Incontri online
di
Raccontatore
genere
pulp
Si erano conosciuti su una chat online, di quelle che si trovano su internet, tra mille tutte uguali, una più squallida dell’altra, con l’unico obbligo di scegliere un banale nickname, uno pseudonimo, fasullo come una banconota da mezzo dollaro.
Lei aveva detto di chiamarsi Rita, di avere ventiquattro anni, di essere modella, di avere una passione per la corsa, per la fotografia e per gli uomini più grandi. Lui invece, Riccardo, era un uomo semplice, single, cinquantadue anni, un lavoro come revisore di automobili che gli dava tanto tempo libero che passava cercando di trovare donne su internet per spezzare il ciclo della monotonia che lo affliggeva.
Era già andato incontro a qualche prima delusione, trovando solo aguzzini pronti a fottergli soldi attraverso ricariche telefoniche e bonifici bancari in cambio di qualche foto più galeotta. Non c’era mai cascato, dato che le immagine di donne nude le offriva già abbondantemente l’avveniristica invenzione del XXI secolo, internet.
Quello che la moderna scienza ancora non offriva, era il sesso virtuale. Per quello si doveva ancora andare a puttane, ma Riccardo ne aveva abbastanza di quelle donne, così incentrate e focalizzate sul denaro da ignorare ogni piccolo e dolce particolare del sesso, che lui invece voleva godersi in tutte le sue sfaccettature.
Rita era di Siena, lui di Firenze. Pochi kilometri li separavano, sembrava perfetto. Si erano sentiti utilizzando un’applicazione per smartphone che lei aveva suggerito.
Kik.
Proprio come calcio in inglese, ma senza una lettera. Quell’esperienza per Riccardo sarebbe stata un vero e proprio calcio all’addome.
Attraverso la comoda e semplice chat che non permetteva la registrazione di alcun numero di cellulare, per settimane si erano scambiati messaggini di ogni tipo, conoscendosi meglio, esplorandosi virtualmente, chiacchierando come due ragazzini. Lei era veramente una ragazzina, lui no, da molto tempo anche. Ma ogni volta che la differenza d’età saltava fuori, Rita la evidenziava come il loro più grande vantaggio, come l’elemento eccitante di tutta la vicenda, come connubio perfetto tra due mondi nella dimensione dell’amore che appiana le differenze, cancella gli ostacoli, elimina i paradigmi, abbatte muri, colma le distanze.
Tra i messaggi si scambiavano anche immagini accattivanti, di più o meno di nudo, così detti selfie, come piaceva chiamarli a Rita.
“Mi mandi un selfie tesoro?”
“Ti fai un selfie senza mutande?”
“Selfie del buongiorno per la tua gattina?”
Riccardo non capiva perché non chiamarli autoscatti, perché voler insistere sempre con quegli inglesismi sterili, che storpiavano il loro forse svecchiato italiano. Ma per non rischiare di apparire antico nei modi e nel linguaggio, non opponeva resistenza.
Anche Rita era altrettanto generosa con le sue immagini. In quelle settimane gli aveva inviato decine di autoscatti provocanti, in varie pose, in vari vestitini. Era tutto così coerente, il corpo, le forme, gli ambienti e gli sfondi delle foto che combaciavano sempre, senza mai insospettire Riccardo. Quella dolce Rita, ormai era diventata il suo pensiero fisso, dal mattino alla sera, con le sue belle tettine al vento, le natiche rosa, le gambette lisce, così longilinee e lunghe.
Ma lui aveva il volto sempre stanco quando si guardava allo specchio, sempre distrutto, come provato dalle fatiche della vita. Non aveva un bel fisico, era leggermente sovrappeso, la sua pelle floscia e i suoi peli grigi. Sembrava una bestia, mentre la sua bella si interessava inspiegabilmente a lui, come se fosse il principe azzurro.
Ma Rita esisteva veramente, era reale, ne aveva sentito anche la voce squillante in alcuni messaggi audio che ascolta e riascoltava in continuazione.
