Legata e Violentata
di
Mia Sempre
genere
bondage
Erano giorni ormai che alloggiavo alla Locanda ed il tempo era passato veloce dopo la firma sul contratto finale.
Ero proprietaria di un piccolo 5% sui guadagni di un qualcosa che per ora era solo un progetto.
I dettagli sull'hotel li concordammo davanti ad una cena, Alex era sempre molto attento e preciso quindi semplicemente mi fu tutto chiaro e senza nessun dubbio firmai.
Adesso il mio tempo lì era scaduto, lo sapevamo entrambi, ma sapevamo anche che il nostro legame ed il bisogno ci avrebbero prima o poi riuniti.
Facemmo l'amore e scopammo per tutta la notte, l'ultima notte.
Avrei voluto non finisse mai.
Avrei voluto fermare il tempo ed anche Alex sentivo che non voleva lasciarmi andare.
Piansi dopo aver goduto, ma dovevo partire.
Arrivò l'alba, ci svegliammo insieme, una carezza, un bacio, la colazione e gli sguardi senza parlarsi.
Mi accompagnò giù tenendo il mio zainetto.
Mi guardò sistemare la moto e mentre legavo il mio piccolo bagaglio con gli elastici, mi sorrise quando notò la fatica che feci a tenderli.
Era tutto pronto, un ultimo sguardo alle frecce, allo stop e controllai anche gli specchietti come faccio sempre prima di partire quando non uso Bimba da un po’.
Indossai il casco, allacciai la giacca, misi i guanti e montai in sella.
Detestando i saluti commoventi mi limitai ad un “ Arrivederci mio Signore..” abbassai la visiera e partii.
Mentre percorrevo il vialetto della locanda pensai al primo giorno, a quando arrivai e a tutte le emozioni che ho vissuto, alle nuove consapevolozze raggiunte e alle implicazioni che avrebbero portato.
Una lacrima stava per scendere ma non potevo, in moto non avrei visto più nulla, quindi misi la terza ed accelerai fino all'incrocio, svoltai lasciando tutto alle spalle.
La mia vita ed i legami a casa, dai quali fuggivo per sentirmi la vera Me stessa, sono anche le stesse corde che mi fanno sempre tornare.
Entrai in autostrada ed aprendo il gas iniziai a volare, cercavo di non pensare a come mi sentissi vuota.
Stando attenta alla guida nel traffico, mi concentrai tra un sorpasso e l’altro allontanandomi sempre di più dalla vera Me.
Quella che desidera SUBire un uomo, quella a cui piace essere esibita come una proprietà, quella che adora vedere i lividi sul suo corpo, a ricordarle la forza della passione.
Ero persa in questi pensieri, ma restai concentrata e mi accorsi che la spia della benzina cominciava a lampeggiare.
Decisi di fermarmi in autogrill, avrei fatto il pieno e data l'afa delle 14.00 di un caldo giovedì estivo, mi sarei presa qualcosa da bere gustandomela riparata sotto ad un'ombra.
Rallentai e svoltai nell'area di sosta, feci subito benzina ed intanto che pagai presi anche dalla vetrina frigo una Coca-Cola.
L'autogrill era semi deserto, non c'era molta gente, pochi turisti accaldati e alcuni camionisti in sosta.
Mi allontanai piano con la moto e vidi poco più lontano uno spiazzo verde con un tavolino all'ombra
Era vicino ad un casotto delle toilette, ma non mi importo’ purché fosse lontano da sguardi indiscreti, volevo fumarmi una cannetta e rilassarmi dieci minuti prima di ripartire.
Rollai la mia canna e mi misi comoda, levai gli stivali, la giacca, restando con la canotta rossa di pizzo e i jeans.
Mi sdraiai sul tavolo di legno, lungo un paio di metri, di quelli con le panchine attaccate, accomodai lo zainetto sotto la testa e accesi la mia canna.
Ad occhi chiusi ripensavo ad Alex, alle sue mani così forti e delicate, alla sua bocca calda e dolce, al suo cazzo duro e grosso.
Sudavo.
I fumi dell'hashish, il caldo ed i pensieri mi portarono di nuovo tra le braccia del mio Signore.
Non mi accorsi che ero osservata.
Lo ero stata fin da quando arrivai.
Si avvicinarono silenziosi tre camionisti e me ne resi conto solo quando sentii due di loro bloccarmi le braccia e tapparmi la bocca, mentre il terzo mi teneva le gambe.
