Legata col Sangue ---III Parte

di
genere
pulp

Lo rintracciammo attraverso il numero di targa del camion, ed arrivare a lui e là dove si sentiva più al sicuro, fu per noi il primo tassello del puzzle di sangue.
Si occupava del trasporto e della consegna di ricambi agricoli per conto di una compagnia della zona che commerciava anche con l'Italia.
Quando non era in viaggio, per lavoro, il suo mezzo lo parcheggiava nell'ampio cortile di casa sua, che era dispersa nel nulla della fredda e povera campagna Russa.
Anche lui ed i suoi movimenti furono oggetto di profondi controlli ed accurati appostamenti.
Non fu facile perché le distanze in quello sconfinato paese non sono come da noi e l’immensa taiga da attraversare in pieno inverno ci mise a dura prova.
Eravamo però molto motivati.
Il Signor Kostin era sposato, il porco, lo avrei sgozzato davanti alla sua sposa, ma dovevo essere paziente, il piano era un'altro.
Aspettammo tre settimane, non lo perdemmo mai di vista.
Nel frattempo ci eravamo ambientati, allestito la stanza dove avremmo torturato il Russo.
Non lo avrebbe sentito urlare nessuno, non c'erano vicini nell'arco di 100 km.
Non lo avrebbe cercato nessuno, non nella dacia presa in affitto da una coppia di turisti.
Sarebbe sparito senza lasciare tracce abbandonando il suo camion in un Autogrill.
Sarebbe SPARITO.

Kostin ebbe l'ordine per una consegna, lo vedemmo la sera prima, sistemare il camion come suo solito prima di partire.
All'alba di una fredda mattina, poco prima del nostro Santo Natale, era finalmente tutto pronto, era giunto il momento.
Era un abitudinario, perciò lo aspettammo al solito distributore dove faceva il pieno prima del viaggio.
Fuori mano, come quasi tutto del resto, in quel Paese e mettere in atto la prima parte del nostro piano fu semplice.
La prima parte, solo quella, perché poi accadde un imprevisto.
Io dovevo attirare Kostin lontano dal suo camion, fare in modo di non essere vista da nessuno, circuirlo con la mia malizia e prima che si potesse rendere conto o capire chi io fossi avrei dovuto sedarlo con un'iniezione anestetizzante.
Alex invece si sarebbe occupato di eventuali telecamere e testimoni, di portare il furgone per caricare il nostro “amico” e di proteggermi da lontano, non mi avrebbe mai persa di vista, ma era senz'altro più facile che il porco seguisse me che un uomo.
Finsi di avere un problema con il taxi che mi avrebbe dovuta raggiungere.
Urlavo e sbraitavo in italiano, per attirare la sua attenzione, la parrucca bionda, stivali neri al ginocchio che si intravedevano appena sotto la lunga pelliccia bianca che indossavo, mi bastarono due minuti, ed era già lì a sbavare.
Mi chiese, in italiano, se avessi bisogno d'aiuto, feci solo cenno di no.
Domandò ancora se volessi un passaggio, di nuovo, accennai ad un no.
Si guardò intorno come a controllare che non ci fosse nessuno, appena ne fu certo si avvicinò a me come un lampo.
Era ad un millimetro dal mio naso, mi respirava addosso come un animale, sentivo un coltello, la punta almeno, spingere sul mio addome.
Ero terrorizzata, un’altra volta.
Mi spinse violentemente verso il suo camion, sbattendomi contro lo sportello.
Lo guardavo senza capacitarmi di come mi avesse riconosciuta e se Alex si fosse accorto che non ero riuscita nel mio intento, che ero di nuovo in balia del Russo.
Mi schiaffeggio’ urlando i suoi insulti, li urlò alla puttana italiana che aveva fatto, secondo lui, godere, mi sbatteva forte con le spalle e la testa al camion, chiedendo cosa pensassi di fare.
Non respiravo, mi puntava il coltello alla gola.
Ero terrorizzata, ancora.
D'un tratto mi crollò di peso addosso, cademmo a terra entrambi, sbilanciati da un forte colpo che gli piombo’ alla base del collo.
Svenne.
Alex mi sollevò veloce, era fuori di sé, ma lucido e controllato.
Vidi il nostro furgone dietro il camion di Kostin, mi fece un cenno e andai a prenderlo.
Aprì gli sportelli sul retro e lo carico’.
Io lo aspettai, lasciando libero il posto di guida, motore acceso.
Salì, mi diede un bacio, una dolcissima carezza e partimmo.

