Orme nella neve

di
genere
etero



Non ci siamo persi soltanto perché conosco questi luoghi molto bene, in quanto frequentatore estivo, ma tutto questo candore fa male agli occhi.
La guida sulla neve mi rende nervoso e concentrato, sono le prime ore di luce del mattino, la levataccia si è resa necessaria per essere sicuri di poter fare una escursione con un certo margine di sicurezza.
Nel sedile del passeggero, neppure tu parli molto, ti guardi intorno, non posso fare a meno di cercare il tuo viso di quando in quando, ho annotato nella mia mente la posizione di ogni tua piccola ruga di ogni curva dei tuoi zigomi, del collo del naso, delle labbra.
Il pile si gonfia appena la dove so esistere il tuo seno, i capezzoli che sono solito trattare come solo miei, quel che è coperto alla vista d’altri è nudo per i miei occhi anche sotto strati di tessuti termici, sarei pronto a scommettere che hai rinunciato al reggiseno optando per una maglietta di cotone e basta.
Arriviamo al fine al parcheggio, deserto, dove lasceremo l’auto, gli spartineve sono arrivati fin qui, ma comunque tutto e bianco di neve compattata, dinanzi a noi una chiesetta chiusa con il tetto assai spiovente, e nonostante ciò, comunque coperto di neve.
Ci infiliamo le giacche a vento, prima di scendere, c’è il sole ma saremo si e no comunque al massimo a cinque gradi sopra lo zero, ti guardo stagliarti contro il bianco che ci circonda, per uno strano gioco di luci tu e l’auto sembrate più...reali di quello che abbiamo intorno.
Sono decisamente malato, riesco a desiderarti anche così, in tenuta doposcì/antitistupro, si decisamente sono senza speranza, sorridi girandoti a guardarmi, intuendo la direzione dei miei occhi sotto il nero dei miei occhiali da sole.
In realtà sei tu che mi hai trascinato qui, una domenica mattina, con le ciaspole sulla neve, una passeggiata per un sentiero che adesso vorrei capire come farai a trovare, suppongo nello stesso modo in cui io mi sono orientato a guidare fin qui.
Il fiato dalle bocche, che si arresta negli attimi in cui siamo stretti l’uno all’altra goffamente, la congiunzione di due omini Michelin.
Inizia la marcia nella neve, nel silenzio irreale rotto solo dal nostro ansimare, e da qualche fronda degli abeti che qua e là scarica un po’ di neve dai rami.
Risparmiamo il fiato, siamo un po’ fuori allenamento entrambi, succede, in inverno e subito dopo le abbuffate natalizie, parliamo poco.
Di quando in quando ci si ferma per scattare qualche foto, con la macchina, con i cellulari, qui praticamente inutili per qualsiasi altro uso che non sia fotografare.
Guidi tu precedendomi, marcio nelle tue orme, ansimiamo un po’ entrambi, preferirei ansimare per qualcosa di diverso, te l’ho detto stamane, quando ho dovuto rinunciare a saltarti addosso per venire qui, tu hai riso, mi hai spintonato via con una semplice promessa “Dopo”.
C’è poco da fare io con te, quel “dopo”, lo vivo come un bambino che si sente raccontare una promessa/balla dinanzi al giocattolo desiderato, presumo tu lo sappia per il modo con cui ti volti e spendi i tuoi sorrisi con me.
Sai quanto ti desidero, quanto abbia voglia di te… lo sai eccome, sai che riesci ad eccitarmi anche fasciata in quei jeans felpati che ti fanno il culo più grande di tre taglie.
All’improvviso inciampi, perdi l’equilibrio e cadi nella neve alta, cerco di correre in tuo soccorso afferrandoti, ma siamo sbilanciati anche dai piccoli zaini che abbiamo in spalla e mi trascini con te.
Finiamo a ridere, pieni di neve e uno sopra l’altra, cerchiamo di scrutarci attraverso il nero delle lenti.
Ti bacio, mi stacchi a forza da te, dopo alcuni minuti, “Fa freddo incassata nella neve con te sopra lo sai?” … rido.
A bassa voce come se qualcuno potesse sentirci ti sussurro : “ Ti scoperei qui e adesso”.
Tu ridi, “Signore lei ha delle pessime idee, ed è un porco”.