Mancava solo incontrarla fisicamente, mancava solo stringerla a sé, baciarla, accarezzarla.
Il quindici luglio era il giorno prefissato. Per Riccardo sembrava Natale, Capodanno e Pasqua tutti insieme. In un bar dei più affollati di Firenze, avrebbe trovato l’amore cercato inutilmente per una vita e trovato online.
Online. Una parola che Riccardo non sapeva nemmeno scrivere senza fare errori. Una parola che sarebbe suonata araba fino a qualche anno prima per lui.
Impossibile non riconoscersi a vicenda, impossibile passare inosservati, troppe foto con o senza vestiti si erano scambiati.
Impossibile temere silenzi imbarazzanti, troppe cose si erano detti, troppi segreti confidati, troppo feeling instauratosi.
Un buon caffè nell’attesa era quello che ci voleva. In vetro, con panna, servito caldo e bevuto tutto d’un sorso. Riccardo si guardava intorno impaziente, scandagliando nei visi di ogni ragazza i tratti somatici della sua amata. Ogni biondina veniva guardata e analizzata, ma nessuna rispondeva al nome di Rita, nessuna era lei. Per due ore, Riccardo aveva atteso con trepidazione, con voglia, con desiderio, con speranze, con sogni.
Avere una donna, dopo tanto tempo, gratuitamente. Godere del calore di un essere umano non interessato al tuo portafogli, ma a te, esclusivamente a te.
Un tuffo nel passato, tornare a vent’anni per mezzo di una ragazza che ancora conservava quel spirito giovane, quella freschezza floreale tipica della sua età, quella dinamicità che lui aveva perso da anni.
Respirare il profumo di donna, assaggiare le sue labbra, sentirne la soffice pelle, sempre troppo delicata per le mani degli uomini soprattutto le sue, goffe e vecchie.
Un tipo incappucciato si avvicinò al tavolo dove era seduto Riccardo e lasciò una busta da lettere accanto al suo caffè. Non fece in tempo a guardarlo in faccia che il misterioso uomo scomparve abilmente tra la folla. Ma l’istinto di Riccardo non fu di inseguirlo, bensì quello di aprire la busta.
Tutti i suoi selfie stampati. Tutti, dal primo all’ultimo.
In allegato, un biglietto.
“Scrivimi su kik. Ci accorderemo per i soldi. Se ti rifiuti pubblicherò tutte le tue foto su internet. Tutti le vedranno.”
Riccardo si alzò dal tavolo del bar con il cuore spezzato. Non piangeva, le lacrime uscivano autonomamente, come fossero una naturale reazione del suo corpo, come il respirare o il muoversi.
Strappò la busta e la buttò nel secchio più vicino. Poi, si accalcò tra le persone per uscire dal caotico locale. Una volta fuori, si guardò di nuovo intorno piangendo ma mantenendo una certa compostezza. Eretto, sotto il sole di luglio, tra i turisti in giro per la città del rinascimento, cercava quel tipo incappucciato, ma non lo vedeva da nessuna parte.
“Ci vedremo a Firenze il 15 luglio, amore mio. Sarà il tuo rinascimento!” Aveva scritto Rita in un messaggio.
Riccardo prese il telefono e fissò per qualche minuto la chat con Rita, riflettendo su cosa fare. Poi, in un lampo, vide la soluzione perfetta non solo per la situazione, ma per tutta la sua vita in generale.
Guardò dall’altro capo della strada e vide il Ponte Vecchio. Si chiese se fosse stato costruito nel rinascimento o se addirittura prima. Non lo sapeva, era troppo ignorante per saperlo.
Si incamminò verso la struttura e si diresse al preciso centro del ponte. Cercò nuovamente il tipo incappucciato, voleva essere visto da lui mentre scavalcava la ringhiera. Non ne aveva la certezza, ma probabilmente quel tipo stava osservando tutto da lontano.