Si risvegliò legato ad una sedia, usammo delle fascette da elettricista.
Polsi bloccati ai poggioli, le caviglie alle gambe della sedia ed infine la testa fissata ad un sostegno che non gli permetteva nessun movimento.
Aprì gli occhi ed io ero davanti a lui.
Gli sputai addosso, due volte.
Alex era dietro le spalle di Kostin, si gustava me in una veste insolita, da torturatrice.
Esordii dicendogli che dopo lunghe e atroci sofferenze e torture, sarebbe uscito da quella cantina comunque morto, sarebbe diventato comunque cibo per i lupi affamati.
Mi allontanai da lui un momento raggiungendo il tavolo dove avevamo sistemato ordinatamente tutti gli attrezzi che ci sarebbero serviti.
C'erano la Nagaika, la frusta cosacca, un martello con dei chiodi, una sega, delle pinze e del fil di ferro spesso pochi millimetri.
Ne tagliai un pezzo di circa 20 cm di lunghezza, e tornai al mio posto, di fronte al porco.
Mi misi ben dritta, a testa alta e diedi inizio alla mia opera raccontandogli una storia vera, un mio ricordo di bambina.
Tenevo in mano il fil di ferro, giocherellandoci con le dita, era flessibile, freddo.
Alex mi porse un coltello affilato, lo presi avvicinandomi a Kostin che digrigno’ i denti, lo colpii con uno schiaffo.
Col coltello tagliai i pantaloni e poi gli slip, lo denudai.
Si agitava.
Ridevo.
Ripassai il coltello ad Alex.
Indietreggiai di un passo, volevo mi vedesse bene.
Iniziai.
Raccontai di quando, poco più che tredicenne, in vacanza in Grecia con i miei genitori, per non annoiarmi con loro, restai in camper da sola con alcuni libri e scelsi di leggere “Un Uomo” della Fallaci.
Raccontai del libro e di un particolare che mi colpì molto.
Gli dissi che era dall'età di tredici anni che mi domandavo cosa avesse provato uno dei protagonisti del romanzo, personaggio reale non di fantasia, quando subì una tortura durante la sua carcerazione, dopo che lo dichiararono colpevole di un attentato.
Gli dissi che gli aguzzini gli infilarono il fil di ferro nel buco sulla cappella, spingendolo nel canale dell’uretra fino in fondo
Adesso toccava a lui.
Afferrai il suo cazzo moscio, lo guardai, lo volevo duro.
Chiesi se si ricordasse di quando mi scopo’ nel cesso, lo segavo intanto, e contro la forza di madre natura nemmeno la rabbia può porre resistenza.
Mi bastarono pochi minuti perché diventasse duro e gli infilai il fil di ferro.
Urlò.
Lo spingevo con forza per poi estrarlo.
Sbavava dal dolore credo.
Lo estrassi e mi fermai per cinque minuti, durante i quali presi una candela, l'accesi e tenendo il filo con una pinza, per non scottarmi, lo riscaldai.
Quando fu rovente tornai dal suo cazzo che si era afflosciato.
Non mi importò, questa volta lo infilai brutale bruciando il canale urinario.
Urlava, sputava ed infine svenne.
Estrassi il filo, la prima tortura l'avevo eseguita, adesso la ragazzina tredicenne si era tolta la sua curiosità e la donna violentata, un po’ della sua rabbia, entrambe ora sapevano che un uomo così torturato sviene.
Alex mi si avvicinò portandomi fuori da li, avevo bisogno di un po’ d'aria.
Risvegliai Kostin con una secchiata d'acqua, ero io a gestire la situazione, era la mia vendetta.
Appena riprese conoscenza, mi riavvicinai con il martello questa volta, inginocchiandomi ai suoi piedi lo guardai e lo vidi terrorizzato.
Gli spaccai le dita del piede destro.
Urlava dicendomi “Puttana”.
Passai alle dita del piede sinistro, le ruppi una ad una ed il sangue cominciava a defluire dalle ossa spappolate.
Presi il seghetto e mi dedicai alle mani immobilizzate ai braccioli della sedia, tagliai le dita, non mi fermai nemmeno quando svenne per la seconda volta.
Era privo di conoscenza, facendomi aiutare da Alex lo slegammo dalla sedia per appenderlo dai polsi ad un gancio.
Colava sangue dalle dita spezzate, il pavimento ne era imbrattato.
Presi la Nagaika, la frusta, ed infierii sulla pelle della sua schiena.
I brandelli di carne si strappavano ad ogni colpo, i piccoli chiodi posti sulla fascetta all'estremità, avevano adempiuto al loro scopo.
Kostin riemergeva di continuo da uno stato di incoscienza, ed io lo colpivo dove ancora la carne non era lesa.
Alex mi fermò dicendomi che così lo avrei ucciso dissanguandolo.
Mi fermai.
Lo slegai lasciando che cadesse sul pavimento, in modo che potesse sentire il sapore della sua agonia.
Lo girai, rischiai di scivolare.
Mi misi a cavalcioni su di lui, stando sulle cosce.
Alex mi passò il coltello.
Schiaffeggiai Kostin che mi guardò tra i lividi.
Impugnai il coltello e gli tagliai le palle.
Gliele infilai in bocca.
Tagliai il cazzo e spinsi giù nella sua gola.
Mi sistemai più vicino al suo viso, sedendomi sul pube martoriato.
Prima che svenisse ancora lo guardai, lentamente e senza dire nulla gli tagliai la gola da parte a parte.
Aspettai finché anche l’ultima goccia di sangue non stillo’ dalla sua giugulare.
Kostin era morto.
Alex terminò l'opera tagliando il suo corpo a pezzi, a piccoli pezzi, che cinghiali e lupi della steppa avrebbero fatto sparire.
Ripulimmo tutto, nulla dava l ‘idea di cosa fosse accaduto in quella casa.
Era tutto finito, mi ero vendicata, tornammo a casa .

Legata finisce qui...la primavera porta Mia sulla via...alla ricerca delle sue storie vere o no...a presto...
scritto il
2019-03-27
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