Ti aiuto a rialzarti e ti bacio di nuovo, tra notevoli difficoltà date dall’abbracciarsi con le ciaspole ai piedi stando uno dinanzi all’altra : sei tu a prendere l’iniziativa infilando un piede in mezzo ai miei e inserendo la tua gamba sul cavallo dei miei pantaloni.
Sdrusci la gamba contro la mia erezione, la cerchi, sai che c’è, sai che è per te, “Non menti mai...” dici maliziosa prima di staccarti.
Ti distanzi da me, a ragione direi, se fosse per me darei corso ai miei propositi sotto questo grosso abete carico di neve, ma mi devi portare un po’ più su.
Camminiamo per un altra mezz’ora, sino a raggiungere un piccolo lago ghiacciato coperto di neve, so che il lago esiste perché siamo stati qui in estate, perché la palina con il cartello di legno ne conferma l’esistenza, per evitare a sprovveduti escursionisti ciaspolatori della domenica di finirci sopra.
Non siamo soli, le sponde sono piene di impronte di animali, qualche daino, che ha scavato con gli zoccoli sino a snudare qualche zolla verde, e poi altre impronte più distinguibili, troppo profonde per essere di una volpe: un lupo.
Seguiamo i contorni delle sponde, circoscritti dal limitare dell’abetaia sino alla riva opposta, qui un paio di grosse rocce hanno ricavato una sorta di nicchia naturale vicino ad una piccola cascata di ghiaccio.
Ovunque questo silenzio irreale, strano, vero oltre ogni limite, che pare ovattare ogni rumore; il sole alto ci dice che dovremmo essere intorno a mezzogiorno, e l’orologio si spinge ben oltre, alle 13:40 circa.
Smontiamo gli zaini dalle spalle, stendo un piccolo telo cerato e una copertina in pile sul quale sedere, schiena contro schiena, consumiamo i nostri panini e beviamo il the caldo dai thermos.
Adoro sentirti addosso, poco importa che questo avvenga mentre siamo nel letto, oppure sia nella doccia, in cucina mentre si cucina o laviamo i piatti, sul divano mentre guardiamo la tv oppure come adesso, separati da strati di stoffa e tessuto idrorepellente.
La tua presenza è qualcosa che ricerco, la percezione stessa di tè anche attraverso filtri, la sensazione del tuo peso, starei ore così...ma lo stare fermi non piace troppo ai nostri piedi freddi e ci costringe a rimetterci in marcia.
Si torna indietro, decidiamo di terminare la circumnavigazione del lago nascosto dalla neve, tornando al nostro punto di ingresso/uscita dall’abetaia dal quale siamo arrivati.
Il sole è ancora alto e sotto di esso fa anche caldo, ma qui il tempo cambia sin troppo in fretta, e non vogliamo ritrovarci in mezzo alla nebbia che potrebbe scendere e sorprenderci, inoltre non rimangono troppe ore di luce.
Sinceramente non vedo l’ora di raggiungere casa, so cosa succederà appena arrivati,: rigidi di freddo ti spoglierò e ti infilerò sotto una doccia bollente, ti prenderò senza troppi se e ma, esattamente come so piacere anche a te.
Mentre passo dopo passo, ripercorrendo le nostre orme a ritroso, immagino i tuoi vestiti sparsi scompostamente poco fuori dal bagno, noto le orme di lupo vicino alle nostre, prima non c’erano.
Ti chiamo per dirtelo, ma sono sopraffatto dal tuo abbraccio improvviso, le bocche si congiungono, tagliamo fuori tutto quello che ci circonda, il silenzio, il freddo, l’odore di resina mitigato dalla temperatura.
Sento la tua mano fredda insinuarsi sotto i pantaloni e il maglione facendomi trasalire, si fa strada sino a raggiungere il mio cazzo semi eretto grazie ai miei pensieri di poc’anzi.
Mi darai un assaggio di te prima di quanto sperassi, un esempio del costante gioco del nostro continuo riequilibrio tra noi, ti imito, ma con entrambe le mani.
Cerco la lampo del tuo giubbotto, mi insinuo con le mani, dividendomi tra le tue tette e la congiunzione delle tue cosce; neppure le mie sono così calde dall’evitarti di trasalire a tua volta, ma ti serri a me comunque.
I baci divengono via via più voraci, non so quanti minuti passiamo così, prima che tu ti decida ad aprirmi la cerniera dei pantaloni e calarli giù insieme agli slip.