Ero paralizzata, immobile, non solo dalle loro mani, ma soprattutto dalla mia paura.
Cercai di guardarmi intorno in cerca d'aiuto ma non potendo muovermi molto non riuscì a vedere nessuno.
Sentivo i tre che parlavano tra loro.
Uno era certamente Russo, sia per l'accento, sia per la struttura fisica, era grosso, un armadio.
Lo vedevo bene, di fronte a me.
Capelli rasati, occhi chiari alto e muscoloso.
Gli altri due non mi permettevano di girare la testa quindi non li vedevo chiaramente.
Sicuramente erano italiani, forse siciliani.
Erano grassi intravedevo le loro pance, puzzavano di sudore, ed il fiato di vino.
Stavo per vomitare.
Il Russo mi strattonò verso di lui liberandomi per un attimo la bocca dalla mano che mi teneva.
Urlai.
Mi arrivò un ceffone e insulti.
Cominciai a piangere.
Ero immobilizzata come poche ore prima faceva Alex, ma ora soffrivo.
Sentivo la loro presa sul mio corpo, udivo chiare le loro intenzioni e morsi il palmo della mano che mi ammutoliva.
Urlai ancora, altri schiaffi, il sangue mi uscì dal naso.
Stanchi del mio ribellarmi mi misero un bavaglio, mi legarono le braccia sopra la testa ed il Russo mi sfilò i jeans.
Capii che volevano andar via da lì per evitare di essere visti ovviamente e mi portarono nel casotto della toilette.
Imbavagliata, Legata e seminuda il gigante dell'est mi carico’ sulle sue spalle come fossi un sacco di patate.
Si avviò ed uno dei suoi compari era dietro di me, lo sentii che mi spostava le mutandine per infilarmi dentro le sue dita sudicie.
Erano eccitati come bestie, ridevano e si agitavano come i gorilla in riproduzione.
Avevo davvero tanta paura.
Smisi di piangere e di agitarmi perché li eccitava di più.
Rimasi immobile come un cadavere sperando finissero in fretta.
Mi picchiarono.
Mi scoparono a turno in piedi, sbattuta a 90 sul lavandino.
Strapparono le mutandine ma mi lasciarono legati i polsi e imbavagliata.
Il primo a riempirmi fu il Russo, gli bastarono pochi colpi perché vedendo gli altri due giocare, con la mia bocca e con un dito nel mio culo, lo fecero venire subito.
Uno non mi scopo’ nemmeno credo, mi venne in faccia, l'altro invece cercò di prendersi il culo, ma essendo stretta ci rinunciò per la voglia che aveva di esplodere, infatti, anche lui pochi colpi e mi riempì.
Li sentivo ancora ridere, compiacersi della gran scopata, uno continuava a penetrarmi con le dita, voleva sfondarmela così disse.
Mi allargò con tutta la mano, mi faceva male, sputo’ sul mio sesso arido, la saliva colava.
Mi sfottevano, mi denigravano.
Alex...Alex...Alex…
Solo questo avevo in testa, il mio Alex.
Soddisfatti se ne andarono lasciandomi nel casotto.
Mi alzai guardandomi allo specchio, con le mani legate mi sfilai il bavaglio, vidi il mio zainetto portato dentro dai tre per non attirare attenzioni.
Presi il mio cellulare e mi sedetti in un angolo.
Piangevo, mi bruciava, mi sentivo sporca, non sapevo cosa fare.
Se avessi chiamato mio marito mi sarei sentita riprendere, come se me la fossi cercata, come se fosse stata colpa mia.
Avrei dovuto subire l’ennesima mortificazione nel percepire la sua delusione, la vergogna per aver una moglie come me..
Non sapevo cosa fare.
Stretta nella mia disperazione, ancora legata cercai il numero di Alex.
Chiamai lui.
Rispose che singhiozzavo ancora.
Non riuscivo a smettere di piangere e quando sentii la sua voce non mi riuscì di dire niente.
Mi chiese cosa fosse successo.
Piangevo e dicevo Alex..Alex..Alex.
Ero sconvolta sotto shock.
Lui lo capì e mi chiese solo di dirgli dove mi trovassi.
La sua voce dolce e protettiva mi rassicuro’.
Risposi che ero in un Autogrill a poche ore dalla Locanda, mi disse di tenere acceso il cellulare ed il Gps, che sarebbe arrivato presto, che mi avrebbe trovata lui.
