Angela

di
genere
dominazione

Manca l’aria qua sotto. Vedo nero, non riesco a muovermi e mi manca l’aria.

Volevo scomparire e Angela era la persona perfetta.
Conosciuta ad un seminario di musica, mi aveva subito colpito per il suo sguardo tanto intelligente da sembrare freddo, ancora prima che per le sue forme incredibili: non grassa ma sicuramente non magra, di un’abbondanza giunonica che sapeva di civiltà matriarcali in cui, per dirla con grande cultura, ‘sta mano po’ esse’ fero e po’ esse’ piuma; avrei volentieri porto l’altra guancia in ognuno dei due casi. Il fatto che avesse un paio d’anni più di me era la ciliegina sulla torta, volevo essere annientato e lei era l’arma definitiva, ci avrei fantasticato per mesi.
Invece durante il corso iniziammo a parlare e anche a discutere, poiché non sempre le nostre visioni coincidevano. Questo faceva sì che potessimo fare della musica molto interessante ma portava anche a discussioni piuttosto animate, durante le quali capii perché aveva uno sguardo così intelligente: era dannatamente intelligente.

“Almeno usi la lingua per qualcosa di utile” sono le parole che colgo nel buio. In effetti è vero. La sento ansimare sopra di me, mi tiene bloccate le mani mentre sta comodamente seduta sulla mia faccia.

Il seminario durava tre giorni per cui c’era una certa convivenza “forzata”, dalle conferenze della mattina agli esercizi del pomeriggio alle jam del dopo cena, con i pasti serviti nella stessa struttura. Insomma, si passava parecchio tempo insieme e c’era modo di conoscersi bene.
Per il primo giorno persi un po’ di vista Angela, almeno fino a cena, quando partì una discussione sull’improvvisazione che ci infervorò non poco. Il suo approccio cerebrale e accademico si scontrava con il mio fortissimo scetticismo verso tutto ciò che è accademico, lei voleva il controllo totale sull’arte, io amo arrendermi al flusso, venivamo da due posti diversi e ci scontravamo su quasi tutto, però avevamo qualcosa in comune che batteva tutte queste differenze: quella era la nostra vita, non il nostro lavoro.

Si alza, mi guarda sorridendo, mi fa sedere e mi soffoca in mezzo alle tette; mi sento sporco quando mi viene in mezzo una canzone di Ligabue, mi distraggo pensando a Jessica Rabbit, mi sento ancora più sporco, per fortuna interviene lei spingendomi di nuovo sul letto e avvisandomi “Se ti muovi te ne penti”. Poi inizia a fare cose che coinvolgono la sua bocca, le sue mani e una parte del mio corpo a cui sono piuttosto affezionato, penso a Prince in “Darling Nikki”.

Ormai avevo preso la nostra opposizione di petto e mi impegnavo per esacerbare la situazione, adoro le estreme conseguenze quando si tratta di arte.
La scintilla scattò il pomeriggio del secondo giorno. Mi correggo, per me era scattata nel momento in cui l’avevo vista, effetto Woody Allen, l’avrei sposata in quel momento, per lei probabilmente si era già acceso qualcosa ma ci mancava un ponte, qualcosa che collegasse i nostri due universi, simili quasi in tutto ma di due colori completamente diversi. Quel ponte si chiamava John Coltrane, sempre sia lodato, e in meno di mezz’ora aveva fatto scattare sguardi e sorrisi prima, occhiate e avance poco dopo. Come? Servirebbe un saggio a parte per spiegarlo.
Quando suonammo insieme dopo cena qualcosa era cambiato, non per forza in meglio o in peggio, semplicemente cambiato. Poi parlammo, per almeno due ore, di qualsiasi cosa, dalla più piccola alla più grossa, su quel ponte iniziò uno scambio torrenziale. Eravamo entrambi figli degli anni ’80, avevamo visto troppa televisione e quando ci siamo accorti che quello non era il mondo reale ci siamo chiusi nella musica come realtà espressiva. Oppure erano tutte stronzate ed eravamo solo inadatti ad accettare la realtà, poco importa, in quel momento e per le ore che seguirono ci sentimmo in due di fronte al mondo. In quella conversazione capì quanto davvero ero disposto a lasciarmi andare al flusso, quanto volessi scomparire nel nulla ed io capii cosa significasse per lei avere il controllo, quindi prese il comando. Neanche mezz’ora più tardi mi mancava l’aria.

Non posso dire di essere stato ‘usato’ da Angela perché per entrambi era un gioco e io l’ho usata tanto quanto lei ha usato me. Di sicuro in una notte sono stato girato e rigirato più che in tutta la vita, ho fatto le peggio cose con una naturalezza che le faceva sembrare quasi innocenti (quasi…), sono stato felicemente e gloriosamente dominato, annichilito e fatto felice. Abbiamo riattraversato le fasi freudiane, c’erano mani che afferravano di tutto, un momento in cui mi sono felicemente dedicato ai suoi bellissimi piedi morbidi mentre lei si rilassava un attimo fumando qualcosa, una doccia che ci ha più sporcati che lavati. Prima che sorgesse il sole mi sono addirittura azzardato a prendere il controllo in più di un momento, non sono pervenute lamentele al riguardo. Quando poi il sole è effettivamente sorto, stavamo entrambi dormendo tranquilli. Quel giorno ci saremmo persi le conferenze del mattino, poi ci scherzammo ma sotto sotto un po’ dispiaceva a entrambi.
scritto il
2018-07-13
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