E’ una sensazione strana, il tepore delle mie gambe vicine e la pelle d’oca data dalla temperatura esterna, il mio cazzo ormai libero di ergersi per i fatti suoi, incontra rapido l’abbraccio delle tue labbra e il caldo cuscino della tua lingua.
Non lecchi, ma succhi, circondi, inglobi, culli la mia carne contro le labbra, accarezzandola con la lingua e il palato, mentre la tua mano, meno fredda, accarezza il solco del culo.
Mi godo questo pompino, circondato dal silenzio più irreale, mentre sento un dito farsi strada dentro il buco; mi stai spremendo, provocando … non so quanto posso resistere così, nonostante il freddo sento il familiare effluvio della tua fica bagnata e chiudendo gli occhi riesco a sentire lo sciacquettio, del tuo ditalino fradicio.
Ti sollevo per appoggiarti contro la schiena dell’albero più vicino, un grosso larice, ma ti opponi.. “La resina!”, allora ti giro e ti metto contro di esso con le mani in modo che tu possa stare prona.
Le ciaspole incasinano ogni movimento, reso frenetico dall’eccitazione, ma questo non ci ferma.
Ora è il mio momento di abbassarti i pantaloni, di metterti a nudo il culo e la fica, di vedere quello che ho desiderato per ore.
Quasi perdo l’equilibrio mentre mi chino a leccarti la fica, ho bisogno del tuo sapore, ne ho bisogno come un tossico della sua dose, sobbalzi alla calda, umida rugosità della mia lingua.
Non lascia alla saliva il tempo di raffreddarsi che sono dentro di te con un colpo secco unico e profondo.
Attaccato ai tuoi fianchi nell’incerta stretta sul tessuto scivoloso della giacca a vento, cerco appiglio per scoparti in profondità, godo della differenza di temperatura mentre esco da te e del tepore nel rientrarci.
Voglio venirti dentro, e dopo rivestirti per avere il privilegio unico, di leccarti nuovamente più tardi quando saremo di nuovo a casa da soli.
Si...da soli...perchè non siamo soli...mi sento osservato, mi guardo intorno senza vedere nulla, tutto è immobile e silente tra le ombre dell’abetaia e il candore della neve e proprio quando gli occhi smettono di cercare lo scontato che io vedo.
A circa quindi metri da noi, di fianco al tronco di un albero eccolo lì, il lupo, non so da quanto ci sta guardando, devo aver alterato qualcosa nel ritmo delle mie spinte perché ti giri a guardarmi.
E’ allora che segui il mio sguardo e lo vedi, bello selvaggio, maestoso, probabilmente anche tu provi quella sensazione di iper-realtà nel paesaggio che ho avuto ore fa guardando noi e la nostra auto in mezzo alla neve nel parcheggio.
Non so cosa mi prende, ma le mie spinte ora sono più forti, violente, quasi a rimarcare a quell’inaspettato osservatore, che questa femmina è mia e soltanto mia, che sono io il suo maschio Alfa.
Cambio la prese delle mani le faccio entrare sotto il maglione per raggiungere i seni a cui mi aggrappo pizzicando i capezzoli.
Continuo così, ogni tanto socchiudo gli occhi per riaprirli, e vedere che il lupo è sempre lì non si è mosso di un centimetro, sembrerebbe una statua se non sapessi che è impossibile ciò.
Monto la mia cagna, la mia femmina, sotto i suoi occhi, pur sentendo il calore che mi abbandona dalla pelle scoperta ed esposta, pur avvertendo i coglioni più freddi laddove i tuoi umori sono colati raffreddandosi su di essi.
Ho bisogno di un tuo urlo, di un tuo gemito per venire, per scorrere dentro di te, ed allora schiaccio crudelmente i capezzoli e meno due spinte più forti, quasi brutali, quasi perdi l’equilibrio reggendoti all’albero.
Vengo con un grugnito animalesco, il lupo emette una specie di latrato di risposta, chiudo gli occhi serrandomi a te il più possibile, mentre la sborrra calda si mescola ai tuoi fluidi..
Le nuvolette di condensa del fiato, sono divenute più intense ora, ci costa una certa fatica, staccarci e rivestirci rapidamente, ora il freddo si sente davvero.
Guardo verso il lupo, ma è scomparso, tornando a rendersi invisibile a noi.
scritto il
2019-02-03
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