Mi disse di calmarmi, di smettere di piangere e di non muovermi da dove ero.
Riattacco’.
Rimasi nell'angolo seduta a terra con la testa fra le braccia, strette alle ginocchia.
La puzza di urina, il caldo soffocante, il dolore tra le gambe, vomitai, non riuscii a trattenermi.
Mi sporcai i piedi e piansi di più pensando in che condizioni disgustose mi avrebbe trovata il mio Alex, avrei voluto scappare ma non ne avevo le forze.
Non so quanto passò.
Udì il motore di un'auto che si fermava, ero terrorizzata, umiliata, ed anche impaurita sul chi potesse entrare.
Non mossi nemmeno lo sguardo.
Vidi un paio di scarpe sulla soglia della porta spalancata, le riconobbi era Alex, restò immobile per qualche secondo.
Alzai la testa ed incrociai il suo sguardo.
Era indecifrabile ciò che stava provando.
Si avvicinò senza più esitazioni e si abbassò vicino a me, slego’ i miei polsi, mi prese il viso tra le mani e bacio’ le mie labbra.
Lo vidi sconvolto e arrabbiato con chi mi avesse fatto questo.
Disse parole dolcissime, che ormai non mi diceva più nessuno, lo sentii dire:
“ Amore mio, Preziosa, cosa ti hanno fatto?
andiamo a casa...vieni…”
Mi prese in braccio ed uscimmo da lì.
Mi fece sedere in auto, gli dissi con un filo di voce che ero preoccupata per la moto, non volevo lasciarla, ma non avevo certo le forze per guidare.
Lui pensò anche a quello.
Appena fuori infatti, vidi per un attimo, che non era arrivato solo, ma insieme all'oste della Locanda il quale stava già salendo su Bimba.
Dopo aver sistemato in auto le mie cose, indossò il suo casco e partì.
Si preoccupava e pensava sempre ad ogni dettaglio il mio Signore.
Mi sdraiai sul sedile davanti, che era stato abbassato un po’.
Faticavo a star seduta per il dolore che avevo tra le cosce, i pochi colpi di sesso e gli schiaffi inferti dai tre disperati, facevano comunque un gran male.
Alex mi accarezzo’ ma non disse una parola fino alla Locanda, fino a “ casa”.
Ero proprietaria di un piccolo 5% sui guadagni di un qualcosa che per ora era solo un progetto.
I dettagli sull'hotel li concordammo davanti ad una cena, Alex era sempre molto attento e preciso quindi semplicemente mi fu tutto chiaro e senza nessun dubbio firmai.
Adesso il mio tempo lì era scaduto, lo sapevamo entrambi, ma sapevamo anche che il nostro legame ed il bisogno ci avrebbero prima o poi riuniti.
Facemmo l'amore e scopammo per tutta la notte, l'ultima notte.
Avrei voluto non finisse mai.
Avrei voluto fermare il tempo ed anche Alex sentivo che non voleva lasciarmi andare.
Piansi dopo aver goduto, ma dovevo partire.
Arrivò l'alba, ci svegliammo insieme, una carezza, un bacio, la colazione e gli sguardi senza parlarsi.
Mi accompagnò giù tenendo il mio zainetto.
Mi guardò sistemare la moto e mentre legavo il mio piccolo bagaglio con gli elastici, mi sorrise quando notò la fatica che feci a tenderli.
Era tutto pronto, un ultimo sguardo alle frecce, allo stop e controllai anche gli specchietti come faccio sempre prima di partire quando non uso Bimba da un po’.
Indossai il casco, allacciai la giacca, misi i guanti e montai in sella.
Detestando i saluti commoventi mi limitai ad un “ Arrivederci mio Signore..” abbassai la visiera e partii.
Mentre percorrevo il vialetto della locanda pensai al primo giorno, a quando arrivai e a tutte le emozioni che ho vissuto, alle nuove consapevolozze raggiunte e alle implicazioni che avrebbero portato.
Una lacrima stava per scendere ma non potevo, in moto non avrei visto più nulla, quindi misi la terza ed accelerai fino all'incrocio, svoltai lasciando tutto alle spalle.
La mia vita ed i legami a casa, dai quali fuggivo per sentirmi la vera Me stessa, sono anche le stesse corde che mi fanno sempre tornare.
Entrai in autostrada ed aprendo il gas iniziai a volare, cercavo di non pensare a come mi sentissi vuota.
