Judy

di
genere
etero

Le luci si accendono, il ronzio degli amplificatori cala lentamente, mi alzo dal seggiolino e raggiungo gli altri sul fronte del palco, inchino, saluti e via, un’altra serata è andata. Tutto sommato una buona serata, dopo due settimane di concerti in fila ormai il gruppo funziona.
Scendo dal palco e vado con gli altri verso il camerino, entriamo e per almeno 5 minuti nessuno apre bocca, il silenzio ci culla lontano dal macello che stavamo facendo neanche 10 minuti fa. Poi si decide di andare al bar a bere qualcosa, conoscere gente, fare cose, non ne ho nessuna voglia stasera, auguro una buona bevuta e mi sdraio sul divano, prendo il mio lettore mp3 e faccio partire l’unica canzone che si possa ascoltare dopo un concerto: “Rain Song” dei Led Zeppelin. Mi perdo fra le corde di Jimmy Page, lascio che la voce di Plant mi porti via lontano; quando finisce penso che vorrei fosse durata almeno tre ore, cerco qualcos’altro da ascoltare e decido per “Another Stoney Evening” di Crosby & Nash. Passano tre canzoni e sono completamente rapito dalle armonie delle voci, sono in un mondo decisamente più bello del triste camerino che mi sta attorno quando qualcosa mi tocca un braccio, apro gli occhi e vedo una ragazza sorridente che sta in piedi di fianco a me. Penso che è bello avere fan che ti comprano i dischi e vengono ai concerti, non è altrettanto bello quando diventano invadenti.
“Ciao, gli altri del tuo gruppo mi hanno detto che ti avrei trovato qui e non avrei disturbato.
Stronzi.
-Ma sì, figurati, stavo solo riposando un attimo.
“Complimenti per il concerto, blablabla, blabla, bla? Bla! Blablablabla, blabla, blablablablala autografo?”
-Grazie, certo, blablabla.
“Mi chiamo Judy.”
-E hai gli occhi blu.
“Mio papà ci sperava, dice sempre che se li avessi avuti verdi avrebbe dovuto scrivere una “Judy Green Eyes”
-Stringigli la mano da parte mia.
“Posso stare un po’ qui con te?”
Ma veramente…
-Sì certo.
Si siede sul divano e inizia a parlare, è un po’ nervosa, muove continuamente le gambe e cambia spesso posizione.
“Mi è sempre piaciuta la batteria, è lo strumento più fisico di tutti, si suda per suonarla.”
-Si suda di più per i riflettori, fidati. Non posso negare però che sia un bello sfogo.
“Si vede quando suoni, posso dire che lo trovo eccitante?”
-Ah sì? Come mai?
“Perché ti muovi a ritmo, sudi e metti in movimento le persone, poi ti si vede la passione in faccia, sei concentratissimo.
Sarà che poco fa ero nel mio mondo dei sogni ma la situazione ha del surreale, sento che vorrei baciarla adesso anche se la conosco da neanche 5 minuti. C’è anche una parte di me però che vorrebbe tornare a sonnecchiare sul divano in pace.