Riccardo fissò il fiume sotto di sé per qualche secondo mentre alcuni passanti avevano preso ad urlare. Quando saltò, gli sembrò di essersi gettato nel proprio vuoto interiore e quando arrivò in acqua, sentì lo stesso gelo che da anni provava nella propria vita.
Lei aveva detto di chiamarsi Rita, di avere ventiquattro anni, di essere modella, di avere una passione per la corsa, per la fotografia e per gli uomini più grandi. Lui invece, Riccardo, era un uomo semplice, single, cinquantadue anni, un lavoro come revisore di automobili che gli dava tanto tempo libero che passava cercando di trovare donne su internet per spezzare il ciclo della monotonia che lo affliggeva.
Era già andato incontro a qualche prima delusione, trovando solo aguzzini pronti a fottergli soldi attraverso ricariche telefoniche e bonifici bancari in cambio di qualche foto più galeotta. Non c’era mai cascato, dato che le immagine di donne nude le offriva già abbondantemente l’avveniristica invenzione del XXI secolo, internet.
Quello che la moderna scienza ancora non offriva, era il sesso virtuale. Per quello si doveva ancora andare a puttane, ma Riccardo ne aveva abbastanza di quelle donne, così incentrate e focalizzate sul denaro da ignorare ogni piccolo e dolce particolare del sesso, che lui invece voleva godersi in tutte le sue sfaccettature.
Rita era di Siena, lui di Firenze. Pochi kilometri li separavano, sembrava perfetto. Si erano sentiti utilizzando un’applicazione per smartphone che lei aveva suggerito.
Kik.
Proprio come calcio in inglese, ma senza una lettera. Quell’esperienza per Riccardo sarebbe stata un vero e proprio calcio all’addome.
Attraverso la comoda e semplice chat che non permetteva la registrazione di alcun numero di cellulare, per settimane si erano scambiati messaggini di ogni tipo, conoscendosi meglio, esplorandosi virtualmente, chiacchierando come due ragazzini. Lei era veramente una ragazzina, lui no, da molto tempo anche. Ma ogni volta che la differenza d’età saltava fuori, Rita la evidenziava come il loro più grande vantaggio, come l’elemento eccitante di tutta la vicenda, come connubio perfetto tra due mondi nella dimensione dell’amore che appiana le differenze, cancella gli ostacoli, elimina i paradigmi, abbatte muri, colma le distanze.
Tra i messaggi si scambiavano anche immagini accattivanti, di più o meno di nudo, così detti selfie, come piaceva chiamarli a Rita.
“Mi mandi un selfie tesoro?”
“Ti fai un selfie senza mutande?”
“Selfie del buongiorno per la tua gattina?”
Riccardo non capiva perché non chiamarli autoscatti, perché voler insistere sempre con quegli inglesismi sterili, che storpiavano il loro forse svecchiato italiano. Ma per non rischiare di apparire antico nei modi e nel linguaggio, non opponeva resistenza.
Anche Rita era altrettanto generosa con le sue immagini. In quelle settimane gli aveva inviato decine di autoscatti provocanti, in varie pose, in vari vestitini. Era tutto così coerente, il corpo, le forme, gli ambienti e gli sfondi delle foto che combaciavano sempre, senza mai insospettire Riccardo. Quella dolce Rita, ormai era diventata il suo pensiero fisso, dal mattino alla sera, con le sue belle tettine al vento, le natiche rosa, le gambette lisce, così longilinee e lunghe.
Ma lui aveva il volto sempre stanco quando si guardava allo specchio, sempre distrutto, come provato dalle fatiche della vita. Non aveva un bel fisico, era leggermente sovrappeso, la sua pelle floscia e i suoi peli grigi. Sembrava una bestia, mentre la sua bella si interessava inspiegabilmente a lui, come se fosse il principe azzurro.
Ma Rita esisteva veramente, era reale, ne aveva sentito anche la voce squillante in alcuni messaggi audio che ascolta e riascoltava in continuazione.
Mancava solo incontrarla fisicamente, mancava solo stringerla a sé, baciarla, accarezzarla.