Stando attenta alla guida nel traffico, mi concentrai tra un sorpasso e l’altro allontanandomi sempre di più dalla vera Me.
Quella che desidera SUBire un uomo, quella a cui piace essere esibita come una proprietà, quella che adora vedere i lividi sul suo corpo, a ricordarle la forza della passione.
Ero persa in questi pensieri, ma restai concentrata e mi accorsi che la spia della benzina cominciava a lampeggiare.
Decisi di fermarmi in autogrill, avrei fatto il pieno e data l'afa delle 14.00 di un caldo giovedì estivo, mi sarei presa qualcosa da bere gustandomela riparata sotto ad un'ombra.
Rallentai e svoltai nell'area di sosta, feci subito benzina ed intanto che pagai presi anche dalla vetrina frigo una Coca-Cola.
L'autogrill era semi deserto, non c'era molta gente, pochi turisti accaldati e alcuni camionisti in sosta.
Mi allontanai piano con la moto e vidi poco più lontano uno spiazzo verde con un tavolino all'ombra
Era vicino ad un casotto delle toilette, ma non mi importo’ purché fosse lontano da sguardi indiscreti, volevo fumarmi una cannetta e rilassarmi dieci minuti prima di ripartire.
Rollai la mia canna e mi misi comoda, levai gli stivali, la giacca, restando con la canotta rossa di pizzo e i jeans.
Mi sdraiai sul tavolo di legno, lungo un paio di metri, di quelli con le panchine attaccate, accomodai lo zainetto sotto la testa e accesi la mia canna.
Ad occhi chiusi ripensavo ad Alex, alle sue mani così forti e delicate, alla sua bocca calda e dolce, al suo cazzo duro e grosso.
Sudavo.
I fumi dell'hashish, il caldo ed i pensieri mi portarono di nuovo tra le braccia del mio Signore.
Non mi accorsi che ero osservata.
Lo ero stata fin da quando arrivai.
Si avvicinarono silenziosi tre camionisti e me ne resi conto solo quando sentii due di loro bloccarmi le braccia e tapparmi la bocca, mentre il terzo mi teneva le gambe.
Ero paralizzata, immobile, non solo dalle loro mani, ma soprattutto dalla mia paura.
Cercai di guardarmi intorno in cerca d'aiuto ma non potendo muovermi molto non riuscì a vedere nessuno.
Sentivo i tre che parlavano tra loro.
Uno era certamente Russo, sia per l'accento, sia per la struttura fisica, era grosso, un armadio.
Lo vedevo bene, di fronte a me.
Capelli rasati, occhi chiari alto e muscoloso.
Gli altri due non mi permettevano di girare la testa quindi non li vedevo chiaramente.
Sicuramente erano italiani, forse siciliani.
Erano grassi intravedevo le loro pance, puzzavano di sudore, ed il fiato di vino.
Stavo per vomitare.
Il Russo mi strattonò verso di lui liberandomi per un attimo la bocca dalla mano che mi teneva.
Urlai.
Mi arrivò un ceffone e insulti.
Cominciai a piangere.
Ero immobilizzata come poche ore prima faceva Alex, ma ora soffrivo.
Sentivo la loro presa sul mio corpo, udivo chiare le loro intenzioni e morsi il palmo della mano che mi ammutoliva.
Urlai ancora, altri schiaffi, il sangue mi uscì dal naso.
Stanchi del mio ribellarmi mi misero un bavaglio, mi legarono le braccia sopra la testa ed il Russo mi sfilò i jeans.
Capii che volevano andar via da lì per evitare di essere visti ovviamente e mi portarono nel casotto della toilette.
Imbavagliata, Legata e seminuda il gigante dell'est mi carico’ sulle sue spalle come fossi un sacco di patate.
Si avviò ed uno dei suoi compari era dietro di me, lo sentii che mi spostava le mutandine per infilarmi dentro le sue dita sudicie.
Erano eccitati come bestie, ridevano e si agitavano come i gorilla in riproduzione.
Avevo davvero tanta paura.
Smisi di piangere e di agitarmi perché li eccitava di più.
Rimasi immobile come un cadavere sperando finissero in fretta.
Mi picchiarono.
Mi scoparono a turno in piedi, sbattuta a 90 sul lavandino.
Strapparono le mutandine ma mi lasciarono legati i polsi e imbavagliata.