Sorrido, mi dico ‘chiudi alla svelta, fai finta di non stare bene, mandala via in qualche modo’, nel frattempo l’ho presa dal fianco e la sto già baciando, non un bacio romantico ma uno di quelli con un sacco di lingua: appena le labbra si sono sfiorate sembra che abbia perso il controllo. Mi spinge all’indietro fino a farmi sdraiare di nuovo sul divano, mi apre la camicia e inizia a leccarmi ovunque, io non ho avuto nemmeno il tempo di toccarla praticamente; e vabbè, lasciamo fare, per un attimo penso di rimettermi le cuffie e continuare ad ascoltare musica mentre lei si diverte ma forse non è il caso. Judy nel frattempo torna su e mi bacia di nuovo con un impeto non indifferente, mi guarda negli occhi,
“Troppo?”
-Non sarò io a fermarti.
“Molto bene”, sorride, mi morde il labbro e torna verso il basso mentre una mano si posa sul rigonfiamento nei pantaloni. Penso che non mi sono ancora lavato dopo il concerto e cerco di avvisarla senza distruggere il momento. Risponde che le piace l’odore di uomo, non mi permetto più di aprire bocca, non per parlare almeno.
Mi sfila i pantaloni e con una mano sale dentro le mutande, afferrando qualcosa che è più piccolo del mio orgoglio ma più grosso della mia dignità. Però esattamente come orgoglio e dignità può andare su e giù e ogni tanto esplode e collassa.
Intanto la lingua di Judy scende dal mio torace, mi passa sulla pancia e scende ancora, mordicchia attraverso le mutande, struscia la faccia, poi con le mani toglie le mutande e si dedica a ciò che ci trova dentro. Non è molto esperta ma quello che le manca in tecnica lo compensa con un’evidente “golosità”; o forse era la lussuria, faccio sempre confusione.
Mi abbandono al momento e le lascio fare tutto quello che vuole, la sua lingua zompetta vispa su e giù, ogni tanto mi guarda e sorride. Dopo 5 minuti mi annoio a non fare niente, mi alzo, le prendo la testa fra le mani e la bacio ancora, poi la rigiro sul divano, le alzo la gonna, scosto le mutandine e getto la faccia senza troppi giri tra le sue labbra già abbondantemente lubrificate; penso che devono piacerle davvero tanto i batteristi. Passo la lingua larga per tutta la lunghezza quattro o cinque volte poi mi accanisco sul grilletto dell’arma più potente mai creata, inizio un gioco di risucchio che dura per qualche minuto, almeno finché Judy non mi tira involontariamente dei calci alla schiena quando perde il controllo; abbiamo macchiato il divano ma non siamo i primi e non saremo gli ultimi. Ora che ci penso, forse non era il posto migliore per riposare.
Judy si alza, si toglie gli slip ma non la gonnella, si avvicina al muro e vi appoggia le mani, offrendomi una vista a cui è molto difficile resistere. E chi è che vuole resistere? La prendo finché le braccia non cedono e si appoggia con la faccia al muro, non smetto e la schiaccio contro il muro mentre aumento i colpi, sento che viene almeno un paio di volte trattenendo qualche urlo che diventa un gridolino, quasi uno squittio. Nella foga percepisco un suono che sembrano parole, chiedo di ripetere e mi sento dire “Ti voglio in bocca”. Calo lentamente il ritmo, il defaticamento è sempre importante, mai fermarsi di colpo. Quando mi fermo faccio per uscire lentamente poi assesto un altro paio di colpi violenti a sorpresa e questa volta Judy non trattiene l’urlo. Si gira, si inginocchia davanti a me e gioca di bocca e mani finché non le esplodo in gola, poi barcollo fino al divano e ci crollo di nuovo sopra, incurante di chi l’abbia macchiato o quando.
Judy si rialza e si ricompone un po’, le è colato un pochino di trucco dagli occhi, le dico che c’è un bagno nell’angolo con uno specchio se vuole sistemarsi, ne approfitta mentre io mi rivesto. Quando esce dal bagno è di nuovo la ragazza che mi sorrideva quando è entrata nel camerino, mi chiedo se sia bipolare poi mi ricordo come divento io quando perdo il controllo, se il sesso non tira fuori la tua parte animale vuol dire che sei una brutta persona.
“È stato bello conoscerti. Ora devo tornare dalle mie amiche al bar, vieni anche tu?”
-No, meglio se mi sciacquo e inizio a prepararmi, tra un po’ dovremo andare in albergo.
“Beh allora ciao, magari ci rivedremo!”
-Mai dire mai, anche se l’ho appena detto due volte.
Mi bacia sulla guancia, prende il suo cd autografato ed esce dal camerino. Sarà passata forse mezz’ora da quando è entrata.
E ora?
Mi sdraio, mi metto gli auricolari, premo play e parte “The Lee Shore”.
Cazzo vuoi di più dalla vita.
scritto il
2019-07-11
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