Il quindici luglio era il giorno prefissato. Per Riccardo sembrava Natale, Capodanno e Pasqua tutti insieme. In un bar dei più affollati di Firenze, avrebbe trovato l’amore cercato inutilmente per una vita e trovato online.
Online. Una parola che Riccardo non sapeva nemmeno scrivere senza fare errori. Una parola che sarebbe suonata araba fino a qualche anno prima per lui.
Impossibile non riconoscersi a vicenda, impossibile passare inosservati, troppe foto con o senza vestiti si erano scambiati.
Impossibile temere silenzi imbarazzanti, troppe cose si erano detti, troppi segreti confidati, troppo feeling instauratosi.
Un buon caffè nell’attesa era quello che ci voleva. In vetro, con panna, servito caldo e bevuto tutto d’un sorso. Riccardo si guardava intorno impaziente, scandagliando nei visi di ogni ragazza i tratti somatici della sua amata. Ogni biondina veniva guardata e analizzata, ma nessuna rispondeva al nome di Rita, nessuna era lei. Per due ore, Riccardo aveva atteso con trepidazione, con voglia, con desiderio, con speranze, con sogni.
Avere una donna, dopo tanto tempo, gratuitamente. Godere del calore di un essere umano non interessato al tuo portafogli, ma a te, esclusivamente a te.
Un tuffo nel passato, tornare a vent’anni per mezzo di una ragazza che ancora conservava quel spirito giovane, quella freschezza floreale tipica della sua età, quella dinamicità che lui aveva perso da anni.
Respirare il profumo di donna, assaggiare le sue labbra, sentirne la soffice pelle, sempre troppo delicata per le mani degli uomini soprattutto le sue, goffe e vecchie.
Un tipo incappucciato si avvicinò al tavolo dove era seduto Riccardo e lasciò una busta da lettere accanto al suo caffè. Non fece in tempo a guardarlo in faccia che il misterioso uomo scomparve abilmente tra la folla. Ma l’istinto di Riccardo non fu di inseguirlo, bensì quello di aprire la busta.
Tutti i suoi selfie stampati. Tutti, dal primo all’ultimo.
In allegato, un biglietto.
“Scrivimi su kik. Ci accorderemo per i soldi. Se ti rifiuti pubblicherò tutte le tue foto su internet. Tutti le vedranno.”
Riccardo si alzò dal tavolo del bar con il cuore spezzato. Non piangeva, le lacrime uscivano autonomamente, come fossero una naturale reazione del suo corpo, come il respirare o il muoversi.
Strappò la busta e la buttò nel secchio più vicino. Poi, si accalcò tra le persone per uscire dal caotico locale. Una volta fuori, si guardò di nuovo intorno piangendo ma mantenendo una certa compostezza. Eretto, sotto il sole di luglio, tra i turisti in giro per la città del rinascimento, cercava quel tipo incappucciato, ma non lo vedeva da nessuna parte.
“Ci vedremo a Firenze il 15 luglio, amore mio. Sarà il tuo rinascimento!” Aveva scritto Rita in un messaggio.
Riccardo prese il telefono e fissò per qualche minuto la chat con Rita, riflettendo su cosa fare. Poi, in un lampo, vide la soluzione perfetta non solo per la situazione, ma per tutta la sua vita in generale.
Guardò dall’altro capo della strada e vide il Ponte Vecchio. Si chiese se fosse stato costruito nel rinascimento o se addirittura prima. Non lo sapeva, era troppo ignorante per saperlo.
Si incamminò verso la struttura e si diresse al preciso centro del ponte. Cercò nuovamente il tipo incappucciato, voleva essere visto da lui mentre scavalcava la ringhiera. Non ne aveva la certezza, ma probabilmente quel tipo stava osservando tutto da lontano.
Riccardo fissò il fiume sotto di sé per qualche secondo mentre alcuni passanti avevano preso ad urlare. Quando saltò, gli sembrò di essersi gettato nel proprio vuoto interiore e quando arrivò in acqua, sentì lo stesso gelo che da anni provava nella propria vita.
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