Il primo a riempirmi fu il Russo, gli bastarono pochi colpi perché vedendo gli altri due giocare, con la mia bocca e con un dito nel mio culo, lo fecero venire subito.
Uno non mi scopo’ nemmeno credo, mi venne in faccia, l'altro invece cercò di prendersi il culo, ma essendo stretta ci rinunciò per la voglia che aveva di esplodere, infatti, anche lui pochi colpi e mi riempì.
Li sentivo ancora ridere, compiacersi della gran scopata, uno continuava a penetrarmi con le dita, voleva sfondarmela così disse.
Mi allargò con tutta la mano, mi faceva male, sputo’ sul mio sesso arido, la saliva colava.
Mi sfottevano, mi denigravano.
Alex...Alex...Alex…
Solo questo avevo in testa, il mio Alex.
Soddisfatti se ne andarono lasciandomi nel casotto.
Mi alzai guardandomi allo specchio, con le mani legate mi sfilai il bavaglio, vidi il mio zainetto portato dentro dai tre per non attirare attenzioni.
Presi il mio cellulare e mi sedetti in un angolo.
Piangevo, mi bruciava, mi sentivo sporca, non sapevo cosa fare.
Se avessi chiamato mio marito mi sarei sentita riprendere, come se me la fossi cercata, come se fosse stata colpa mia.
Avrei dovuto subire l’ennesima mortificazione nel percepire la sua delusione, la vergogna per aver una moglie come me..
Non sapevo cosa fare.
Stretta nella mia disperazione, ancora legata cercai il numero di Alex.
Chiamai lui.
Rispose che singhiozzavo ancora.
Non riuscivo a smettere di piangere e quando sentii la sua voce non mi riuscì di dire niente.
Mi chiese cosa fosse successo.
Piangevo e dicevo Alex..Alex..Alex.
Ero sconvolta sotto shock.
Lui lo capì e mi chiese solo di dirgli dove mi trovassi.
La sua voce dolce e protettiva mi rassicuro’.
Risposi che ero in un Autogrill a poche ore dalla Locanda, mi disse di tenere acceso il cellulare ed il Gps, che sarebbe arrivato presto, che mi avrebbe trovata lui.
Mi disse di calmarmi, di smettere di piangere e di non muovermi da dove ero.
Riattacco’.
Rimasi nell'angolo seduta a terra con la testa fra le braccia, strette alle ginocchia.
La puzza di urina, il caldo soffocante, il dolore tra le gambe, vomitai, non riuscii a trattenermi.
Mi sporcai i piedi e piansi di più pensando in che condizioni disgustose mi avrebbe trovata il mio Alex, avrei voluto scappare ma non ne avevo le forze.
Non so quanto passò.
Udì il motore di un'auto che si fermava, ero terrorizzata, umiliata, ed anche impaurita sul chi potesse entrare.
Non mossi nemmeno lo sguardo.
Vidi un paio di scarpe sulla soglia della porta spalancata, le riconobbi era Alex, restò immobile per qualche secondo.
Alzai la testa ed incrociai il suo sguardo.
Era indecifrabile ciò che stava provando.
Si avvicinò senza più esitazioni e si abbassò vicino a me, slego’ i miei polsi, mi prese il viso tra le mani e bacio’ le mie labbra.
Lo vidi sconvolto e arrabbiato con chi mi avesse fatto questo.
Disse parole dolcissime, che ormai non mi diceva più nessuno, lo sentii dire:
“ Amore mio, Preziosa, cosa ti hanno fatto?
andiamo a casa...vieni…”
Mi prese in braccio ed uscimmo da lì.
Mi fece sedere in auto, gli dissi con un filo di voce che ero preoccupata per la moto, non volevo lasciarla, ma non avevo certo le forze per guidare.
Lui pensò anche a quello.
Appena fuori infatti, vidi per un attimo, che non era arrivato solo, ma insieme all'oste della Locanda il quale stava già salendo su Bimba.
Dopo aver sistemato in auto le mie cose, indossò il suo casco e partì.
Si preoccupava e pensava sempre ad ogni dettaglio il mio Signore.
Mi sdraiai sul sedile davanti, che era stato abbassato un po’.
Faticavo a star seduta per il dolore che avevo tra le cosce, i pochi colpi di sesso e gli schiaffi inferti dai tre disperati, facevano comunque un gran male.
Alex mi accarezzo’ ma non disse una parola fino alla Locanda, fino a “ casa”.
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