sulla pelle. A volte gli occhi degli altri sono pesanti, si possono sentire letteralmente sulla pelle come il calore del sole o come un indumento che ti avvolge le spalle.
Elisa, in piena adolescenza, si sentiva un giorno bella e un giorno brutta. Quel giorno si sentiva brutta. Aveva dormito poco e si era convinta che aveva delle occhiaie troppo vistose. Nonostante il sole che stava prendendo, pensava di essere troppo pallida mentre al contrario quel ragazzo le era sembrato risplendere la luce stessa con la sua pelle dorata. Anche lei sarebbe voluta essere un eroe greco. Magari un’amazzone, una principessa guerriera.
Forte, bella, impavida, invincibile.
Il fato e gli dèi quel giorno le erano favorevoli e desideravano donarle l’opportunità di essere un’eroina, metterla innanzi ad una prova da affrontare, proprio come nell’antichità. I suoi pensieri infatti, furono interrotti da alcune grida provenienti dal mare. Un uomo in lontananza agitava le braccia e urlava disperato. Quello stesso placido, immenso, aristocratico e benevolo mar mediterraneo stava inghiottendo qualcuno nel suo profondo ventre liquido. Tanto spietato quanto affascinante, tanto pericoloso quanto attraente. In una parola: sublime.
Elisa usò una mano per pararsi dal sole e cercò di spingere lo sguardo verso l’uomo. Una volta individuato cominciò ad avanzare verso di lui. Il ragazzo riccio a venti metri di distanza aveva preso a fare la stessa cosa, lo vedeva con la coda dell’occhio. Elisa voleva impressionarlo, fare bella figura, mostrarsi forte. Quando l’acqua le arrivò alla vita si slanciò in avanti tuffandosi e cominciò a muovere le braccia tenendo la testa bassa e il fiato nei polmoni. Procedette in quel modo per qualche secondo, sopportando il bruciore del sale negli occhi, poi alzò la testa continuando a vorticare le braccia. Sentiva ancora la voce dell’uomo e ne intravedeva un braccio appena sopra il livello dell’acqua. Il riccioluto eroe della Grecia antica invece, era rimasto un po’ più indietro e in un impeto di adrenalina Elisa accelerò ancor di più il ritmo fino a sentire i muscoli delle braccia appesantiti. Trecento? No, dovevano essere almeno quattrocento metri di distanza tra la spiaggia e l’uomo, pensò Elisa. Ancora un minuto circa e sarebbe arrivata. Quando tirò su la testa di nuovo però, la voce dell’uomo era scomparsa. Elisa pompò l’acqua con gambe e braccia e si sollevò di venti o trenta centimetri per guardarsi intorno, ma non riusciva a scorgere più nessuno. In quel momento stava arrivando il ragazzo riccioluto che non aveva mai abbassato la testa nell’acqua per non perdere di vista l’uomo da salvare.
“Sotto di noi!” Urlò il ragazzo mentre copriva gli ultimi metri.
Elisa prese fiato e in un attimo fu sott’acqua. Il mare da quelle parti era limpido, non aveva alcun segreto da nascondere. La ragazza scorse una figura umana che affondava ed era già a qualche metro di profondità. Elisa tornò in superficie per prendere nuovamente fiato e poi si immerse di nuovo per andare in profondità. Il ragazzo fece la stessa cosa e la raggiunse mentre si calavano verso il fondale sempre più freddo e sempre più buio. Elisa afferrò il braccio dell’uomo che aveva già perso conoscenza e un istante dopo, anche il ragazzo riccioluto fece altrettanto. I due poi, mirarono alla superficie spingendo l’acqua sotto di loro con potenti gambate a rana. Ce ne vollero almeno quattro ad Elisa prima di rompere tutta quella parete d’acqua e tornare finalmente a respirare ossigeno in superficie, proprio quando i suoi polmoni stavano per implodere. La pressione causata dalla profondità le aveva tappato le orecchie, ma ci avrebbe pensato più tardi.
“Portiamolo in due!” Disse il ragazzo con il fiatone.
Elisa non gli rispose per risparmiare quel prezioso ossigeno che ora viaggiava attraverso il sangue in ogni muscolo del suo corpo per garantirle la miglior prestazione possibile. Mentre nuotavano verso la riva, sperava solo che quell’uomo ce la facesse a sopravvivere. Il ragazzo però, arrancava e accusava una certa fatica, lei invece era molto più in forma e riusciva a contribuire di più al trasporto, almeno fino a quando non arrivarono al punto in cui si toccava.
Giunti sul bagno asciuga, Elisa si trovò di fronte alla triste realtà: non sapeva come rianimare il poveretto. Il ragazzo riccioluto però, cominciò una manovra di rianimazione e in pochi secondi l’uomo sputò l’acqua nei polmoni risvegliandosi. Gli ci volle qualche minuto per rimettersi in piedi e riprendersi completamente. Era intorno alla sessantina ed era alquanto provato dall’esperienza vissuta. Sfiorare la morte doveva essere una vera esperienza trascendente, pensava Elisa, tanto da cambiare la vita delle persone il più delle volte.
In pochi minuti sopraggiunsero anche alcuni familiari dell’uomo che insospettiti dal ritardo di quest’ultimo, erano tornati alla spiaggia e avevano ringraziato di cuore i due giovani angeli custodi. Elisa era lusingata e ringraziò per il complimento, ma non voleva sentirsi un angelo, voleva essere un’eroina lei, qualcosa di completamente diverso, di pagano, di vitalistico, di esuberante.
Per tutto quel tempo, Elisa e il misterioso ragazzo riccioluto non avevano più considerato la presenza dell’altro e, solo quando rimasero di nuovo soli, si notarono. Sotto quello stesso sole, su quella spiaggia di nuovo completamente deserta, insieme a quel mare che niente dava e tutto sembrava voler prendere, Elisa conobbe Luciano. Ne era rimasta da subito affascinata, fin dal primo sguardo mentre percorreva la spiaggia verso il mare e la stessa attenzione aveva destato lei in lui.
Elisa si domandava se veramente si fosse trasformata in quella guerriera, in quell’eroina classica che poco prima sognava ad occhi aperti. Tutto sembrava esser giunto ad un finale fiabesco piuttosto, dove una conclusione positiva porta a termine la storia invece che in una tragicità classica dove la sofferenza attanaglia i protagonisti anche dopo la risoluzione degli eventi.
La verità era che nella vita esiste solo un Gran Finale, quello che Elisa e Luciano avevano appena impedito per quell’uomo che rischiava d’annegare. Quella era la vera azione titanica, ovvero impedirlo un finale.
Tutto il resto era solo il termine di un ciclo al quale ne sussegue uno successivo.
Elisa guardò negli occhi il ragazzo riccioluto.
Chissà, pensava, se il prossimo ciclo l’avrebbe trovato proprio in fondo a quegli occhioni neri.
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